domenica 30 dicembre 2012

Tra l’etere del Cav. e la rete di Grillo, la politica ritrovi la sua “favella”


E se tra l’invasione televisiva del Cav. e l’opprimente presenza in rete di Grillo ci fosse finalmente il ritorno alla favella della politica? Se anziché spellarsi le mani tra talk show e interviste pilotate, o tra petizioni on line e cinguettii qualunquistici, si provasse ad ascoltare voci dal vivo e idee ragionate? Non un mero ritorno ai comizi di piazza, con urla e promesse da buontemponi. Bensì il tentativo di uscire dalla logica perversa di contenitori che non hanno contenuto, che si preoccupano delle pareti e delle infrastrutture piuttosto che di riempire quel vuoto atavico di contenuti e obiettivi. Un ragionamento (o forse un’esigenza) che parte da una premessa: non è sufficiente armarsi contro il nemico spread e basta. Nei sessanta giorni che separano il Paese dalle urne la politica biancarossaeverde ha l’occasione per riappropriarsi di un nuovo glossario, per non accomodarsi sul generico senso comune, ma proporre un nuovo vocabolario della cosa pubblica.

Come? Abbandonando gli istinti brutali e i luoghi comuni, abbracciando senza ipocrisie un alfabeto civile, rilanciando con cognizione il significato e il riflesso delle parole della politica. Il pensiero va subito a tre parole/concetto. Res publica, con alla base l’idea aristotelica dell’uomo come animale politico. Partecipazione che, come osserva Jacques Rancière in “Dieci tesi per la politica”, non è l’esercizio del potere, ma il modo di agire specifico messo in atto da un soggetto con una razionalità propria. Diritti e libertà politiche: con in primo piano un ragionamento serio e ponderato su immigrazione, autodeterminazione e libera interpretazione della cittadinanza attiva. Tre punti di partenza che dovrebbero essere coniugati in azioni concrete, in pietre miliari di agende e programmi. 

Ma a patto di farlo con proposte concrete e non con pur lodevoli intenzioni o con meno nobili promesse. Se ad esempio fosse più chiaro come tutte le forze politiche intendono perseguire la lotta alla criminalità, la salvaguardia dei cervelli nostrani, l’abbattimento della spesa pubblica, lo sviluppo della green economy e del comparto Ict non sarebbe proprio una cattiva idea.

Fonte: Formiche del 30/12/12
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sabato 29 dicembre 2012

Il “no, grazie” dell’Europa ai rubli salvacrisi di Putin

E se l’Europa ritardasse il salvataggio di Cipro per paura di salvaguardare i capitali degli oligarchi russi depositati nell’isoletta occupata da 50mila militari turchi? Gli echi dell’eurocrisi non si sono affatto spenti dopo il vertice continentale di qualche settimana fa, che ha di fatto chiuso i conti con Atene (ma per quanto?). Perché un’emergenza ben più grave è scattata a qualche centinaio di miglia più a est, dove il rischio default si fa minacciosamente vicino. Perfino il capo dell’eurogruppo Jean Claude  Juncker lo ha ammesso pubblicamente: “Nicosia peggio della Grecia” per via degli istituti bancari prossimi all’insolvenza. E intanto mentre Standard & Poor’s ha tagliato per Cipro il rating a CCC+ da B con prospettive di un nuovo taglio, i servizi tedeschi certificano in un report che l’isola offrirebbe riparo a circa venti miliardi di euro di denaro sporco proveniente direttamente da Mosca, curiosamente il medesimo importo che servirebbe per ricapitalizzare le banche. Ragion per cui la Germania frena sui prestiti da inviare proprio a Cipro. E l’Europa si mostra attendista nei confronti dei rubli di Vladimir Putin, circa tre miliardi di euro che il presidente russo si è detto pronto a versare immediatamente per salvare gli istituti bancari in enorme difficoltà, ma registrando proprio un “no, grazie” continentale.

Una partita che, da economica, si fa anche geopolitica e soprattutto di riposizionamenti futuri post crisi. In Grecia Putin ha di fatto già avviato una sorta di colonizzazione commerciale, avviando trattative per inserirsi nel business dell’agroalimentare, e dei nuovi giacimenti di gas metano presenti nell’Egeo e nella penisola Calcidica. Inoltre sta premendo per realizzare un’infrastruttura che gli consenta su rotaie di far giungere le merci russe fino al porto del Pireo, dove da alcuni anni opera la piattaforma logistica leader nel settore mondiale, la Cosco Cina. Una serie di movimenti che non sono piaciuti né a Berlino né all’ormai ex segretario di stato americano Hillary Clinton. Ma Putin non molla e monitora attentamente anche “le evoluzioni” dell’accordo siglato un anno fa tra Nicosia e Tel Aviv per lo sfruttamento delle risorse energetiche nel tratto marittimo tra i due paesi, che tanto ha disturbato la Turchia, pronta a minacciare non solo l’Unione Europea ma anche i partner commerciali dei due paesi.

L’impressione è che il prossimo eurogruppo del 21 gennaio 2013 sarà delicatissimo, dal momento che all’ordine del giorno non ci sarà solo il dossier dedicato alle banche europee in apnea. Ma anche (o soprattutto)  le ripercussioni politiche di diverse scelte commerciali ed economiche, come ad esempio la rinuncia degli Usa agli aerei italiani dell’Alenia, o la fornitura americana ad Ankara di 117 missili per gli F-16, passando per la decisione tedesca di posizionare due batterie di missili Patriot al confine turco-siriano.

Fonte: Formiche del 28/12/12
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Grecia, nella lista Lagarde figlie e generi dell’ex ministro Papacostantinou

Lista Lagarde, spuntano quattro nuovi nomi nell’elenco degli evasori che hanno portato fuori dalla Grecia svariati miliardi di euro: sono le figlie e i rispettivi mariti dell’ex ministro delle Finanze socialista Iorgos Papaconstantinou, lo stesso che in occasione di audizioni ufficiali in Parlamento aveva dichiarato di non sapere dove fosse la lista e di non averla fatta protocollare. Per questo il governo francese aveva provveduto a rispedirla ad Atene in un apposito file diplomatico. All’interno del quale ecco affiorare la “scoperta”: Papacostantinou espulso dal Pasok, e commissione per incriminarlo operativa già dal prossimo lunedì. Il portavoce dell’esecutivo Simos Kedikoglou, rispondendo alla domanda di un giornalista sulla proposta del leader del Dimar Fotis Kouvelis di incriminare l’ex ministro, ha annunciato che il governo è d’accordo con la proposta di condurre indagini penali in merito. Le quattro persone, i cui riferimenti erano stati rimossi dalla prima lista, sono presenti nel famigerato elenco con 1,2 miliardi di dollari. Il procuratore generale che indaga sull’accaduto, Peponis, ha confermato che il file giunto da Parigi contiene in totale 2062 nominativi con i rispettivi movimenti da Atene alla filiale svizzera della Hsbc.

La Lista era stata inviata per il tramite dei servizi segreti due anni fa dall’allora ministro delle Finanze francese Christine Lagarde, ma negli ultimi ventiquattro mesi l’unico che aveva fatto luce su nomi e cifre era stato il giornalista investigativo Kostas Vaxevanis, che nello scorso ottobre l’aveva pubblicata sul settimanale che dirige, Hot Doc. E per questo era stato arrestato e processato per direttissima, attualmente ancora in attesa dell’appello. Nella lista figurano nomi altisonanti dell’industria e della politica ellenica, come l’editore Bobola, l’imprenditore Marinopoulos, oltre ad armatori e primari.Di recente alcuni quotidiani ellenici hanno sostenuto che all’interno fosse presente anche Margareth Papandreou, madre dell’ex primo ministro socialista Iorgos, con 500 milioni di dollari, oltre ad altri personaggi di spicco della politica. 

Quella che è già stata ribattezzata la Tangentopoli greca, con cifre da far impallidire la “nostra” maxitangente Enimont, tocca trasversalmente il 90% della politica ellenica, tranne Tsipras (Syriza), Papariga (Kke), Kammenos (Indipendenti) e Michalioliakos (Alba dorata). Intanto Papaconstantinou in una nota ufficiale continua a negare qualsiasi coinvolgimento nello scandalo, e definisce i nuovi nomi frutto solo di speculazioni e manomissioni. Dice: “Dichiaro categoricamente di non essere legato ad alcun conto della lista, di non essere intervenuto in alcun modo sui dati di cui ho fatto richiesta e che ho ricevuto dalle autorità francesi e non di non avere alcuna idea se persone della mia famiglia vi siano incluse”. Ma intanto il capo del suo partito, il Pasok, ha deciso di espellerlo e nel comunicato ufficiale cita “chiari indizi derivanti da un’inchiesta della procura. Esiste quindi un grosso problema riguardante le responsabilità di Giorgos Papaconstantinou perché è colui che ha gestito la vicenda nel modo peggiore possibile”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 28/12/12
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venerdì 28 dicembre 2012

Grecia, la casta si tutela. Vietati cumuli delle pensioni, ma a partire dal 2013

Da un lato 46mila pensionati greci (giustamente) scandagliati dal fisco perché sospettati di essere “abusivi”. Dall’altro la casta ellenica che si salva ancora, approvando sì la nuova legge che impedisce il cumulo di più pensioni, ma a valere solo per coloro che saranno eletti dal 2013 in poi, preservando di fatto gli attuali deputati e ministri. È il controsenso made in Greece dove, lontano dai riflettori della troika ormai tornata alle rispettive sedi, sta andando in scena l’ennesima tragedia dell’assurdo con i cittadini chiamati a rispettare una legge che vale, però, solo per loro. E nel giorno in cui il Paese intero è scosso da due notizie: la morte di una donna di 32 anni, bruciata viva dopo uno stupro a Xanthi (nel nord della Grecia) e la stima della Banca centrale di Grecia sul fabbisogno per ricapitalizzare il sistema bancario nazionale, ovvero 40 miliardi.

Il ministro del lavoro Vroutsis, presentando la rete “Arianna” che controllerà tasse e cittadini, annuncia che il prossimo 28 febbraio scadrà il termine per il censimento delle pensioni greche legalmente pagate e versate negli anni. Ma già da qualche giorno si ha notizia che sono stati identificati ben 45.991 casi di ricezione illegale di pensione. Ovvero lo Stato ha corrisposto per errore o per truffa l’importo. Il dato è emerso dopo una serie di controlli incrociati che hanno riguardato pensionati defunti i cui familiari continuavano a percepire quell’assegno, per un danno complessivo all’erario di 320 milioni di euro annui. In un settore che già ha pagato un dazio elevatissimo, con circa 800 milioni stimati fra truffe e raggiri. Due mesi fa lo aveva pubblicamente denunciato il direttore dell’Ika (la mutua) Spyropoulos, con centinaia di casi. Come quelli registrati ad esempio nell’isola tanto casa a Foscolo, Zacinto, dove il sindaco Stelios Bozikas ha definito il sistema “completamente marcio”, con 107 pensioni di invalidità (su 350 residenti complessivi) conferite a non vedenti che, invece, ci vedevano benissimo.

