martedì 29 gennaio 2013

Grecia, indagine su Lista Lagarde non prosegue perché è scritta in francese

Se hanno imparato dagli italiani, lo hanno fatto veramente bene. Nel giorno in cui si apprende che un cittadino greco su due ammette di non poter pagare le tasse sulla casa di proprietà (cercherà di venderla per evitare conseguenze penali) il teatro dell’assurdo ellenico si arricchisce di un altro capitolo sul caso della Lista Lagarde, l’elenco degli evasori che hanno trafugato miliardi di euro fuori dal paese verso la svizzera HSBC, con nomi eccellenti della politica e dell’imprenditoria ellenica. E al cui interno si sospetta vi siano fondi neri, tangenti per fornitura di armi e per le Olimpiadi del 2004. Il dipartimento crimini finanziari (lo Sdoe) denuncia che i ministeri competenti non hanno ancora inviato i funzionari per proseguire nelle indagini sulla Lista Lagarde perché è scritta in lingua francese. E così si rischia di tardare ulteriormente il raffronto incrociato tra i 2000 nomi della Lista (c’è anche il consigliere economico del premier), i proprietari di immobili fuori dal Paese e i 54mila greci che hanno conti correnti all’estero per una mera deficienza tecnica, nonostante fiotte di interpreti e traduttori che affollano gli uffici di ministeri ed enti pubblici.

L’ennesima assurdità in una vicenda tanto scabrosa quanto incredibile, dal momento che il Paese si trova a fare i conti con gli sviluppi del piano della troika utile alla concessione dell’ultimo maxiprestito da 50 miliardi di euro. Con cittadini ridotti allo stremo che fanno fatica ad arrivare alla seconda settimana del mese, come tutti gli indicatori dell’Istituto di statistica nazionale denunciano e con le Ong che ormai puntano in pianta stabile a intervenire in loco (Medici senza frontiere in primis). Mentre la politica non fa poi molto per inchiodare i responsabili, anzi, come riportato più volte da queste colonne, (un articolo del fattoquotidiano.it è ora agli atti ufficiali della Camera), c’è da registrare una sorta di freno a mano tirato proprio da chi invece dovrebbe procedere spedito verso la soluzione della questione.

Una settimana fa il Parlamento ha votato sì alla commissione di indagine per il solo ex ministro delle Finanze Papacostantinou, ma facendo salvo il suo successore Venizelos, attualmente leader dei socialisti del Pasok. Entrambi avevano dichiarato, interrogati dalla Commissione parlamentare che indaga sul caso, di non avere mai protocollato la lista, giunta in Grecia per corriere diplomatico nel 2010, e di non sapere dove fosse. Ma proprio Papacostantinou ora dovrà rispondere per aver depennato dall’elenco tre suoi parenti, tra cui il noto commerciante di armi Roussios, socio di affari di Akis Tsogatsopulos, ex ministro a soprattutto ex braccio destro di Andreas Papandreou, padre padrone nella Grecia post colonnelli e vero dominus della politica per trent’anni, tutt’ora in carcere e in attesa del processo. Non solo le opposizioni del Syriza, ma finanche la stampa internazionale come il New York Times, si sono chiesti il perché di tale disparità di trattamento. Più di qualcuno insinua che la Camera abbia “salvato” Venizelos solo per evitare che la maggioranza anomala che tiene a galla il premier conservatore Samaras crollasse sotto i colpi di uno scandalo dalle proporzioni colossali.

All’interno della lista, come molti organi di stampa hanno riportato, figurerebbe anche il nome di Margareth Papandreou, madre dell’ex premier Giorgios, con la faraonica cifra di 500 milioni di euro. La signora si è affrettata a smentire e i suoi legali parlano di una cifra espressa in dracme, ma il dubbio della gente comune rimane, soprattutto se la stessa classe dirigente del Paese consente che per la mancanza di qualche interprete vengano ritardati controlli incrociati determinanti per ricostruire il giro di denaro.

Il tutto accade in un Paese dilaniato dai riverberi del memorandum della troika. Fra due giorni i lavoratori privati “faranno compagnia” a quelli pubblici con la nuova normativa sulle ritenute. Secondo la nuova scala ci sarà un aumento delle ritenuta alla fonte sul reddito annuo superiore a 20.000. Mentre Atene, dopo dieci giorni di fermo della metropolitana, sarà interessata dal maxi sciopero di bus e mezzi pubblici, con gli agricoltori che hanno annunciato altre mobilitazioni e si preparano a chiudere le autostrade per protesta. E con l’ultimo sondaggio politico che dà i nazisti di Alba dorata terzo partito stabile, al 10% altro fattore di rischio in un tessuto socio politico già destabilizzato da attentati, come la bomba artigianale fatta esplodere una settimana fa nel più grande centro commerciale della capitale e quelle contro il partito di governo.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 28/01/13
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Alla squadra Italia manca uno spogliatoio unito

Come si investe in credibilità internazionale senza fare del vacuo populismo, ma sostenendo il “motore” Italia anche con politiche mirate e riforme strutturali concrete? Se lo è chiesto qualche giorno fa il vertice dell’Eni Giuseppe Recchi, stimolando il ceto politico (che si affanna a sloganeggiare in campagna elettorale) affinchè attui una riforma di stampo culturale. Che non sia improvvisata ma figlia di una programmazione seria e lungimirante: al fine di attirare investitori nel nostro paese. Convincerli che qui c’è un unicum, che vale la pena imbarcarsi in quella direzione, che il belpaese ha molte frecce al proprio arco. Ma troppo spesso nel passato (e anche nel presente) è accaduto che quelle forze centrifughe – cinesi e indiane – basate su nuovi capitali abbiano deciso di virare altrove. Colpa di una realtà che rappresenta un deterrente: la burocrazia pachidermica con tempi biblici, la farraginosità della giustizia anche civile che non aiuta le imprese, i mille lacci e lacciuoli che frenano lo sviluppo, l’assenza di una strategia di ampio respiro che “venda” il meglio che il Paese produce ma senza svilire i diritti, una rete di trasporti ancora non a livelli europei, il Corridoio 8 dimenticato da tutti, un raddoppio ferroviario che al sud è ancora una chimera. Non comprendere come, proprio in un momento di crisi sistemica e di deficienze di denaro, l’unica via di uscita sia inseguire quella qualità che l’Italia ha nelle proprie mani, rappresenta un’azione politica che conduce inevitabilmente all’autodistruzione.

E non è sufficiente promuovere il brand italiano in luoghi simbolo dell’economia florida, come il Qatar o la Cina. Ma occorre accompagnare quelle presenze fisiche e di rapporti internazionali con tre riforme vere e rapide senza delle quali il tutto resterà lettera morta. La digitalizzazione della macchina giudiziaria, con un abbattimento significativo dei tempi tecnici; una programmazione netta di grandi opere utili e non a fini elettorali; la ristrutturazione “programmatica” dell’Enit dopo i disastri della precedenza ministra, come autentico veicolo che attiri denari dagli altri continenti.

Quando si invoca una rete di competenze, scelte e progetti non si vuole semplicemente portarsi al passo coi tempi anche dal punto di vita del glossario comunicativo. Ma stimolare le varie componenti di un puzzle ancora scomposto a cercare la sintesi, a individuare obiettivi comuni. Da raggiungere con quello che nel calcio di ieri (meglio dell’accozzaglia di schemi e mazzette di oggi) si chiamava spogliatoio. Ecco cosa manca all’Italia di oggi per dare un calcio alla crisi e provare a rimettersi in carreggiata.

Fonte: Formiche del 28/01/13
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giovedì 24 gennaio 2013

Invertiamo in fretta la tendenza. Per non finire come Atene


In Italia nel 2012 hanno chiuso i battenti mille imprese al giorno, secondo Unioncamere. Già da un anno dalle associazioni di consumatori ci avvisano che una fetta di italiani inizia a risparmiare sul carrello della spesa: meno carne e meno pesce, più cibo a basso costo. Il mercato dell’auto è inchiodato a numeri preoccupanti. Dopo Richard Ginori un altro nome storico italiano, come le cartiere Burgo, lascia il mercato e soprattutto lascia a casa centinaia di lavoratori. Sul versante Sulcis e Ilva nulla di nuovo, solo altra preoccupazione e poche certezze. Nel mezzo, il caso Mps, i suicidi da crisi nel nord est di cui in pochi si occupano, il popolo delle partite iva che ha “paura” di fatturare, la questione meridionale ma anche quella settentrionale con un’idea di federalismo da attualizzare e non da lasciare appassire nel dimenticatoio. Passando per i pensionati vessati da imu, tarsu e altri balzelli regionali. Ce n’è abbastanza per chiamare a raccolta tutti i partiti che si presentano alle elezioni e rivolgere loro due domande semplici semplici: come coniugare sobrietà delle spese interne alla ripresa industriale? Cosa fare in concreto per salvare eccellenze italiane, marchi artigianali che hanno fatto conoscere il made in Italy in tutti i continenti, i lavoratori con le loro famiglie, per tentare di non disperdere “quel” pil che è il vero tesoro del belpaese?

Il rischio è che non si sia ancora acceso un focus, preciso, nel merito di criticità e deficienze, che si stia perdendo del tempo prezioso per assembleare dossier il più possibile veritieri sui numeri della crisi italica, che si marci divisi e quindi drammaticamente fragili verso l’onda anomala della recessione. Che travolge tutto ciò che trova sulla propria strada e che soprattutto non bussa prima di entrare. La deriva greca non è uno slogan buono solo, forse, per aizzare qualche comizio o per ravvivare alcuni talk show televisivi: ma l’ombra che si staglia sull’Italia mettendo semplicemente a confronto numeri e tendenze della Grecia del 2009 con quelli italiani dell’anno appena concluso. E ragionare a bocce ferme, senza smarrirsi dietro responsabilità degli uni piuttosto che degli altri. Bensì fare fronte comune e fermare l’emorragia di risorse che l’Italia sta perdendo.

