giovedì 29 novembre 2012

Grecia, Corte Ue nega ai giornalisti l’accesso ai documenti Bce


Nella crisi greca c’è qualcuno che non vuole che notizie e dati alfanumerici vengano diffusi e, quindi, veicolati ai cittadini che stanno pagando il prezzo più caro del quasi default. La Bce ha detto no all’accesso a due documenti connessi alla situazione economica del paese quasi fallito, in quanto “la loro divulgazione avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela dell’interesse pubblico della politica economica dell’Unione e della Grecia”. Così la pronuncia del Tribunale di primo grado dell’Unione europea sul ricorso presentato da Bloomberg Finance proprio contro la decisione dell’istituto ora guidato da Mario Draghi di negare l’accesso a due file relativi all’impatto su deficit e debito pubblici degli swap negoziati fuori borsa. Oltre che sulla cosiddetta operazione Titlos, una società creata ad hoc dalla Banca nazionale Greca (l’istituto, per intenderci, che nel biennio di crisi ha regalato 70 miliardi di finanziamento pubblico a giornali e tv del paese), e sulla possibile esistenza di operazioni analoghe, che avrebbero come immediata conseguenza riflessi precisi sui livelli di debito e deficit pubblici dell’intera eurozona.

I fatti: nell’agosto del 2010 la giornalista di Bloomberg Finance, Gabi Thesing, chiese di visionare due file sulla Grecia. Secondo quanto riferito dal Tribunale, nel primo documento vi erano ipotesi e valutazioni da parte dei membri del personale Bce sull’impatto, su deficit e debito pubblici, degli swap negoziati fuori borsa. Il tutto sarebbe stato utile a disegnare un quadro preciso delle condizioni elleniche nel marzo 2010. Ma dopo due mesi (ottobre 2010) la Banca centrale europea motivò il suo nein con il fatto che le informazioni in esso contenute non solo erano superate da un punto di vista temporale, ma la loro divulgazione avrebbe potuto essere ingannevole per pubblico e mercati. Per questo lo stesso Tribunale evidenzia come la Bce non abbia commesso “un errore manifesto di valutazione considerando che la divulgazione del documento avrebbe arrecato un pregiudizio effettivo e concreto all’interesse pubblico per quanto riguarda la politica economica dell’Unione e della Grecia”. E nonostante il merito dei contenuti superati, “non si può ragionevolmente escludere che sarebbero stati considerati come ancora validi”.

Ma la questione degli swap e più in generale degli intrecci economico-politici della crisi non sono affatto “superati”, come dimostrano i due arresti avvenuti un mese fa in Grecia, proprio di due giornalisti che avevano diffuso notizie in questo senso. Il primo era stato l’inchiestista Kostas Vaxevanis, che sul suo settimanale Hot Doc aveva pubblicato (tutta o in parte) la famosa Lista Lagarde, l’elenco dei duemila evasori ellenici che negli ultimi anni hanno portato in Svizzera svariati miliardi di euro, (frutto di guadagni in nero e si sospetta anche di tangenti), che nei giorni precedenti era già circolata in alcune redazioni giornalistiche europee. Una lista di “soli” professionisti, che in molti sospettano sia stata ripulita di nomi ben più scottanti e legati alla classe dirigente del paese e che era stata inviata ad Atene dall’allora ministro delle finanze francese Christine Lagarde ai parigrado greci, con il tramite dei servizi segreti.

Ma i due ex ministri Papaconstantinou e Venizelos hanno fatto spallucce, dicendo che non era stata protocollata e di fatto non chiarendo dove si trovi, oggi, quell’elenco completo. Vaxevanis era stato arrestato, processato per direttissima e assolto in primo grado, ma i pm inquirenti hanno fatto ricorso e a breve dovrà tornare a difendersi in Aula. La seconda “penna” ammanettata è quella di Spiros Karazaferris, fratello di Iorgos, leader del partito nazionalista del Laos, arrestato con modalità pirotecniche con quattro auto che bloccarono la strada dinanzi all’ambasciata israeliana e con le teste di cuoio greche (i famosi corpi speciali Mat) che lo portarono in carcere.

Poco prima nella sua trasmissione su Art aveva detto di essere pronto a diffondere documenti che proverebbero come i dati sul default ellenico fossero stati alterati, oltre agli stessi e onnipresenti swap. E che aveva ottenuto quei riscontri dal gruppo di hacker Anonymous, che due giorni prima aveva attaccato il server del ministero delle Finanze ateniese, mettendo in rete documenti segreti sui negoziati fra il governo di Atene e la troika. E aveva concluso il suo programma dicendo di essere certo che il deficit greco fosse stato “fraudolentemente forzato”, al fine di ricevere altri aiuti dei creditori internazionali. Fu scarcerato il giorno dopo, ma con l’effetto di intimorire molti suoi colleghi, anche europei.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 29/11/12
Twitter@FDepalo

Lo “scalatore che veniva dal mare”: la storia di Marco Pantani a teatro


14 febbraio 2004. Marco Pantani viene ritrovato senza vita in un residence di Rimini. Lì, in quella coreografia di solitudine, prende forma il ritratto di una persona ne “Pantani”, lo spettacolo di Marco Martinelli sul ciclista romagnolo, in scena fino al 2 dicembre al Teatro Rasi di Ravenna. Una performances teatrale realizzata a quattro mani, con la collaborazione di Ermanna Montanari direttrice artistica del Festival di Santarcangelo. 

Quella dello “scalatore che veniva dal mare” , è la storia di adulatori e adulati, di un mondo di cartapesta che ha il suo epilogo in una morte e in tanti, troppi misteri. Ma la scrittura di Marco Martinelli trapassa la figura di Marco Pantani per affrescare «tutta la complessità di un'epoca al tempo stesso sublime e crudele che si esercita senza pudore». Il risultato è una vera e propria veglia funebre, ma sulla scorta di quelle fatte millenni fa, dove l'anima dell'eroe era di fatto portatrice sana di orgoglio e temperamento. Il tutto accompagnato da una suggestione greca, comune denominatore nel testo (ripartito in trentaquattro capitoli come i suoi anni di vita) e soprattutto nella messa in scena. Dove si assiste a un Marco Pantani che appare come Polinice, ovvero sepolto fuori dalle mura con l'epigrafe “era un bugiardo, un dopato”. E ancora, il rito della memoria, con coloro che non si rassegnano a una damnatio memoria ma puntano al giusto riconoscimento per Marco. Un viaggio, quindi, dove i partecipanti hanno il volto dei genitori di Marco, Tonina e Paolo, desiderosi di qualche altra verità. Degli amici, quelli veri, che lo hanno seguito e applaudito anche quando non era in sella a quella bicicletta e non indossava maglie gialle o rosa, ma era un ragazzo normale, dalla pelle bruciata dal sole e dal sorriso grande. E ancora, un bandito che dice la verità, un  ministro che dice menzogne. Il regista della Compagnia delle Albe, dopo aver portato in tutta Italia la sua Eresia della felicità, indossa i panni del drammaturgo e, divenuto nel frattempo inchiestista, si mette a scartavetrare le mille e più nebbie di questo mistero tutto italiano. Che ha appassionato milioni di cittadini. 

Ma chi era Pantani? Non lo scontroso e scorbutico che molti suoi “colleghi” corridori definivano così, ma un ragazzo solare: umano, inclusivo che stupiva per le risposte. Come quella rifilata a  Gianni Mura che gli chiedeva come facesse ad essere così tonico in salita. E lui replicò: «Per abbreviare la mia agonia». Più volte lo stesso regista ha sottolineato come Marco sia la plastica raffigurazione di un paese dove a pagare il conto siano sempre e solo i capri espiatori. Madonna di Campiglio, Tour de France ma anche in una narrazione da flashback l'allora ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri, che quarantottore dopo la morte del ciclista disse che era morto un uomo che non era un simbolo dello sport, perché aveva avuto squalifiche per doping. Cosa che non si è mai verificata, dal momento che quella di Madonna di Campiglio non era una squalifica per doping, ma servì far passare quel messaggio. 
Ma ci sono anche altri personaggi che si intrecciano alla rappresentazione. Come Renato Vallanzasca. In carcere alcuni camorristi scommettevano sulla sconfitta di Pantani, nonostante avesse tutti i pronostici a favore, e Vallanzasca chiedeva loro il perché di quella scelta. La risposta? Del tipo, “tu non ti preoccupare, tanto quello lì a Milano non ci arriva”. Un passaggio che, tra l'altro, è al centro della stessa autobiografia del bandito milanese che fu pubblicata novanta giorni dopo la morte di Pantani. O come l'Inquieto, ovvero una controfigura che il regista ha inteso affiancare al Philippe Brunel che con il suo libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani (Rizzoli) ha di fatto riaperto il caso alcuni anni dopo. Tutti a teatro, dunque, perché lì, su quella scena e dietro quelle quinte, rivive la pedalata sorridente del pirata riminese. Uno vero, insomma, che ha pagato un conto forse non suo.

Fonte: Italiani quotidiano del 29/11/12
Twitter@FDepalo

mercoledì 28 novembre 2012

Follia a Taranto: Ilva, la politica adesso faccia due passi avanti

Una città fallita, dove si muore ancora di lavoro e che oggi si scontra con una dinamica folle e pericolosa. Uscire dalla logica del ricatto, nella consapevolezza che salute e lavoro non sono in concorrenza o in alternativa. Ma due diritti costituzionalmente garantiti. Sul caso Ilva serve uno scatto di reni della politica. Da un lato il gruppo Riva, per il quale non c'è altra strada dopo il sequestro, e che quindi non si muoverà dalla decisione di fermare tutto. Dall'altro la magistratura, che ha deciso per i sette arresti nei confronti dei dirigenti dell’azienda, per i due avvisi di garanzia oltre al sequestro preventivo di prodotti, in quanto realizzati in violazione delle prescrizioni del sequestro già adottato dall’autorità giudiziaria sugli impianti dell’area a caldo (che non ammetteva la facoltà d’uso). Nel mezzo il caos, emozionale e civile di una città intera, ferita e devastata, che osserva, terrorizzata, questo ennesimo gioco al massacro. Quando il ministro dell'ambiente Clini rileva che «chi oggi si assume la responsabilità di far chiudere l’Ilva, si assume anche la responsabilità di un rischio ambientale che potrebbe durare anni», mette l'accento proprio sul riflesso, presente e futuro, di decisioni assunte. E intrecciate irrimediabilmente con le vite di migliaia di persone, lavoratori, familiari e cittadini tarantini.

Ma è nell'interstizio di quelle dichiarazioni del gruppo Riva che si annida la nota stonata (e non la sola) di questa degradante vicenda. Quando scrivono «nessun rischio per la salute a causa della nostra attività, è tutto in regola» è come se alla beffa dei cinquemila lavoratori oggi a rischio, si volesse sommare un muro di gomma: quello che schiaccia idealmente i tanti altri lavoratori che negli anni hanno pagato con la vita. Mentre una città intera affondava nel silenzio di un paese becero, che permesso un caso simile.