Una casistica sulla quale, da quando gli emissari della troika hanno imposto funzionari europei insediati in tutti i ministeri di Atene, si stanno puntando massicce attenzioni, rivelando un sistema clientelare e di truffa alla pubblica amministrazione con numeri imponenti. Altro caso il tentativo di frode contro l’Organizzazione Nazionale del Turismo Greco, utilizzando una falsa fattura di una società di servizi, per un valore 147.600 euro. Secondo una nota ufficiale del viceministro delle finanze Staikouras, è stato costituita una speciale commissione di controllori finanziari della Ragioneria Generale dello Stato, che si impegna a controllare proprio l’ente turistico. Nell’occhio del ciclone è finito l’ex segretario generale, Karahalios, indagato non solo per quei 147mila euro ma soprattutto nell’ambito del buco complessivo dell’ente (l’Eot), che ammonta a dodici milioni di euro. Ma mentre la casta pretende legittimamente il rispetto della legge dai cittadini, di contro non compie un passo indietro circa benefici e agevolazioni. 
Già detto dei vitalizi salvati a tutti quei politici eletti fino al novembre del 2012, spicca un altro capitolo della nota vicenda legata alla lista Lagarde, lo scottante elenco degli illustri evasori ellenici che ieri è ufficialmente agli atti del Parlamento dopo che dalla Francia lo hanno inviato nuovamente, dal momento che i due ex ministri delle finanze, Papacostantinou e Venizelos, avevano dichiarato in audizione in commissione crimini finanziari della Camera di non averla fatta protocollare, suscitando l’indignazione dell’opposizione (il partito radicale del Syriza guidato da Alexis Tsipras) oltre che di quei pochi media che della lista si erano occupati, come il direttore di Hot Doc Kostas Vaxevanis, arrestato due mesi fa proprio per averne pubblicato una copia. 

La Lista è stata consegnata dai procuratori Karpouzi e Mouzakitis al Parlamento, che l’ha affidata a un comitato di tre membri, i quali sostengono che sia completamente diversa da quella che è stata divulgata due mesi fa. Come dire che i nomi giunti in questi giorni ad Atene e che hanno viaggiato sotto la massima segretezza da Parigi, sotto forma di file, potrebbero essere addirittura di più di quelli inizialmente preventivati con depositi miliardari nella banca elvetica Hsbc e tra i quali spiccava quello di Margareth Papandreou, mamma dell’ex primo ministro socialista, presente con 500 milioni. 

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 28/12/12
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Crisi greca: sicuri che il peggio sia alle spalle?

Facciamo un gioco. Si prenda la crisi greca e la si scomponga analiticamente, pesando nel merito provvedimenti e ricadute sulla vita quotidiana di cittadini e conti pubblici: che panorama viene fuori? La Grecia che ha strappato l’ultimo mega prestito da 40 miliardi di euro si appresta a chiudere un annus horribilis, dal momento che non è dato sapere se la cura della troika sanerà definitivamente il malato grave ellenico. Per ora gli emissari di Ue, Bce e Fmi hanno fornito nuove direttive, tagliato stipendi e pensioni, introdotto nuove tasse, aumentato quelle già esistenti, senza toccare però né i grandi patrimoni né i privilegi della casta. E gli undici milioni di cittadini? Disoccupazione record al 26%, senzatetto in costante e progressivo aumento ad Atene, Salonicco e Patrasso, ceto medio quasi scomparso, soglia dei diritti costituzionalmente garantiti che si assottiglia sempre più, tanto da provocare l’attenzione dell’Onu e delle ong come Medici senza frontiere, pensioni cumulabili della casta salvate per gli eletti fino allo scorso novembre. Quanto basta per ragionare a mente fredda su quale Grecia esca da questo 2012. Il Paese è stato salvato, come le sue banche e il suo debito riacquistato: ma a che prezzo?
 
Secondo il Ministero della Pianificazione nel 2013 saranno 25.000 i dipendenti pubblici da mettere in mobilità nei primi tre mesi. Un numero che verrà ottenuto “pescando” in quattro settori: il riassetto delle strutture e dei servizi dei ministeri che dovrebbero scendere del 50%; la creazione di standard amministrativi da applicare alle strutture di altri enti pubblici, come i comuni, gli ospedali, i fondi pensione, le università e gli enti pubblici; la fusione o la soppressione di enti e organizzazioni; il censimento analitico di tutti i dipendenti pubblici. Un provvedimento necessario che non fa una grinza, d’altronde di dipendenti pubblici ce n’erano troppi in Grecia, come, per dirne una, all’Alitalia. Ma come mai non si è provveduto a tassare, ad esempio, gli armatori, o quei grandi gruppi industriali che proseguono in macroscopici ed imbarazzanti conflitti di interessi? Fino a quando premier e ministro delle finanze non risponderanno a questo quesito, a nulla serviranno le rassicurazioni del tedesco Schaeuble sul fatto che “il peggio è passato”. Semplicemente perché quel peggio (purtroppo) deve ancora venire.

Fonte: Formiche del 27/12/12
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giovedì 20 dicembre 2012

Grecia, umiliazione ultimata?

Il terzo memorandum della troika, con i numerosi decreti attuativi, arriva ad Atene proprio alla vigilia delle festività natalizie: in lingua inglese e senza possibilità di modifica alcuna. Che significa? Che la controparte greca che lo subisce dovrà soltanto tradurlo in greco e apporvi una firma. Più che altro per una mera presa visione, come fatto dai trecento deputati che d’altronde lo hanno votato un mese fa senza riuscire a leggere tutte le ottocento pagine di quel provvedimento che vide la luce alla mezzanotte di una lunga giornata di scontri su piazza Syntagma. C’è chi in Grecia parla di “umiliazione completata” con questa ultima formalità. Chi invece lo saluta come un nuovo giorno per il paese che, in assenza dei denari di Fmi, Ue e Bce, non avrebbe potuto pagare stipendi e pensioni. Certo, senza risorse non è possibile immaginare una prosecuzione per alcuna entità, fisica o materiale. 

Ma questo che si sta chiudendo, oltre ad essere stato un annus horribilis per l’Ellade, è l’anno zero per una rinascita che stenta a concretizzarsi, come testimoniano le previsioni sul debito. Ieri alcune scuole in Macedonia hanno dovuto chiudere i battenti per il freddo: non avevano la possibilità di acquistare il propellente per i termosifoni. Si calcola che l’evasione fiscale nel paese sia pari a ventotto miliardi di euro. I senzatetto aumentano a vista d’occhio e adesso anche organizzazioni prestigiose come Medici senza Frontiere programmano interventi in Grecia. Nelle stesse ore mentre nella sede americana del Fondo Monetario Internazionale, come riporta il Washington Post, è andato in scena un brindisi luculliano, per le strade ateniesi sciopero generale di 48 ore con cittadini, lavoratori e imprenditori che non ne hanno più. E che hanno esposto uno striscione che non necessita di commenti.
 
Fonte: Formiche del 20/12/12
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mercoledì 19 dicembre 2012

Il dialogo euromediterraneo per nuovo ecumenismo

Nell’enciclica Ut unum sint Giovanni Paolo II scriveva che  “l’ecumenismo, il movimento a favore dell’unità dei cristiani, non è soltanto una qualche appendice, che s’aggiunge all’attività tradizionale della Chiesa. Al contrario, esso appartiene organicamente alla sua vita e alla sua azione e deve, di conseguenza, pervadere questo insieme ed essere come il frutto di un albero che, sano e rigoglioso, cresce fino a raggiungere il suo pieno sviluppo. Così credeva nell’unità della Chiesa Giovanni XXIII e così egli guardava all’unità di tutti i cristiani”. Un punto di partenza interessante per allargare l’ambito delle priorità che una politica comunitaria lungimirante dovrà per forza di cose attuare come nuovo proposito per il 2013, senza dedicarsi elusivamente a spread e mercati, ma tornando a pianificare una serie di interventi in diversi ambiti altrettanto rilevanti. E rafforzato dalla consapevolezza che il bacino Mediterraneo nell’ultimo scorcio dell’anno, vive nuovamente momenti di forte tensione in aree come Siria, Israele, Egitto. Criticità che andranno affrontate con strumenti più efficaci ma anche con una consapevolezza diversa: questo è il momento per investire massicciamente sul dialogo interreligioso, per isolare i frazionismi legati al fanatismo e contribuire al raggiungimento di un equilibrio.

Un’occasione per instaurare un dialogo che travalichi divisioni e diatribe del passato si ritrova nell’isola di Cipro, divisa dal 1974 quando, in risposta a un colpo di stato greco, i militari turchi la invasero e lì vi restarono occupandone abusivamente quasi la metà della superficie. E autoproclamandosi Repubblica Cipro del nord, riconosciuta solo da Ankara, ma né da Onu né dall’Ue. Dopo il tentativo vano del piano Annan nel 2004, dal nome del leader delle Nazioni Unite, le trattative per una forma morbida di riunificazione si sono arenati, complici le distruzioni perpetrare al patrimonio artistico in loco. Ma un nuovo elemento di speranza potrebbe essere rappresentato dal viaggio che Papa Benedetto XVI ha realizzato a Cipro nel giugno 2010. Quando, nonostante tra Vaticano e Chiesa Ortodossa non vi fossero particolari rapporti, il Santo Padre scelse di visitare quello che è stato definito “l’ultimo muro d’Europa”, per via del muro divisorio che solca ancora la capitale Nicosia. Tra l’altro il viaggio è stato al centro del recente volume “Un Papa a Cipro” realizzato dall’ambasciatore cipriota presso la Santa Sede George Poulides, in cui il diplomatico (che è primo Ambasciatore residente della Repubblica di Cipro presso la Santa Sede, Ambasciatore Rappresentante Permanente della Repubblica di Cipro presso le Organizzazioni delle Nazioni Unite a Roma, e primo Ambasciatore della Repubblica di Cipro presso il Sovrano Militare Ordine di Malta) racconta un viaggio nella cultura e nella storia di un Paese che è stato visitato per la prima volta nella storia da un Papa, Benedetto XVI. Come sottolinea il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, nella prefazione “Benedetto XVI a Cipro ha realmente voltato pagina su un decennio, il primo del XXI secolo, segnato dalla violenza e che, sull’altare dello scontro di civiltà, ha sacrificato risorse tanto ingenti da lasciare il mondo occidentale avvitato in una crisi economica con la quale dovremo misurarci ancora per anni. Da quell’isola il Papa ha spinto tutti a guardare con speranza al decennio che si apriva”.

Un tema sul quale si è soffermato lo scorso 19 novembre a Napoli il Convegno Nazionale dei Delegati diocesani per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso su "La nuova evangelizzazione e l'ecumenismo". In occasione del quale è stato posto l’accento sul ruolo del dialogo all’interno dei movimenti “tellurici” della storia. Un passaggio che Mons. Andrej, Vescovo di Remesiana (Serbia), ha sintetizzato così: “Oggi l’ecumenismo non dovrebbe perdere quest’occasione per partecipare ai processi dei cambiamenti storici. Poco a poco sparisce la fiducia nel fatto che il continuo progresso tecnologico possa risolvere da solo, attraverso la scienza e la tecnica, tutti i problemi del mondo e creare ordine nella società. In un processo di globalizzazione sempre più veloce con tutte le sue conseguenze negative e le ripercussioni sulla cultura e moralità della società moderna, gli uomini sono sempre più bisognosi di un senso di vita universale e delle radici spirituali nella comunità in cui vivono”.

Ecco che accanto a tematiche strategiche come le politiche economiche e le direttive legate ai bilanci degli stati membri, un auspicio per il 2013 è che vi sia un raccordo anche sul dialogo interreligioso, ma non inquadrandolo all’interno di un’ottica limitata solo ai diversi credi. Bensì come strumento di convivenza pacifica tra popoli e culture.

Fonte: Agenda del 19/12/12
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martedì 18 dicembre 2012

Con Marco Panella si torni a parlare di giustizia. Quella vera…

Diceva Enzo Tortora che giustizia è sinonimo di pulizia democratica. Quell’humus comune in cui si rispecchia la civiltà di un Paese. Oggi assistiamo purtroppo ad un uso di quella grande tematica solo per fini elettorali, circostanza che non solo ne sminuisce la rilevanza, ma la relega a “cosa privata” dell’imputato Berlusconi contro la Procura di Milano. Un errore macroscopico a cui le altre forze politiche dovrebbero riparare, quanto prima e con determinazione. Un ragionamento che acquista ancora più valore nel settimo giorno di sciopero della fame di Marco Pannella per ottenere l’amnistia e il diritto di voto dei detenuti, iniziativa che il leader radicale prosegue nonostante l’allarme lanciato dai medici sul suo precario stato di salute. Ma che offre la cifra di quanto la tematica della giustizia sia stata completamente abbandonata a se stessa per troppi anni.

