giovedì 30 gennaio 2014

Il dramma dell'immigrazione in Grecia: quando la politica Ue fa default

Concorso di colpa greca nel naufragio? L'accusa è di quelle che lasciano senza fiato: la Guardia Costiera greca avrebbe, secondo alcuni testimoni, lasciato annegare alcuni migranti vicino l’isola di Famakonisi, così come risulta dalla ricostruzione dell'Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati. Un dramma nel dramma, che pochi giorni fa ha portato al naufragio di un barcone con una trentina di clandestini a bordo, con la polemica sui soccorsi che sta deflagrando in un Paese dilaniato dalla crisi e dai riverberi di un memorandum che, se da un lato lo ha condotto per il primo anno fuori dalla recessione, dall'altro ne ha sfiancato cittadini e diritti.

L'allarme è stato lanciato lo scorso 21 gennaio al largo dell'isola di Farmakonisi, da dove era stata individuata un'imbarcazione con un numero imprecisato di clandestini. Nel tentativo di condurre in porto la carretta del mare due immigrati sono caduti in acqua mentre gli altri, per vedere cosa stesse succedendo sulla barca, con il loro movimento hanno causato il ribaltamento del natante. Il personale del porto è riuscito a condurre in salvo 16 persone, mentre ne avrebbero ignorati 12. Ma al momento, nonostante ampie indagini, non sono stati individuati i clandestini mancanti. I 14 sopravvissuti sono stati trasportati in barca fino al porto di Farmakonisi e poi nella più grande isola di Leros, dove sono stati ospitati. Secondo quanto sostenuto dall’Unhcr, i testimoni sopravvissuti asseriscono che mentre la nave della Guardia Costiera tentava di trainare la barca a grande velocità verso le coste della Turchia, è accaduto il tragico incidente con il mare in tempesta. Con i migranti che imploravano aiuto, visto che nella barca c’erano molti bambini.

Le organizzazioni internazionali hanno condannato diverse volte negli ultimi quattro anni la pratica delle autorità greche per obbligare i migranti a tornare in Turchia, anche se proprio dalla frontiera turca lasciata “incustodita” sono transitate migliaia di braccia e volti riversate in Grecia. Sul punto le stesse chiedono che si faccia al più presto luce sulla dinamica dell'incidente, con la grande stampa europea che vorrebbe un'indagine indipendente sulle circostanze del naufragio e sulle paventate deportazioni degli immigrati clandestini in Turchia, di cui sarebbe accusata la guardia costiera ellenica. Già in passato alcuni residenti delle isole periferiche avevano riferito che i migranti in procinto di essere trasferiti nei centri di accoglienza dei porti non erano mai arrivati. Sulla barca da pesca erano presenti in 28, 25 afghani e 3 siriani, inclusi molte donne e bambini, di cui 16 migranti salvati dalle acque agitate dell'Egeo, mentre una donna e un bambino di 5 anni sono stati trovati morti vicino la costa turca, e altre 10 persone (2 donne e 8 neonati e bambini) dispersi. Ragion per cui dall’Unhcr ecco l'appello alle autorità greche di investigare sulle circostanze nelle quali si è verificato l’incidente e “su come è stato possibile perdere delle vite umane su una barca che veniva trainata”, così come si è chiesto Laurens Jolles, rappresentante per il sud Europa dell’Alto Commissariato.
Ma il naufragio di Farmakonisi rappresenta niente altro che la tragica spia di un macrodisagio sociale, quello dell'immigrazione nell'intera area euromediterranea di cui l'Unione europea per troppi anni si è disinteressata, con la Grecia lasciata sola a gestire, o meglio a non-gestire l'intera questione. La situazione al momento vede due milioni di extracomunitari presenti nel Paese, stando alle cifre ufficiali, ma che sarebbero molti di più per via di mancati controlli soprattutto nella frontiera settentrionale, quella che il partito xenofobo di Alba dorata vorrebbe chiudere piazzandovi mine antiuomo.

Ma come fare fronte comune per non mortificare la sfera dei diritti ed evitare tragedie come quelle andate in scena nell'Egeo? Una strada da percorrere potrebbe essere quella di coinvolgere i "vicini di casa" come Italia e Malta. Proprio alla Valletta in occasione di una visita ufficiale lo scorso ottobre, il premier ellenico Antonis Samaras aveva messo l'accento assieme al suo omologo Joseph Muscat, sul fatto che immigrazione e asilo fossero due temi da inserire prepotentemente nell'agenda del Consiglio europeo, in considerazione della massiccia ondata migratoria che dall'Anatolia si riversa costantemente in Grecia. E lo dimostra il fatto che pochi giorni dopo il dramma di Farmakonisi, la Guardia Costiera ha salvato altri 47 migranti a bordo di un barcone in avaria al largo dell'isola di Samos, nell'Egeo orientale. Segno che l'emergenza immigrazione in Grecia è all'ordine del giorno, mentre l'ente continentale preposto, il Frontex, è di stanza a Varsavia: lontano anni luce dall'epicentro del sisma umano.