Dopo la messa in sicurezza dei conti pubblici è necessario andare oltre e dare fiato ai pilastri che incidono sul pil: la piccola e media impresa, la rete burocratica da snellire, il sistema giudiziario da rendere più fluido per non spaventare gli investitori stranieri che fuggono altrove, il Mediterraneo da utilizzare come risorsa e non come palla al piede. Certo, se poi qualcuno non si rende conto che anche l’industria militare italiana è un settore che fattura (i pochi) numeri incoraggianti…

Fonte: Formiche del 24/01/13
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mercoledì 23 gennaio 2013

Ma la trasparenza bancaria non è un optional


Non era certo necessaria la burrasca in Mps per ragionare a mente fredda e con un pizzico di franchezza sulle criticità esistenti nel sistema bancario italico. E non solo rapportato alla crisi mondiale o alla mancanza tour court di liquidità. Bensì mettendo nel mirino due obiettivi: l’accesso al credito e il paracadute per i correntisti, sempre più spesso “vittime” a loro insaputa di speculazioni. Al di là della vicenda che ha registrato il passo indietro del vertice dell’Abi, Mussari, occorre ragionare sul fatto che l’apnea in cui le piccole  medie imprese italiane si trovano è ben oltre i livelli di guardia. In assenza di un circuito virtuoso di sostegni a chi deve avviare un business, o a chi ha nel cassetto un’idea che può fruttare, il danno è doppio: quel singolo individuo perde la chanche di affermarsi per un merito oggettivo, il comparto produttivo-occupazionale che in virtù di quell’affare sarebbe potuto essere avviato va in stallo, e non da ultimo il sistema Paese soffre per una totale assenza di azione.Con le chirurgiche conseguenze sugli indici pil, sui numeri drammatici che l’Istat registra. 

Certo, i detrattori di valutazioni dinamiche di questo tipo sostengono che in una fase in cui risorse non ve ne sono e in cui le stesse banche sono impegnate in altre faccende (si legga alla voce prestiti per i paesi Pigs), non vi sarebbe né tempo né modo per ovviare alla malattia italiana. Ma è pur vero che una classe politica responsabile e che si professa, proprio in questi giorni, dedita al pragmatismo di cui i cittadini vanno matti, dovrebbe stilare un decalogo bancario. Ovvero un nuovo sistema di regole per evitare che si speculi con denaro dei correntisti, per favorire che quelli stessi correntisti non siano solo numeri ma anche individui in carne e ossa. A cui aprire i forzieri. Perché senza quella spinta privata, così come nel dopoguerra è accaduto, il Paese non imboccherà mai la strada della ripresa.

Fonte: Formiche del 23/01/13
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lunedì 21 gennaio 2013

Green economy: serve una sacra alleanza tra cittadini, imprese e stati

Come stringere una “sacra” alleanza tra cittadini, imprese e stati per abbattere i costi energetici, inquinare di meno e creare nuovi posti di lavoro? Innanzitutto con la consapevolezza che la green economy non è uno slogan buono, forse, solo per la campagna elettorale. Da promettere, o a cui inneggiare solo a parole. Bensì qualcosa di più. È l’avanguardia della convivenza moderna, l’occasione per il tessuto imprenditoriale di uscire dalle secche della crisi, lo strumento attraverso il quale si garantirebbe “la salute” alla natura in cui viviamo, educando tutti gli interpreti a produrre in modo diverso. Semplicemente perché non è più pensabile proseguire nella direzione attuale, con uno sfruttamento anomalo di risorse che, molto semplicemente, si sono esaurite. È sufficiente pensare che dal 2009 a oggi è stata distrutta una quantità di ricchezza enorme, che l’Asian Development Bank ha stimato in 50 mila miliardi di dollari, la peggiore contrazione del commercio internazionale dal 1945; crollo esponenziale di profitti e investimenti e il maggiore aumento della disoccupazione da decenni, ovvero 205 milioni di disoccupati nel 2010. In un momento in cui nessuna ricetta sembra praticabile sic ed simpliciter, è utile modificare le lenti con cui si osserva il settore industriale. E comprendere come sia giunto il momento di mettere in pratica quella rivoluzione green troppe volte promessa.

Proprio in questi giorni cinque milioni di fondi europei sono stati assegnati al consorzio Arca, l'incubatore d'impresa dell’Università di Palermo e di altri dodici partner istituzionali e scientifici in Italia, Grecia, Francia, Giordania, Egitto e Cipro. L’obiettivo primario è costruire e sperimentare impianti solari a concentrazione, i cosiddetti “poligenerativi”. Che siano in grado di erogare servizi energetici integrati a piccole utenze come edifici pubblici, condomini, residence e piccole e medie imprese. Un piccolo ma significativo esempio di come sia possibile investire concretamente nella green economy, con il doppio vantaggio di preservare l’ambiente da rischi enormi e ottenere uno strumento diverso per affrontare le tenaglie della crisi. Il settore energetico è il vero banco di prova di una politica  nuova e alta, che anticipi le criticità, che preveda con lungimiranza emergenze ed esigenze, che proponga con serietà e senza demagogia nuove soluzioni. Ridurre il consumo energetico utilizzando fonti alternative è possibile: secondo il rapporto pubblicato dalla Fondazione Consumo Sostenibile e da nove associazioni di consumatori, in occasione del convegno sulla Nuova Strategia Energetica Nazionale, presso l’Auditorium del GSE, lo spreco di energia oggi ammonta ancora al 50% dell’energia consumata. La bolletta energetica globale tocca la punta di 102 miliardi annui, di cui ben 47 miliardi sono quelli sprecati per il basso livello di efficienza energetica delle abitazioni, degli immobili pubblici e delle aziende.

Solo un esempio, a cui se ne potrebbero aggiungere di altri. Il pensiero corre alla tecnologia dei motori elettrici che fatica ad essere inserita in pianta stabile nella vita quotidiana dei cittadini; o a politiche di opere pubbliche completamente green, con ad esempio i nuovi edifici di regioni, province e comuni che di legge potrebbero essere progettati già ecosostenibili; o a un sistema di smaltimento di rifiuti che non produca “imbuti” a catena, come la discarica romana di Malagrotta o le periodiche crisi di rifiuti in Campania.

Lo ha detto egregiamente Giacomo Leopardi: “La politica tornerà a essere cosa viva e non morta, o questo mondo diverrà un serraglio di disperati”. Dove quella vita passa senza dubbio da scelte politiche non più procrastinabili e da accelerazioni decise, come appunto la green economy.

Fonte: Agenda del 21/01/13
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domenica 20 gennaio 2013

Elezioni 2013. Iconografia dei simboli elettorali (ammessi e non ammessi)

di: Monica Centanni, Francesco De Palo

“Un capo, una persona – ha scritto Albert Camus – significano un padrone e milioni di schiavi”. Il punto non è tanto che il Viminale abbia ammesso alle prossime elezioni politiche 169 simboli su 219 presentati. Significativo è che nei simboli che appariranno sulla scheda elettorale figurano tutti i nomi dei leader, fatta eccezione per il segretario del Pd Pierluigi Bersani.

L'intoccabile nome del leader-sovrano
Un fatto, preciso, da cui partire per ragionare sul risvolto estetico e ideologico dell’iconografia dei loghi dei partiti, vecchi e nuovi. La presenza, enfatica e pachidermica, insopportabile e anacronistica anche dal punto di vista grafico, del nome del leader in bell’evidenza nei simboli del Pdl, lista Monti, UdC, Futuro e libertà, ma anche nelle nuove formazioni di Grillo e Ingroia, è l’indizio della cattiva persistenza di un modus operandi introdotto nel panorama politico italiano da Silvio Berlusconi (ma anticipato dalle ‘Liste Pannella’ more americano). È la convinzione che il nome del leader carismatico sia l’incarnazione dei ‘valori’ di un movimento politico, che il nome del capo sia icona e figura che chiama gli elettori-sudditi a riconoscersi in uno; che, insomma, nel nome del leader, intorno al suo profilo, si possa costruire il programma politico di un partito. La delega al leader-sovrano è implicita, ma chiara: chi detiene anagraficamente il ‘nome simbolo’ può disporre  a proprio piacimento anche dell’emblema del partito. Nessuno stupore se ogni dibattito interno ai partiti che si presentano come carismatici, ogni impulso al rinnovamento interno e alle procedure di costruzione dei programmi e delle liste, sono di fatto neutralizzati in partenza.

Difetti e desideri dell'immaginario 
I politici italiani, sempre più sordi alle istanze di rinnovamento etico e politico, ma anche estetico dei cittadini, insistono inossidabili nei loro vizi ideologici e lessicali e nei tic delle loro asfittiche fantasie su cosa si deve fare, su cosa non si può non fare, per raccogliere voti di elettori considerati come soggetti passivi e subornabili, pronti a lasciarsi fascinare dal prestigio irresistibile del nome del capo e a delegare la loro passione politica alla figurina del reuccio di turno. Nessuna attenzione all’insorgenza di una domanda di rinnovamento profondo, civile e politico, che chiede con forza coraggio e potenza, idee e sensibilità, per immaginare uno scenario differente. Per sciogliere le calcificazioni che bloccano progetti e desideri, per attivare la pangea di energie che premono inespresse nei corpi e nelle menti degli uomini che aspirano alla vita activa, orgogliosi di dirsi cittadini.

Simboli alternativi, più seri dei veri
Fra i 219 simboli depositati alcuni avevano evidentemente la funzione di cautelare i partiti mediante la presentazione di diverse varianti dello stesso logo; molti altri si presentavano come velleitarie o goliardiche figurine di disturbo. Hanno però fatto rumore alcuni casi, più interessanti e meno scontati dei precedenti: alcuni simboli-civetta apparivano infatti configurati come gli 'originali', ma senza il nome del leader di riferimento. Si è trattato, esplicitamente, di uno stimolo critico rispetto alla triste facies iconografica proposta da quasi tutte le formazioni politiche italiane.

Sta di fatto che alcuni simboli 'alternativi' presentati per fini più o meno destabilizzanti, più o meno provocatoriamente intelligenti, ci insegnano che è stata sprecata un’altra occasione per ripensare l’iconografia partitica. E che un ripensamento di questo tipo è il presupposto simbolico necessario per una rivoluzione profonda dell’immaginario politico italiano.

Fonte: Manifesto di ottobre del 20/01/13
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sabato 19 gennaio 2013

Crisi greca, l’allarme dell’Fmi: un altro buco da dieci miliardi e lo spettro di nuovi tagli


Un’altra voragine da quasi dieci miliardi di euro nei conti ellenici, ha denunciato ieri un rappresentante della troika dei creditori internazionali di Atene (Ue, Bce, Fmi). Nella crisi greca, mai sopita, quindi, nonostante tre manovre miliardarie con relativi memorandum elaborati dalle menti di Fmi, Ue e Bce in pianta stabile nei ministeri ateniesi, è scoppiata una vera e propria bomba.