Fonte: Italiani quotidiano del 28/11/12
Twitter@FDepalo

martedì 27 novembre 2012

Crisi greca, vertice fiume: piano sul rientro del debito per il sì agli aiuti


Sul caso Grecia serve un passo da parte di tutti, aveva chiesto all’inizio dell’Eurogruppo il componente tedesco del direttorio della Bce, Joerg Asmussen, e dopo quattordici ore di negoziati è stato accontentato. Accordo raggiunto sulla sostenibilità del debito greco e 44 miliardi di euro sbloccati, che arrivano a soccorrere “il rosso fisso” dei conti di Atene. Un mix di misure che coinvolge tutti i soggetti in gioco, stati membri, Grecia e Fmi, ha dichiarato il presidente dell’eurogruppo Jean Claude Juncker. Ovvero taglio di 100 punti base degli interessi sui prestiti bilaterali, riduzione di 10 punti base del costo delle garanzie che la Grecia paga al fondo Salva-Stati, moratoria di 10 anni (come chiedeva Berlino) sui tassi dei prestiti concessi dal fondo salva-Stati, proroga di 15 anni delle scadenze dei prestiti e uno slittamento di 10 anni dei pagamenti degli interessi. I creditori inoltre rinunciano ai loro profitti sui bond greci, in quanto li gireranno direttamente ad Atene in un conto bloccato. Convergenza anche sul grande nodo della discussione, ovvero la sostenibilità del debito, su cui l’Fmi dice sì a rivederne la soglia: l’iniziale 120% entro il 2020 è stato portato al 124%, per poi scendere drasticamente al 110%.

Ecco che, in virtù della “sinfonia” comunitaria di ieri dunque, la prossima tranche di aiuti sarà erogata in tre rate, la prima da 34 miliardi dopo l’approvazione dei parlamenti dei Paesi della zona euro, fino al 13 dicembre, mentre i restanti 9,3 miliardi all’inizio del 2013 in tre dosi più piccole. Queste ultime saranno associate ai cosiddetti “punti di riferimento” del Memorandum, compresa la riforma fiscale nel mese di gennaio. Ovvero parallelamente alla messa in atto delle riforme promesse, giungeranno i denari ad Atene. I livelli di riduzione del debito concordati saranno raggiunti attraverso iniziative che includono: il riacquisto del debito greco; il ritorno degli utili dai titoli di acquisto del programma della Bce (SMP); la riduzione dei tassi del Loan Facility greco; l’espansione dei rimborsi di prestiti di Loan Facility greco e il Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) e il rinvio del pagamento degli interessi sul EFSF.

Più in particolare, nella dichiarazione finale dell’Eurogruppo si sottolinea che i membri della zona euro dovrebbe essere pronti a prendere in considerazione: una diminuzione di 100 punti base dei tassi di interesse; una riduzione di 10 punti base del costo delle garanzie adottate dalla Grecia in prestiti dal EFSF; l’allungamento della scadenza dei prestiti e dei prestiti bilaterali del EFSF a 15 anni e 10 anni (queste misure non pregiudicano l’affidabilità creditizia del EFSF, che è pienamente supportato da garanzie da parte degli Stati membri); l’impegno degli Stati membri a trasferire in un conto vincolato della Grecia un importo equivalente agli utili della Banca centrale a partire dal 2013. Inoltre tutti gli stati membri si sono impegnati a prendere in considerazione ulteriori azioni di assistenza, compresa la riduzione del contributo nazionale della Grecia in progetti cofinanziati dai fondi strutturali e/o l’ulteriore riduzione dei tassi di interesse, al fine di garantire una maggiore affidabilità e ridurre il debito greco. Soprattutto per quanto riguarda il programma di riacquisto del debito greco il capo del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha chiarito che porterà l’accordo in seno al Consiglio del Fondo solo dopo il completamento del riacquisto.

A precisa domanda durante la conferenza stampa che ha seguito l’Eurogruppo, se il successo di questo programma dipenderà dal mantenimento del Fmi nel programma, la signora Lagarde ha detto che il Fmi non ha alcuna intenzione di ritirarsi dal programma, ma vanno chiarite le modalità di riacquisto delle obbligazioni.

I commenti. Di “nuovo giorno per la Grecia” parla il premier Samaras al termine dell’Eurogruppo: “Tutto è andato per il meglio, i Greci hanno combattuto tutti insieme, e domani inizia un nuovo giorno per tutti”. Mentre la Lagarde aggiunge che “il Fondo monetario internazionale ha voluto assicurare che la zona euro adotterà le misure necessarie per porre la Grecia su un percorso sostenibile per il debito. Ora posso dire che questo è stato fatto”. Mette l’accento su un nuovo clima di fiducia comunitaria il vertice della Bce, Mario Draghi: “La decisione di oggi porterà senza dubbio a ridurre l’incertezza e aumentare la fiducia in Europa e in Grecia”. Più pragmatico il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, secondo il quale “abbiamo un risultato, che ora siamo in grado di presentare al Parlamento e su cui decidere”. E il commissario europeo per gli affari economici, Olli Rehn, rileva come per la zona euro, sia stato “un vero banco di prova della nostra credibilità, e la nostra capacità di prendere decisioni su questioni difficili”. Ultimo atto adesso, il nulla osta da parte dei parlamenti.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 27/11/12
Twitter@FDepalo

Nella frattura delle primarie Pd, il seme della nuova partecipazione


Bersani, né Renzi (almeno per questa settimana). Lo sconfitto numero uno delle primarie del Pd è l'antipolitica. Quel germe che sull'onda di un moto di insoddisfazione produce il caos mentale. Che tende a fare, come un antibiotico, tabula rasa di tutto. E solo perché qualcosa, o più di qualcosa, non ha funzionato a dovere. Mortificando, invece, le famose energie positive e pulite che, da sempre invocate da entrambe le curve, ma troppo spesso  rimaste lettera morta. 

Al di là di chi indosserà la corona di alloro del vincitore il prossimo 2 dicembre, quando andrà in scena il ballottaggio tra il “ragazzotto” e il segretario del Pd, queste primarie hanno segnato una frattura, che va individuata, metabolizzata e non relegata a episodio. Al fine di poterla interpretare e da lì ricostruire il senso di partecipazione civile che i cittadini nutrono. Altro che nausea della politica e partito dell'astensione che si ingrossa a dismisura, le urne piddì hanno dimostrato come, in presenza di stimoli adeguati e non “di pancia”, (su cui ovviamente restano diverse e differenti sensibilità) gli elettori tornano ad avvicinarsi a comizi e scelte, a occasioni di “agorà” e scambi, anche accesi, di vedute e linee propositive. Quello slancio a costruire il profilo del candidato di una coalizione del paese è la risposta al sentimento di sdegno distruttivo, a una mentalità da “vaffa” permanente, a chi nuota in un mare di ipocrisie e un attimo dopo non costruisce nulla se non il crack da cui nasce solo altro “kaos”, senza il necessario “kosmos”. 
Le file ai gazebo incarnano quelle coordinate geopolitiche di un popolo che non vuol essere passivo. Che è mosso da una nuova animosità, che pensa di poter contare qualcosa, che si sente in qualche modo attaccato a un progetto o che si avvicina a un'esperienza mai toccata con mano prima. 

Che si contrappone al cappio di Grillo, ma anche a un Pdl che nel suo dna non ha mai avuto una presenza realmente democratica. Per questo l'annullamento delle primarie fra gli azzurri è la logica conseguenza di una visione cesaristica che semplicemente, anche fra quegli elettori, non fa più presa. Ma sulla cima più alta del podio ecco che da ieri è salita la Partecipazione: come scrive il filosofo francese Jacques Rancière in Dieci tesi per la politica, essa non è l’esercizio del potere, ma modo di agire specifico messo in atto da un soggetto con una razionalità propria. Ed è proprio la relazione politica che consente di pensare il soggetto politico e non il contrario. Ricordando che la felicità è libertà e la libertà è coraggio. Un nuovo vocabolario della politica, quindi, è possibile. E quando si chiede società civile e cittadinanza attiva ecco che il pensiero corre alle file ai gazebo e alla voglia di comunione, di non delegare sempre e comunque ad altri, ma di essere lì, in quel luogo dove si sceglie, si decide, si affida il compito a un qualcuno.

Fonte: Italiani quotidiano del 27/11/12
Twitter@FDepalo

venerdì 23 novembre 2012

Cosa si cela dietro lo stallo dell´Eurogruppo sulla Grecia

Uno stallo che non solo rimanda di una settimana la decisione sul nuovo prestito ponte da 44 miliardi di euro per impedire un fallimento tecnicamente già avvenuto, ma che segna il perimetro ideale di due strategie politiche contrapposte. Con al centro i riverberi delicatissimi per l´eurozona e un Paese intero, la Grecia, schiacciato dal dubbio di essersi sacrificato a vuoto.  Il nulla di fatto dell´Eurogruppo di ieri con la promessa di rimandare la decisione al 26 novembre, cela le diversità di vedute tra Stati Uniti ed Europa su come gestire la crisi, non solo ellenica, quanto della moneta unica. Da un lato la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde che, fiancheggiata da Barack Obama fresco di rielezione, vorrebbe chiudere definitivamente i conti con il rischio contagio. E quantificare con certezza matematica i parametri del deficit greco, che in assenza di misure correttive e dopo il sesto anno di recessione consecutiva, secondo i report dell´Fmi raggiungerà il 144% nel 2020 e il 133% nel 2022.

Dall´altro la strategia del quasi accordo, (con un´accelerazione nelle ore successive alla visita ad Atene della cancelliera) che però non si trasforma in un "sì" ufficiale da parte di Frau Angela, che in molti ormai danno come già proiettata alle elezioni tedesche del settembre 2013, quindi timorosa che il dossier Grecia possa condizionarne in qualche modo la performance elettorale.  Al netto di valutazioni ed analisi spicca la mancata consapevolezza da parte degli attori in scena che per sanare il buco della damigiana "Grecia", affetta da una voragine strutturale senza precedenti, non saranno sufficienti né altri prestiti ponte né misure provvedimenti a medio termine, ma si rende urgente una strategia di lungo respiro che coinvolga l´intero continente. Che pesi attentamente cause ed effetti, che non si limiti alla prossima consultazione elettorale o alla contingenza di bond o di titoli in scadenza. Ma ridistribuisca competenze e risorse, senza la volontà prevaricatrice di uno sugli altri.

Anche per prevenire la fibrillazione sociale che, ad esempio ad Atene, ha portato il partito neonazista di Alba dorata, dal 7% delle scorse elezioni di maggio, al 15% di gradimento secondo un sondaggio diffuso ieri, di fatto terza forza politica del Paese dietro i radicali del Syriza e i conservatori al governo di Nea Dimokratia. Ma ecco il "nein" dell´Eurogruppo che produce, come evidenzia con insistenza la Frankfurter Allgemeine Zeitung, una certezza: quella del denaro che semplicemente non c´è più. "Il Fmi non vuole procedere - scrive Patrick Bernau - perché ha paura per i suoi soldi". Figurarsi Atene.

Fonte: Formiche del 22/11/12
Twitter@FDepalo

mercoledì 21 novembre 2012

Quella vacatio della politica che si colma con visioni nuove

C’è chi sceglie una capanna a Malindi e chi programma il post-emergenza con un minimo di serietà e consapevolezza della gravità in cui versa il Paese e il continente. Non saranno certo una nuotata nello Stretto di Messina o la messinscena di pancia antitedesca a sanare le criticità nate anche dalla vacatio della politica. Su cui certamente storici e analisti avranno tempo di confrontarsi e dibattere. Ciò che conta in questo momento, invece, è raggiungere una sintesi su come rapportarsi pragmaticamente alle cose da fare. La vacatio della politica si colma con una politica diversa: migliore, responsabile, anche grazie alla società civile. L'anello di trasmissione per una visione maggioritaria, non l’occasione di una rottura fine a se stessa. Quando il Capo dello Stato richiama Benedetto Croce («il bene dell’Italia deve essere il limite alla discordia dei partiti»), pone nuovamente l’accento su una visione della politica diversa, che trasformi in carne e ossa lo slogan del bene comune sciorinato da tutti. La citazione crociana è simbolo di visione lungimirante, perché riguarda i partiti politici che «in avvenire si combatteranno a viso aperto e lealmente perché tutti essi, come terranno sacra la libertà, loro comune fondamento, così avranno dinanzi agli occhi l’Italia».
 