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venerdì 17 gennaio 2014

Fmi, la delusione di Lagarde per la riforma che non c’è

Ecco perché Christine Lagarde, direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale, si è detta “delusa” dalla legge finanziaria statunitense approvata nella notte: non fornisce i finanziamenti necessari per la riforma della governance dell’istituzione auspicata da quattro anni.

STOP
La storica riforma del Fondo Monetario Internazionale, nelle intenzioni, avrebbe dovuto raddoppiare il peso dei Paesi emergenti oltre che le risorse oggettive. Ma il Congresso Usa non ha raggiunto il consenso sulle misure di rifinanziamento: esse sarebbero state propedeutiche alla ratifica della riforma del 2010 che ridisegna le quote e la governance dell’istituzione di Bretton Woods.

DELUSIONE
I negoziatori del Congresso hanno reso pubblico nella notte un testo monumentale, composto da ben 1.582 pagine, che dovrebbe evitare lo spettro di una nuova paralisi in seno all’esecutivo. Ma all’interno non vi è traccia della preziosa e auspicata erogazione di fondi che avrebbero permesso agli Stati Uniti di ratificare la riforma delle quote (di allocazione del capitale) del FMI. E, di conseguenza, la nuova governance. Un passaggio sul quale l’ex ministra del governo Sarkozy ha riversato un duro commento: “Sono delusa dal fatto che non sono state prese le misure necessarie per attuare questa importante riforma della governance“. E ancora: “Il mondo sta cambiando e noi siamo totalmente impegnati ad aiutare i nostri membri a finalizzare quanto concordato nel 2010 per garantire che il Fondo tenga il passo con i cambiamenti globali e affrontare le nuove sfide”.

IL POST DSK
Sotto la guida del suo CEO, all’indomani dell’uscita di scena di Dominique Strauss-Kahn, il Fmi immaginò di adottare quella che sarebbe dovuta essere nelle intenzioni la più ambiziosa mossa riformatrice del Fondo sin dalla sua creazione negli anni del dopoguerra. Fissando anche un termine di attuazione che però è scaduto alla fine del 2012. Alcuni analisti si spingono a far coincidere questo ritardo con l’eurocrisi scoppiata in Grecia dal 2010, che ha visto proprio nel Fmi uno dei principali attori per la proposizione e l’attuazione del memorandum, seguito anche da Spagna e Portogallo, con nel mezzo il nuovo intervento della troika su Cipro del marzo scorso.

USA
Intanto negli Stati Uniti l’anno è iniziato con il pollice in su per via dei numeri sulla crescita. Sul tema pochi giorni fa si è detta ottimista la stessa Christine Lagarde al termine della sua visita in Kenya. Per cui il Fondo si appresta a rivedere al rialzo le previsioni di crescita economica globale. Nulla si sa sulle origini di tale decisione, inaspettata per via della contingenza generale del Fondo e dell’economia mondiale, ma più d’uno si spinge a sostenere che a seguito di numerosi bollettini al ribasso, è ragionevole che si avvicini la ripresa dei Paesi avanzati: un oggettivo e possibile controbilanciamento alla frenata delle economie sviluppate.

Fonte: Formiche del 14/1/14
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Financial Times contro la Troika: “Trio di burocrati non eletti amministra zona euro”

Dal fallimento delle élite industriali e politiche a quello del memorandum per Grecia e Paesi Piigs. Il Financial Times, in un fondo che ripercorre la storia del Vecchio Continente a un secolo esatto dalla prima guerra mondiale, certifica l’insuccesso della troika. Definita “un trio di burocrati non eletti che amministra la zona euro portando ad un aumento dell’estrema destra”. E sottolinea i tre “buchi neri” del mondo moderno. In primis la mancata comprensione delle conseguenze della liberalizzazione finanziaria. Rassicurati da fantasie fasulle, i mercati finanziari non solo hanno autorizzato ma anche incoraggiato la grande scommessa sul prolungamento del debito. Le élite che guida la politica non è riuscita ad apprezzare i rischi di un fallimento sistemico, osserva il quotidiano economico. Per cui le economie sono crollate, la disoccupazione è aumentata, il debito è esploso. In secondo luogo l’ineguale distribuzione dei guadagni derivanti dalla crescita economica che favorisce la plutocrazia: ovvero l’emersione di un’economia globalizzata e di una nuova élite economica i cui membri sono diventati sempre più distanti dai Paesi che li hanno prodotti. Durante questo processo, il collante che lega ogni democrazia, cioè la nozione di cittadinanza, scrive il Ft, si è indebolito. Con la conseguenza che l’ineguale distribuzione dei guadagni derivanti dalla crescita economica ha migliorato solo le tasche dei più ricchi, con ormai prossimo l’inizio di un deterioramento a lungo termine. Infine il terzo neo delle élite: il funzionamento dell’euro e i problemi connessi creati.