La campagna elettorale è l’occasione per cui potere politico e magistratura hanno l’opportunità di re-investire in quella straordinaria opportunità che si chiama parola, scambiandosi idee e non accuse, proposte invece che recriminazioni, percorsi comuni anziché minacce. E farlo all’indomani della candidatura del Cav. è un obbligo morale per un paese troppo spesso sordo e pigro. Come sarebbe utile, dunque, che questi due mesi fossero caratterizzati non solo da dibattiti e spunti su come abbassare lo spread o su come stimolare la ripresa, ma anche su come snellire il sistema giudiziario farraginoso che c’è in Italia, come introdurre la tecnologia nei processi, come non tagliare risorse e strumenti alle forze dell’ordine, come sanare leggi ad personam del passato. Nella consapevolezza che la certezza del diritto vale per tutti, quindi un giusto processo, con un ragionevole durata e affrontando il nodo degli errori, come il caso Tortora deve far tenere ben presente nelle menti di addetti ai lavori e non. Il rischio della campagna elettorale entrata ormai nel vivo è che si lasci a Berlusconi il “monopolio” della giustizia. Sono trascorsi pochi giorni dalla sua ri-discesa in campo ed eccolo già a sproloquiare contro la magistratura, la procura di Milano e i complotti contro di lui. Mentre la giustizia italiana e la sua imprescindibile riforma è un tema che riguarda tutti i cittadini, non solo l’ex premier. 

Proprio in questi sessanta giorni che ci separano dalle urne, diventa strategico trattare la macro questione delle regole di una comunità e di come applicarle con il rispetto che si deve, per tutti gli attori in causa: per i magistrati, per i cittadini, per le istituzioni e per la legge. Ed entrando nel merito delle singole decisioni e delle proposte future. Il tutto al fine di individuare il limite selvaggio che esiste tra giustizialismo e garantismo, per affrontare veramente i nodi della questione, per valutare il peso specifico della giustizia, ma senza l’assillo di trovarsi in un fortino perenne perché l’interesse privato si mescola torbidamente con il pubblico. Bensì specchiandosi l’uno nell’altro: e ricominciando finalmente a dialogare con franchezza. E stando attenti a non farsi trascinare dall’onda berlusconiana che porta via con sé tutto ciò che trova lungo la sua strada. Semplicemente perché la giustizia in Italia riguarda milioni di cittadini, non solo nani, ballerine e Olgettine.

Fonte: Il Fondo del 18/12/12
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lunedì 17 dicembre 2012

Effetto crisi in Grecia: dopo gay e musulmani, minacciati i reporter

“Voglio vivere in un mondo senza scomunicati, – scriveva Pablo Neruda – voglio che si possa entrare in tutte le Chiese e in tutte le tipografie”. Chissà cosa penserebbe oggi il Nobel per la letteratura cileno osservando i rigurgiti xenofobi che si moltiplicano nella culla della civiltà. Nella Grecia devastata dalla crisi c’è chi prende a catenate in faccia gli immigrati, chi propone un’associazione di Medici “con” frontiere, chi vorrebbe disseminare di mine antiuomo i confini nazionali. Come se lo scatto anti immigrazione potesse da solo risolvere trentennali problemi di malapolitica o far rifiorire una società che si sta drammaticamente chiudendo nel suo stesso odio. Ma tra mille e più penne genuflesse ai desiderata del potente di turno, che sia teleguidato dalla vecchia casta o minacciato dalle ronde di questi nazisti del terzo millennio, ce n’è una in Grecia che ha detto no. Si chiama Xenia Kounalaki, ed è autrice di un’inchiesta sul partito xenofobo greco di Alba Dorata. Nonostante le minacce ricevute non ha accettato di smettere di scrivere come le aveva suggerito anche la polizia. “Io vengo da una famiglia greca immigrata negli anni Sessanta in Germania – racconta la giornalista che ha ricevuto a Firenze il Premio Internazionale ISF per la Libertà di Informazione – Quindi ho una sensibilità particolare sul tema dell’immigrazione e sul modo in cui gli immigrati sono trattati”.

Ma come ha potuto uno spaccato di società mediterranea e tradizionalmente accogliente come quella ellenica, volgere lo sguardo in quel cono di violenza e restare così ammaliata da un movimento che brandisce spranghe e bastoni? La retorica xenofoba, riflette Xenia, è diventata “rilevante nel linguaggio ufficiale del Governo, dei due principali partiti, era popolare esprimersi contro gli immigrati. Questo linguaggio che dovrebbe essere marginale è invece diventato pian piano una comunicazione di primo piano, cosicché è stato facile per Alba Dorata radicarsi nella società, lentamente”. Ecco che la sottovalutazione di un disagio comune come la crisi economica nel paese da parte della politica che si dice democratica, oggi si è trasformata in urla roboanti da chi allestisce mense per poveri greci (e solo per loro), da chi minaccia e distrugge le bancarelle degli stranieri nei quartieri di Atene e Patrasso, e incita alla violenza da uno scranno in Parlamento. Ma non sono solo gli immigrati gli obiettivi degli adepti di Alba dorata: omosessuali, musulmani e anche giornalisti. Una troupe della tv di stato Ert pochi giorni fa è stata aggredita perché era riuscita ad avvicinansi ad una ronda che minacciava i commercianti stranieri nei sobborghi ateniesi.

Xenia non si è tirata indietro e ha ultimato la sua inchiesta. Spiega che il primo articolo che ha scritto “è la ragione per cui sono stata minacciata: era dedicato al modo in cui i giornalisti dovrebbero trattare questo partito, bloccarlo fuori dalla vita pubblica, non dovrebbe essere menzionato, mostrato in televisione, perché è totalmente assurdo parlare con persone che ammirano Hitler e si ispirano alle sue posizioni antisemite”. Il partito ha reagito minacciandola, sul sito di Alba dorata è comparso un articolo con dettagli anche personali, la sua età, i nomi e i volti dei suoi familiari. E con l’ultima frase in lingua tedesca che recitava: “Guardati le spalle, noi ti seguiamo”. Ma la giovane reporter ha terminato quel pezzo e l’ha pubblicato: contro il razzismo del terzo millennio.

Fonte: Formiche del 17/12/12
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Eurocrisi, ora su Atene è pronta a intervenire Medici Senza Frontiere

Forte recessione, disoccupazione al 26%, seicentomila persone che non hanno accesso alle cure sanitarie. I numeri e le notizie che arrivano ogni giorno da Atene parlano chiaro: la spirale debiti-tagli-aiuti ha fatto della Grecia un territorio che, più che di Bruxelles, sta diventando sempre più di competenza delle grandi organizzazioni umanitarie internazionali. Quelle, cioè, che sono tradizionalmente attive nel cosiddetto “sud” del mondo, mentre nel “nord” operano prevalentemente a sostegno dei migranti o con campagne di sensibilizzazione e raccolta di fondi per poter operare. E’ il caso di Medici Senza Frontiere (Msf),  la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo creata da medici e giornalisti in Francia nel 1971 che per missione “fornisce soccorso umanitario in più di 60 paesi a popolazioni la cui sopravvivenza è minacciata da violenze o catastrofi dovute principalmente a guerre, epidemie, malnutrizione, esclusione dall’assistenza sanitaria o catastrofi naturali”, come ricorda il sito italiano dell’associazione che sottolinea che “in tutti i paesi in cui Msf è operativa, sono in corso una o più crisi: guerre, epidemie, malnutrizione, esclusione dall’assistenza sanitaria o calamità naturali”.

Categorie che riguardano anche la Grecia, specialmente ora che il terzo memorandum siglato con i creditori internazionali rappresentati dalla Troika ha stabilito il taglio di risorse miliardarie nel comparto sanitario (meno 40%). Ma questo è solo l’ultimo dei mali di Atene. Prima dei creditori “istituzionali” sono arrivati i privati come le multinazionali del farmaco che hanno interrotto l’invio degli antitumorali al Paese in attesa del di 24 mesi di pagamenti. E ancora, sempre sul fronte sanitario, c’è il caso delle cento e più farmacie chiuse perché pignorate e dei farmaci per il malati di hiv che nella regione dell’Attica sono ormai introvabili. 
Una situazione arrivata a un punto tale che, accanto ai soccorsi ai migranti e ai rifugiati che entrano in Europa attraverso i confini greci, Medici Senza Frontiere sta ora “valutando altri interventi che rispondano a esigenze mediche ancora insoddisfatte all’interno dei gruppi vulnerabili di Atene”, come spiega Apostolos Veizis, il Responsabile Medico dell’Unità Operativa di Msf di supporto nella capitale ellenica. “Forte recessione economica, disoccupazione che ha raggiunto il 26%, seicentomila persone che non hanno accesso alle cure sanitarie”. Apostolos li conosce a memoria i numeri che hanno indotto l’organizzazione a intervenire, dopo aver risposto alla situazione di emergenza di persone senza fissa dimora con un intervento di emergenza in febbraio e aver avviato progetti di sostegno ai “migranti e rifugiati in vari punti di arrivo” con un progetto a sostegno delle autorità sanitarie greche che era stato lanciato nel marzo 2012 nel sud Peloponneso in risposta alla ripresa della malaria in Grecia, dopo quasi 40 anni in cui non se ne sentiva più parlare.

Intanto, però, dove prima c’era la normalità, ora sono sempre più i soggetti emarginati e indifesi: senzatetto, tossicodipendenti, malati di mente, alcolisti. Inoltre povertà, disoccupazione e mancanza di sostegno sociale si sommano ai pesanti tagli di bilancio in tutti i settori. Il risultato è una “paralisi delle autorità sanitarie nell’affrontare gravi problemi di salute pubblica. Esempi sono l’epidemia di hiv tra i consumatori di droghe, ben il 1500% in più, la mancanza di screening per la tubercolosi attiva nella popolazione ad alto rischio, o la manipolazione politica dei problemi legati alla salute. Msf – aggiunge – ha ripetutamente sostenuto la necessità che il governo greco affronti i rischi per la salute pubblica sul serio”. Ma le criticità non finiscono qui. Un numero crescente di persone in Grecia ha praticamente perso l‘accesso ai servizi sanitari, in tutto o in parte. Alcuni hanno perso il godimento di copertura sanitaria attraverso il debiti contratti o la disoccupazione. Altri cittadini, nonostante abbiano diritto a una copertura completa, si scontrano con le deficienze del Servizio sanitario nazionale. “Gli ospedali pubblici si trovano ad affrontare la crescente domanda con budget ridotti e personale stressato, le farmacie richiedono pagamenti anticipati per i farmaci. I fondi di previdenza sociale e lo Stato hanno sospeso i pagamenti per un lungo periodo”. Chi paga la crisi allora? “Anziani a basso reddito, giovani coppie, famiglie monoparentali, senza fissa dimora, le persone con problemi di salute mentale, tossicodipendenti, migranti e persone a loro carico, i disoccupati. Questi sono i più a rischio”.

Ma oltre alle criticità strettamente legate ai desiderata della Troika, ci sono anche quelle che Apostolos definisce “barriere”. Ovvero le difficoltà di accesso ai servizi sanitari, per cui molti cittadini non utilizzano i servizi per la salute, a meno che non ne abbiano urgente bisogno. L’introduzione di tariffe all’utenza è una prima barriera, si pensi al servizio telefonico per prenotare le visite specialistiche alla mutua che ha un costo di quasi due euro al minuto. “Un altro segno di declino del sistema sanitario del Paese – prosegue – è la rottura della catena di approvvigionamento farmaceutico. I tagli del governo hanno portato a carenze di molti farmaci in giro per Paese”.