Ecco che allora in una fase delicatissima in cui si decide la sopravvivenza stessa di un’Unione in affanno, al cui interno solo Berlino non soffre ancora come Atene, Madrid, Lisbona, Malta, Nicosia, Roma e Parigi (sì, anche Parigi, come l’addio alla tripla A di Moody’s sta ad indicare), si rende utile un rafforzamento imprescindibile della politica, non una sua cancellazione, per immaginarla all’interno di un involucro nuovo, che attiri energie altre, non che le scacci. Che includa richieste e sensibilità, senza isolare mondi che invece devono non solo parlarsi e intendersi, ma impegnarsi a fare un pezzo di strada insieme. E farlo al meglio.
 
Fonte: Italiani quotidiano del 22/11/12
Twitter@FDepalo

Eurogruppo, il “no” di Angela Merkel: rimangono bloccati gli aiuti alla Grecia

Thriller e stallo a Bruxelles” titola oggi il popolare quotidiano To Vima: niente accordo sul maxiprestito alla Grecia. All’Eurogruppo fiume, durato dodici ore e terminato alle cinque del mattino, va in scena una sorta di derby tra Juncker e Lagarde sulla sostenibilità del debito greco. E per avere il via libera ai 44 miliardi di euro che servono al paese per non fallire, bisognerà aspettare lunedì 26 novembre, quando una nuova convocazione dell’Eurogruppo potrebbe sbloccare una situazione che si complica ulteriormente. La Germania frena e lo dimostra il fatto che la riunione è stata costantemente interrotta in quanto, secondo fonti europee, sono subentrati negoziati tra i paesi (prima a due, poi a tre e a quattro) per tentare di superare le divergenze.

Il Fondo monetario internazionale resta su posizioni rigide circa il nodo principale, ovvero la sostenibilità del debito. Su cui a un certo punto del vertice si era fatta largo l’ipotesi di concedere una moratoria di dieci anni alla Grecia sul pagamento degli interessi sui prestiti del fondo salva-Stati Efsf, che avrebbe come conseguenza il risparmio per Atene di 44 miliardi. Ma permane uno scetticismo di fondo dei partner europei sulla capacità ellenica di ottenere il prestito a condizioni aggiuntive, che potrebbero gravare ancor di più sulla già disastrosa situazione sociale nel paese, dove ieri i lavoratori degli enti locali di tutta la Grecia hanno occupato le sedi di regioni, province e comuni per impedire la compilazione delle liste degli impiegati destinati alla mobilità, e quindi la messa in cassa integrazione, come richiesto dal memorandum della troika.

C’è comunque da registrare un piccolo passo in avanti, come lo stesso Juncker sottolinea: “L’Eurogruppo ha identificato un pacchetto di misure credibili per contribuire in modo sostanziale alla sostenibilità del debito greco – rileva – anche se le trattative si sono interrotte per consentire di approfondire alcuni elementi a livello tecnico”. Nello specifico i paesi che devono staccare l’assegno per non far fallire la Grecia vogliono conoscere esattamente come attuare le misure per aiutare Atene a ridurre il debito, dal momento che proprio in quei nuovi numeri risiede uno sforzo che, tra l’altro, dovrà anche passare per un’approvazione ufficiale dei singoli parlamenti nazionali. Senza dimenticare un’altra questione centrale, ovvero come riparare al buco di 15 miliardi nato dalla proroga di due anni concessa ad Atene sul rientro dal deficit. Passaggio sul quale Austria e Finlandia hanno preventivamente chiuso a nuovi aiuti. Lo stesso Juncker, pochi minuti prima della fine dell’Eurogruppo, aveva dichiarato alla stampa che l’Eurogruppo ha preso atto con soddisfazione che tutte le azioni e i prerequisiti richiesti prima della riunione sono stati rispettati in modo soddisfacente da Atene, compresa una vasta gamma di riforme oltre all’obiettivo ambizioso sul bilancio per il triennio 2013-2016. Ma facendo trapelare la propria personale sensazione: alla domanda se fosse deluso dal mancato accordo Juncker ha risposto con un austero “in Europa non si fanno più illusioni”.

Sul versante delle “opposizioni elleniche” si registrano le parole del ministro delle Finanze tedesco Schauble, secondo cui “i problemi sono così complessi che non siamo riusciti a trovare una soluzione definitiva. C’è tutta una serie di opzioni per colmare il fabbisogno di finanziamento in Grecia, stimato a 32 miliardi di euro”. Mentre il vertice dell’Fmi Christine Lagarde ha evidenziato come vi siano stati dei progressi, ma ve ne servirebbero di altri. Il cosiddetto derby tra Fmi e Eurogruppo verte sulla sostenibilità del debito greco. Mentre l’Eurozona si dice disposta a prorogare di un biennio il rientro dal debito, (attualmente al 120% da raggiungere nel 2020), l’Fmi non cede e come ha dichiarato la Lagarde a vertice concluso “le nostre posizioni si sono avvicinate, ma continuiamo lunedì”, in quanto la sostenibilità dei conti “è la prima cosa”.

La sensazione è che, in caso di accordo il prossimo 26 novembre, questo sarà “accompagnato” da ulteriori provvedimenti soprattutto nel medio periodo, come l’opzione del riacquisto del debito circolata con insistenza per tutta la durata dell’Eurogruppo. A cui però si oppone il vice direttore dell’Institute of international finance (Iif) Hung Tran, sottolineando che comporterebbe seri rischi di minare la credibilità dell’Eurozona: “Sarebbe un uso improprio delle clausole di azione collettiva. È un segno di cattiva fede da parte delle autorità”, ha detto, aggiungendo che questo potrebbe motivare gli investitori a preoccuparsi di movimenti simili di altri paesi dell’area euro.

Domani intanto è previsto un incontro tra Juncker e il premier greco Samaras. Quest’ultimo ripeterà al vertice dell’Eurogruppo quello che va dicendo ormai da tempo. Ovvero che Ue e Fmi si assumano la responsabilità di andare avanti nell’attuazione dei loro impegni, perché Atene ha adempiuto agli obblighi. “La Grecia ha fatto quello che doveva e ora i nostri partner, tra cui il Fondo monetario internazionale, continuino ciò che hanno iniziato” ha detto dopo la chiusura dell’Eurogruppo. Aggiungendo che “dal completamento di questo sforzo nei prossimi giorni, dipende non solo il futuro del nostro paese ma la stabilità dell’intera eurozona. Ed eventuali difficoltà tecniche nel trovare una soluzione non giustificheranno lassismi o ritardi”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 21/11/12
Twitter@FDepalo

martedì 20 novembre 2012

Da una terra di migranti una lezione per tutti. Cittadinanza ai nuovi italiani, Catanzaro dice sì

Da una terra di migranti e viaggiatori il progetto pilota per dare corpo e anima a una battaglia di civiltà. Il Consiglio comunale di Catanzaro ha scelto di agire e non di accodarsi, in seguito, a uno scatto legislativo che nel paese ancora manca e ha conferito la cittadinanza italiana ai minori nati in città da genitori stranieri. E farlo in occasione della Giornata dei diritti dell'infanzia ha un sapore diverso. Perché è la cifra di chi anticipa leziosismi e incertezze, di chi concretizza un’esigenza vera, una battaglia di civiltà per un paese ancora poco abituato alle rivoluzioni. Certo, molto più comodo nascondersi dietro la paura dell’altro, del “diverso”, più semplice (perché porta un bel pacchetto di voti) organizzare le ronde, aizzare cittadini sfiancati da crisi e criminalità contro il “nemico” che viene qui “a rubare il lavoro agli altri”. Più difficile, in quanto serve mettersi in gioco nella mente e nel corpo, ragionare senza dogmi su un progetto sociale di ampio respiro. Che interpreti e non subisca passivamente le trasformazioni di un paese e dei suoi abitanti, vecchi e nuovi. Null’altro se non il compito di una politica che prevede e previene, che rende il tessuto sociale migliore di ieri. E fato ha voluto che quello scatto di reni venga oggi da una regione, la Calabria, crocevia di culture e di vite in carne e ossa. Da quando, a guerra di Troia terminata, i reduci di quella curva della storia indietro non tornarono, in una plastica raffigurazione di deserto offerta dal mare aperto. Inteso come nuove e vantaggiose mete, raggiunte tramite la lunga e difficile navigazione, coraggiosa e controvento in nuove acque. Filottete, esiliato dalla propria terra, si diresse a ovest proprio verso la Calabria, dove fondò alcune città fra cui Crotone. Ed erigendo un tempio dedicato ad Apollo Vagabondo nell’attuale Basilicata, che i greci e i cittadini locali ancora oggi chiamano con l’originale nome di Lucania. Lo stesso Agapenore fondò Pafos a Cipro, Guneo di Orcomeno governò la Libia, Idomeneo lasciò Creta e si stabilì nell’odierna penisola Salentina. Mentre Diomede, altro nome che si interseca con il mezzogiorno d’Italia, fondò Brindisi e Benevento. Personaggi, animi nobili: tutti accomunati da una criticità iniziale, che li porta ad affrontare l’ignoto ed aprirsi per giungere al di là. Per sentirsi cittadini in una nuova città, protagonisti altrove. Perché in fondo come ha scritto John Steinbeck «le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone». Si legge nel Manifesto di Ottobre che politica, però, è non solo rappresentazione dell’esistente, ma presentazione dei senza parte, ovvero gli invisibili, «la realtà molecolare e disaggregata degli outsider i cui interessi non contano e non pesano nei rilevamenti statistici o nelle simulazioni dei sondaggi: che non hanno espressione e finiscono schiacciati e confusi nell’area indifferenziata del non voto e della renitenza civile».
 
Per cui il tutto non è sempre e solo spiegabile con lo slogan di “generazione Balotelli”, ma va inteso andando oltre quell’azzeccato spunto. Ragionare su una nuova normativa che permetta ai nuovi italiani di essere tali anche per vie ufficiali e di prendere parte alle consultazioni politiche, e farlo nel momento in cui l’intero impianto di convivenza comunitaria dell’Ue è scosso da un terremoto epocale, avrebbe un doppio vantaggio: da un lato conferirebbe all’Italia uno strumento innovativo di inclusione sociale, con riverberi precisi nelle vite dei singoli e nel tessuto produttivo del paese; dall’altro rafforzerebbe il sentimento tutto italiano, perché patrimonio storico indissolubile, del viaggio come valore aggiunto, della commistione di culture e uomini che rappresenta il peculiare bagaglio di una terra, la nostra, che è un molo naturale messo lì in quel grande lago salato che è il Mediterraneo. E che per troppo tempo è rimasto inerte non intercettando il cambiamento che proprio nel Mare Nostrum si è verificato.
La libertà politica, scriveva Annah Arendt, significa infatti il diritto di essere partecipe del governo oppure non significa nulla. Una partecipazione che chi non dispone di uno strumento imprescindibile come la cittadinanza non potrà mai attuare realmente. Lo sottolineava George Bernard Shaw: «Non aspettare il momento opportuno: crealo». Nel meridione d’Italia qualcuno lo ha fatto. E al meglio.