Le difficoltà delle economie colpite dalla crisi è evidente: grande recessione, disoccupazione altissima, migrazioni di massa e accumulo di debito pesante. Tuttavia è il disordine costituzionale della zona euro a essere poco conosciuto. Ed ecco l’attacco alla troika: all’interno della zona euro, scrive il quotidiano finanziario, la potenza è concentrata nelle mani dei governi dei Paesi creditori, in particolare la Germania, con un trio di burocrati non eletti, la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. I popoli dei Paesi colpiti non hanno alcuna influenza su di loro. I politici che sono responsabili non sono perseguibili e “questo divorzio tra responsabilità di qualsiasi nozione e governance democratica” produce una crisi non solo economica ma “costituzionale”.

E conclude che questi tre fallimenti sono sufficienti a sollevare dubbi circa le élite, che portano con queste scelte al crescente populismo e soprattutto al sentimento di xenofobia. Intanto in Grecia sulla lista Lagarde, l’elenco degli illustri evasori ellenici che hanno portato in Svizzera circa 50 miliardi di euro, si registra una seduta del capo della criminalità finanziaria, Stelios Stassinopoulos, dinanzi alla commissione Istituzioni e trasparenza della Camera. In cui ha riferito che su 1700 file ne sono stati analizzati solo 266. L’ammontare totale di evasione è di 54 miliardi di euro, c’è perfino un cieco totale che ha portato via 10 milioni di euro. Quattro sono parenti dell’ex ministro delle finanze Georgios Papaconstantinou (che nei giorni scorsi ha detto “non sarò il solo a pagare”) con transazioni per totali sei milioni e trecento milioni.), oltre ad altri 3,7 milioni relativi a due nuovi volti. Ma Stassinopoulos, citando il segreto bancario, non ha dato prova di questi nuovi nomi. In attesa di giudizio anche Kostas Vaxevanis, il giornalista che per primo pubblicò la lista in Grecia nell’ottobre del 2012 e che per questo fu arrestato e processato per direttissima.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 15/1/14
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martedì 7 gennaio 2014

Non bastano le primarie per la visione della Bari 2.0

Il presente è ormai diventato egemonico, ha osservato il sociologo Marc Augé nel suo pregevole pamphlet “Che fine ha fatto il futuro”. Quasi per certificare come, l'assenza di una programmazione a lunga scadenza, rappresenti il vero nodo non solo sociale (per un popolo affetto da globalizzazione schizofrenica), ma anche politico. Dove si assiste all'infinito dibattito su nomi e sigle, alleanze e presunti accordi, sgambetti e veti incrociati, evitando accuratamente di accostare a quei volti e a quelle braccia un minimo di visione progettuale ariosa. La partita per le prossime elezioni comunali nel capoluogo pugliese ancora una volta si sta consumando su nomi e aggregazioni di sigle, non su programmi, idee e soprattutto su visioni lungimiranti. Un ulteriore campanello di allarme, drammatico, che suona ormai inascoltato, sommerso dalle grida delle polemiche da bassa cucina, con i consueti do ut des che molto spesso sono i protagonisti delle dinamiche locali, quando invece ci sarebbe da rimboccarsi le maniche per decidere, una volta per tutte, cosa si intende fare per la città. E farlo con una prospettiva decennale, non legata al numero legale del primo consiglio comunale futuro.