“Noi vediamo un buco nei conti” per gli obiettivi che deve raggiungere la Grecia e “gli europei devono riempirlo”. A parlare è stato Paul Thomsen, espressione del Fondo Monetario Internazionale a proposito del debito greco. Che ha definito “non sostenibile senza trasferimenti diretti nel budget greco da parte della Ue”. Per la prima volta un pezzo della famigerata troika riconosce in maniera ufficiale che il debito greco non è sostenibile senza interventi diretti “in un modo o nell’altro”. Scagliando un macigno contro l’integralismo di chi fino ad oggi ha sposato, sic et simpliciter, i tre piani lacrime e sangue imposti al Paese, senza ragionare sui numeri reali. Che alla fine della fiera non tornano, come più volte rimarcato negli ultimi mesi anche da queste colonne.

Secondo l’esperto del Fmi il buco ammonta a circa 9,5 miliardi di euro fino al biennio 2015-2016. Nell’occasione Thomsen ha ricordato che, solo un mese fa, l’intera eurozona si era detta pronta a fare tutto il possibile per riportare il debito ellenico all’obiettivo stabilito, ovvero al 110% del pil entro il 2022. In quell’occasione l’Fmi e vertici continentali si erano impegnati ufficialmente a riprendere i versamenti dei prestiti alla Grecia dopo l’empasse coincisa ad ottobre con una serie di eventi destabilizzanti: il voto del Parlamento greco con le numerose manifestazioni di piazza sfociate in scontri armati e con il pericolo rappresentato da un governo non stabile.

E ieri, come un fulmine a ciel sereno, ecco queste parole pesanti come macigni che si abbattono su un Paese già stremato da sacrifici e tagli che potrebbero rivelarsi inutili. Secondo i rilievi dell’Fmi infatti il debito ellenico resta ancora troppo elevato, quindi difficilmente sostenibile nonostante le differenti ristrutturazioni già effettuate. Ma non è tutto, dal momento che rischia seriamente di restare tale se non vi fossero interventi esterni a lungo termine da parte della governante continentale. “Prevediamo che il debito greco resterà troppo elevato senza un alleggerimento o dei trasferimenti a lungo termine da parte della Ue”, ha sottolineato Thomsen in un’intervista.

Tra l’altro nel suo ultimo report sulla situazione greca il Fmi evidenzia i tre rischi significativi per il Paese: crisi politica, il rischio di default e l’uscita dall’euro. Il primo nemico del fondo, dunque, sembra essere così come si legge nel rapporto il partito di opposizione del Syriza, troppo determinato a non accettare le estensioni del memorandum; in secondo luogo il ritardo del ritorno della fiducia in Grecia; infine le difficoltà del governo Samaras nel mettere in pratica le riforme di carattere economico così come previsto nel piano, si veda ad esempio alla voce erario greco, che nei primi dieci mesi del 2012 non ha incassato almeno dieci miliardi di euro, per l‘inefficienza dell’amministrazione fiscale sommata all’incapacità (o la furbizia) dei contribuenti nel non pagare le tasse.

Senza dimenticare gli scandali che quotidianamente “pesano” sui conti ellenici: dalla Lista Lagarde con un giro di evasione annua stimata in venti miliardi di euro alla mancata trasparenza bancaria, come dimostra l’arresto un mese fa del primo banchiere salvato dai denari europei, Lavrentis Laurentiadis, ex azionista di maggioranza del primo istituto di credito nazionalizzato, Proton Bank. Che, secondo le accuse, avrebbe finanziato attività illecite formando una banda criminale per riciclare denaro utilizzando gli interessi sui prestiti emessi dalla sua banca.

Il Fondo nel report aggiunge che al fine di evitare altri tagli a salari e pensioni il governo dovrà fare un “numero significativo di licenziamenti e ridurre drasticamente l’evasione fiscale”. Annunciando per il prossimo mese di agosto nuove misure da quattro miliardi di euro per il biennio 2015-2016, al fine di estendere le misure già esistenti, con nuovi interventi nel welfare. Che si traduce in pensioni e assegni sociali nuovamente in pericolo. Con una considerazione che ha le sembianze di una minaccia: qualora il prossimo report (previsto per giugno) fosse negativo circa il programma di privatizzazioni il governo dovrebbe “prendere in considerazione cambiamenti radicali nella governance”. Infine un altro richiamo al governo: i salari sono diminuiti molto più velocemente dei prezzi dei prodotti. Come dire che in questa partita non tutti hanno giocato per bene e nel proprio ruolo. Con l’unica certezza rappresentata dal fatto che il dossier ellenico è tutt’altro che archiviato.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 19/01/13
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Per una business community del Mesogeios


L’Italia non lo ha, forse, ancora ben compreso. Ma essere un molo naturale messo lì nel bel mezzo del Mediterraneo non è una seccatura, bensì un’occasione. Un unicum. E la contingenza di piazze in rivolta (siamo nel secondo anniversario della primavera araba tunisina), di cittadini che tornano all’humus della partecipazione e di mutazioni genetiche e sociali di un’intera area euro mediterranea, non può che portare ad una consapevolezza differente. Il nostro paese ha, molto semplicemente, la possibilità di far valere quella presenza in “trincea” dal momento che condivide le medesime sofferenze con gli altri paesi che lì si affacciano. I numeri dell’industria che non cresce, i suicidi da crisi del nord est che fanno il “paio” con quelli greci, l’occasione di fare squadra e progettare con lungimiranza sinergie e business incoraggianti.E se l’eurocrisi fosse l’occasione per immaginare nuovi scenari e soprattutto nuove frecce all’arco di un paese a volte troppo pigro e poco aperto a slanci e intuizioni? 

Un interessante contenitore, programmatico e prismatico, dedito a creare una vera e propria business community nel Mesogeios è l’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo, un’organizzazione regionale interstatale. Un vero e proprio osservatorio presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e con uno specifico statuto giuridico internazionale, presieduto da un italiano, il senatore del Pdl Francesco Maria Amoruso. Un forum dove i parlamenti della macro regione uniscono forze e intenzioni per obiettivi comuni. Come nella recente crisi mediorientale in cui la Pam (questo l’acronimo) ha contribuito al raggiungimento del cessate il fuoco, con pubblici riconoscimenti da parte del Presidente della Knesset, dell’Autorità palestinese e dello stesso segretario dell’Onu Ban Kii-Moon. O nell’intensificazione dei rapporti con i “vicini”. È il caso della Tunisia, dove è stata avviata una partnership nel settore energetico come sintesi tra realtà produttiva e finanziaria. 

Da quest’anno infatti, sotto l’egida proprio della Pam, partiranno investimenti da 2,5 miliardi di euro con la presenza in loco dell’italiana Terna. L’auspicio è che la comunanza di criticità ed esigenze possa finalmente diventare cemento ideale, per trasformare quel bacino geografico in una vera e propria macro regione a tutti gli effetti. Semplicemente perché è ciò che serve. E ritardarne ulteriormente l’attuazione potrebbe pregiudicarne la definitiva consacrazione.

Fonte: Formiche del 18/01/13
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venerdì 18 gennaio 2013

Lista Lagarde, Papacostantinou capro espiatorio. Atene “salva” gli ex premier

L’unico sorriso oggi ad Atene è della Borsa che ha aperto il rialzo dello 0,49 per cento. Perché il voto della notte scorsa in Parlamento, con scene di sputi fra deputati e urla isteriche, dopo una seduta fiume di sedici ore, scontenta tutti e individua un solo “capo espiatorio”, come titolano oggi quasi tutti i quotidiani locali, che non si sa con certezza se e quando sarà condannato.

Nella Grecia post memorandum che si impoverisce ogni giorno di più, con la gente comune che nelle strade ateniesi cerca il cibo nei cassonetti della spazzatura, dalla Camera ecco arrivare il sì alla commissione di inchiesta per il solo ex ministro delle Finanze socialista Giorgios Papacostantinou, accusato di aver celato la lista Lagarde degli evasori, oltre che di aver depennato quattro suoi parenti, tra cui il marito di una sua nipote, il noto commerciante di armi Roussios, “socio” di Akis Tsogatsopulos, l’ex braccio destro di Papandreou senior, arrestato lo scorso maggio per una maxi frode da 100 milioni di euro (e su cui hanno indagato i due pm che hanno scoperchiato il vaso di Pandora degli evasori ellenici).

“Salvi” invece l’altro ex ministro delle Finanze Evangelos Venizelos, attualmente leader del Pasok e vicepremier in pectore, e i due ex premier Papandreou e Papademos, sotto i cui esecutivi la lista è giunta ad Atene per corriere diplomatico inviato dall’allora ministro delle finanze francese Christine Lagarde. Ma che due i titolari delle finanze hanno ammesso in un’udienza pubblica in commissione reati finanziari della Camera, di non avere protocollato, suscitando l’indignazione della stampa, solo quella internazionale, fatta eccezione per il direttore del settimanale greco Hot Doc, Kostas Vaxevanis, il primo a pubblicare integralmente i duemila nomi della lista, dopo che la stessa era circolata nelle redazioni di alcuni quotidiani europei. E subito dopo arrestato e processato per direttissima (assolto in primo grado, ora in attesa dell’appello), con una mobilitazione mondiale su twitter anche di nomi di peso come la blogger cubana Yoani Sánchez.

Nello specifico 256 deputati hanno votato la proposta dei tre partiti di maggioranza che sostengono il governo (conservatori di Nea Dimokratia, socialisti del Paskok e democratici del Dimar) per incriminare il solo Papaconstantinou di falsificazione di documenti e cattiva condotta. La commissione parlamentare dovrebbe presentare le sue conclusioni entro il 25 febbraio 2013. Ma le opposizioni non ci stanno, perché considerano Papacostantinou appunto solo un capro espiatorio, dal momento che come molti alti funzionari dello Sdoe, il servizio nazionale crimini finanziari, hanno testimoniato ai due pm che indagano sul caso da un biennio, tutti sapevano.

Il riferimento è ai due ex primi ministri, il tecnico Lucas Papademos (uomo di Goldman Sachs) in carica dal novembre 2011 al maggio 2012 e soprattutto il socialista Giorgios Papandreou, la cui madre Margareth è tra l’altro è presente nella lista, con la cifra monstre di 500 milioni di euro. I suoi legali si sono subito affrettati a dire che quei denari non sarebbero espressi in euro ma in dracme, con il risultato di aprire una vera e propria voragine (anche di sollevazione popolare) in un pertugio che, è utile ricordare, è stato scardinato per la prima volta dai reportage dell’inchiestista Sokratis Giolias, 32enne freddato nel 2010 con dodici colpi da un fantomatico gruppo rivoluzionario. Ma che in molti, oggi, collegano alle prime voci proprio dell’esistenza della lista Lagarde. Inoltre il legame tra Papacostantinou e Papandreou è lontano nel tempo, non fosse altro perché entrambi insegnano alla prestigiosa università di Harvard, dove viene formata la stragrande maggioranza della classe dirigente greca, lo stesso premier conservatore Samaras era compagno di stanza di Papandreou.