Fonte: Italiani quotidiano del 21/11/12
Twitter@FDepalo

L’occasione per andare oltre beghe e “localismi”

Uscire da una balcanizzazione asettica, scacciando i fantasmi del provincialismo e delle beghe interne per abbracciare un progetto di ampio respiro e dai connotati il più possibile inclusivi. Il monito del ministro della cooperazione Andrea Riccardi («Sulle piccole beghe non si costruisce nulla») è un invito a riflettere. Senza etichette o codici a barre aprioristicamente identificativi, ma nella consapevolezza che la ricostruzione passa innanzitutto da un approccio “altro” al problema Italia. Sotto le macerie economiche della crisi e politiche di un’involuzione partitica senza precedenti, non può che maturare una proposta diversa e in discontinuità con la frammentazione ideale registrata fino a ieri. Se laici e cattolici hanno trovato una sintesi, stretti attorno alla base di partenza rappresentata dall’agenda Monti (seppure non entità immobile, ma implementabile e migliorabile) che allora la si manifesti apertamente e all’interno di una visione maggioritaria. Che scavalchi provincialismi e visuali ristrette, che abbia la forza centrifuga per bypassare ras locali e diatribe intestine, che affronti a viso aperto e senza titubanze una stagione completamente nuova, dove il fil rouge sia rappresentato da quel famoso mare aperto, più volte richiamato in passato e mai concretizzato.
 
E a chi ancora, stucchevolmente, pone l’accento su differenze e presunte rivalità, forse conviene rammentare che i migliori risultati dell’impegno politico di statisti del calibro di Alcide De Gasperi, che hanno fatto, piaccia o meno, la storia dell’Italia, sono giunti quando si è cementata l’unione tra anime dai percorsi diversi. Che hanno compiuto lo sforzo di parlarsi e intendersi, di scontrarsi per far nascere uno spunto. E in nome di una stagione di pura ricostruzione. Senza farsi distrarre dai centimetri guadagnati da uno rispetto alle posizioni dell’altro, ma ragionando e agendo da squadra vera, sotto l’egida di un «grande disegno che non ammette minute concorrenze».

Fonte: Italiani quotidiano del 20/11/12
Twitter@FDepalo

venerdì 16 novembre 2012

Metti una sera “barricati” nel Politecnico: quando la libertà non è star seduti ad aspettare

Ha scritto Milan Kundera che «la lotta dell’uomo contro il potere, è la lotta della memoria contro la dimenticanza». Ricordare e raccontare, evidenziare e metabolizzare: ovvero contribuire a rafforzare la consapevolezza delle battaglie per la libertà, condotte da braccia e menti. Il 17 novembre del 1973, il Politecnico di Atene fu teatro della rivolta studentesca contro la tirannia della dittatura Greca.

Con il colpo di stato del 1967 Papadopoulos per sette anni era salito al potere. Dopo Yalta, infatti, il controllo politico dell’Egeo spettava per il 70% agli Usa e per il restante 30% ai sovietici. Per questo numerosi gruppi “cospiratori” cavalcarono le tensioni sociali già massicciamente esistenti nell’intera zona. Inizialmente la protesta degli studenti non produsse una reazione da parte del governo, per questo riuscirono a barricarsi negli edifici (ad Atene e a Salonicco) dove iniziarono anche a trasmettere da un’improvvisata stazione radio, ma solo nella zona della capitale greca. Gli slogan professati erano “pane – istruzione –libertà”, “20% della finanziaria per l’istruzione” e “abbasso la giunta”. Il giorno successivo le strade ateniesi si riempirono di cittadini che, incoraggiati dalle iniziative studentesche, si animarono e risposero “paròn” a quel curvone decisivo della storia. Due distinte ma confluenti manifestazioni si snodarono per le strade di Atene, sull’onda delle parole trasmesse da quella radio: «Lo facciamo per la Grecia. Per il suo popolo che vuole stabilire la sua vita, percorrendo la via del progresso e dell’operosità. Presupposto basilare è la caduta della dittatura e il ritorno della democrazia».

Ma dall’entusiasmo si passò presto alla repressione. Nel tardo pomeriggio i primi tafferugli tra polizia e manifestanti, con la folla che in serata prese la direzione del Politecnico, ormai il vessillo di libertà e di rivolta di un paese intero. Scontri, pestaggi, perfino i carri armati per circondare il Politecnico (e a schiacciare i manifestanti) per rappresentare un’icona indissolubile, tra aria irrespirabile dei lacrimogeni e urla della gente intimorita. Barricate, un centinaio di morti, moltissimi feriti, fino al blitz dei militari nel polo universitario da cui gli studenti continuavano a trasmettere messaggi del tipo: «Non abbiate paura dei carri armati, soldati siamo dei vostri fratelli, non diventate degli assassini». Un po’ gli slogan che negli ultimi due anni sono stati sciorinati durante le manifestazioni ateniesi contro il memorandum della troika e contro una crisi che ha distrutto un paese già fragile e socialmente frastagliato. «Di quel brando io ti ravviso al ferir tremendo in guerra, - recita l’inno nazionale greco - ed al guardo che la terra misurar sa in un balen: dalle sacre ossa degli avi qual già un tempo e forte e ardita or risorta a nuova vita, salve, salve o Libertà».

Ricordare oggi quel luogo simbolo, il Politecnico di Atene, e quell’anelito di libertà, dopo trentanove anni, serve non solo a celebrare asetticamente una ricorrenza o una tappa importante della storia. Quanto ad interrogarci sul livello di libertà materiale guadagnata da quel giorno in poi e sul livello di libertà mentale che le società post moderne dicono di avere, ma che poi in concreto non hanno. Perché il nemico che si cela dietro la sicurezza di sguardi fasulli e braccia invitanti non ha più le sembianze di cingoli o cannoni, non più quelle di tute mimetiche o di maschere antigas. Ma è l’immagine stessa di una società che si sta autodistruggendo, che non riesce più a cogliere gli impulsi propositivi, che si accartoccia nelle proprie insicurezza e indecisioni. Che pensa a soluzioni tampone invece che ragionare ad ampio respiro, che ha paura dell’altro quando l’altro è nelle sue stesse condizioni. Che sbaglia e, noncurante di quegli errori, ne commette di altri, più gravi, pericolosi e deleteri. Che cerca riparo bussando alla porta di comici e mestieranti, dopo anni di Pifferai e bugiardi di stato. Che si illude che la piazza o la pancia di un paese possano risolvere questioni ataviche. Che spera che un ipotetico domani possa arrivare senza quello scontro tra pensieri e idee che, come osservava Einaudi, produce il quid.            

«Ho avuto alcune idee folli. Volevo volare come un uccello. Sono salito su un albero e mi gettai in aria e quasi rotto il collo. Poi ho fatto di nuovo, perché ero sicuro che sarei stato in grado di volare». Le parole del noto compositore greco Mikis Teodorakis sono un pugno in faccia a chi rifiuta movimenti e trasformazioni. A chi resta seduto in poltrona mentre fuori c’è un mondo da affrontare e da cambiare, a chi pensa che ci sarà sempre qualcun altro che avvierà un’azione. Come quelli che un’azione l’hanno compiuta, quando nel novembre del 1973 hanno occupato il Politecnico di Atene per dire no a un regime e ad una limitazione ossessiva della libertà, dell’aria che serve a tutte le società, di quell’aria dove può librarsi in volo quell’uccello sognato da Teodorakis.

Fonte: Italiani quotidiano del 16/11/12
Twitter@FDepalo

giovedì 15 novembre 2012

Gli spunti dei padri fondatori per un’Europa federale

“La battaglia che dobbiamo fare – ha scritto Altero Spinelli nel manifesto di Ventotene – è una battaglia di impegno perché ci sia un’Europa vera, un’Europa della democrazia, un’Europa del popolo”. Logos, modus, laos. A distanza di sessant’anni quella consapevolezza verte sull’assunto “trasformarsi per non perire”. E vale, oggi più che mai, per l’Unione che annaspa, le cui criticità finanziarie si stanno tramutando in disordini sociali, in storie drammatiche di vita quotidiana, in incertezza strutturale che coinvolge imprese e cittadini. Per questo motivo invocare a gran voce più Europa, e pungolare le isti-tuzioni a fare di più e meglio, non significa essere antieuropei. Ma più europei degli europei, ricordando a chi tesse le fila del continente che se non tutte le procedure messe in pratica sino ad oggi hanno condotto ai risultati sperati significa che gli spunti di padri fondatori De Gasperi, Spinelli e Adenauer non sono stati attuati con rigore scientifico. O in talune occasioni disattesi.
Pensare ad Alcide De Gasperi significa rapportarsi alla sua politica europeista, condotta in partnership ideale con Robert Schuman e Konrad Adenauer, altri «padri dell’Europa». De Gasperi riteneva che i popoli europei disponessero di un humus comune di valori spirituali e morali. In quegli anni la situazione politica imponeva agli stati singoli di risollevarsi dalle conseguenze drammatiche del secondo conflitto mondiale con azioni concentrate sui propri interessi e sondando il terreno nella speranza di elaborare un rapporto privilegiato con gli Usa. In occasione delle parole pronunciate da Winston Churchill a Zurigo in un celebre discorso filo europeo il 19 settembre 1946, De Gasperi si convinse di un’oggettività: che l’unione continentale fosse l’unica risposta alle deficienze italiane. Ragion per cui instaurò un rapporto diretto con altre entità europeiste come ad esempio il Movimento federalista europeo di Altiero Spinelli, nonostante non mancassero divergenze ideologiche. Passaggio che fu determinante per giungere alla firma, il 4 novembre 1950 a Roma, della petizione popolare per uno Stato federale europeo promossa dall’Unione Europea dei Federalisti.

Proprio Spinelli si rese presto conto del fatto che la battaglia per la federazione europea avrebbe richiesto come prerogativa imprescindibile la strutturazione di un’entità politica ex novo, lontana dai cosiddetti feticci nazionali e dagli steccati delle singole ideologie locali. Fu questo lo spunto che gli consentì di lanciare il Movimento Federalista Europeo a Milano nell’agosto del ’43 e, pochi anni dopo, gettare le basi su una costituente europea che divenne decisiva nelle trattative per far nascere la Comunità europea di difesa (CED). Comune denominatore tra le azioni di Spinelli e De Gasperi quindi fu la consapevolezza federale, vero fondamento per una convivenza tra stati e popoli. Nel rispetto delle singole peculiarità, ma coniugate in maniera unitaria e corale. Dove, volgendo lo sguardo alle macro questioni aperte oggi sul tavolo continentale, è sì imprescindibile il rigore e una visione da “spending review europea”, ma senza sacrificare la solidarietà e i diritti basilari costituzionalmente garantiti; senza dubbio perseguire un sistema di controlli interstatali sotto l’egida della Bce, ma senza svilire i parlamenti nazionali; equilibrare una rete di sostegni e di ammortizzatori europei per quelle realtà in difficoltà, come Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, ma rafforzando i controlli e le discipline attuative; immaginare nuove forme di dialogo con l’est del mondo e con il versante “indiano” dove Cina, India e Corea sono realtà capofila, ma senza relegare in secondo piano la sfera dei diritti umani; assumere la consapevolezza che Europa è Mediterraneo, perché lì ha visto per la prima volta la luce e di conseguenza programmare con lungimiranza e serietà analitica azioni che corroborino i legami con gli stati africani che sul grande lago salato si affacciano; identificare l’Unione anche e soprattutto con una politica estera realmente comune, dove gli stati membri trovino una sintesi sui grandi temi di stretta attualità, dal pericolo iraniano ai nuovi gasdotti, dalla ricerca di energie alternative alla partnership con un Sudamerica che lancia segnali incoraggianti.

In definitiva, lavorare per un’Europa federale si traduce nel rendersi conto che le emergenze europee non vanno affrontate solo quando si presentano, drammatiche e ridondanti come il quasi default ellenico e il contagio dei cosiddetti paesi Pigss. Bensì vanno potenzialmente previste con politiche di ampio respiro e approfondite, che valutino con attenzione scenari e possibili interferenze, intervenendo massicciamente sulle criticità, possibilmente anticipandole, guardando la cultura europea non come uno stucchevole vessillo da issare solo in occasioni di celebrazioni o feste comandate, ma da idealizzare come stella polare di un nuovo e decisivo viaggio. Quegli Stati Uniti d’Europa con sede, perché no, ad Atene. Lì dove tutto è nato, lì dove tutto deve trasformarsi: per non perire.