Insomma, l’eurocrisi sta portando alla luce dati ed emergenze concrete che stanno modificando anche il quadro analitico da parte delle stesse ong, che stanno scegliendo di monitorare con attenzione non più solo le “classiche” aree critiche ma anche i paesi cosiddetti piigs. E alle provocazioni del partito neonazista e xenofobo di Alba dorata, Veizis replica che il lavoro di Msf si basa sui principi umanitari dell’etica medica e dell’imparzialità. “Forniamo un’assistenza medica di qualità alle persone in crisi a prescindere dalla razza, religione o appartenenza politica”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 17/12/12
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Atene, deputato di sinistra aggredito allo stadio da membri di Alba Dorata

Era allo stadio per guardare con suo figlio la partita di calcio dell’Aek Atene quando lo hanno aggredito in tre, definendosi membri di Alba dorata. Il deputato del Syriza Dimitris Stratoula è stato picchiato con pugni e calci al volto domenica pomeriggio. Condotto nell’infermeria dell’impianto sportivo se la caverà con alcuni punti. Poche ore dopo lo stesso parlamentare appartenente al partito della sinistra radicale guidato dal giovane Alexis Tsipras ha raccontato che tutto è accaduto in brevissimi istanti durante l’intervallo della gara di campionato tra Aek Atene e Atromitos: “Tre individui mi hanno riconosciuto e sono venuti verso di me, definendosi membri di Chrisì Avghì e dicendo che mi avrebbero ucciso”. Un centinaia di persone presenti lo hanno soccorso, anche se qualche testimone arriva a dire che gli agenti della Polizia allo stadio non sarebbero intervenuti prontamente. Una spirale di violenza inaudita, la definisce l’aggredito che, dopo l’intervento chirurgico che gli ha suturato le ferite, si è recato personalmente al presidio di polizia dello stadio per denunciare il fatto e descrivere le caratteristiche dei suoi aggressori. Secondo fonti del ministero degli Interni sarebbe già in stato di fermo uno dei tre e condotto alla centrale di Maroussi per l’interrogatorio.

Le reazioni. Il partito del Syriza si è rivolto attraverso le vie ufficiali al Ministro dell’Ordine Pubblico, Dendias e al capo della polizia greca. Chiede l’arresto immediato e il perseguimento penale dei colpevoli. “La tolleranza verso i fascisti e l’organizzazione di Alba dorata – fa sapere n una nota – conduce a piangere vite umane e catalizza rischi per la democrazia. La risposta dello Stato deve essere rapida e decisa, prima che sia troppo tardi”. Condanna è stata espressa anche dal governo attraverso il portavoce dell’esecutivo Simos Kedikoglu: “Ogni forma di violenza e di minaccia è inaccettabile nella nostra Repubblica. La violenza non ha posto nella nostra cultura politica”. Mentre i socialisti del Pasok parlano di “attacco terroristico condotto da membri di Alba dorata”. E annunciano di aver intrapreso iniziative specifiche anche internazionali per “sensibilizzare sulle conseguenze della violenza neo-nazista“.

Solo ventiquattr’ore prima dell’aggressione per le strade di Atene si era svolta una manifestazione antinazista proprio per protestare contro le reiterate condotte del partito xenofobo guidato da Nikolaos Mikalioliakos. L’organizzazione intereuropea contro le xenofobie e i razzismi aveva sfilato dalla piazza del Parlamento fin sotto l’Acropoli in una marcia silenziosa, e contando sull’appoggio di intellettuali europei come Henry-Levy, Dario Fo e Franca Rame. Mentre una settimana fa la giornalista greca Xenia Kounalaki aveva ricevuto a Firenze il Premio Internazionale ISF per la Libertà di Informazione per un suo reportage sul partito xenofobo greco di Alba Dorata e nonostante le minacce di morte ricevute e apparse sul sito del partito.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 17/12/12
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domenica 16 dicembre 2012

Aiuti per la Grecia utilizzati per affari illegali. Arrestato primo banchiere salvato

Per salvare la sua banca due anni fa si era addirittura speso in prima persona l’allora ministro dell’Economia Evangelos Venizelos, che aveva autorizzato un trasferimento di 100 milioni, poi seguiti da altri 800, da un’agenzia di Stato. E lo aveva fatto bypassando una legge greca che vietava depositi delle amministrazioni pubbliche presso le banche in difficoltà finanziarie. Oggi il suo arresto riporta al centro dello scandalo la “sua” Proton Bank, nazionalizzata nel 2011 con tutti i suoi debiti. L’oligarga greco Laurentis Lavrentiadis, uno dei nomi eccellenti finiti nella Lista Lagarde, è stato arrestato la notte scorsa assieme ad altre sedici persone nella sua hollywoodiana villa sul litorale ateniese. I pubblici ministeri sospettano che l’ex azionista di maggioranza della Proton, che rischia l’ergastolo, abbia finanziato attività illecite e criminali. Fra gli arrestati anche due uomini rana dei corpi speciali militari, due alti funzionari della Guardia Costiera, un dirigente del Mat (le teste di cuoio greche) e diversi manager del suo gruppo finanziario. Un mandato di arresto è stato spiccato anche per l’editore Petros Kyriakides (al momento latitante) in relazione alla presunta concessione da parte della Proton Bank di circa 900 milioni di dollari di crediti inesigibili. Lavrentiadis è stato portato nell’ospedale psichiatrico di Dafni in quanto soffre di artrite reumatoide acuta, ma oggi dovrebbe essere trasferito nel carcere ateniese di Korydalos. E ha dichiarato che “il sistema giudiziario greco è responsabile di tutto ciò che potrebbe accadermi”.

Un procuratore aveva presentato accuse penali contro di lui all’inizio di quest’anno in relazione al crollo della Proton. Nonostante fosse solo una piccola banca ellenica, si è spesa per numerosi prestiti ad alto rischio ed è stato il primo istituto greco ad essere ufficialmente nazionalizzata dopo la decisione della Troika di concedere gli aiuti finanziati al Paese tramite il fondo Salva stati. Sotto osservazione sono finite altre 27 società riconducibili a lui. L’accusa è di aver riunito una banda di criminali per riciclare denaro utilizzando gli interessi su prestiti che si ritiene siano stati emessi da Bank Proton. Frodi ripetute e congiunte con l’aggravante della legge 1608/50 su coloro che abusano degli appoggi del governo. Eppure fino al crollo della Proton, Lavrentiadis era considerato l’uomo d’affari più promettente della Grecia. Aveva anche restituito ben 51 milioni scomparsi dai bilanci della banca, non senza un secondo fine. La mossa era infatti arrivata dopo il congelamento dei suoi beni da parte dell’autorità giudiziaria e così Lavrentiadis si era appellato a una legge greca per ottenere l’immunità da procedimenti giudiziari per gli accusati che rimborsano i proventi di un reato. Il dossier su di lui è stato ora riaperto dopo un’indagine della Banca centrale greca che ha rilevato prestiti anomali di Proton per oltre 600 milioni, cioè oltre il 30% del portafoglio crediti dell’istituto, andati a una serie di società controllate dallo stesso Lavrentiadis, come Alapis.

Si fa quindi sempre più cupo l’epilogo di una storia imprenditoriale nata quando  Lavrentiadis aveva raggiunto la maggiore età, coincisa con la morte di suo padre. A quel punto inizia a frequentare un corso serale all’American College, ma il colpo di fortuna lo deve ai suoi problemi di salute. Una forma rara e acutissima di artrite lo porta al Monte Athos, nel Monastero Vatopedi. Lì, il famoso Efraim conduce in pellegrinaggio tutti i politici greci di prima fascia. E lì, in seguito ad alcuni trattamenti, Lavrentiadis trova giovamento e c’è addirittura qualcuno che parla di miracolo. Ma il rapporto col monastero da sanitario si fa economico, con gli intrecci che sono seguiti all’acquisto di Vatopedi. Un anno dopo la sua azienda Neochimiki vede fioccare nuovi partner: la Hoechst in Aulide e la Henkel Atalanta. In sette anni il giovane e inesperto Lavrentiadis instaura rapporti anche con giganti finanziari come Sal Oppenheim. Tanto che nel 2003, nonostante i primi segnali di crisi del settore, alcuni investitori stranieri decidono di puntare sulla sconosciuta azienda chimica.

Nel 2007, però, Neochimiki non riesce a centrare gli obiettivi di utile. E nel 2008  Lavrentiadis la vende al fondo Carlyle per 749 milioni, ma poco dopo la società viene pesantemente svalutata. Tanto che Carlyle, che il fondo finanziato dalla famiglia Bush, avvia un contenzioso per contestare l’esattezza dei dati di bilancio forniti dal futuro oligarca cui chiede di ricomprarsi la sua quota di Neochimiki. Ma c’è poco da fare, a Carlyle non rimane che contare la perdita di 700 milioni realizzata in un anno.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 16/12/12
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venerdì 14 dicembre 2012

All’orizzonte proposte e idee riformatrici. Il resto? Solo cianfrusaglie

Non c’è più tempo, ma anche se ci fosse, la sostanza dell’impegno auspicato dalle forze che si ritrovano attorno all’Agenda europea di Mario Monti non cambierebbe. Una priorità su tutte: le proposte riformatrici per dare slancio all’idea di una nuova Italia. E per conferirle un corpo certo e non frutto solo di elaborazioni fumose. Perché questo, piaccia o meno, è l’anno zero della politica biancarossaeverde e del sostegno civile di cittadini e appassionati.

Lo ha spiegato egregiamente il direttore del Die Welt, Thomas Schmid: Berlusconi non solo non ha fatto le riforme che ha promesso, tralasciando il rinnovamento, le liberalizzazioni, e lo scardinamento dei vecchi centri nevralgici post pentapartito, ma addirittura ha introdotto «una forma nuova e bizzarra di dominio, una sorta di autocrazia da fiction. Anziché modernizzare il Paese ha portato avanti la sua battaglia ottusa dell’anticomunismo». Lì si trova l’interstizio in cui spingere per aprire finalmente una breccia. E far avanzare le “truppe” che hanno in mente una rivoluzione liberale non ideologica: uno slancio legato alla green economy, la convinzione che cultura e arti siano industrie italiane che incidono sul Pil, una minore pressione fiscale che significhi sgravi alle pmi e assunzione di neolaureati, una rivalutazione del settore turistico su cui non mettere balzelli, un franco confronto sui nuovi contratti di lavoro.

Fra sessanta giorni si apriranno le urne, fra trenta si presentano le liste. Fisiologico che, Pd a parte, non conteranno più potentati o alleanze pregresse. Ma proprio per via della rinascita globale della proposta politica, saranno altri i parametri che giocheranno un ruolo decisivo. Quindi il riferimento è essenzialmente al merito e alla capacità infiltratrice di una proposta riformatrice basata su una nuova classe dirigente, non solo nuova nelle facce, ma preparata e non espressione di un “manuale Cencelli 2.0”. Il resto sono solo cianfrusaglie.