Inoltre Evangelos Venizelos, prossimo vicepremier e capo del partito socialista del Pasok, ha negato più volte di sapere dove fosse la lista, dicendo di non averla fatta protocollare. E ha provocato la reazione sdegnata delle opposizioni quando, durante in suo intervento nella lunga notte della Voulì ellenica, ha ammesso di custodire nella propria abitazione privata i piani di difesa nazionale. Ma come, gli hanno fatto notare il leader del Syriza e quello di Alba dorata, come mai allora la Lista Lagarde è misteriosamente scomparsa? Non rientra anche quella fra i documenti sensibili di rilevanza nazionale?

Proprio il partito guidato dal giovane Alexis Tsipras aveva presentato una proposta di commissione di inchiesta per i soli ex ministri, mentre i Greci Indipendenti, in coppia con i neonazisti di Alba dorata, avrebbero voluto incriminare anche i due ex premier. Il leader Panos Kammenos, tra l’altro, nel suo concitato intervento in cui accusa l’ufficio protocolli della Camera di non avergli consentito di presentare la sua mozione nella serata di ieri (pare l’ufficio fosse chiuso già alle ore 21), ha citato i reportage del Ilfattoquotidiano.it proprio sulla composizione della Lista, in cui figura uno dei principali consulenti economici del premier Samaras, Stavros Papastravrou. Gli articoli sono stati acquisiti agli atti della Camera.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 18/01/13
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lunedì 14 gennaio 2013

Grecia, dietro gli attentati contro i partiti di governo l’ombra della Lista Lagarde?


Solo colpa di anarchici e antiautoritari? O dietro la nuova spirale di violenza in Grecia si nasconde anche disinformazione e (soprattutto) un preciso conflitto tra poteri? L’interrogativo è legittimo all’indomani di un fine settimana caratterizzato dal duplice attacco contro esponenti e sedi del governo. Nella notte di sabato il lancio di una molotov artigianale contro l’abitazione ateniese del fratello del portavoce dell’esecutivo, Simos Kedikoglou. Tra sabato e domenica altre bombe sono state scagliate contro diverse sedi nella capitale ellenica dei due partiti al governo, i conservatori di Nea Dimokratia e i socialisti del Pasok. Sino ai nove colpi di kalashnikov esplosi all’alba di oggi contro lo studio del premier Antonis Samaras, al terzo piano del palazzo che occupa la direzione nazionale del partito ad Atene. Per questo il quotidiano To Vima questa mattina titola “dalla pennetta alle bombe”, alludendo al fil rouge che esiste tra la chiavetta usb contenente i nomi della Lista Lagarde e le molotov che hanno monopolizzato il fine settimana ellenico.

Ma quale rapporto si snoda tra i due fatti di cronaca? Possibile che la tensione contro la politica sia da ritrovare esclusivamente nella disperazione di cittadini vessati da balzelli e memorandum? Il governo sottolinea che la spirale di violenza è frutto della delegittimazione dell’opposizione e di chi rema contro “l’europeizzazione” del Paese. Ma la storia greca insegna che nulla è come appare, e che quel paese è stato in svariate occasioni crocevia di interessi e dinamiche legate alla geopolitica.

Si pensi ad esempio alle brigate terroristiche del 17 novembre, il nucleo armato più misterioso del panorama europeo, sul cui esito molte domande sono ancora senza una risposta. Per 27 anni hanno agito in libertà senza nomi e volti fino alle condanne nel 2002 per il leader Alexandros Giotopoulos, professore di matematica. Avevano iniziato con l’ assassinio di Richard Welch, capo della missione Cia ad Atene, e terminato nel 2000 con l’attacco a Stephen Saunders, addetto militare dell’ambasciata britannica. Nel mezzo la lotta armata contro diplomatici statunitensi, britannici e turchi, le minacce di molti paesi di non partecipare alle Olimpiadi del 2004 se quegli adepti non fossero stati ‘annullati’. Ma anche numerosi indizi di una strumentalizzazione di cui potrebbero essere stati vittime e tanti interrogativi circa un’impunità pressoché totale per tre decenni. O si pensi all’omicidio del giovane giornalista Sokratis Giolias, il primo forse ad aver avuto sentore della portata della Lista Lagarde: fu ucciso il 19 luglio 2010 colpito da quindici colpi davanti alla sua abitazione in Ilioupoli, vicino Atene. Le armi usate erano legate a precedenti attacchi da parte della Setta dei rivoluzionari, un gruppo di terroristi che il giorno dopo fece perdere le proprie tracce e di cui mai più si è parlato.

Oggi alcuni commentatori vorrebbero unire il disagio sociale incarnato dal leader dell’opposizione Alexis Tsipras alla ripresa della contesa armata per le strade di Atene, come lascia trapelare anche il deputato del Syriza Manolis Glenzos, eroe della resistenza greca (issò sul Partenone la bandiera ellenica ammainando quella tedesca). Ma altri analisti si spingono a ragionare sul fatto che il cambiamento delle circostanze, ovvero l’eliminazione delle principali minacce alla moneta unica rappresentate dal rischio default greco e il salvataggio de facto da parte della troika, sia stato controbilanciato dalla Lista Lagarde, deflagrata contro l’intera classe dirigente ellenica (ancora incapace di offrire ai cittadini una risposta credibile), vero elemento di disordine interno. Si pensi che l’ex segretario dello Sdoe (il dipartimento crimini finanziari), John Kapeleris, confutando le accuse fatte dal suo ministro, il signor Papaconstantinou, ammette oggi di non aver “mai visto la lista Lagarde e non ho mai ricevuto il mandato per un controllo approfondito”. Una testimonianza che, se confermata, inchioderebbe entrambi gli ex ministri dell’Economia. L’argomento sarà senza dubbio anche al centro dell’incontro berlinese tra Tsipras e il ministro delle Finanze Schaeuble, dopo che il giovane leader del Syriza in un comizio nella serata di ieri al teatro Volksbühne di Berlino è stato incoronato “la diva europea della sinistra continentale”.

In quell’occasione i co-presidenti del partito tedesco Die Linke, Kipingk e Rixingker Byrd, hanno consegnato proprio a Tsipras un assegno da 40mila euro per i bambini ricoverati negli ospedali greci. Ma sono state le sue dichiarazioni a provocare la reazione della maggioranza di governo ad Atene. Secondo Tsipras la Grecia è stata la “prima cavia della barbarie neoliberista dell’eurozona”. Anche se una volta resa pubblica la notizia dell’attentato contro la sede di Nea Dimokratia, è stato uno dei primi a telefonare al premier Samaras. In questa storia di depistaggi, bombe ed evasori milionari, forse un po’di chiarezza la si ritrova nelle parole della coriacea leader comunista Alexa Papariga, che commentando l’attentato dice: “Il sistema è marcio e il marcio penetra in ogni cosa”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 14/01/13
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Il regime dei colonnelli

Chissà se qualcuno scriverà mai la parola fine su questo vero e proprio teatro dell’assurdo che sta andando in scena in Grecia. Dove, sebbene salari e pensioni siano stati "tagliati" per quattro volte in due anni da un memorandum suicida della troika, la corsa agli armamenti non si ferma. Anzi, raddoppia. Dal governo conservatore di Nea Dimokratia ma retto da altre due “gambe”anomale con socialisti del Pasok e sinistra democratica del Dimar, è stato dato l'ok all'ordine da dieci miliardi di euro per il 2013, tra carri armati, aerei e fregate. Con il radicale Alexis Tsipras rimasto l’unico ad alzare il dito per eccepire su scelte drammatiche e a fare opposizione seria in un parlamento assoggettato ai desiderata franco-tedeschi (si veda alla voce Siemens). Senza dimenticare uno dei maggiori produttori greci di armi, Russios, che casualmente è il parente dell’ex ministro delle Finanze Papacostantinou finito e poi depennato dall’illustre politico socialista nella lista Lagarde, l’elenco dei duemila evasori che hanno portato fuori dall’Ellade svariati miliardi di euro, direzione Svizzera. E che è stata pubblicata per la prima volta dall’inchiestista Kostas Vaxevanis, per questo arrestato e processato per direttissima. 

Nella Grecia dei “non diritti” dunque ecco il nuovo programma per la difesa, che entro sette anni rimodernerà l’intera flotta dell’Egeo con numeri da brivido. Acquisto di elicotteri da trasporto per 805 milioni di euro; 291 cingolati per 1,7 miliardi; carri anfibi per 100 milioni; quaranta nuovi aeromobili  per 2,46 miliardi; velivoli da addestramento operativo per 900 milioni; quindici elicotteri di salvataggio SAR da 230 milioni; quattro nuove fregate con "opzione" per altre due da 2,2 miliardi; aviazione navale per cooperazione da 250 milioni; modernizzazione per le fregate da 200 milioni; acquisizione di cinque unità antimine da 250 milioni. A questa lista della spesa il governo ha pensato bene di “aggiungere” in cima altre due priorità. Sono due programmi di difesa: il primo prevede lo sviluppo di un sistema di comunicazione per le Forze Armate da 161 milioni di euro, il secondo riguarda la partecipazione al consorzio BOC-HELIOS da 120 milioni. Che in totale fanno dieci miliardi di euro.