Fonte: Agenda del 15/11/12
Twitter@FDepalo

Capitalismo, la crisi è proprio lì. Ora serve morire per rinascere

Crisi del capitalismo o grande trasformazione? La domanda potrebbe essere capovolta o, semmai, anche allargata. Perché se il capitalismo così come è stato interpretato e applicato sino ad oggi ha prodotto la crisi che non solo il Mediterraneo ma il mondo occidentale intero sta vivendo, è implicito che per ovviare allo status quo non si può che guardare ad una trasformazione dell'intero sistema. Tentando di ragionare su un'oggettività: si rende necessario un azzeramento, non un restyling, nella consapevolezza che non ci sarà lo spazio per ritocchi bensì servirà una rinascita totale. Sulla questione, tra l'altro, il 16 e 17 novembre si concentrerà una due giorni di analisi e dibattiti presso il Centro Studi Americani di Roma con relazioni di Pierluigi Bersani, Guglielmo Epifani, Nichi Vendola, Paolo Guerrieri, Laura Pennacchi, Edoardo Reviglio, Salvatore Biasco, Christian Marazzi, Roberto Schiattarella, Luigi Ferrajoli, Stefano Rodotà, Giorgio Resta, Daniele Archibugi, Marco D'Eramo, Elena Paciotti, Carlo Donolo, Daniel Gamper Sachse, Claus Offe, Giancarlo Bosetti e Giacomo Marramao.

Ma una riflessione analitica su come proceda il padre del benessere si rende obbligatoria, magari argomentando su più fronti per tentare di dare un minimo di risposte analitiche alle troppe domande che sono sul campo. Da un lato c'è chi, come Luigi Zingales, chiede al capitalismo si farsi “popolare”. Ovvero più puro, sano e meno contorto per favorire i grandi gruppi di potere e null'altro. Quella finanza buona da cui ripartire. Il docente di Entrepreneurship and Finance all'University of Chicago Booth School of Business e autore di diversi saggi, tra cui (con Raghuram G. Rajan), Saving Capitalism from the Capitalists, Random House, New York, 2003 e (con Salvatore Carrubba e Gianpaolo Salvini), Il buono dell'economia- Etica e mercato oltre i luoghi comuni, Ed. Università Bocconi, 2010, in una delle ultime riflessioni su finanza, capitalismo e libero mercato ha più volte sostenuto che lo sviluppo finanziario è da facilitare il più possibile. Il nodo è che oggi quel libero mercato è inequivocabilmente sul banco degli imputati, per questo serve chiedersi: il capitalismo è ancora da salvare? Secondo Zingales quello che abbiamo visto negli ultimi anni è come il potere di alcuni finanzieri abbia distorto il mercato, creando dei danni nel lungo periodo al libero mercato. E si riferisce a una sorta di versione popolare del capitalismo, una base popolare per il libero mercato, che al momento all’Italia manca. Esiste invece negli Usa ma si sta smarrendo, sostiene. É chiaro che affinché un mercato funzioni ha bisogno di un sistema di regole. Secondo l'economista tutti i sistemi  necessitano di una regolamentazione minimale e semplice, il che non esclude a priori il problema fondamentale della regolamentazione che diventa talmente complicata, da divenire preda di blocchi precostituiti. Si pensi ad esempio al doc financial banking negli Usa che nel 1933 era composto da trentasette pagine, oggi quello stesso documento ne conta più di duemila. Certo, il picco di responsabilità sta invece in una regolamentazione distorta come il caso Basilea2, che richiedeva una riserva di capitali per le banche molto più bassa rispetto ai titoli ad alto reddito.
 
E dall'altro c'è chi come Giulio Sapelli sostiene che quindici anni di errori strutturali non si cancellano con un tratto di penna, ma necessitano di un lungo lavorìo. Nella consapevolezza che esistono anche altre tipologia di imprese su cui investire, come quella cooperativa, o la no-profit. Per questo, sostiene, serve «aprire la nostra testa e capire che quello che conta non è la continuità del capitalismo ma la continuità della produzione del capitale». E che l’uomo postmoderno per inaugurare una nuova fase che superi la crisi del capitalismo dovrà ripartire dall’etica. L'ordinario di storia economica alla facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Milano, e autore de Storia della Dioguardi, cultura e vita di un'impresa (Donzelli) ritiene che c'è l'esigenza di produrre una ricchezza sociale che si incardini nello stock dei beni materiali, come case, alimenti, tutte cose che rendono buona la qualità della vita. Ma non è detto che per fare questi stock di capitali debba essere utilizzata solo l’impresa capitalistica. Per questo allude ad altre tipologie di imprese, quella cooperativa, o quella no-profit.
Quale dunque una via di uscita? Si potrebbe pensare, senza timore di apparire sacrileghi, a modelli di società che si interroghino, al loro interno, con se stessi, oggi che il termine risorse fa sempre più rima con scarsezza. Il riferimento è a tessuti sociali fragili, che semplicemente si occupino della crescita di quelle realtà emergenti, mentre invece per quelle più avanzate che oggi si trovano proprio al centro della crisi sistemica, immaginare una sorta di autolimitazione, convivendo con un'oggettiva crescita. Temperata, rispettosa dell’ambiente, della dignità della persona: in una parola, più giusta.

Fonte: Italiani quotidiano del 15/11/12
Twitter@FDepalo

Atene, seimila persone in piazza. Intanto il Pil scivola a -7,2%

La sensazione è che abbiano mollato, che dopo le centomila persone scese in piazza Syntagma giovedì notte quando tra scontri e lancio di molotov il Parlamento greco ha votato il terzo memorandum della troika, non ci sia più nulla da fare. La manifestazione paneuropea contro l’austerity porta nella piazza ateniese Klathmonos poco più di seimila persone – diecimila al massimo, dicono altre fonti – con i sindacati Gsee e Adedy che chiedono di fermare tasse e tagli, per “cambiare qui e ora, la politica senza speranza applicata sulle spalle dei cittadini, per sostituire le politiche neoliberiste e promuovere l’occupazione”.

Una mobilitazione che ha visto incrociare le braccia insegnanti, professori, giudici, trasporti e giornalisti. Piccola consolazione, in occasione delle iniziative in Austria, dove la federazione dei lavoratori ha stampato volantini dal titolo “siamo tutti greci”, distribuiti ai cittadini e ha pubblicato su internet la dichiarazione di sostegno per i lavoratori greci, spagnoli e italiani. Non è stata una location scelta a caso. Platia Klathmonos infatti, piazza delle lacrime, si deve ad una narrazione storica del 1878, “Estia” in cui si dava notizia delle lacrime versate dai quei dipendenti che, non essendo permanenti come oggi, dopo ogni elezione erano licenziati. In precedenza era stata denominata Piazza 25 marzo dal momento che il giardino della piazza divenne il simbolo della rivoluzione ellenica contro il conquistatore turco, e poi Piazza della Repubblica.

Sul fronte debito il direttore generale dell’Istituto Finanziario Internazionale (Ifi), Charles Dallara, durante il suo intervento ad un convegno organizzato proprio ad Atene dall’Unione nazionale delle Banche, ha osservato che “quello che serve alla Grecia è meno austerity e più sviluppo. In Grecia deve cambiare la dinamica dell’approccio al debito, si devono ridurre i tassi d’interesse e il settore pubblico deve assumersi anch’esso parte del costo della riduzione del debito”. Se la Grecia continua con le riforme strutturali iniziate, rileva, non c’è ragione per non credere che l’economia del Paese possa diventare una delle più competitivi in ​​Europa. Definisce i progressi compiuti dalla Grecia in termini di risanamento dei conti pubblici “storici” e ciò grazie ai sacrifici del popolo greco, che, nonostante la stanchezza, ha dimostrato determinazione nel voler ricostruire la propria economia. Più volte viene messo in evidenza che la Grecia ha bisogno di porre maggiormente l’accento sullo sviluppo e meno sulle politiche di austerità. Il paese ha fallito e per questo chiede una proroga, rileva, per raggiungere il consolidamento fiscale. Ma questo non è sufficiente. E indica le cinque priorità attuative che dovrebbero essere seguite: maggiore gradualità fiscale, l’accelerazione degli investimenti pubblici, ulteriore liquidità per sostenere l’adeguamento e l’enfasi sulle riforme, miglioramento nella riscossione delle imposte, riforme del mercato del lavoro. E il commissario europeo agli affari economici Olli Rehn ha aggiunto che nonostante la situazione nell’Egeo sia difficile, “una decisione positiva” sulla tranche di prestiti è resta possibile dagli sforzi compiti da Atene: “La Grecia ha preso di recente decisioni difficili sulle riforme strutturali e sul bilancio del 2013, sforzi convincenti”, anche se resta sul campo una incertezza “di alto livello”.

Nelle stesse ore della mobilitazione europea spicca l’ennesima iniziativa xenofoba del partito di Alba dorata. In una scuola materna di Lefkada, alla vigilia della festa nazionale del 28 ottobre, un’insegnante ha permesso agli studenti durante la celebrazione di disegnare anche bandiere albanesi e di recitare una preghiera oltre che in lingua greca anche in albanese, per via della presenza in quella classe di numerosi scolari albanesi. Il risultato? Insegnante trasferita altrove perché considerata “fuori dal quadro pedagogico”. Infine in conclusione di giornata i dati di Elstat, con la diminuzione del 7,2% rispetto al terzo trimestre del 2011 del pil greco. Non sono numeri da recessione, ma da default.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 14/11/12
Twitter@FDepalo

lunedì 12 novembre 2012

Crisi greca, Atene “esegue” gli ordini, ma resta appesa alla troika

Anche se in ritardo di quindici mesi, forse per la prima volta dall’inizio della crisi greca, la troika può dirsi soddisfatta. Perché Atene, licenziando il terzo memorandum di tagli proposto dai rappresentanti di Bce, Ue e Fmi e approvando il bilancio in Parlamento, ha “eseguito” gli ordini. E giustamente adesso attende che il pool di esperti giunti al capezzale del “malato” Grecia diano il nulla osta all’ennesima tranche di prestiti da 31 miliardi, utile per evitare il crack finanziario.

Le casse dello stato ellenico, come lo stesso premier Samaras ricorda di mese in mese, hanno liquidità ancora per pochissimi giorni. Ma ecco a che a sostegno della Grecia giungono le parole del presidente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker secondo cui il rapporto della troika per i leader europei è “fondamentalmente positivo”, dal momento che “Atene ha mantenuto le sue promesse”.

Un passaggio che smonta, almeno tecnicamente, le resistenze di chi come il ministro tedesco Schaeuble aveva sempre chiuso la porta ad un ulteriore aiuto verso Atene se prima il governo greco non avesse “obbedito agli ordini” della troika. Che oggi sono stati assolti, con tanto di maggioranza governativa incerta, con la protesta popolare che ha portato centomila persone in piazza giovedì scorso e che manifesteranno ancora dopodomani in occasione dello sciopero europeo. Ma che di fatto consente al governo ellenico di confrontarsi con i rappresentanti di Bce, Fmi e Ue con un ruolo diverso e nella consapevolezza di aver svolto il compito richiesto, anche se con conseguenze sociali drammatiche.