Fonte: Italiani quotidiano del 14/12/12
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domenica 9 dicembre 2012

"La favola è finita": ora ci pensa la Bce a garantire l'euro

Un mondo di favola che adesso non esiste più. Per questo la Bce farà di tutto per salvare l'euro, ma i paesi dell'eurozona dovranno imparare a condividere la sovranità. Il richiamo di Mario Draghi è chirurgico e non lascia spazio a interpretazioni di sorta. Da un lato offre l'ombrello dell'Eurotower che soccorrerà quegli stati economicamente in panne (al momento quasi tutti, con modalità differenti, tranne la Germania), ma dall'altro esige una presa di coscienza, puntuale e irrinunciabile, sul controllo del debito. Un passo strategico nella direzione di una visione economica realmente federale, con una compartecipazione condivisa di un doppio binario di attuazione: non solo di sostegni da concedere, ma anche di impegni da assumere.
Quando rassicura sul progetto pro Unione che la Banca centrale europea sta mettendo in atto, affronta il grande e decisivo nodo dell'intera crisi, e non in riferimento esclusivo al quasi default greco: ovvero la questione bancaria. E, forse per la prima volta da un biennio a questa parte, chiama con il proprio nome criticità ed errori commessi. Lo fa, non a caso, quando punta l'indice contro stili di governo e di vita che, oggi, non sono più replicabili amministrativamente in alcun modo. Per questo certifica che "alcuni paesi dell'Eurozona hanno vissuto in un mondo di favola, sottostimando gli squilibri" come "il deficit e il debito che in alcuni Paesi sono stati ritenuti sostenibili per anni per poi rivelarsi insostenibili". Mettendo l'accento su responsabilità del passato clamorosamente mancate che, adesso, si riverberano come macigni sulla contingenza di molti stati membri, ovvero su quei cittadini che devono mutare radicalmente abitudini e strutturazione di esigenze. Non solo un evidente riferimento alla Grecia, i cui conti pubblici sono disastrati, ma anche un non poi troppo velato richiamo a chi non si trova nelle stesse condizioni ateniesi, ma ci è drammaticamente vicino. Quindi Spagna, Cipro, Malta, Portogallo e Italia il cui debito pubblico di duemila miliardi spaventa non poco, ma giova ricordarlo.

Certo, il leader della Bce sottolinea giustamente che l'Eurozona "non è ancora fuori dalla crisi", ma potrebbe iniziare a riprendersi "nella seconda metà del 2013". In che modo? Attraverso il consolidamento di bilancio a medio termine, un passaggio che considera inevitabile. "E' vero - ammette Draghi intervistato da radio Europe 1 - che il consolidamento di bilancio produce a breve termine una contrazione dell'economia, ma è inevitabile". E, come un discorso che anche se diversificato, resta avvolgente e frutto di un'unica volontà chiarificatrice, dedica un passaggio alla vera sorpresa di questo inverno economicamente difficile: la Francia. Sulla decisione delle agenzie di rating di togliere la tripla A a Parigi, Draghi osserva che nonostante non abbia creato ancora disagi ai costi di finanziamento, sono segnali che "vanno presi in modo serio". Ragione in più per dare luce alla reale mission della Bce, che "farà tutto il necessario per preservare l'euro". Che tradotto in azioni concrete porta dritto ad interventi diretti in virtù del meccanismo dello scudo antispread. Ma, assicura, da utilizzare solo "se necessario" e se i Paesi "sottoscrivono le condizioni". Ecco il punto cruciale di una strategia europea di largo respiro e da pianificare in toto: la comunione di intenti e di visioni. Nello specifico i paesi dell'Eurozona, richiama, devono "imparare a condividere la sovranità", a partire dall'unione bancaria, la quale deve essere applicata "a tutte le banche per evitare una frammentazione del settore bancario".

Un invito che, se i detrattori anche italiani interpretano ancora una volta come il tentativo comunitario di imbrigliare le specificità dei singoli stati, dall'altro invece apre una breccia verso un sistema di controlli bancari che fino ad oggi è drammaticamente mancato, con creditori e debitori che rimanevano nell'ombra anche grazie a poca trasparenza. Un fil rouge tra prontezza di azioni a supporto e certificazione di un mutato atteggiamento responsabile, che passa inevitabilmente dal processo riformatore. E conclude richiamando Italia e Francia all'imprescindibile urgenza delle riforme strutturali, che rendano "meno rigido" il mercato del lavoro. Parole, quelle del vertice della Bce, che dovranno a questo punto trovare la necessaria continuità dei singoli governi nazionali che, indipendentemente dalla coloritura partitica, non potranno non tenere conto delle mutate condizioni dell'Unione ma anche di una rinnovata fiducia proprio dall'istituzione bancaria di riferimento: la stessa che oggi ha dato le proprie e decisive linee guida. Disattenderle sarebbe più grave che creare altri debiti.

Fonte: Agenda del 3/12/12
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La Grecia svende, tensione (commerciale) tra Usa, Germania e Russia

Grecia nuovo terreno di scontro di interessi particolari e “mire espansionistiche”? Al momento, oltre a numerosi forse, ci sono dei fatti che possono far precludere a scenari per così dire da campagne coloniali del passato o da guerra fredda, volendo forzare un po’. Nella Grecia che deve privatizzare e di conseguenza aprire rapidamente a investitori stranieri (con la inevitabile corsa al ribasso per chi mette i capitali), si sta creando una sorta di triangolo Berlino-Washington-Mosca. Nel senso che Atene, a causa della necessità di rispettare i parametri imposti dal memorandum della troika, non può permettersi di rifiutare alcun partner commerciale. Ma al contempo si creano frizioni fra i tre maggiori stati che guardano all’Egeo come un’interessante piattaforma commerciale. Sia per una mera convenienza economica, si pensi ai gioielli di stato che saranno (s)venduti al 30% del valore effettivo, sia perché la Grecia è geopoliticamente in una posizione molto particolare: “frangiflutti” verso la potenza russa che avanza da tempo ormai in Europa, (tra squadre di calcio, partecipazioni influenti in varie piazze influenti), crocevia per gasdotti (vecchi e nuovi) e luogo in cui sono presenti molte fonti alternative non ancora sfruttate.

Negli ultimi mesi non è passata inosservata una certa freddezza da parte del segretario di Stato americano Hillary Clinton che pare non veda di buon occhio le mani russe su idrocarburi e infrastrutture. Per dine una, il nuovo presidente della squadra di calcio del Paok Salonicco è Ivan Savvides, amico di Putin, che molti analisti affrescano come il grimaldello che spiani la strada a investimenti russi nel settore alimentare. Anche i trasporti potrebbero riservare profitti futuri e opportunità diversificate. Pare che Vladimir Putin abbia messo gli occhi su una ferrovia che colleghi quella parte orientale dell’Ue allo strategico snodo rappresentato dal porto ellenico del Pireo, dove da alcuni anni opera la Cosco Cina, una delle maggiori piattaforme di logistica del pianeta, concessa a Pechino dall’ex premier conservatore Kostas Karamanlis, molto sensibile alle istanze moscovite. Mentre Washington non gradisce il possibile ingresso dei russi nel mercato ellenico degli idrocarburi attraverso Gazprom e ritengono che il pieno controllo dell’economia greca (compreso quindi l’olio e gas presente nell’Egeo) si raggiungerà solo “tramite Berlino”. Il pensiero corre quindi a Exxon, Texaco e Movil che potrebbero non restare fuori dalla partita greca solo grazie ai buoni uffici della Merkel, vera “padrona” di casa ad Atene.

Uno status conquistato sul campo all’indomani della visita in Grecia dello scorso 9 ottobre, in occasione della quale, dopo le fasi ufficiali, riunì attorno al tavolo dell’Hotel Hilton di Atene i principali banchieri ed armatori del paese per far loro comprendere quanto utile fosse il know how tedesco. Con le prime commesse, già in fase avanzata, ad appannaggio della teutonica Siemens. E contando sulle frequenti visite del primo ministro Samaras proprio in Germania, come l’incontro di domenica a Monaco di Baviera con il Primo Ministro della Baviera Horst Zechofer. E con sole dieci persone invitate ad una cena ristrettissima. Non si parlerà solo di Grecia e di eurozona (scontato l’appoggio dopo il sì del Buntestag al prestito ponte post haircut positivo) ma anche e soprattutto di affari, dal momento che la Grecia è il principale importatore di prodotti tedeschi. Molti sono infatti gli imprenditori bavaresi interessati a investire in Grecia in settori come energie rinnovabili, business turistici, rifiuti, infrastrutture (già l’aeroporto internazionale Eleftheros Venizelos di Atene e il mega ponte Rio-Antirrio sono stati realizzati da imprese tedesche).

Qualche osservatore si spinge a ricordare che il meeting della camera di commercio ellinoamericana della settimana scorsa non abbia prodotto i risultati sperati. Non che non vi sia stato l’interesse annunciato, solo che non c’è stata quella prontezza che invece stanno mostrando Berlino e Mosca. Quest’ultima, di contro, ha deciso di accelerare. Il più grande investimento russo nell’era della crisi è stato il JSC Concern Sistema Gruppo, società controllata da Intracom, che ha immesso 120 milioni sei anni fa per acquisirne una quota del 51%. Come dire che partono in vantaggio. Inoltre non molto tempo fa, il SI Capital Partners, una joint venture con Simos Foods Inc. (90% del fondo e il 10% della società greca), ha acquisito oltre 21 milioni di euro nel 67,77% dei prodotti lattiero-caseari Dodona. Un colosso alimentare. Tra l’altro la stessa SI Capital Partners ha significativi investimenti nel settore minerario (Risorse OMC in Tanzania), in quello finanziario in Francia (Quantam Group), in quello agricolo in Russia (Mercurio, rappresentante di American macchine agricole John Deere) e circa l’estrazione di oro.

A fronte di questo panorama fanno da cornice le parole spese dal premier Samaras negli ultimi mesi: “La Grecia si trova in una sorta di tripla intersezione: tra il Nord e il Sud, tra Oriente e Occidente, tra l’Europa e il Medio Oriente. Chiunque offra di più, noi non abbiamo alcun problema. Siamo dogmatici”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano dell'8/12/12
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giovedì 6 dicembre 2012

Grecia, l’escalation di Alba dorata: in Parlamento con le pistole

Il partito greco di Alba dorata non è più un fenomeno sconosciuto, ma dopo il suo ingresso in parlamento alle scorse elezioni di maggio con il 7 per cento dei consensi, (oggi raddoppiati) si è distinto per numerosi episodi di razzismo, xenofobia e violenza. L’ultimo, in ordine di tempo, compiuto da due deputati che hanno tentato di fare ingresso nel Parlamento greco con due pistole, intercettate dai metal detector. Solo due settimane fa il portavoce del partito Ilias Kasidiaris si era rivolto in rete ai suoi militanti, per spiegare che era giunto il momento di “approfittare” dei diritti che gli concede l’esser stati eletti. E aveva detto: “Ora potremo portare pistole legalmente e non saremo arrestati sul luogo dei fatti se c’è un incidente. Questo ci permette di sentirci più tranquilli rispetto alle nostre azioni”. Lo stesso Kasiriadis era stato al centro pochi giorni fa di un voto del Parlamento proprio per spogliarlo dell’immunità, perché indagato per un furto a mano armata nel 2007.

Ma questo è solo la punta di un iceberg ben più pericoloso e demagogico. Il partito ha deciso di creare un’associazione di medici solo per cittadini greci, chiamandola “Medici con frontiere”, in aperta polemica con le ben più nota “Medici senza frontiere” che da anni opera in tutto il mondo per curare ammalati, senza distinzioni di sesso, razza o religione. Come invece Alba dorata intende fare. Per questo il sindaco di Maroussi, Patoulis, ha commentato stizzito che “le carenze dello Stato non possono tramutarsi in un’operazione partigiana, ma chi è in grado di fornire aiuti al nostro prossimo, lo potrà fare solo in modo certificato”. Allo stesso tempo il ministro della Salute Lykourentzos ha sottolineato che l’assistenza sanitaria delle associazioni di volontariato sono offerte a tutti, “al popolo greco, così come ai cittadini di paesi terzi che sono nel bisogno e nella sofferenza”. Nell’ultimo trimestre, i membri di Alba dorata sono anche arrivati a minacciare controlli negli ospedali pubblici per “buttare fuori gli stranieri a dare il loro posto ai cittadini greci”. La reazione contro il partito non si è fatta attendere: ieri un ordigno è esploso nella sede di Aspropirgos, a Nord Ovest di Atene: gravi i danni agli appartamenti e ai negozi dell’edificio ma nessuna vittima. L’attentato è giunto a pochissime ore dall’invito rivolto da Evanghelos Venizelos, il leader del Pasok, a tutti i partiti democratici del Paese a “combattere penalmente” Alba dorata, in quanto “si tratta di un’organizzazione criminale e nazista”.