Con sullo sfondo un paese intero allo stremo, dopo i tragici tagli a stipendi, pensioni, indennità, welfare e sanità; dopo l'aumento della disoccupazione giunta al record del 26% (58% tra i giovani trentenni); dopo lo stato di miseria e degrado causate da un’austerità assurda che ha azzerato diritti e partecipazione. Nella Grecia che affronta le conseguenze quotidiane del memorandum si registrano storie drammatiche di degrado, emarginazione, povertà, con le sacche di razzismo e demagogia di chi, forte del 7% di voti ottenuti alle elezioni dello scorso maggio, si fa beffa dei diritti, e spacca la faccia agli immigrati, organizza le ronde per le strade della capitale ellenica, propone un associazione di medici “con” frontiere. Con la politica che si dice democratica e non violente che non batte ciglio.Tra l’altro il Fondo Monetario Internazionale è stato al centro di aspre critiche nel mese di ottobre, quando alla vigilia dell’ultimo eurogruppo che ha staccato l’assegno di 50 miliardi di euro per Atene (l’80% destinato alle ricapitalizzazioni bancarie, e solo le briciole a comuni e regioni) ha ammesso che i piani di austerità proposti  si sono rivelati più costosi del previsto, creando danni economici tre volte maggiori di uno status quo prodotto dalla stessa classe dirigente che oggi si proclama salvatore dell’Ellade. Nel report redatto dal capo economista dell’Fmi Olivier Blanchard e dal suo partner Daniel Lee ha si legge che l'impatto sociale dei memorandum sembra svanire allorquando l'economia inizia a recuperare. Scatenando di fatto una tempesta di critiche per le drastiche riduzioni nel bilancio di un’economia già in stato comatoso, con il numero dei senzatetto ad Atene raddoppiato, con un quarto della popolazione greca che vive con 700 euro mensili, con l’evasione record dei Paperoni dell’Acropoli giunta a 28 miliardi, con bambini che si accasciano sui banchi di scuola per la fame, con la ricomparsa di malattie “datate” come la malaria, con il taglio a ospedali e ambulatori che innescano una reazione a catena da macelleria sociale, con i malati di aids che non trovano più i farmaci salva viva. Con un sistema sociale che crolla sotto i colpo di una politica irresponsabile e che prosegue nello spreco di denaro pubblico.

Ha scritto Richard Bach che “è giusto che un gabbiano voli essendo nato per la libertà; è suo dovere lasciar perdere e scavalcare tutto ciò che intralcia, che si oppone alla sua libertà, vuoi superstizioni, antiche abitudini, qualsiasi altra forma di schiavitù”. Ma se la schiavitù è imposta da chi, invece, è preposto alle libertà e ai diritti per i cittadini allora significa che il corto circuito è già avvenuto e il fuoco sta avviluppando tutto ciò che resta di costruzioni sociali e idee di convivenza. Rimane, però, un ultimo interrogativo dopo aver letto di quelle cifre record che Atene spenderà per armamenti presumibilmente (anzi, quasi certamente) da aziende tedesche: questa volta la troika farà rapporto?


Fonte: Gli Altri settimanale dell'11/01/13
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domenica 13 gennaio 2013

Grecia, nella lista Lagarde c’è anche un consulente del premier Samaras


Meno di una settimana fa, in occasione della sua seconda visita in sei mesi a Berlino, il premier greco Antonis Samaras aveva parlato da legalista puro. E in riferimento ai “grandi sforzi collegati con grandi sacrifici” per un “bicchiere mezzo pieno”, aveva assicurato che la Grecia sta riconquistando credibilità anche grazie ad una nuova lotta, annunciando che “la vecchia impunità sta per finire”, e rallegrandosi per la nascita di una sorta di Mani Pulite ellenica. Eppure il primo ministro conservatore, che prima di essere eletto si era più volte scagliato contro il primo memorandum della troika avallato dal tecnico Papademos e che in campagna elettorale aveva promesso che i tagli a salari e pensioni di inizio 2012 sarebbero stati gli ultimi, continua a farsi affiancare da un uomo ambiguo, un professionista che negli ultimi tempi è uscito dall’ombra (e non per sua volontà).

Si chiama Stavros Papastavrou e appare in tutti i dossier greci “che scottano”: dalla lista Lagarde allo scandalo Siemens, passando per l’affare Named. Sollevando dubbi su quale sia il ruolo realmente svolto negli ultimi anni e su una serie di eventi concatenati a quei fatti rimasti ancora senza un perché. Qualche tempo fa il quotidiano Parapolitika dedicò al giovane avvocato “al galoppo verso la bolla” una lunga e accurata descrizione. Laureato ad Harvard, l’università americana dove insegnano l’ex premier Papandreou e l’ex ministro dell’Economia Papacostantinou, (quest’ultimo vicino all’incriminazione per aver depennato dalla lista Lagarde tre suoi parenti). È stato presidente di varie organizzazioni vicine al Partito popolare europeo, prima di diventare un avvocato (patrocinante in cassazione), a cui l’ex numero uno del partito di Nea Dimokratia, Kostas Karamanlis, nel 2007 delegò la gestione della Segreteria delle Relazioni Internazionali e verso l’Ue oltre a dirigere anche l’istituto di cultura proprio intitolato a suo zio, Kostantinos Karamanlis, già primo ministro.

Viene considerato l’uomo delle missioni speciali. Secondo alcune ricostruzioni, avrebbe investito in titoli greci milioni di marchi dal fondo della Gioventù del Partito popolare europeo, attraverso cui avrebbe poi ottenuto alcuni fondi neri riconducibili a leader politici europei. Come ad esempio quello dei giovani del Ppe, che è sempre stato un segreto di Pulcinella, quanto a reticenza di informazioni, anche se una delle poche notizie “in chiaro” è proprio il coinvolgimento di Papastavrou nel caso. Però l’ex primo ministro Karamanlis mantiene le distanze dal distinto avvocato, forse proprio per episodi del passato abbastanza ingombranti, come la svalutazione della dracma nel 1998, quando ci fu un rapido spostamento di denaro in Svizzera. Quando Karamanlis aprì le procedure per la successione nel partito, Papastavrou si trovò nel campo di Dora Bakoyannis, ex ministro degli Esteri e avversaria interna dell’attuale premier Samaras. Ma ciò non ha mai rappresentato un deterrente per la sua carriera, anzi, il signor Papastavrou ha sempre dimostrato di conoscere a fondo l’arte del riposizionamento. Con l’avvicinarsi del nuovo leader, eletto primo ministro lo scorso giugno, ecco che il super consulente con borsa di studio ad Harvard acquisisce molta fiducia, anche più di quella che ci si aspetterebbe. 

Malgrado la recente pubblicità negativa sul suo coinvolgimento nella lista Lagarde, Papastavrou sembra essere intoccabile oltre che sempre in secondo piano, anche nelle fotografie ufficiali. Pare che abbia l’abitudine di essere ai margini della scena, tranne per il fatto che proprio il suo nome ora è spuntato fuori dall’elenco degli evasori che sta facendo tremare il Paese intero. La domanda è: può il premier da un lato predicare la lotta alla corruzione a un Paese stremato dalla troika e dall’altro continuare a tenere accanto una figura così invischiata in questioni di evasione fiscale? A compromettere la sua posizione ci ha pensato anche l’imprenditore Sabby Mionis, nato in Grecia, ma che dal 2006 vive ed opera con sede a Tel Aviv. Ha dichiarato che la signora Maria Panteli, che appare anche nella lista pubblicata dal giornalista Kostas Vaxevanis sul settimanale Hotc Doc, assieme a Papastavrou, erano i gestori di fondi comuni di investimento della banca svizzera HSBC presenti in quell’elenco. Ma il nome di Papastavrou è ricomparso anche in riferimento alle sconvolgente cifra di 500 milioni di euro attribuiti dalla Lista alla signora Margareth Papandreou (madre dell’ex premier Iorgos).

Le informazioni sono contenute nel file che è stato depositato finalmente agli atti del Parlamento greco, (dopo che i due ex ministri delle Finanze, Papacostantinou e Venizelos, avevano detto di averlo smarrito), secondo il quale il nome dell’avvocato Stavros Papastavrou appare nella lista come pubblicata effettivamente da Hot Doc. E circa il coinvolgimento pubblico di Margareth Papandreou le dichiarazioni dei funzionari della criminalità finanziaria lasciano aperta la possibilità che il signor Mionis e il suo partner, appunto il signor Papastavrou, abbiano agito come anello di congiunzione per quei 500 milioni. Inoltre un ex dipendente di quella banca svizzera riferì che i nei fondi venivano “ripuliti” soldi sporchi da parte di politici e uomini d’affari attraverso le isole Cayman: da lì partì la prima minaccia a Julian Assange affinché non pubblicasse l’elenco.

La domanda è perché oggi il premier Samaras non si esprima sui capi di accusa verso uno dei suoi principali consiglieri economici, perché addirittura un ministro di primissimo piano del governo, Kostis Hatzidakis, si intesti una battaglia personale per difendere a spada tratta il signor Papastavrou, scagliandosi anche contro la stampa internazionale. E il tutto mentre lo stesso Samaras insiste nel dire che la Grecia vede la luce in fondo al tunnel della crisi e il Parlamento approva con 161 sì (su 300 deputati) una nuova sventagliata di tasse, ufficialmente contro armatori e possessori di natanti, ma al cui interno si celano nuovi balzelli anche per liberi professionisti e commercianti.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 13/01/13
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Ma la “polveriera” Grecia potrebbe ancora esplodere…

Chi si è illuso che tagli lacrime e sangue, abbinati all’invasività della troika potessero, tout court, sanare un buco strutturale come quello esistente in Grecia, dovrà ricredersi. Dal momento che i fondamenti di questa krisis non sono solo di natura economico/finanziaria, ma soprattutto sociale e politica.  Nelle ultime ventiquattr’ore ore in Grecia sono accaduti alcuni fatti: il Parlamento ha approvato, con una maggioranza risicata (161 su 300), la “coda” del memorandum della troika, con nuove tasse (2,3 miliardi di incassi in un biennio) per liberi professionisti e commercianti; le sedi ateniesi dei partiti di governo di Nea Dimokratia e Pasok (conservatori e socialisti) sono state assalite da lanci di molotov; in alcune scuole elementari teppisti hanno rubato olio combustibile per i termosifoni, dal momento che, complice i prezzi del petrolio alle stelle, molti sono gli appartamenti del paese che tornano alla legna (azzerati i boschi nella periferia di Atene) o rinunciano del tutto al caldo; dalla lista Lagarde, l’elenco dei duemila evasori che hanno portato svariati miliardi di euro nella svizzera HSBC, spunta il nome del consigliere del premier Samaras, Stavros Papastavros, dopo le nipoti dell’ex ministro dell’economia Giorgios Papacostantinou, che ora rischia l’incriminazione; nonostante lo Stato possieda più di 75mila immobili di alto valore, spende decine di milioni di euro per affittarne altri da destinare a residenze, ministeri, uffici, stazioni di polizia, alla cifra record di 82 milioni di euro all’anno; un terzo della popolazione vive con 700 euro al mese; l’economia nazionale si contrae a un tasso annuale del 6,9%; per il riacquisto delle obbligazioni il governo ha affidato una consulenza da 11 milioni di euro ad alcuni manager di Deutsche Bank e Morgan Stanley.