Per questo Juncker aggiunge che dal momento che i greci hanno mantenuto le loro promesse, “ora è il nostro turno di mantenere le nostre promesse, ma prima abbiamo bisogno di un chiarimento in merito alla sostenibilità del debito greco”. E sottolinea che proprio in virtù di questo ultimo scoglio non ci sarà nessuna decisione sul versamento della quota nei colloqui di oggi a Bruxelles: “Discuteremo della questione oggi, ma non si può giungere ad una decisione definitiva”, dice ribadendo che i parlamenti nazionali avranno voce in capitolo. Tuttavia ha evidenziato come “sarebbe saggio arrivare oggi a un calendario preciso”, perché il “lavoro preparatorio è stato fatto, e quindi il rilascio della dose dovrebbe essere organizzato nel modo migliore possibile”.

È palese però che ancora all’interno dell’Eurogruppo non ci sia un’intesa sul livello del debito greco nel 2020 affinché possa essere giudicato sostenibile. Ma anche su come andranno equilibrati e ripartiti gli oneri derivanti dalla proroga di due anni che sarà concessa ad Atene. Uno spiraglio che in verità è tratteggiato dal quotidiano Financial Times Deutschland, secondo cui “non ci sarà nessun default della Grecia, né accidentalmente né intenzionalmente”, asserendo che il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha invitato i ministri delle finanze dell’eurozona ad approvare, almeno in linea di principio, l’ulteriore prestito alla Grecia.

E scrive che “dal momento che oggi non vi sarà l’approvazione della rata attesa da tempo, il Paese dovrebbe emettere titoli per coprire i cinque miliardi in scadenza, e questo può avvenire solo se precedentemente la Bce dia il via alle sovvenzioni per aiutare la liquidità delle banche, in modo che le banche possano rifinanziare la Banca di Grecia”. Il quotidiano economico aggiunge che nel corso dell’Eurogruppo di questa sera sarà disponibile almeno una gran parte del rapporto della troika, pur rilevando che, secondo fonti del governo tedesco, il viceministro delle Finanze Steffen Kampeter ha già informato i capi dei gruppi parlamentari del Bundestag che non si svolgerà alcuna riunione d’emergenza del parlamento tedesco sul caso Grecia. Facendo intendere che la decisione potrebbe slittare anche di settimane.

Lo stesso Schaeuble dalle colonne del Die Welt evidenzia come “noi, l’Eurogruppo e il Fondo monetario internazionale vogliamo aiutare la Grecia, ma non vogliamo lasciarci sotto pressione, non siamo responsabili per la pressione del tempo, tutte le parti interessate erano a conoscenza di tale periodo”. E lancia poi una stoccata ai palazzi del potere di Atene quando dice che “il denaro dei contribuenti tedeschi e del governo tedesco garantisce il debito di Atene, ma l’élite della Grecia continua ad evadere le tasse e non partecipa ai sacrifici”. Mostrando il vero nervo scoperto del governo Samaras: ovvero il fatto che le nuove misure sono a totale carico dei cittadini e non investono non solo i super ricchi me neanche la casta politica, la cui riforma sulla non cumulabilità delle pensioni, ad esempio, sarà valida solo per gli eletti da domani in poi, facendo salva la stessa classe dirigente che ha prodotto la voragine finanziaria ellenica.

E aggiunge: “La Grecia ha un problema con l’elite, questo è vero. Certo è fastidioso quando molti greci ricchi non pagano le tasse. Ma non si facciano illusioni: non si potrà certo consolidare il Paese con le tasse di pochi facoltosi. Per recuperare la competitività, servirà un processo doloroso e un necessario aggiustamento globale, che comprende tutti i settori, influenzando la gran parte della popolazione. Questo è doloroso, questo è in parte sbagliato, ma in alcuni casi è certamente connesso con il dolore e la sofferenza e richiede il nostro rispetto e la compassione. Ma – conclude – è un processo inevitabile”. Sul tema si confronteranno domani a Bruxelles Samaras e il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, per valutare i progressi fatti dalla Grecia.

Infine secondo un sondaggio condotto da Kappa Research, al di là dei partiti preferiti se si dovesse votare oggi (Syriza al 23,1%, Nea Dimokratia al 20,4%, Alba dorata all’11% e Pasok al 7,5%) colpiscono le risposte di natura economica. L’86,3% degli intervistati dichiara infatti di avere una situazione finanziaria che da “difficile” si fa “molto difficile” e ammette di risparmiare ormai in vari settori come intrattenimento (87,2%), shopping (86%), elettrodomestici, carburante per benzina e gasolio da riscaldamento (64,5%) mantenendo solo le spese assolutamente necessarie, comprese quelle per l’istruzione dei propri figli e dei costi sanitari.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 12/11/12
Twitter@FDepalo

La Grecia fa i compiti per avere i soldi dalla Troika (divisa)

I compiti a casa? Da ieri sono ufficialmente fatti. In tre giorni il Parlamento greco licenzia il terzo memorandum della troika e la legge di bilancio, approva il taglio da 18,8 miliardi di euro (sino al 2016), sperando così di convincere la troika che entro ventiquattr´ore dovrebbe ultimare il report, propedeutico alla concessione del prestito ponte da 31 miliardi. In assenza del quale il Paese dichiarerebbe ufficialmente un crack che, nei fatti, si è già verificato. Con 167 voti favorevoli e 128 contrari la Camera approva il taglio a stipendi, pensioni, indennità, welfare e sanità, oltre alle privatizzazioni per cinquanta milioni di euro (un quinto del valore di mercato delle società pubbliche), al taglio di 45mila dipendenti statali entro due anni (i primi duemila già dal prossimo gennaio) e all´innalzamento dell´età pensionabile da 65 a 67 anni. Passaggio che ha scatenato la protesta popolare e dei sindacati, non solo con i centomila in piazza Syntagma dello scorso giovedì con la guerriglia urbana inscenata contro le forze dell´ordine, ma con altre 48 ore di manifestazioni che sfoceranno mercoledì con lo sciopero europeo, in contemporanea con Roma, Madrid, Parigi, Lisbona, Valletta e Nicosia.

Le divisioni nella Troika
Il primo ministro conservatore, Antonis Samaras, ha detto che come il Paese "ha fatto ciò che doveva e ciò che la comunità internazionale chiedeva, adesso aspettiamo che altri facciano ciò che hanno promesso". Mentre le opposizioni di sinistra insistono sul fatto che quella della troika è una cura sbagliata che, anzi, ha peggiorato nei fatti la situazione del "malato" Grecia. E secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano To Vima oltre l'85% dei greci si trova ad affrontare difficoltà finanziarie, mentre già da un anno un quarto della popolazione vie con settecento euro al mese. Ma il nodo, al momento, è tutto interno alla troika: dove mentre da un lato l´Eurotower insiste per raggiungere un accordo, il Fondo Monetario Internazionale continua a non credere alla capacità del Paese di tornare a crescere. Con una sorta di derby di strategie tra Bruxelles e Washington sul debito greco del 2020.

L´idea di Juncker
Deciso a creare un calendario fisso per l'erogazione della tranche alla Grecia sembra però essere Jean-Claude Juncker che si è detto "colpito" dagli impegni assunti da Atene, sottolineando che "sarebbe saggio arrivare a un calendario preciso per la dose, dal momento che il lavoro preparatorio è stato fatto". Il presidente dell'Eurogruppo ha inoltre dichiarato che, nonostante gli obblighi greci siano stati fissati ufficialmente e per legge, non ci sarà nessuna decisione prima del report dei rappresentanti di Bce, Ue e Fmi.

Come la stampa mondiale vede la Grecia
Della questione si occupa oggi tutta la stampa mondiale. La Bbc titola: "I legislatori greci approvano i nuovi tagli", dando conto delle proteste di massa che hanno accompagnato il "sì" del parlamento ellenico, non solo quindi i centomila scesi in piazza giovedì scorso quando per soli due voti il terzo memorandum della troika ha visto la luce. Ma anche i diecimila cittadini di ieri, e scrive: "Il nuovo bilancio greco prevede la peggiore recessione del paese nella sua storia moderna". Il riferimento è al fatto che il debito dovrebbe raggiungere il 189% del Pil nel 2013 per questo il leader dell'opposizione Alexis Tsipras giudica la cura della troika "pericolosa e controproducente" e sulla gestibilità del debito rileva che "solo la signora Merkel ci crede".

Le Monde invece titola: "La Grecia adotta nuovo processo di austerità per il 2013" e Le Figarò sottolinea "la rabbia e fatalismo, a fronte di tagli dei salari e delle pensioni per 125.000 dipendenti pubblici entro il 2016, di privatizzazioni e dello shock per l'economia più aperta". E cita il professore di economia Gikas Hardouvelis che sottolinea come "Ue e Fmi devono decidere quale sarà il futuro a lungo termine della Grecia". Perché "quanto più il tempo passa tanto più il debito greco sarà sempre meno sostenibile".

Fonte: Formiche.net del 12/11/12
Twitter@FDepalo

sabato 10 novembre 2012

Crisi Grecia, la disperata mossa di Samaras per evitare il default

La domanda se l’era posta il Financial Times tedesco (“il mal di testa dei cinque miliardi di bond”), e la risposta del premier Antonis Samaras arriva a stretto giro. La Grecia emetterà titoli di Stato a brevissimo termine per rimborsare i 4,1 miliardi di bond in scadenza il 16 novembre ed evitare così un default sul debito. La decisione disperata del primo ministro ellenico, considerati i tassi di interessi che saranno applicati, è anche figlia del fatto che nelle ultime ore si è allontanata la possibilità che l’Eurogruppo sblocchi la tranche di aiuti da 31 miliardi il 12 novembre, così come ipotizzato inizialmente e nonostante il parlamento abbia licenziato in una seduta fiume le misure richieste dalla troika. Atene metterà in asta bond a uno e sei mesi per un totale di 3,125 miliardi di euro (i maligni dicono a condizioni capestri). E anche perché i leader della zona euro non sono riusciti a superare le loro differenze con l’Fmi su come ridurre il debito crescente greco. Il nuovo ritardo spinge in Grecia a rischio default ecco il perché della mossa di Samaras. Tuttavia, in conformità con i funzionari coinvolti nei negoziati (forse domenica notte in contemporanea con il voto sul bilancio dello stato arriverà il report finale della troika), le posizioni degli istituti di credito europei su quanto grande deve essere la riduzione del debito greco e soprattutto su chi ne sosterrà il peso, sono ancora lontane da quelle del Fondo monetario.

Secondo un funzionario della Bce citato dal quotidiano finanziario l’Eurotower resiste sul rimborso e spinge tutte le parti per raggiungere un accordo. Ma il pollice in giù resta quello da parte dell’Fmi, che non crede alla capacità del paese di tornare a crescere, inoltre gli importi da riscuotere dalle privatizzazione di 50 miliardi di euro (denaro che verrà riutilizzato per ricapitalizzare il sistema bancario greco) sono ben lontani dall’essere disponibili, in quanto chi compra cerca di farlo al ribasso. Il risultato? Una netta differenza tra di vedute tra Bruxelles e Washington sul debito greco del 2020, (diletta fra il 5 o 10% del Pil). Per questo i negoziati sono ancora in una fase molto complessa in quanto l’Fmi insiste sul fatto che il debito greco dovrebbe essere ridotto al 120% del Pil nel 2020, mentre la Commissione europea sta cercando di rilassare il target di riferimento, raggiungendo il 125% del Pil nel 2022. Secondo fonti comunitarie se i negoziatori dovessero essere costretti ad accettare la posizione del Fmi, i paesi della zona euro potrebbero registrare perdite sui prestiti concessi alla Grecia. Un dato che avrebbe conseguenze politiche precise, come dimostrano già le reazioni reiterate del parlamento tedesco e di quelli del versante nordico dell’Ue.