Della condotta del partito ha fatto le spese un’insegnante dell’isola di Cefalonia, che in occasione della festa nazionale greca dello sorso 28 ottobre, aveva “osato” far scrivere agli alunni alcune preghiere in lingua greca ma anche in lingua albanese, al fine di favorire l’integrazione della folta comunità albanese che vive da anni in Grecia. Con il risultato che l’insegnante è stata trasferita nell’incredulità generale. Sul tema c’è stata una doppia reazione internazionale: non solo la Commissione europea e l’Onu hanno aperto un dossier sul caso, per valutare quali e quanti provvedimenti intraprendere contro queste forme di razzismo perpetrate dall’interno delle istituzioni (dal momento che il partito è nel parlamento ellenico), ma anche un appello di intellettuali e scrittori europei, capeggiati da Dario Fo e Bernard Henry Levy.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 5/12/12
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lunedì 3 dicembre 2012

Grecia: “Anche la madre di Papandreou nella lista Lagarde degli evasori”

Oltre mezzo miliardo di euro, presente nella lista Lagarde, appartiene alla signora Margaret Papandreou, madre dell’ex primo ministro socialista Giorgios che è anche presidente dell’Internazionale socialista? Così scrive oggi il giornalista Spiros Karazaferris, citando i quotidiani Step e Proto Tema. Secondo i quali la notizia risulterebbe dal file inviato al parlamento greco dai pubblici ministeri che indagano sulla lista di evasori, che l’allora ministro delle finanze francese, Christine Lagarde, inviò due anni fa per corriere diplomatico ai parigrado di Atene. Ma che i due ex titolari di quel dicastero, Papacostantinou e Venizelou, non hanno mai protocollato. E che una decina di giorni fa è stata inviata nuovamente ad Atene. Secondo quanto riportato, il capo dello Sdoe (dipartimento crimini finanziari) Stelios Stasinopoulos e il coordinatore regionale di gestione Evangelos Karamanos, hanno citato il nome della signora Papandreou e detto che le loro informazioni provengono dal direttore del Financial Crime Control Nikos Lekkas. La relazione in questione è la testimonianza resa il 3 ottobre scorso dal capo dello Sdoe ai procuratori Grigoris Peponis e Spyros Mouzakitis, che da ormai più di venti mesi indagano sull’elenco di personaggi che hanno portato in Svizzera ingenti somme di denaro.

In particolare, il signor Stasinopoulos afferma chiaramente che l’ultimo giorno della testimonianza nei due ministeri, nel corso di un incontro avuto con tutti gli amministratori del servizio, ha chiesto ai suoi colleghi se sapessero qualcosa sulla lista, come si evince dal verbale: “Il signor Nikos Lekkas (direttore della SDOE pianificazione operativa) ha detto che non ha visto la lista, ma ho sentito che la donna presente con 500 milioni è la signora Margarita Papandreou. La stessa risposta ha dato il Sig. Evangelos Karamanos (Direttore degli Affari Speciali)”. La somma sarebbe depositata presso una filiale ginevrina della banca inglese Hsbc. Commentando la notizia l’ex primo ministro ha detto in una nota ufficiale: “È evidente che mirano a me e alla mia politica, si tratta di un business volgare, che è promosso da coloro che hanno sentito fare racconti che sono stati in seguito pompati e pubblicati. Sono voci senza prove, senza ricerche precedenti”. Ma non è solo l’attuale leader del Partito socialista europeo a finire nell’occhio del ciclone, quanto e soprattutto l’attuale capo del Pasok, Evangelos Venizelos, che ha omesso di rendere pubblica quella lista addirittura ammettendo di non averla protocollata.

Un documento prezioso e pericoloso, come dimostra il fatto che da quando è arrivato in Grecia per le vie ufficiali (prima ne era circolata una copia in alcune redazioni giornalistiche europee, anche in quella del Ilfattoquotidiano.it) ha provocato un vero e proprio terremoto politico che ha portato all’arresto anche l’inchiestista greco Kostas Vaxevanis, il primo che lo aveva pubblicato sul settimanale Hot Doc (processato per direttissima, assolto in primo grado e in attesa del ricorso). E due giorni dopo anche lo stesso Karazaferris, fratello di Giorgios leader del partito nazionalista Laos, che aveva annunciato della trasmissione che conduce sul canale Art rivelazioni scottanti sugli swaps conclusi da Papandreou e Samaras era stato arrestato con modalità spettacolari addirittura dai corpi speciali greci, i famosi Mat, che lo avevano bloccato con quattro auto dinanzi all’ambasciata israeliana. Aspetti, tutt’altro che secondari, nell’emergenza della crisi greca.

Fonte: Il Fatto quotidiano del 2/12/12
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giovedì 29 novembre 2012

Grecia, Corte Ue nega ai giornalisti l’accesso ai documenti Bce


Nella crisi greca c’è qualcuno che non vuole che notizie e dati alfanumerici vengano diffusi e, quindi, veicolati ai cittadini che stanno pagando il prezzo più caro del quasi default. La Bce ha detto no all’accesso a due documenti connessi alla situazione economica del paese quasi fallito, in quanto “la loro divulgazione avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela dell’interesse pubblico della politica economica dell’Unione e della Grecia”. Così la pronuncia del Tribunale di primo grado dell’Unione europea sul ricorso presentato da Bloomberg Finance proprio contro la decisione dell’istituto ora guidato da Mario Draghi di negare l’accesso a due file relativi all’impatto su deficit e debito pubblici degli swap negoziati fuori borsa. Oltre che sulla cosiddetta operazione Titlos, una società creata ad hoc dalla Banca nazionale Greca (l’istituto, per intenderci, che nel biennio di crisi ha regalato 70 miliardi di finanziamento pubblico a giornali e tv del paese), e sulla possibile esistenza di operazioni analoghe, che avrebbero come immediata conseguenza riflessi precisi sui livelli di debito e deficit pubblici dell’intera eurozona.

I fatti: nell’agosto del 2010 la giornalista di Bloomberg Finance, Gabi Thesing, chiese di visionare due file sulla Grecia. Secondo quanto riferito dal Tribunale, nel primo documento vi erano ipotesi e valutazioni da parte dei membri del personale Bce sull’impatto, su deficit e debito pubblici, degli swap negoziati fuori borsa. Il tutto sarebbe stato utile a disegnare un quadro preciso delle condizioni elleniche nel marzo 2010. Ma dopo due mesi (ottobre 2010) la Banca centrale europea motivò il suo nein con il fatto che le informazioni in esso contenute non solo erano superate da un punto di vista temporale, ma la loro divulgazione avrebbe potuto essere ingannevole per pubblico e mercati. Per questo lo stesso Tribunale evidenzia come la Bce non abbia commesso “un errore manifesto di valutazione considerando che la divulgazione del documento avrebbe arrecato un pregiudizio effettivo e concreto all’interesse pubblico per quanto riguarda la politica economica dell’Unione e della Grecia”. E nonostante il merito dei contenuti superati, “non si può ragionevolmente escludere che sarebbero stati considerati come ancora validi”.

Ma la questione degli swap e più in generale degli intrecci economico-politici della crisi non sono affatto “superati”, come dimostrano i due arresti avvenuti un mese fa in Grecia, proprio di due giornalisti che avevano diffuso notizie in questo senso. Il primo era stato l’inchiestista Kostas Vaxevanis, che sul suo settimanale Hot Doc aveva pubblicato (tutta o in parte) la famosa Lista Lagarde, l’elenco dei duemila evasori ellenici che negli ultimi anni hanno portato in Svizzera svariati miliardi di euro, (frutto di guadagni in nero e si sospetta anche di tangenti), che nei giorni precedenti era già circolata in alcune redazioni giornalistiche europee. Una lista di “soli” professionisti, che in molti sospettano sia stata ripulita di nomi ben più scottanti e legati alla classe dirigente del paese e che era stata inviata ad Atene dall’allora ministro delle finanze francese Christine Lagarde ai parigrado greci, con il tramite dei servizi segreti.

Ma i due ex ministri Papaconstantinou e Venizelos hanno fatto spallucce, dicendo che non era stata protocollata e di fatto non chiarendo dove si trovi, oggi, quell’elenco completo. Vaxevanis era stato arrestato, processato per direttissima e assolto in primo grado, ma i pm inquirenti hanno fatto ricorso e a breve dovrà tornare a difendersi in Aula. La seconda “penna” ammanettata è quella di Spiros Karazaferris, fratello di Iorgos, leader del partito nazionalista del Laos, arrestato con modalità pirotecniche con quattro auto che bloccarono la strada dinanzi all’ambasciata israeliana e con le teste di cuoio greche (i famosi corpi speciali Mat) che lo portarono in carcere.

Poco prima nella sua trasmissione su Art aveva detto di essere pronto a diffondere documenti che proverebbero come i dati sul default ellenico fossero stati alterati, oltre agli stessi e onnipresenti swap. E che aveva ottenuto quei riscontri dal gruppo di hacker Anonymous, che due giorni prima aveva attaccato il server del ministero delle Finanze ateniese, mettendo in rete documenti segreti sui negoziati fra il governo di Atene e la troika. E aveva concluso il suo programma dicendo di essere certo che il deficit greco fosse stato “fraudolentemente forzato”, al fine di ricevere altri aiuti dei creditori internazionali. Fu scarcerato il giorno dopo, ma con l’effetto di intimorire molti suoi colleghi, anche europei.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 29/11/12
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Lo “scalatore che veniva dal mare”: la storia di Marco Pantani a teatro


14 febbraio 2004. Marco Pantani viene ritrovato senza vita in un residence di Rimini. Lì, in quella coreografia di solitudine, prende forma il ritratto di una persona ne “Pantani”, lo spettacolo di Marco Martinelli sul ciclista romagnolo, in scena fino al 2 dicembre al Teatro Rasi di Ravenna. Una performances teatrale realizzata a quattro mani, con la collaborazione di Ermanna Montanari direttrice artistica del Festival di Santarcangelo. 

Quella dello “scalatore che veniva dal mare” , è la storia di adulatori e adulati, di un mondo di cartapesta che ha il suo epilogo in una morte e in tanti, troppi misteri. Ma la scrittura di Marco Martinelli trapassa la figura di Marco Pantani per affrescare «tutta la complessità di un'epoca al tempo stesso sublime e crudele che si esercita senza pudore». Il risultato è una vera e propria veglia funebre, ma sulla scorta di quelle fatte millenni fa, dove l'anima dell'eroe era di fatto portatrice sana di orgoglio e temperamento. Il tutto accompagnato da una suggestione greca, comune denominatore nel testo (ripartito in trentaquattro capitoli come i suoi anni di vita) e soprattutto nella messa in scena. Dove si assiste a un Marco Pantani che appare come Polinice, ovvero sepolto fuori dalle mura con l'epigrafe “era un bugiardo, un dopato”. E ancora, il rito della memoria, con coloro che non si rassegnano a una damnatio memoria ma puntano al giusto riconoscimento per Marco. Un viaggio, quindi, dove i partecipanti hanno il volto dei genitori di Marco, Tonina e Paolo, desiderosi di qualche altra verità. Degli amici, quelli veri, che lo hanno seguito e applaudito anche quando non era in sella a quella bicicletta e non indossava maglie gialle o rosa, ma era un ragazzo normale, dalla pelle bruciata dal sole e dal sorriso grande. E ancora, un bandito che dice la verità, un  ministro che dice menzogne. Il regista della Compagnia delle Albe, dopo aver portato in tutta Italia la sua Eresia della felicità, indossa i panni del drammaturgo e, divenuto nel frattempo inchiestista, si mette a scartavetrare le mille e più nebbie di questo mistero tutto italiano. Che ha appassionato milioni di cittadini. 