L’agorà greca, oggi più di ieri, è un centro di focolai di sofferenza, di discrepanze politiche, di errori commessi da tecnici e specialisti, di schizofrenia assoluta che non può essere affrontata con le braccia incrociate o con altra tensione. E lo dimostra la quotidianità fatta di imprese che chiudono, di suicidi da crisi taciuti dai media, e di scandali mai sopiti di cui è imbevuta la classe dirigente. E a nulla serve condire visite istituzionali e vertici bilaterali con la sensazione, governativa, di vedere la luce in fondo al tunnel. Quella fiammella che in molti scorgono, più che la fine di un incubo, potrebbe diventare l’inizio di una nuova rivolta. Dove il disagio è multilivello e, cosa ben più grave, non è riconosciuto da chi, forse, avrebbe dovuto ascoltarlo e sanarlo in tempo utile.

Fonte: Formiche del 12/01/13
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giovedì 10 gennaio 2013

La tragedia di Depardieu? Autogol a porta vuota…


Gérard Depardieu? «È come la maggior parte degli esseri umani, incapace di essere soddisfatto da una sola vita, tenta drammaticamente di viverle tutte, reali e virtuali. Depardieu è dunque il nome che si dà alla tragedia umana, incapace di scappare alle implicazioni carnali». Sono le parole con cui Jacques Attali, economista e banchiere, presidente dell’omonima Commissione voluta dal Nicolas Sarkozy nel 2007, commenta sul Sole 24 Ore la scelta dell’attore francese di prendere la cittadinanza russa.

Ma, forse nella foga di difendere l’amico («da 25 anni e lo resterà sempre, qualsiasi cosa dica»), manca il punto esatto della questione. Premesso che la fuga dalle implicazioni carnali è stata più lenta del previsto, qui non è in discussione solo la libertà di un cittadino di andare altrove o di preservare il proprio reddito, o il sostenere (a detta di alcuni anacronisticamente) il rispetto delle regole, quanto la sovversione degli ordini che sono in cima a una comunità di individui.

L’attore in questo caso assomiglia a quei bambini capricciosi che, in barba alla decisione dell’arbitro o per il semplice disaccordo con gli altri bambini, lasciano la partita di pallone portandosi a casa proprio la palla. Quell’ “io me ne vado” è peggio di un autogol a porta vuota, semplicemente perché si calpesta l’humus comune di una società. Proviamo un attimo a immaginare cosa accadrebbe in un qualsiasi altro Paese se dieci o più milionari decidessero di cambiare “patria” per una mera ragione fiscale. E immediatamente dopo venissero seguiti da altri meno illustri concittadini, non milionari quanto i primi, ma pur sempre un numero consistente, tale da far “preoccupare” banche e imprese. Troppo comodo fare le valige e dire di sì a chi dei diritti e delle leggi si fa un baffo.

Ma tentando di andare oltre il cliché di regole e codici, c’è un’altra grande questione sottaciuta: l’orgoglio non retorico di aver mietuto successi proprio lì, in quel luogo da cui si fugge; la consapevolezza, che volente o nolente tornerà nella mente dell’attore, di aver tradito precisi doveri; quell’essere così tanto Marchese del Grillo, dove “io sono Marchese” e gli altri no; quel senso di scherno che si veicola senza poi troppi complimenti al resto del mondo o dei connazionali. In una sola parola: il rispetto che si deve a numerosi soggetti. E nella sua arringa difensiva Attali aggiunge che «Gérard è anche altre cose. Lui è quello che tutti vorrebbero essere: multiplo, inafferrabile, ostile alle gerarchie, il Jean Valjean dei Miserabili di Hugo».

Ha scritto alcuni anni fa il fondatore di Le Monde, Liubert Beuve Mèry che «nella nostra epoca non ci si può accontentare solo di osservare e descrivere i fatti». Ma va fatto un passo in più, con rispetto ma anche con decisione. Dare un nome a cose e atteggiamenti. E non giustificarli sull’altare di vecchie logiche, verrebbe da dire, in salsa italica. Dove non si capisce più chi siano i ladri e chi le guardie.

Fonte: Il Fondo del 9/01/13
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martedì 8 gennaio 2013

Ma il cemento di una comunità passa da più diritti

Ha scritto Camillo Benso conte di Cavour che “lo spettacolo di tutti i prodotti dell’umana industria, messi a confronto, non può che far sentire sempre di più il bisogno del governo civile, funzionante secondo i bisogni economici univoci e non contraddittori di ogni contrada e lingua, e rafforzare i sentimenti di nazionalità in Europa”. Come dire che imprescindibile punto di raccordo di tutte le necessità è il fulcro rappresentato dal governo, dalla classe dirigente che amministra e risponde alle istanze, ai bisogni: in una sola parola, ai diritti. E invece sembra quasi che una fetta consistente di esigenze, diversificate e quindi altamente complesse, del Paese vengano riposte in secondo piano. In quanto fastidiose, o forse perché comportano analisi approfondite fatte con numeri e dati alla mano, e soprattutto non possono essere risolte con ricette improvvisate in comizi o talk show televisivi e basta.

Scivoloso e pericoloso aprire dunque un capitolo dei diritti in questa campagna elettorale e con all’interno tutti i sottocapitoli: dai diritti dei lavoratori a prestare la propria opera senza ammalarsi al diritto di fare impresa senza essere sommersi di tasse per far ripartire l’economia; da quello dei cervelli nostrani di non essere costretti alla fuga a quello di chi sceglie di restare in loco ma subisce la mannaia dei baroni; da quello delle nuove tipologie di unioni a quello di chi sceglie la famiglia nel matrimonio; da quello di chi ha idee per innovare ma si scontra con la burocrazia pachidermica a quello dei cittadini di non vedere i rimborsi elettorali utilizzati per lavatrici o lauree “balcaniche”; da quello di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento al diritto di fare le domande a candidati sovente troppo allergici ad inchieste e controverifiche.

Entrare nel merito dei diritti, acquisiti, costituzionalmente garantiti e punto di partenza di nuove convivenze, dovrebbe essere una priorità di intellighenzie e classe dirigente. E non un passaggio secondario a cui dedicare semplici slogan o sbrigativi cinguettii. Ma servirà farlo da subito, nella consapevolezza che non saranno certo una nuotata nello Stretto di Messina o la messinscena di pancia antitedesca a offrire risposte a quesiti specifici e globali. E a indicare nuovi percorsi da seguire per deficienze nate, anche (o soprattutto), da una certa vacatio della politica.

Fonte: Formiche del 8/01/13
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Grecia, memorandum lacrime e sangue? Dal governo consulenze per 12 milioni


Nonostante il memorandum lacrime e sangue della Troika che sta distruggendo il ceto medio e le imprese greche in cambio del denaro per evitare il default , il governo di Atene spende ben 11,7 milioni di euro in consulenze. E lo fa alla voce “Consigli per riacquistare obbligazioni”, dove inserisce una parcella salatissima per remunerare Deutsche Bank e Morgan Stanley. Ad ammetterlo è, in una seduta ufficiale del Parlamento, addirittura il viceministro delle Finanze Christos Staikouras che, rispondendo a un’interrogazione del deputato di Alba dorata Alexopoulos Xrysovalantis, dice di aver assegnato la consulenza ad alcuni manager. Aggiunge che “il costo totale di fornitura di questi servizi non sarà superiore a 11.700.000 euro, oltre ad altre spese accessorie, che saranno pagati al termine del riacquisto, mentre in caso di mancato completamento del riacquisto sarà versato un indennizzo pari a 700mila euro per coprire i costi legali”. Il fortunato studio legale è “Cleary, Gottlieb, Steen e Hamilton LLP” e percepirà mensilmente 500mila euro, proseguendo sulla scia che vuole gli esecutivi ellenici degli ultimi due lustri particolarmente generosi con consulenti internazionali, pagati con cifre astronomiche ma, stando ai risultati, con discutibili motivazioni e soprattutto con drammatiche conseguenze. 
Un dramma nel dramma che si somma alle difficoltà del Paese intero nel far fronte alle misure che sono entrate in vigore dello scorso primo gennaio. La Grecia barcolla pericolosamente verso una bancarotta che non è ancora scongiurata, con nuove imposte non convenzionali pensate dal governo, con un giovane su due disoccupato, con l’economia che diminuisce a un tasso annuale del 6,9%, con i nuovi poveri che sempre più spesso cercano cibo nella spazzatura e con un partito nazista, Alba dorata, che si nutre di questa indignazione raddoppiando i suoi consensi.

Un panorama che, come osserva sul New York Times Kostas Vaxevanis, l’inchiestista arrestato per aver pubblicato per primo la Lista Lagarde, è causato da “decine di uomini d’affari che vivono fuori dello Stato, che prendono lavoro dallo Stato greco, di solito a prezzi più elevati rispetto al reale, e corrompono i politici per avere successo, garantendosi anche il silenzio, riuscendo anche ad acquistare una squadra di calcio, ad avere il sostegno popolare, e nascondendo il crimine dietro la protezione popolare, proprio come ha fatto Escobar in Colombia e Arkan in Serbia”.

Intanto la maggioranza che sostiene il governo di grande coalizione formato da conservatori di Nea Dimokratia, socialisti del Pasok e democratici del Dimar, perde due pezzi: Odisseas Voudouris e Paris Mouzinà, due deputati del partito di Sinistra Democratica sono stati messi alla porta dal leader Fotis Kouvellis in quanto si erano detti favorevoli a mettere sotto inchiesta anche Evangelos Venizelos, successore di Giorgos Papaconstantinou al ministero delle Finanze nel governo di Lucas Papademos e attuale leader del partito socialista Pasok,(mentre invece il governo di centrodestra vorrebbe processare il solo Papacostantinou), nell’ambito dello scandalo della lista Lagarde, l’elenco degli illustri evasori ellenici. Che ha visto proprio i due ex ministri accusati di aver tentato di insabbiare la lista stessa che è stata poi rispedita una seconda volta da Parigi ad Atene. Un intrigo che si sta sviluppando con precisi contorni giudiziari sfociati in uno scandalo di portata internazionale, perché proprio Papacostantinou avrebbe rimosso i nomi di tre suoi parenti presenti con 1,2 miliardi di euro, tra cui il marito di una sua nipote, il noto commerciante di armi Andrea Rossonis.

Al momento dopo l’espulsione la maggioranza che sostiene il premier Antonis Samaras può contare solo su 164 deputati su 300, il minimo è di 151. E la notizia arriva nel giorno di una probabile bomba mediatica, (non ancora confermata) secondo cui sarebbero scomparsi i file proprio di Rossonis (marito della nipote dell’ex ministro), il cui nome era stato depennato da Papacostantinou.