L’auspicio a questo punto, scrive il Financial Times, è che le misure di riduzione del debito siano limitate alla riduzione dei tassi sui prestiti da 150 punti base (1,5 punti percentuali) a 80 punti base (0,8 punti percentuali) per consentire ai titoli greci un riequilibrio, essendo stati comprati a prezzi inferiori al loro valore nominale. Allo stesso tempo i funzionari europei lasciano aperte due questioni. In primo luogo garantire un download automatico come clausola di diritto a nuove misure, e in caso di eventuali discrepanze nell’esecuzione del bilancio e di conseguenza alleggerendo il carico sui gruppi a basso reddito; in secondo luogo, la consultazione in corso sulle caratteristiche del conto speciale su cui andranno versati gli aiuti. A questo punto, scrivono oggi molti commentatori attenti alle sirene finanziarie della City e di Wall Street, l’approvazione del memorandum con soli due voti in più del necessario non è garanzia di stabilità per un esecutivo che al suo interno potrebbe essere scalfito da “terremoti” politici o giudiziari.

Inoltre i funzionari del ministero delle Finanze stanno valutando attentamente anche le parole di chi, nel continente, non conta poi tanto poco come il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble che ventiquattr’ore fa aveva detto: “Ho paura che la prossima settimana sarà troppo presto per prendere una decisione sulla Grecia”, cambiando di fatto le regole del gioco e facendo assumere all’Eurogruppo del 12 novembre prossimo il ruolo di un ennesimo test per il ministro delle Finanze, Yannis Stournaras, che in verità all’uscita del Parlamento dopo il voto era sembrato tra i meno entusiasti del governo. E anche Bloomberg ha scritto che gli aiuti alla Grecia “saranno ritardati di diverse settimane”.

Certo è che sono in molti a scommettere che quella di Samaras sia l’ultima (e rischiosissima) mossa, attuata in attesa che la troika ultimi il suo step di valutazioni prima di terminare la missione ad Atene e magari, come qualcuno teme, replicarla a Nicosia, Madrid o Lisbona. “Non si può ignorare il rischio per la stabilità sociale dai tagli” scrive nell’editoriale di oggi il Financial Time tedesco, secondo cui quando si inizieranno ad applicare le nuove misure in una fase di perdurante recessione alte saranno le possibilità di ribellione sociale. “Le anime del paese sono affilate e ogni nuovo pacchetto le spinge più in profondità verso la disperazione”. E ancora, “la Grecia è in caduta libera e l’atmosfera diventa sempre più radicale”. Azzardando l’ipotesi di caos interno nel paese già dal prossimo gennaio a causa dei tagli a stipendi e pensioni. Allo stesso tempo sul New York Times si legge che “la Grecia ha bevuto la cicuta” e se da un lato il Parlamento greco ha fatto ciò che doveva fare, dall’altro non si possono ignorare le terribili conseguenze di un “no”, ma al contempo non si può respingere la minaccia alla stabilità sociale causata da questi tagli. Aggiungendo che quasi tutto il pacchetto di austerità è stato “provato prima ed è fallito miseramente, per questo i Greci hanno perso la fiducia in un sistema politico che non è riuscito a proteggerli dalla rovina finanziaria”. E conclude. “Abbiamo il sospetto che molti dei creditori sanno che la risposta non è più solo nell’austerità, fino ad ora non contestata dal leader della più forte economia europea, la cancelliera tedesca”.

Ecco allora tornare alle parole del Financial Times, quel “rompicapo” che sta togliendo il sonno a tutte le cancellerie europee: perché i conti proprio non tornano. E se Berlino ha già chiuso ad altri strappi per trattenere obtorto collo la Grecia nell’eurozona, Mario Draghi annuncia che è disposto a fare sforzi supplementari per alleggerire la situazione di Atene. Che significa addebitare il gravoso fardello ad altri governi della zona euro.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 9/11/12
Twitter@FDepalo

giovedì 8 novembre 2012

Grecia, i sacrifici per il terzo prestito della Troika. Ma la Casta è salva


Adesso arriva il difficile. Sono le prime parole del premier conservatore Antonis Samaras all’uscita dal parlamento ateniese dopo il voto che, per soli due sì, ha dato il via libera alla misura (la terza in tre anni) della troika che comporterà tagli da 18,5 miliardi di euro entro il 2016, per ottenere l’ennesimo prestito ponte da 31 miliardi, ma salverà le pensioni della casta ellenica, dal momento che i tagli saranno per coloro che saranno eletti alle prossime elezioni.

Mentre su piazza Syntagma si stava spegnendo la guerriglia urbana che ha portato a violenti scontri tra i centomila manifestanti e le forze dell’ordine, con lancio di molotov e gas lacrimogeni, poco prima di mezzanotte una maggioranza risicatissima (servivano 151 sì) fa passare i desiderata di Bce, Ue e Fmi con 153 voti a favore, (conservatori e socialisti), contrari 128 (le opposizioni di Syriza, comunisti del Kke, Indipendenti di destra, Alba dorata e Verdi), e 18 astenuti. Ovvero i deputati del Dimar di Fotis Kouvellis, nell’occhio del ciclone, dal momento che da un lato sostengono la maggioranza di Samaras e Venizelos (con la velata promessa per il leader della sinistra democratica di essere promosso vicepremier) dall’altro non hanno votato in aula. Hanno votato “no” anche alcuni deputati della maggioranza, tra Nea Dimokratia e Pasok e sono stati subito espulsi dai due partiti, come il presidente della Camera ha annunciato un minuto dopo la votazione.

Sette le fughe dal campo del “sì”: Kozani, Kasapidis Koutsoukos, Bolaris, Gerekou, Kassis e Skandalidis. La seduta del parlamento ellenico è durata 14 ore e più volte interrotta non solo dall’acceso dibattito in un’aula trasformata in un vero e proprio bazar, ma anche a causa della votazione per appello nominale sulla costituzionalità del memorandum (respinta) invocata dal Syriza di Tsipras, dal momento che il piano incide sui diritti costituzionali dei lavoratori. Attimi di tensione quando il deputato del Syriza Lafazanis ha preso la parola urlando contro lo speaker della Camera dal momento che all’esterno del parlamento manifestavano anche i dipendenti della Camera stessa che saranno interessati dai tagli, con una carenza di personale proprio all’interno dell’Aula al momento di verbalizzare i voti. Hanno votato, anche se non presenti e in virtù di un non meglio precisato articolo 70 comma A, anche quattro deputati sottosegretari che erano in missione all’estero. Per tutta la durata della votazione sui social network si è scatenata la solidarietà degli altri cittadini europei (francesi, spagnoli, italiani, portoghesi) ai centomila manifestanti che si trovavano in piazza Syntagma, eletta simbolo di resistenza e che sarà luogo ideale per la mobilitazione europea del prossimo 14 novembre quando sciopereranno in contemporanea tutte le altre capitali “Piggs”.

Ma ecco cosa prevede il pacchetto approvato: via tutti i bonus extra per pensionati e dipendenti statali; pensioni giù del 25%, al pari degli stipendi speciali (meno 27%) per polizia, magistratura, militari, personale medico degli ospedali statali, docenti universitari, diplomatici; licenziamento di 45mila statali in tre anni (i primi duemila già entro gennaio); eliminazione della previdenza sociale sostituita da una sorta di indennità calcolata in base al reddito; innalzata fino a 67 (di due anni) l’età pensionabile, abolite le pensioni di parlamentari e autorità comunali ma solo quelli eletti d’ora in poi, facendo salva la casta che fino a oggi ha governato e che continuerà ad usufruire del cumulo di più pensioni; un piano di privatizzazioni che sta facendo discutere dal momento che un gigante pubblici come l’Opap (il totocalcio ellenico) che ha un giro d’affari da 300 milioni annui, è stato messo sul mercato per appena cento milioni di euro. E che ha provocato la dura reazione anche da parte del mondo culturale del paese.

Questa mattina il celebre compositore Mikis Teodorakis dal canale privato Antenna si è scagliato contro una “classe dirigente inetta che ha svenduto il paese”, mentre “non una parola hanno speso sui giacimenti di petrolio, di metano e di oro che abbondano in Grecia, da Creta alla penisola calcidica e di cui nessuno si è occupato con una politica veramente nazionale”. Alludendo al fatto che quelle risorse saranno da oggi in poi ad appannaggio del “conquistatore straniero”. E se il premier ribadisce che la Grecia con quel voto ha fatto “un grande e decisivo passo verso la guarigione”, Teodorakis replica che il passo conduce invece verso il baratro. E domenica notte si replica: all’ordine del giorno il voto sul bilancio dello stato.

Fonte: Il Fatto Quotidiano dell'8/11/12
twitter @FDePalo

martedì 6 novembre 2012

Sotto l’ombra del Partenone, gli interessi e i conflitti dell’informazione greca

Bobolas, Alafouzos, Lambrakis. È il triangolo dell’informazione ellenica, la stessa che sta facendo un lungo sciopero proprio nei giorni caldi precedenti il voto sull’ultima manovra lacrime e sangue per far fronte alle richieste della Troika, che poi sono anche stati quelli dei processi ai colleghi che hanno rivelato scottanti documenti. Quella dei tre magnati che di fatto da più di mezzo secolo sono sul ponte di comando della nave Grecia. Loro per primi hanno differenziato gli investimenti e che, non da oggi, controllano stampa e canali televisivi greci, oltre ad aver fatto business in altri campi come le grandi opere, le telecomunicazioni, lo sport. Anche grazie ad una legge sul conflitto di interesse poco rigida che almeno fino al 2009 (l’anno in cui è esplosa la crisi al centro dell’Egeo) ha consentito una fortissima mescolanza tra pubblico e privato.

Iorgos Bobolas ha interessi nell’edilizia, nell’energia, nei media e nei programmi di difesa. Inizia come un semplice progettista, ma ben presto la società di costruzioni Aktor si evolve in Ellaktor, fino all’ingresso nelle telecomunicazioni con lo storico giornale di famiglia Ethnos. Fonda la Pegasus Publishing, che possiede il canale televisivo Mega Channel, la piattaforma satellitare Nova (film e sport h24), oltre a numerosi altri periodici e il 49% del casinò di Parnitas. Mega Channel fu fondata nel 1989 assieme agli imprenditori Tegopulos, Vardinoyannis (patron della squadra di calcio ateniese del Panathinaikos), Lambrakis, Alafouzos, e fu la prima azienda dotata della licenza per operare come stazione televisiva privata, un po’ la sorella minore di Canale 5. Ma nel 2009, dopo anni di attesa, il Parlamento greco approvò la prima timida legge sui blind trust che impediva all’azionista di maggioranza di un gruppo televisivo di partecipare alle gare di appalto per le grandi opere pubbliche. Per questo cedette le sue quote maggioritarie, si dice, per almeno cento milioni di euro. Quindi fonda la società DOL, un’azienda a conduzione familiare in cui Bobolas controlla solo l’11,23%, mentre due dei tre figli, Fotis e Maria, hanno in mano rispettivamente 27,28% e il 34,4 per cento. Il restante 27%, (12,6 milioni del totale di 46,8 milioni di titoli) sono in mano a investitori privati. La società è stata quotata alla Borsa di Atene nel marzo 2000 al un prezzo vicino a 10 dollari per azione.