Ma chi era Pantani? Non lo scontroso e scorbutico che molti suoi “colleghi” corridori definivano così, ma un ragazzo solare: umano, inclusivo che stupiva per le risposte. Come quella rifilata a  Gianni Mura che gli chiedeva come facesse ad essere così tonico in salita. E lui replicò: «Per abbreviare la mia agonia». Più volte lo stesso regista ha sottolineato come Marco sia la plastica raffigurazione di un paese dove a pagare il conto siano sempre e solo i capri espiatori. Madonna di Campiglio, Tour de France ma anche in una narrazione da flashback l'allora ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri, che quarantottore dopo la morte del ciclista disse che era morto un uomo che non era un simbolo dello sport, perché aveva avuto squalifiche per doping. Cosa che non si è mai verificata, dal momento che quella di Madonna di Campiglio non era una squalifica per doping, ma servì far passare quel messaggio. 
Ma ci sono anche altri personaggi che si intrecciano alla rappresentazione. Come Renato Vallanzasca. In carcere alcuni camorristi scommettevano sulla sconfitta di Pantani, nonostante avesse tutti i pronostici a favore, e Vallanzasca chiedeva loro il perché di quella scelta. La risposta? Del tipo, “tu non ti preoccupare, tanto quello lì a Milano non ci arriva”. Un passaggio che, tra l'altro, è al centro della stessa autobiografia del bandito milanese che fu pubblicata novanta giorni dopo la morte di Pantani. O come l'Inquieto, ovvero una controfigura che il regista ha inteso affiancare al Philippe Brunel che con il suo libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani (Rizzoli) ha di fatto riaperto il caso alcuni anni dopo. Tutti a teatro, dunque, perché lì, su quella scena e dietro quelle quinte, rivive la pedalata sorridente del pirata riminese. Uno vero, insomma, che ha pagato un conto forse non suo.

Fonte: Italiani quotidiano del 29/11/12
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mercoledì 28 novembre 2012

Follia a Taranto: Ilva, la politica adesso faccia due passi avanti

Una città fallita, dove si muore ancora di lavoro e che oggi si scontra con una dinamica folle e pericolosa. Uscire dalla logica del ricatto, nella consapevolezza che salute e lavoro non sono in concorrenza o in alternativa. Ma due diritti costituzionalmente garantiti. Sul caso Ilva serve uno scatto di reni della politica. Da un lato il gruppo Riva, per il quale non c'è altra strada dopo il sequestro, e che quindi non si muoverà dalla decisione di fermare tutto. Dall'altro la magistratura, che ha deciso per i sette arresti nei confronti dei dirigenti dell’azienda, per i due avvisi di garanzia oltre al sequestro preventivo di prodotti, in quanto realizzati in violazione delle prescrizioni del sequestro già adottato dall’autorità giudiziaria sugli impianti dell’area a caldo (che non ammetteva la facoltà d’uso). Nel mezzo il caos, emozionale e civile di una città intera, ferita e devastata, che osserva, terrorizzata, questo ennesimo gioco al massacro. Quando il ministro dell'ambiente Clini rileva che «chi oggi si assume la responsabilità di far chiudere l’Ilva, si assume anche la responsabilità di un rischio ambientale che potrebbe durare anni», mette l'accento proprio sul riflesso, presente e futuro, di decisioni assunte. E intrecciate irrimediabilmente con le vite di migliaia di persone, lavoratori, familiari e cittadini tarantini.

Ma è nell'interstizio di quelle dichiarazioni del gruppo Riva che si annida la nota stonata (e non la sola) di questa degradante vicenda. Quando scrivono «nessun rischio per la salute a causa della nostra attività, è tutto in regola» è come se alla beffa dei cinquemila lavoratori oggi a rischio, si volesse sommare un muro di gomma: quello che schiaccia idealmente i tanti altri lavoratori che negli anni hanno pagato con la vita. Mentre una città intera affondava nel silenzio di un paese becero, che permesso un caso simile.

Fonte: Italiani quotidiano del 28/11/12
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martedì 27 novembre 2012

Crisi greca, vertice fiume: piano sul rientro del debito per il sì agli aiuti


Sul caso Grecia serve un passo da parte di tutti, aveva chiesto all’inizio dell’Eurogruppo il componente tedesco del direttorio della Bce, Joerg Asmussen, e dopo quattordici ore di negoziati è stato accontentato. Accordo raggiunto sulla sostenibilità del debito greco e 44 miliardi di euro sbloccati, che arrivano a soccorrere “il rosso fisso” dei conti di Atene. Un mix di misure che coinvolge tutti i soggetti in gioco, stati membri, Grecia e Fmi, ha dichiarato il presidente dell’eurogruppo Jean Claude Juncker. Ovvero taglio di 100 punti base degli interessi sui prestiti bilaterali, riduzione di 10 punti base del costo delle garanzie che la Grecia paga al fondo Salva-Stati, moratoria di 10 anni (come chiedeva Berlino) sui tassi dei prestiti concessi dal fondo salva-Stati, proroga di 15 anni delle scadenze dei prestiti e uno slittamento di 10 anni dei pagamenti degli interessi. I creditori inoltre rinunciano ai loro profitti sui bond greci, in quanto li gireranno direttamente ad Atene in un conto bloccato. Convergenza anche sul grande nodo della discussione, ovvero la sostenibilità del debito, su cui l’Fmi dice sì a rivederne la soglia: l’iniziale 120% entro il 2020 è stato portato al 124%, per poi scendere drasticamente al 110%.

Ecco che, in virtù della “sinfonia” comunitaria di ieri dunque, la prossima tranche di aiuti sarà erogata in tre rate, la prima da 34 miliardi dopo l’approvazione dei parlamenti dei Paesi della zona euro, fino al 13 dicembre, mentre i restanti 9,3 miliardi all’inizio del 2013 in tre dosi più piccole. Queste ultime saranno associate ai cosiddetti “punti di riferimento” del Memorandum, compresa la riforma fiscale nel mese di gennaio. Ovvero parallelamente alla messa in atto delle riforme promesse, giungeranno i denari ad Atene. I livelli di riduzione del debito concordati saranno raggiunti attraverso iniziative che includono: il riacquisto del debito greco; il ritorno degli utili dai titoli di acquisto del programma della Bce (SMP); la riduzione dei tassi del Loan Facility greco; l’espansione dei rimborsi di prestiti di Loan Facility greco e il Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) e il rinvio del pagamento degli interessi sul EFSF.

Più in particolare, nella dichiarazione finale dell’Eurogruppo si sottolinea che i membri della zona euro dovrebbe essere pronti a prendere in considerazione: una diminuzione di 100 punti base dei tassi di interesse; una riduzione di 10 punti base del costo delle garanzie adottate dalla Grecia in prestiti dal EFSF; l’allungamento della scadenza dei prestiti e dei prestiti bilaterali del EFSF a 15 anni e 10 anni (queste misure non pregiudicano l’affidabilità creditizia del EFSF, che è pienamente supportato da garanzie da parte degli Stati membri); l’impegno degli Stati membri a trasferire in un conto vincolato della Grecia un importo equivalente agli utili della Banca centrale a partire dal 2013. Inoltre tutti gli stati membri si sono impegnati a prendere in considerazione ulteriori azioni di assistenza, compresa la riduzione del contributo nazionale della Grecia in progetti cofinanziati dai fondi strutturali e/o l’ulteriore riduzione dei tassi di interesse, al fine di garantire una maggiore affidabilità e ridurre il debito greco. Soprattutto per quanto riguarda il programma di riacquisto del debito greco il capo del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha chiarito che porterà l’accordo in seno al Consiglio del Fondo solo dopo il completamento del riacquisto.

A precisa domanda durante la conferenza stampa che ha seguito l’Eurogruppo, se il successo di questo programma dipenderà dal mantenimento del Fmi nel programma, la signora Lagarde ha detto che il Fmi non ha alcuna intenzione di ritirarsi dal programma, ma vanno chiarite le modalità di riacquisto delle obbligazioni.

I commenti. Di “nuovo giorno per la Grecia” parla il premier Samaras al termine dell’Eurogruppo: “Tutto è andato per il meglio, i Greci hanno combattuto tutti insieme, e domani inizia un nuovo giorno per tutti”. Mentre la Lagarde aggiunge che “il Fondo monetario internazionale ha voluto assicurare che la zona euro adotterà le misure necessarie per porre la Grecia su un percorso sostenibile per il debito. Ora posso dire che questo è stato fatto”. Mette l’accento su un nuovo clima di fiducia comunitaria il vertice della Bce, Mario Draghi: “La decisione di oggi porterà senza dubbio a ridurre l’incertezza e aumentare la fiducia in Europa e in Grecia”. Più pragmatico il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, secondo il quale “abbiamo un risultato, che ora siamo in grado di presentare al Parlamento e su cui decidere”. E il commissario europeo per gli affari economici, Olli Rehn, rileva come per la zona euro, sia stato “un vero banco di prova della nostra credibilità, e la nostra capacità di prendere decisioni su questioni difficili”. Ultimo atto adesso, il nulla osta da parte dei parlamenti.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 27/11/12
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Nella frattura delle primarie Pd, il seme della nuova partecipazione


Bersani, né Renzi (almeno per questa settimana). Lo sconfitto numero uno delle primarie del Pd è l'antipolitica. Quel germe che sull'onda di un moto di insoddisfazione produce il caos mentale. Che tende a fare, come un antibiotico, tabula rasa di tutto. E solo perché qualcosa, o più di qualcosa, non ha funzionato a dovere. Mortificando, invece, le famose energie positive e pulite che, da sempre invocate da entrambe le curve, ma troppo spesso  rimaste lettera morta. 

Al di là di chi indosserà la corona di alloro del vincitore il prossimo 2 dicembre, quando andrà in scena il ballottaggio tra il “ragazzotto” e il segretario del Pd, queste primarie hanno segnato una frattura, che va individuata, metabolizzata e non relegata a episodio. Al fine di poterla interpretare e da lì ricostruire il senso di partecipazione civile che i cittadini nutrono. Altro che nausea della politica e partito dell'astensione che si ingrossa a dismisura, le urne piddì hanno dimostrato come, in presenza di stimoli adeguati e non “di pancia”, (su cui ovviamente restano diverse e differenti sensibilità) gli elettori tornano ad avvicinarsi a comizi e scelte, a occasioni di “agorà” e scambi, anche accesi, di vedute e linee propositive. Quello slancio a costruire il profilo del candidato di una coalizione del paese è la risposta al sentimento di sdegno distruttivo, a una mentalità da “vaffa” permanente, a chi nuota in un mare di ipocrisie e un attimo dopo non costruisce nulla se non il crack da cui nasce solo altro “kaos”, senza il necessario “kosmos”. 
Le file ai gazebo incarnano quelle coordinate geopolitiche di un popolo che non vuol essere passivo. Che è mosso da una nuova animosità, che pensa di poter contare qualcosa, che si sente in qualche modo attaccato a un progetto o che si avvicina a un'esperienza mai toccata con mano prima. 