Fonte: Il Fatto Quotidiano dell'8/01/13
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lunedì 7 gennaio 2013

Lo sviluppo industriale passi da una Silicon Valley mediterranea

La Turchia ci ha pensato già dallo scorso settembre (con un investimento da trenta milioni di euro nell’ex aeroporto di Istanbul) e chissà se l’Italia riuscirà a non perdere un altro treno significativo. Cosa impedisce al Paese biancorossoeverde di strutturare una vera e propria Silicon Valley mediterranea? Con il triplo vantaggio di sfruttare competenze e cervelli di una vera e propria eccellenza nostrana; stimolare un comparto produttivo da esportare anche al di fuori della regione euro mediterranea; godere di ricadute reali sul territorio per la qualità di prodotto ottenuto e di occasioni create. Si prenda il comparto delle nanotecnologie, un fattore di crescita per l’economia e di benessere per la popolazione oltre che un’eccellenza italiana, come conferma Christos Tokamanis, capo della Unità per le nanotecnologie presso la Commissione Europea, perché “affronta le principali sfide della salute, dell’energia e del mondo connesso”. Il pensiero corre alla nanomedicina destinata a cure personalizzate e non invasive; o ai nano-sensori che “viaggiano” assieme agli individui, come le membrane nanostrutturate per desalinizzare l’acqua. L’argomento è stato al centro di un focus tematico svoltosi lo scorso novembre a Venezia dal titolo “La società della nanoscienza” in cui è stata dimostrata la posizione di forza che la comunità italiana delle nanotecnologie ha oggi nel panorama continentale. E senza dimenticare il ruolo chiave che le nanotecnologie giocano in settori prioritari e multilivello come i campi diversificati della salute, dell’energia, dell’ambiente, dell’elettronica e dei settori tipici come il Made in Italy e i Beni Culturali. La nuova frontiera dunque potrebbe essere un sistema scientifico che fecondi uno “sviluppo responsabile”, ovvero un elemento strategico ed innovativo della Ricerca e Innovazione delle nuove tecnologie come appunto sono le nanotecnologie.

Questo è stato l’obiettivo de “Il futuro della scienza”, un ciclo di conferenze annuali internazionali organizzate congiuntamente dalla Fondazione Umberto Veronesi, Fondazione Silvio Tronchetti Provera e la Fondazione Giorgio Cini. L’obiettivo è analizzare l'importanza dello sviluppo scientifico come strumento per migliorare la qualità della vita, oltre che per disegnare nuovi scenari per la scienza nella società del terzo millennio. Ragionare in maniera costruttiva di nanoscienze significa immaginare le diverse applicazioni in un'ampia gamma di settori industriali, progettare con lungimiranza  le grandi sfide sociali come la sostenibilità e la salute, stimolando un progresso costante e responsabile nei  nuovi materiali, nelle tecnologie dell'informazione, nella medicina e nella biotecnologia. L’occasione del simposio veneziano, dunque, apre una breccia nel settore in cui la politica con la P maiuscola dovrebbe fiondarsi senza tentennamenti. Nella convinzione che non è pensabile uno sviluppo industriale che sia sordo alle peculiarità dei cervelli del territorio, costretti alla fuga oltreoceano da un sistema irriconoscente e poco propenso al cambiamento.

Qualche tempo fa in verità ci hanno pensato tre ragazzi milanesi che hanno allestito il progetto World Digital Map, con il lancio on line di ottocento aziende che compaiono sulle cartine del pianeta e la gran parte concentrate in Italia. Un atlante digitale con più di centoventi offerte di impiego nel nostro Paese che ha già attirato non pochi interessi, quanto a utilità e originalità dell’iniziativa. Ma per far sì che non resti un episodio (pur lodevole) isolato, occorre che muti la consapevolezza della classe dirigente. E scorgere più di un proposito, in questo senso, nei programmi elettorali che condurranno alle urne il prossimo febbraio non sarebbe affatto una cattiva idea.

Fonte: Agenda del 07/01/13
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La giustizia che bussa alla porta della campagna elettorale

Giustizia è igiene, diceva Enzo Tortora, è l’aria che respiriamo. Per questo la riforma della giustizia è di basilare importanza. Anche se, come più volte sostenuto dalla compagna del giornalista, Francesca Scopellitti,  “è ferma al palo per colpa di una classe politica troppo distratta o forse troppo complice”. Come riprendere quella battaglia “non contro la giustizia, ma per la giustizia”? In primis sfruttando i sessanta giorni di campagna elettorale per prendere impegni seri, nella consapevolezza che il Parlamento italiano dovrebbe evolversi: in quanto popolato da una parte da troppi amici della magistratura, dall’altra da troppi nemici. Di conseguenza la mancanza cronica di obiettività e di una serenità di giudizio ha rappresentato fino ad oggi un chiaro freno alle riforme necessarie. Punto di partenza potrebbe essere ragionare sulla separazione delle carriere, sulla ragionevole durata dei processi, sulla cancellazione di leggi ad personam, sulla digitalizzazione dell’intero sistema, sugli strumenti pratici da non “tagliare” a procure, tribunali e pm. Ma soprattutto su una nuova consapevolezza di stampo culturale che dovrebbe affiorare tra amministratori e cittadini. Il buon senso di decisioni e sentenze, il rifiuto netto di quel degradante teatro mediatico che si sviluppa attorno ai grandi processi. In una parola: il buon esempio.

Nel 1983 lo stesso Tortora promosse assieme a Marco Pannella un referendum sulla responsabilità dei magistrati, vinto con i numeri, ma poi tradito in Parlamento da una politica troppo genuflessa davanti a chi non voleva quella riforma. Il giudice deve essere terzo, si leggano le parole di Giovanni Falcone che sosteneva: “Il pm non è un giudice, ma una parte da contrapporre alla difesa”. L’attualità però conduce ad occuparci quotidianamente di spread e mercati con il rischio concreto di porre nel dimenticatoio tutto il resto. La giustizia è un bisogno, uno strumento, una conquista, ma anche un’occasione. 

Non può esserci ad esempio sviluppo finanziario, quindi nuovi investitori se la nostra giustizia (intesa anche civile) accusa i difetti di sempre: lenta, farraginosa, incerta, priva di garanzie e responsabilità.  In tempi di agende, programmi e salite, anziché dibattere sulla candidatura di questo o quel pm, le forze politiche in campo si sforzino di produrre idee e riforme. Semplicemente perché è ciò che serve al Paese.

Fonte: Formiche del 07/01/13
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domenica 6 gennaio 2013

Grecia, si apre il vaso di Pandora della lista degli evasori. E la politica trema


La politica greca tenta di mettere il “cappello” sulle nuove indagini contro i grandi evasori della Lista Lagarde. Ma di contro non fa nulla per sostenerle, anzi, il governo contrasta la commissione di inchiesta contro i due ex ministri Papacostantinou e Venizelos che non hanno prontamente diffuso la lista. Grigoris Peponis e Spiros Mouzakitis sono due pm greci che si occupano di reati finanziari, sotto la regia del nuovo procuratore capo di Atene, una donna di cui si sa pochissimo, solo che appare di rado sui giornali e mai in televisione. I tre da due anni stanno facendo tremare i palazzi del potere sotto l’Acropoli, ma nonostante il loro sia un lavoro investigativo lontano nel tempo e costellato da attacchi da parte della politica e della stampa embedded, ecco che oggi il premier greco Antonis Samaras annuncia che “la vecchia impunità sta per finire”, rallegrandosi (così come fatto in occasione del discorso di fine anno) per la nascita di una sorta di Mani Pulite ellenica.

Secondo quanto riportato dal quotidiano economico Cosmos tou Ependyti, dopo l’ex ministro delle Finanze socialista Georgos Papaconstantinou, che aveva rimosso quattro suoi parenti dalla Lista Lagarde degli evasori, sarà la volta di altri tre ex ministri spiegare la provenienza del denaro rintracciato nell’elenco che, è utile ricordare, è stato inviato nuovamente da Parigi ad Atene, dopo che i due ex ministri delle Finanze, Papacostantinou e Venizelos, sentiti in audizione alla Camera avevano fatto spallucce dicendo di non sapere dove fosse finita. E suscitando la reazione indignata dell’opposizione del Syriza che chiede una commissione di inchiesta per entrambi, oltre che l’incredulità della stampa mondiale, che ha osservato come una simile cortina di fumo sia inammissibile a fronte di cittadini vessati da nuove tasse e povertà in lento e progressivo avanzamento.

Ma l’operazione “mani politiche pulite”, come la stampa e il premier l’hanno definita, coinvolgerà altri 54.000 greci che possiedono conti correnti all’estero e che sono sospettati di evasione fiscale. Oltre ai nomi di privati cittadini e imprenditori figurerebbe uno dei più stretti collaboratori del premier conservatore Samaras, oltre a una serie di volti noti dell’industria ellenica che negli anni, fra conflitti di interesse irrisolti e fiumi di denaro investiti anche in società off shore, hanno finanziato gli attuali tre partiti al governo, come più volte spiegato da queste colonne quando la lista nello scorso ottobre venne pubblicata dal direttore del settimanale Hot Doc, Kostas Vaxevanis, prima di essere arrestato e processato per direttissima.

Tra l’altro lo stesso Evangelos Venizelos, prossimo vicepremier e capo del partito socialista del Pasok, potrebbe essere incriminato al pari dell’ex ministro delle finanze Papacostantinou, per mancate comunicazioni sulla lista, visto che ha negato di sapere dove fosse, dicendo di non averla fatta protocollare. Ma sulla commissione invocata da Alexis Tsipras, leader radicale e in salita nei sondaggi politici che lo danno come primo partito del paese, proprio il governo tenta di rallentarne l’attuazione chiedendo che sia giudicato il solo Papacostantinou.

Intanto secondo quanto pubblicato dalla rivista Unfollow alcuni dei magnati più ricchi di Grecia avrebbero dichiarato un reddito personale di meno di ventimila euro. E sfruttando decine di “feritoie” presenti nel nuovo memorandum imposto dalla troika e votato dai trecento parlamentari ellenici, sarebbero riusciti a pagare fino a due volte meno le tasse rispetto anche ai loro dipendenti. La rivista li definisce i “quattro fiori all’occhiello” del Paese. Un magnate, Socratis Kokkalis, ex proprietario della squadra di calcio dell’Olympiacos Pireo e “presente” commercialmente in Grecia dai primissimi anni del dopoguerra praticamente in tutti i campi; uno dei più noti banchieri, Andreas Vgenopoulos; l’armatore e proprietario del canale televisivo Skai, John Alafouzos, e un produttore, Nick Manessis. Su cui i pm hanno acceso un interesse investigativo.