Aristides Alafouzos fa rima con Skai, una vera e propria macchina da guerra mediatica con canale all news, radio, casa editrice, oltre a quotidiani e periodici, il cui 75% è nelle mani del figlio Ioannis. Ma il magnate originario della splendida isola di Santorini non inizia come editore puro, bensì da imponente armatore ed è il primo in Grecia a intuire le risorse che si possono ottenere diversificando il business. Nasce nel 1924 a Oia da una famiglia di armatori, suo padre commercia dal mar Nero all’Egeo, e ben presto si trasferiscono a Odessa. A metà degli anni Cinquanta, complice il terremoto che devasta l’isola di Santorini, spostano la sede operativa del gruppo ad Atene. Il risultato è sei compagnie di navigazione, (sotto l’ombrello della società Argonautis che opera con le controllate Shell Sea, Sea Pearl Enterprises, Zenith Maritime, Corporation Bigael, Kyklades marittime), una grande flotta mercantile, una società di costruzioni.

E poi la passione di tutti i paperoni dell’Acropoli: la grande stampa. Possiede il quotidiano Kathimerinì, l’unico greco con una versione on line in inglese, le stazioni radiofoniche Melody e RED 96,3 oltre a numerose partecipazioni in altre imprese, che fanno di Alafouzos la famiglia più potente del Paese. Un sodalizio marittimo, quello con l’oriente per quanto riguarda la fabbricazione di navi, che gli ha consentito nel 2009 di ottenere un’onorificenza molto rara per un cittadino occidentale: ha ricevuto dall’imperatore del Giappone Akihito la Medaglia dell’Ordine del Sol Levante. Molto fa discutere la partnership con l’imprenditore Vangelis Marinakis, proprietario della squadra di calcio dell’Olympiacos Pireo (per via del business delle scommesse sportive Bwin) e un’accusa in passato per contrabbando di carburante.

E poi c’e l’eredità di Xristos Lambrakis, scomparso due anni fa, che fu il padre della prima azienda editoriale ellenica ad essere quotata alla Borsa di Atene. Possiede i principali quotidiani To Vima, Ta Nea. Attraverso la società Dol Digital controlla il maggiore portale nazionale (www.in.gr) e partecipa alla Vima fmradio. Controlla direttamente distribuzione e vendita della stampa su tutto il territorio nazionale, fino ai passaggi intermedi come trasporto e imballaggio, attraverso la società Argos. Con la controllata Studio Ama produzione televisiva partecipa al canale Mega. Il prestigioso teatro ateniese Megaro Mousikì, fa capo al suo gruppo industriale.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 6/11/12
Twitter @FDepalo

Se la crisi, oltre lo spread, aumenta anche i bavagli...

C’è un uso politico della crisi economica per limitare il perimetro della libertà personale? Dopo gli arresti di due giornalisti in Grecia e il licenziamento di altri due nella televisione di stato si avverte l’esigenza di verificare in generale, sulla base dei dati della cronaca politica greca, se la criticità finanziaria possa essere l’anticamera ad una ben più grave deficienza democratica. Anche in Italia, dopo Silvio Berlusconi, non si parla più di partecipazione ma solo di spread, come confermano anche le ultime note di cronaca sul caso Fiat, dopo la sentenza di riassunzione dei licenziati. Lecito chiedersi: si tenta di comprimere la sfera dei diritti? Si sta insinuando, silenzioso e sotterraneo, il germe della stratificazione mentale certificato da una situazione di emergenza che si sta prolungando nel tempo? Quale il rapporto tra il default economico e quello dei diritti? Si staglia, vicino e insinuoso, il crack di quell’insieme di conquiste che con fatica si sono raggiunte nel corso del Novecento? Se così fosse avrebbe dunque ragione il filosofo Jacques Ranciere, che parla di regime non democratico ma più esattamente di stato oligarchico di diritto.

Nella Grecia quasi fallita arrestano Kostas Vaxevanis, il giornalista che sul suo settimanale Hot Doc pubblica la lista Lagarde, l’elenco che l’attuale numero uno del Fmi ha inviato nel 2010 per via diplomatica con i nomi e gli importi di illustri evasori. Ma nessuno chiede ai due ex ministri greci che hanno ricevuto quell’elenco come mai non lo abbiano protocollato e non abbiano preso provvedimenti in merito. Lo stato chiede conto a un libero cittadino di un suo precipuo diritto, la libertà di informare e di essere informato, ma non muove un dito contro quegli amministratori che non hanno impedito di silenziare quelle notizie. Che rappresentano un doppio danno: un mancato introito economico per l’erario, dal momento che quei denari sono stati portati fraudolentemente fuori dai confini nazionali; e una limitazione della libertà personale dei cittadini di venire a conoscenza di quei fatti. Se non è questo un punto di rottura evidente e conclamato, tra principi democratici schiacciati dalla crisi economica, cosa altro è? 
Il secondo si chiama  Spiros Karazaferris, dell’emittente radiofonica Art, fratello di Iorgos, leader del partito nazionalista del Laos, arrestato davanti all’ambasciata israeliana con le modalità di un film di spionaggio: strada sbarrata e manette al cronista che ha in seguito accusato un malore, data l’età non più verde. Motivazione ufficiale un debito che ha con lo stato per tremila euro di tasse non pagate, ma in realtà pochi minuti prima durante l’ultima trasmissione aveva detto di essere pronto a diffondere documenti che proverebbero come i dati sul default ellenico siano stati alterati, al fine di ottenere dalla troika più danari per ricapitalizzare le banche. E che aveva ottenuto quei riscontri dal gruppo di hacker Anonymous, che quattro giorni fa aveva attaccato il server del ministero delle Finanze, diffondendo analisi e mail scambiate da Atene con i rappresentanti di Ue, Bce e Fmi.
 
Il pensiero di Rancière si articola intorno a due capisaldi come police e politica. Sul primo rileva che altro non è se non il disciplinamento dei corpi, in base al quale alcuni corpi sono direzionati per nome in una data dimensione o funzione. Mentre definisce la politica un'attività antagonista alla prima, che in qualche misura è sinonimo di vita mentale: sposta un corpo dalla sua originaria posizione, produce un dissenso, mettendo in evidenza la pura anarchia su cui giace ogni gerarchia. Arrivando a ragionare sul fatto che la politica dovrebbe contenere il seme della ricostruzione ma a patto che il demos svolga un ruolo primario. Ciò che oggi non si avverte in quanto emerge il cosiddetto vizio originario di una libertà intesa come vuota proprietà. Un passaggio che si intreccia con il pensiero della Arendt quando teorizza che la politica non è occuparsi degli uomini ma occuparsi insieme agli altri delle cose del mondo. A patto di non limitarne le libertà.
 
Fonte: Italiani quotidiano del 6/11/12
Twitter@FDepalo

lunedì 5 novembre 2012

Ecco perchè la Grecia è già fallita

Seguire il denaro, prescriveva Giovanni Falcone. Perché è il “pan” delle indagini e andando a ficcare il naso in conti correnti e somme ingenti ci si avvicina non poco alla verità. Qualcuno sta pensando di ritardare di due anni il fallimento della Grecia che, comunque vada, ci sarà, assieme a quello del concetto stesso di Unione, attuata fino ad oggi da chi ha tradito gli spunti dei padri fondatori. A un prezzo altissimo. Chi e perché sta spingendo per uno stato di “polizia bancaria europea”? Nella consapevolezza che i sacrifici chiesti ai greci (e non solo a loro) non servono al miglioramento delle condizioni di vita dei singoli, ma solo a ripristinare la “flora batterica” delle banche che tornano a respirare: ma a quali condizioni? Seguire il denaro è la chiave. Per capire, ad esempio, chi ha freddato a Bruxelles Nicholas Mockford, il numero uno della Exxonmobil, la più grande compagnia petrolifera del mondo; o per capire quali e quanti reati ha commesso Silvio Berlusconi secondo i giudici milanesi; o per tentare di ricostruire le ricandidature degli attuali cento e più deputati, fra Camera e Senato, con la fedina penale non illibata.
E il denaro è anche il metro per tradurre in lingua comune il biennio di crisi ellenica. Dove la troika ha imposto l’ennesimo taglio da 13 miliardi, con riduzioni di salari, pensioni, welfare, dipendenti pubblici. Senza di contro comprendere cosa ne sarà di un paese già in default all’indomani dell’attuazione di questo terzo memorandum. Dove si stanno imponendo salari “bulgari” a un popolo che poi deve fare i conti con prezzi “milanesi”. L’iva al 23% è un salasso e lo si scorge dal carrello della spesa ellenico (ma anche italiano) che progressivamente nell’ultimo biennio si è svuotato di carne e pesce, per riempirsi di pasta e cibi più economici. Con il paradosso che, se fino a qualche anno fa ci si doleva per gli sprechi nella pubblica amministrazione, oggi si apprende che un docente universitario prende mille euro di stipendio, un poliziotto settecento e un impiegato cinquecento. Seguire il denaro: il disegno di legge del governo greco in inosservanza dei desiderata della troika taglia cinquemila dipendenti statali a trimestre nei prossimi tre anni, falcia le pensioni ma solo quelle del ceto medio, aumenta tutte le spese per così dire pubbliche, dai costi per sostenere una causa in tribunale alle bollette dell’acqua e della luce, dalle tasse automobilistiche alle assicurazioni, dall’imu all’abolizione di sgravi fiscali per invalidi e grandi nuclei familiari. Ovvero per ottenere un’altra tranche di prestiti ponte da 31 miliardi che saranno sufficienti forse solo per una manciata di mesi, il paese dovrà subire: abrogazione della presenza di un legale per fusioni superiori a centomila euro; privatizzazioni per le autostrade e il totocalcio ellenico (l’Opap, che ha un fatturato di 300miliardi annui sarà regalato a 200); eliminazione di tredicesima e quattordicesima per le pensioni; età pensionabile portata da 65 a 67 anni; decurtazione per le pensioni da 1000 a 1500 euro del 3%; per quelle da 1.500 a 2.000 euro del 5%; da 2.000, meno 12%; riduzione degli ammortizzatori sociali per disoccupazioni (sussidio sceso a 200 euro da 500 e operativo dal dodicesimo mese in poi).

Seguire il denaro: come quello che sarà riversato nel Peloponneso, (primi 28 milioni già con il via libera del governo) per costruire un tracciato di Formula 1 (si finanziano bolidi mentre la mutua non ha sodi per le carcinopatie), o come le quattro aree adibite allo stoccaggio di rifiuti solidi da realizzare nel 2013 per più di un miliardo di euro. E che saranno messe in atto guarda caso da aziende tedesche. Seguire il denaro: come la clausola del memorandum della troika secondo cui Atene non può che essere aiutata che da Fmi, Bce e Ue. Per dirne una, se domani la Cina o la Russia volessero “acquistare” il debito ellenico ciò sarebbe loro precluso. O come la famigerata lista Lagarde, che l’attuale direttore del Fondo monetario internazionale quando era ministro delle finanze francese, ha inviato ai governi di Grecia, Spagna e Italia per via diplomatica: con l’elenco completo di chi ha evaso (nomi che scottano), portando fior di milioni fuori dai confini nazionali. Ma di cui oggi ad Atene i due ex ministri delle finanze Papaconstantinou e Venizelos dicono di non sapere nulla, aggiungendo che quel cd, in caso esistesse, non è stato da nessun funzionario protocollato. Seguire il denaro: come le Olimpiadi elleniche del 2004, costate tre volte il previsto, con l’ombra di scandali miliardari come le presunte tangenti Siemens.
Giorni fa lo ha certificato anche la Reuters: «Non vi è alcuna possibilità di ridurre il debito greco al 120% del PIL entro il 2020». È oggettivamente acclarato che la Grecia è fuori strada anche per una cura che forse ha allargato le maglie di quel buco. Seguire il denaro, prescriveva Giovanni Falcone. Il che porta dritto alle banche, le uniche che grazie alla troika lo avranno. Perché la gente comune, ormai, non ne ha più.

Fonte: Gli Altri settimanale del 2/11/12
Twitter@FDepalo