Che si contrappone al cappio di Grillo, ma anche a un Pdl che nel suo dna non ha mai avuto una presenza realmente democratica. Per questo l'annullamento delle primarie fra gli azzurri è la logica conseguenza di una visione cesaristica che semplicemente, anche fra quegli elettori, non fa più presa. Ma sulla cima più alta del podio ecco che da ieri è salita la Partecipazione: come scrive il filosofo francese Jacques Rancière in Dieci tesi per la politica, essa non è l’esercizio del potere, ma modo di agire specifico messo in atto da un soggetto con una razionalità propria. Ed è proprio la relazione politica che consente di pensare il soggetto politico e non il contrario. Ricordando che la felicità è libertà e la libertà è coraggio. Un nuovo vocabolario della politica, quindi, è possibile. E quando si chiede società civile e cittadinanza attiva ecco che il pensiero corre alle file ai gazebo e alla voglia di comunione, di non delegare sempre e comunque ad altri, ma di essere lì, in quel luogo dove si sceglie, si decide, si affida il compito a un qualcuno.

Fonte: Italiani quotidiano del 27/11/12
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venerdì 23 novembre 2012

Cosa si cela dietro lo stallo dell´Eurogruppo sulla Grecia

Uno stallo che non solo rimanda di una settimana la decisione sul nuovo prestito ponte da 44 miliardi di euro per impedire un fallimento tecnicamente già avvenuto, ma che segna il perimetro ideale di due strategie politiche contrapposte. Con al centro i riverberi delicatissimi per l´eurozona e un Paese intero, la Grecia, schiacciato dal dubbio di essersi sacrificato a vuoto.  Il nulla di fatto dell´Eurogruppo di ieri con la promessa di rimandare la decisione al 26 novembre, cela le diversità di vedute tra Stati Uniti ed Europa su come gestire la crisi, non solo ellenica, quanto della moneta unica. Da un lato la direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde che, fiancheggiata da Barack Obama fresco di rielezione, vorrebbe chiudere definitivamente i conti con il rischio contagio. E quantificare con certezza matematica i parametri del deficit greco, che in assenza di misure correttive e dopo il sesto anno di recessione consecutiva, secondo i report dell´Fmi raggiungerà il 144% nel 2020 e il 133% nel 2022.

Dall´altro la strategia del quasi accordo, (con un´accelerazione nelle ore successive alla visita ad Atene della cancelliera) che però non si trasforma in un "sì" ufficiale da parte di Frau Angela, che in molti ormai danno come già proiettata alle elezioni tedesche del settembre 2013, quindi timorosa che il dossier Grecia possa condizionarne in qualche modo la performance elettorale.  Al netto di valutazioni ed analisi spicca la mancata consapevolezza da parte degli attori in scena che per sanare il buco della damigiana "Grecia", affetta da una voragine strutturale senza precedenti, non saranno sufficienti né altri prestiti ponte né misure provvedimenti a medio termine, ma si rende urgente una strategia di lungo respiro che coinvolga l´intero continente. Che pesi attentamente cause ed effetti, che non si limiti alla prossima consultazione elettorale o alla contingenza di bond o di titoli in scadenza. Ma ridistribuisca competenze e risorse, senza la volontà prevaricatrice di uno sugli altri.

Anche per prevenire la fibrillazione sociale che, ad esempio ad Atene, ha portato il partito neonazista di Alba dorata, dal 7% delle scorse elezioni di maggio, al 15% di gradimento secondo un sondaggio diffuso ieri, di fatto terza forza politica del Paese dietro i radicali del Syriza e i conservatori al governo di Nea Dimokratia. Ma ecco il "nein" dell´Eurogruppo che produce, come evidenzia con insistenza la Frankfurter Allgemeine Zeitung, una certezza: quella del denaro che semplicemente non c´è più. "Il Fmi non vuole procedere - scrive Patrick Bernau - perché ha paura per i suoi soldi". Figurarsi Atene.

Fonte: Formiche del 22/11/12
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mercoledì 21 novembre 2012

Quella vacatio della politica che si colma con visioni nuove

C’è chi sceglie una capanna a Malindi e chi programma il post-emergenza con un minimo di serietà e consapevolezza della gravità in cui versa il Paese e il continente. Non saranno certo una nuotata nello Stretto di Messina o la messinscena di pancia antitedesca a sanare le criticità nate anche dalla vacatio della politica. Su cui certamente storici e analisti avranno tempo di confrontarsi e dibattere. Ciò che conta in questo momento, invece, è raggiungere una sintesi su come rapportarsi pragmaticamente alle cose da fare. La vacatio della politica si colma con una politica diversa: migliore, responsabile, anche grazie alla società civile. L'anello di trasmissione per una visione maggioritaria, non l’occasione di una rottura fine a se stessa. Quando il Capo dello Stato richiama Benedetto Croce («il bene dell’Italia deve essere il limite alla discordia dei partiti»), pone nuovamente l’accento su una visione della politica diversa, che trasformi in carne e ossa lo slogan del bene comune sciorinato da tutti. La citazione crociana è simbolo di visione lungimirante, perché riguarda i partiti politici che «in avvenire si combatteranno a viso aperto e lealmente perché tutti essi, come terranno sacra la libertà, loro comune fondamento, così avranno dinanzi agli occhi l’Italia».
 
Ecco che allora in una fase delicatissima in cui si decide la sopravvivenza stessa di un’Unione in affanno, al cui interno solo Berlino non soffre ancora come Atene, Madrid, Lisbona, Malta, Nicosia, Roma e Parigi (sì, anche Parigi, come l’addio alla tripla A di Moody’s sta ad indicare), si rende utile un rafforzamento imprescindibile della politica, non una sua cancellazione, per immaginarla all’interno di un involucro nuovo, che attiri energie altre, non che le scacci. Che includa richieste e sensibilità, senza isolare mondi che invece devono non solo parlarsi e intendersi, ma impegnarsi a fare un pezzo di strada insieme. E farlo al meglio.
 
Fonte: Italiani quotidiano del 22/11/12
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Eurogruppo, il “no” di Angela Merkel: rimangono bloccati gli aiuti alla Grecia

Thriller e stallo a Bruxelles” titola oggi il popolare quotidiano To Vima: niente accordo sul maxiprestito alla Grecia. All’Eurogruppo fiume, durato dodici ore e terminato alle cinque del mattino, va in scena una sorta di derby tra Juncker e Lagarde sulla sostenibilità del debito greco. E per avere il via libera ai 44 miliardi di euro che servono al paese per non fallire, bisognerà aspettare lunedì 26 novembre, quando una nuova convocazione dell’Eurogruppo potrebbe sbloccare una situazione che si complica ulteriormente. La Germania frena e lo dimostra il fatto che la riunione è stata costantemente interrotta in quanto, secondo fonti europee, sono subentrati negoziati tra i paesi (prima a due, poi a tre e a quattro) per tentare di superare le divergenze.

Il Fondo monetario internazionale resta su posizioni rigide circa il nodo principale, ovvero la sostenibilità del debito. Su cui a un certo punto del vertice si era fatta largo l’ipotesi di concedere una moratoria di dieci anni alla Grecia sul pagamento degli interessi sui prestiti del fondo salva-Stati Efsf, che avrebbe come conseguenza il risparmio per Atene di 44 miliardi. Ma permane uno scetticismo di fondo dei partner europei sulla capacità ellenica di ottenere il prestito a condizioni aggiuntive, che potrebbero gravare ancor di più sulla già disastrosa situazione sociale nel paese, dove ieri i lavoratori degli enti locali di tutta la Grecia hanno occupato le sedi di regioni, province e comuni per impedire la compilazione delle liste degli impiegati destinati alla mobilità, e quindi la messa in cassa integrazione, come richiesto dal memorandum della troika.

C’è comunque da registrare un piccolo passo in avanti, come lo stesso Juncker sottolinea: “L’Eurogruppo ha identificato un pacchetto di misure credibili per contribuire in modo sostanziale alla sostenibilità del debito greco – rileva – anche se le trattative si sono interrotte per consentire di approfondire alcuni elementi a livello tecnico”. Nello specifico i paesi che devono staccare l’assegno per non far fallire la Grecia vogliono conoscere esattamente come attuare le misure per aiutare Atene a ridurre il debito, dal momento che proprio in quei nuovi numeri risiede uno sforzo che, tra l’altro, dovrà anche passare per un’approvazione ufficiale dei singoli parlamenti nazionali. Senza dimenticare un’altra questione centrale, ovvero come riparare al buco di 15 miliardi nato dalla proroga di due anni concessa ad Atene sul rientro dal deficit. Passaggio sul quale Austria e Finlandia hanno preventivamente chiuso a nuovi aiuti. Lo stesso Juncker, pochi minuti prima della fine dell’Eurogruppo, aveva dichiarato alla stampa che l’Eurogruppo ha preso atto con soddisfazione che tutte le azioni e i prerequisiti richiesti prima della riunione sono stati rispettati in modo soddisfacente da Atene, compresa una vasta gamma di riforme oltre all’obiettivo ambizioso sul bilancio per il triennio 2013-2016. Ma facendo trapelare la propria personale sensazione: alla domanda se fosse deluso dal mancato accordo Juncker ha risposto con un austero “in Europa non si fanno più illusioni”.

Sul versante delle “opposizioni elleniche” si registrano le parole del ministro delle Finanze tedesco Schauble, secondo cui “i problemi sono così complessi che non siamo riusciti a trovare una soluzione definitiva. C’è tutta una serie di opzioni per colmare il fabbisogno di finanziamento in Grecia, stimato a 32 miliardi di euro”. Mentre il vertice dell’Fmi Christine Lagarde ha evidenziato come vi siano stati dei progressi, ma ve ne servirebbero di altri. Il cosiddetto derby tra Fmi e Eurogruppo verte sulla sostenibilità del debito greco. Mentre l’Eurozona si dice disposta a prorogare di un biennio il rientro dal debito, (attualmente al 120% da raggiungere nel 2020), l’Fmi non cede e come ha dichiarato la Lagarde a vertice concluso “le nostre posizioni si sono avvicinate, ma continuiamo lunedì”, in quanto la sostenibilità dei conti “è la prima cosa”.

La sensazione è che, in caso di accordo il prossimo 26 novembre, questo sarà “accompagnato” da ulteriori provvedimenti soprattutto nel medio periodo, come l’opzione del riacquisto del debito circolata con insistenza per tutta la durata dell’Eurogruppo. A cui però si oppone il vice direttore dell’Institute of international finance (Iif) Hung Tran, sottolineando che comporterebbe seri rischi di minare la credibilità dell’Eurozona: “Sarebbe un uso improprio delle clausole di azione collettiva. È un segno di cattiva fede da parte delle autorità”, ha detto, aggiungendo che questo potrebbe motivare gli investitori a preoccuparsi di movimenti simili di altri paesi dell’area euro.

Domani intanto è previsto un incontro tra Juncker e il premier greco Samaras. Quest’ultimo ripeterà al vertice dell’Eurogruppo quello che va dicendo ormai da tempo. Ovvero che Ue e Fmi si assumano la responsabilità di andare avanti nell’attuazione dei loro impegni, perché Atene ha adempiuto agli obblighi. “La Grecia ha fatto quello che doveva e ora i nostri partner, tra cui il Fondo monetario internazionale, continuino ciò che hanno iniziato” ha detto dopo la chiusura dell’Eurogruppo. Aggiungendo che “dal completamento di questo sforzo nei prossimi giorni, dipende non solo il futuro del nostro paese ma la stabilità dell’intera eurozona. Ed eventuali difficoltà tecniche nel trovare una soluzione non giustificheranno lassismi o ritardi”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 21/11/12
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