Lo scatto giudiziario in avanti, quindi, non è propriamente figlio della volontà politica tout court, ma solo dell’iniziativa autonoma dei magistrati. Anzi, proprio la politica ellenica fino ad oggi ha rappresentato una sorta di freno a mano tirato quanto e facilitazioni di controlli incrociati e trasparenza di amministratori e ministri. Si pensi che nell’ambito delle indagini sulla Lista Lagarde nella giornata giovedì sono stati ascoltati dai pm per quattro ore due testimoni, di cui uno strettissimo collaboratore dell’ex ministro Papacostantinou, interrogati su chi ha materialmente alterato l’elenco.

E solo per sabato 5, dopo che la notizia era pubblica da almeno una settimana, sono stati convocati come indagati Helen Papaconstantinou, Simeone e Andrew Sykiaridis Rossonis (cugini dell’ex ministro George Papaconstantinou) che dovranno rispondere del miliardo di euro presente nella lista a loro nome. Tra l’altro Rossonis è il principale produttore di armamenti del Paese, da cui transitano la maggior parte degli appalti legati alle armi e alle forniture militari. Chissà se i pm gli chiederanno se conosce i beneficiari del nuovo progetto di difesa del governo Samaras, approvato giovedì, per acquisti di fregate, elicotteri e mezzi anfibi per un totale di 10 miliardi di euro. Dal momento che, accanto a cifre da spendere nei prossimi sette anni ed elenco degli acquisti, non figurano ancora ufficialmente i nomi delle aziende.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 5/01/13
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venerdì 4 gennaio 2013

Chiacchiere, datteri e thé all’ombra della Tunisia post Ben Alì


Ventiquattro mesi dopo la “rivoluzione dei gelsomini” quanta democrazia è stata ripristinata in Tunisia? Cosa è realmente mutato dalla caduta di Zine al-Albidine Bin ‘Ali? Di lavoro, salari migliori e una qualità della vita vicina quantomeno agli standard  europei nessuna traccia, anche se qualche fiore è comunque sbocciato. Il riferimento è alla libertà di espressione, a un movimentismo delle arti che incoraggia a immaginare una ripresa. Elementi che fanno da contraltare all’assenza ingiustificata degli intellettuali di primo piano, a un certo smarrimento dei giovani che, dopo la ventata di azionismo della primavera araba, necessitano di una guida per non disperdere quel potenziale civico. Quella tunisina è una rivolta compiuta, l’unica del mondo arabo portata alle estreme conseguenze e la prima del XXI secolo, scrive Ilaria Guidantoni nel suo “Chiacchiere, datteri e thé. Tunisi, viaggio in una società che cambia” (della collana REvolution di Albeggi Edizioni). Dove la scrittrice italiana ragiona sul fatto che adesso giunge per il paese il momento della verità, quello più  arduo da raccontare in quanto complesso da interpretare. Quello del passaggio intergenerazionale e inter politico verso la pietra miliare della convivenza tra popoli e governati: la nuova Costituzione, che fa da anticamera alle elezioni per il primo Governo regolare. Un appuntamento che non può essere mancato né disatteso, pena il ritorno nell’incubo rappresentato dal regime di turno che viene fecondato proprio da uno status di deficienza democratica e partecipativa.

In quel viaggio tra pagine, parole, incontri e sguardi, viene affrescato uno spaccato mediterraneo che chiede risposte. Tra fazioni e movimenti spicca EnnahDa, la componente politica islamista paragonabile alla nostra Dc degli anni ’60 che rappresenta al momento il partito di maggioranza relativa. Anche se, complice una struttura peculiare della Tunisia che l’ha caratterizzata come un vero e proprio mosaico di fedi e inclinazioni, oggi regna una sostanziale confusione, con una convivenza ancora non completamente metabolizzata e regolamentata tra la spinta laica-europeista e quella religiosa tradizionalista. Che produce una schizofrenica varietà di estremi: si va dal velo e dall’abbigliamento casual all’università al costume integrale e bikini sulle spiagge; dai contenitori televisivi religiosi a mostre d’arte provocatorie. Una cosa è certa, però: da quella rivoluzione la gente si aspettava di più. 

Fonte: Formiche del 04/01/13
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giovedì 3 gennaio 2013

Crisi greca, all’appello mancano dodici miliardi di tasse non riscosse


Dodici miliardi di euro: è l’ammontare degli arretrati di tasse non riscosse dall’erario greco nei primi dieci mesi del 2012, l’ennesimo controsenso di una crisi che, seppure parzialmente tamponata con il maxi prestito ponte verso Atene, sta ancora mettendo a nudo criticità e discrepanze. Nonostante il memorandum della troika che ha “imposto” nuovi strumenti normativi e finanche funzionari di Bce, Ue e Fmi in pianta stabile nei ministeri ateniesi, si apprende che l’erario greco non ha incassato 12 miliardi nel periodo gennaio-novembre 2012. Il motivo? L’inefficienza dell’amministrazione fiscale sommata all’incapacità (o la furbizia) dei contribuenti a pagare le tasse. Secondo i dati forniti dal Ministero delle Finanze gli arretrati totali (pre e post memorandum) ammontano a 55,5 miliardi di euro. E in un report si sostiene che nel 2013 quel numero crescerà ulteriormente a causa di un aumento delle imposte relative all’anno in corso. Nel complesso i contribuenti pagheranno al fisco nel 2013 circa 14 miliardi di euro, ma lo Stato non riuscirà a ottenere l’80% degli arretrati. Numeri che rappresentano un’interessante e tragica cartina di tornasole per comprendere fin dove possa giungere la longa manu dei creditori internazionali e dove possa solo certificare un default di fatto già verificatosi.

I numeri diffusi sostengono inoltre che, nel periodo gennaio-novembre dell’anno appena concluso, più di un milione di liberi professionisti dotati di partita Iva non hanno presentato le dichiarazioni quindi quelle aziende, di fatto, hanno trattenuto l’Iva riscossa sulle vendite effettuate. Nello specifico il ministero delle Finanze sostiene che le tasse non riscosse sono pari a 43,4 miliardi di cui 2,9 riguardano servizi pubblici e enti pubblici; 8,5 aziende; 31,8 diverse persone fisiche e giuridiche. Del pregresso debito in scadenza il governo greco è riuscito a raccogliere 1 miliardo, mentre nello stesso periodo sono stati soppressi i vecchi debiti per un totale di 359 milioni. I nuovi arretrati ammontano a 12 miliardi, mentre sono stati cancellati un totale di 179 milioni. Ma a fianco dei numeri greci ecco spiccare quelli della troika che, nella sua relazione di fine anno, sostiene che l’80% degli arretrati non potranno essere recuperati in alcun modo. Il governo ha più volte manifestato il proposito di prelevare direttamente dai conti correnti degli evasori le somme dovute al fisco dai contribuenti, ma notizie come le cifre contenute nella lista Lagarde e la stima generale dell’evasione ellenica (28 miliardi all’anno) non incoraggiano. La relazione afferma che per conseguire una riduzione soddisfacente degli arretrati le autorità dovrebbero rivedere la loro politica di revoca. Una riduzione del debito per il 2013 di circa il 20% o il 30% sarebbe realistica, ma solo se ci fosse una politica di cancellazione di debiti in linea con la prassi internazionale. Circa le dichiarazioni Iva è stato appurato che un contribuente su cinque (tra liberi professionisti e aziende) non l’ha presentata. Sino alla fine di novembre avrebbero dovuto essere più di cinque milioni, mentre erano solo 4.057.000. Ciò significa che molte aziende hanno trattenuto l’Iva riscossa.

Intanto dal primo gennaio scorso è scattata una nuova norma di prelievo fiscale, contenuta nel memorandum della troika. È stata introdotta una nuova ritenuta per redditi fino a 42mila euro annui (per lavoratori dipendenti e pensionati), mentre per i grandi conflitti di interesse ancora nessun intervento normativo concreto. Ed entro il prossimo febbraio dovranno essere riposizionati altri 7.500 dipendenti pubblici (licenziati, o posti in prepensionamento o destinati ad altre funzioni). Il Ministero della Pianificazione annuncia che nel 2013 il riassetto delle strutture e dei servizi dei ministeri dovrebbe ridurre complessivamente il personale del 50%. Il ministro delle Finanze Iannis Stournaras commenta: “Il bilancio per il 2012? È andato male. Non dobbiamo dimenticare che è stato un anno molto difficile. La recessione ha raggiunto circa il 6,5% ma siamo sopravvissuti. Non dobbiamo perdere la nostra speranza”. E indica la strada da seguire: “Dobbiamo coprire nei prossimi due anni un gap fiscale di circa 13 miliardi di euro”. Sì, ma come?  

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 03/01/13
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Smirne censura Steinbeck, 90 anni dopo un’altra “tragedia”


Ha scritto Tucidide che “il segreto della felicità è la libertà. E il segreto della libertà è il coraggio”. Non la pensa evidentemente così il provveditorato di Smirne, in Turchia, che censura il romanziere americano John Steinbeck e il suo capolavoro "Uomini e topi". Secondo il quotidiano Birgun il testo conterrebbe passaggi "contrari alla morale" e "diseducativi" per gli studenti. Addirittura si spinge a inviare al Ministero dell’istruzione turco una proposta di censura per un testo che rientra nella lista dei cento capolavori della letteratura mondiale. Ma il punto non è questo, le pagine che tanto fanno paura a quel provveditore potevano essere d’autore o meno, vergate da un Nobel o dall’ultimo scrittore di provincia. Non cambierebbe di un millimetro il terrore che certi fanatismi hanno di idee, racconti e storie. Semplicemente perché quelle pagine, quell’inchiostro e quelle parole aprono la mente, forgiano nuovi spunti, cassano chi intende livellare menti e uomini. 

Nel terzo millennio c’è ancora chi teme qualcosa e lo fa in un luogo significativo, che novant’anni fa ha visto la tragedia della Mikrì Asia: nel 1922, i greci, che lì vivevano in pace con la comunità turca, vennero cacciati e rispediti in patria con la forza da parte dei militari di Ankara. In un trionfo di tragiche storie, personali e sociali, che si sono mescolate agli egoismi politici e alle strategie imperialistiche. Dunque quasi un secolo dopo il dominatore di turno ha paura, ieri come oggi, dell’autodeterminazione dell’uomo, di chi leggendo un passaggio di un testo può ad esso ispirarsi per migliorare la propria condizione, e tentare un’altra via che non si quella “che passa il convento”.

Fonte: Mondo Greco del 03/01/13

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