Se “sprovincializzarla” culturalmente armonizzando risorse in loco con le dinamiche commerciali continentali; se sfruttare una volta per tutte i dodici chilometri di lungomare così come si fa regolarmente in Spagna, Grecia, Croazia o se restare mesti titolari “passivi” di qualche metro cubo di acqua; se prevedere di costruire nuovi edifici pubblici e privati già energeticamente indipendenti, con materiali green e che siano punto di contatto “vivo” per i cittadini; se decidere in maniera commercialmente armonica che fare dello stadio San Nicola, se sfruttarlo con alla base una seria e credibile politica industriale o se proseguire nelle diatribe spicciole che non sfociano in fatti; se “fare rete” tra le crociere in arrivo in città da maggio a novembre e i nuovi turisti che, dal bacino araboasiatico del pianeta stanno per essere riversati in Italia, se il piano su Alitalia della compagnia Etihad dovesse andare in porto; se fare del tratto di strada da San Girolamo a San Giorgio una grande pista ciclabile a bordo acqua, così come per il centro londinese ha previsto l'eclettico sindaco Boris Johnson; se un Casinò nel teatro Margherita, con uno sviluppo commerciale a trecentosessanta gradi (acqua-attività connesse) ma nel rispetto dell'ambiente, sia possibile con l'intervento di partner stranieri; se i commercianti cittadini siano destinati ad essere semplici ricettori di decisioni politiche che li riguardano (come chiusure al traffico, regolamenti per le attività e quant'altro) o se dovranno essere coinvolti fattivamente.

Sono solo una serie di piccoli spunti e idee su cui le intellighenzie cittadine hanno l'obbligo di confrontarsi e, se necessario, scontarsi dialetticamente in una sorta di Agorà permanente, come poche volte in verità si è fatto. Ma soprattutto dimostrazione pratica che non saranno sufficienti le pur volenterose e democratiche primarie per delineare il perimetro di un'azione politica che disegni la Bari 2.0. Quell'assise popolare, positiva, sarà eventualmente solo il punto di partenza. Ma per affrontare un viaggio così lungo e laborioso, ai concorrenti presenti sul nastro di partenza occorrerà un altro elemento imprescindibile: disporre di una visione. Ariosa e lungimirante. In caso contrario il nuovismo di volti e nomi, seppur dignitosi e presentabili, non condurrà ad una rivoluzione della polis, ma solo a mediocri restyling.             

Fonte: Corriere del Mezzogiorno del 7/1/14

Grecia 2014, fine della sovranità

Come nasce e si sviluppa la fenomenologia di Alba Dorata in Grecia? Ogni crisi che si rispetti porta con sé riverberi e disordini sociali, come quelli che si sono sviluppati al centro dell'Egeo dal 2010 ad oggi. Lecito chiedersi: solo colpa di estremisti e anarchici, o dietro la nuova spirale di violenza si nasconde anche disinformazione o un preciso conflitto tra poteri ormai in decadenza? Prima dell'omicidio del rapper Pavlos Fyssas freddato lo scorso settembre da un militante di Alba dorata e della replica 50 giorni dopo con i due chrisìavghites uccisi dinanzi alla sede ateniese del partito da un sicario in moto, già nelle prime settimane del 2013 si erano verificati episodi preoccupanti. Ragionare analiticamente sul fenomeno Alba Dorata in Grecia, e farlo alla luce degli ultimi fatti di sangue, impone un quesito: tornano gli anni di piombo, una guerra di estremi o una strategia della tensione per celare i fallimenti della politica?

La storia greca insegna che nulla è come appare, e che quel Paese è stato in svariate occasioni crocevia di interessi e dinamiche legate alla geopolitica. Oggi si può unire il disagio sociale incarnato da violenti partiti anti sistema, come appunto Alba Dorata, all'incubo degli anni di piombo che è tornato a circolare nella capitale greca? Alcuni analisti si spingono a ragionare sul fatto che il cambiamento delle circostanze, ovvero l'eliminazione delle principali minacce alla moneta unica rappresentate dal rischio default greco e il salvataggio de facto da parte della troika, possa essere stato controbilanciato dalla Lista Lagarde, la lista degli illustri evasori ellenici (politici, imprenditori, giornalisti) deflagrata contro l'intera classe dirigente, vero elemento di disordine interno al pari della svendita totale di un Paese che ha nel proprio sottosuolo idrocarburi, miniere di oro e argento fino ad oggi mai sfruttati.

Ma come si intersecano le vicende legate alla xenofobia, al razzismo e al populismo applicato alla politica da Alba Dorata con la contingenza di un Paese in fiamme, dove il ceto medio è scivolato verso la soglia di povertà, dove a pagare dazio sono solo i soliti noti? In quell'interstizio di ingiustizia si è annidata la proposta di Alba Dorata, il cui elettorato non è stato composto esclusivamente da pericolosi nazisti, perché molti voti sono giunti anche dal popolo degli astenuti, da cittadini di centro, di sinistra e di destra che semplicemente hanno scelto il voto di protesta perché delusi dalla politica che si dice democratica e che ha prodotto l'attuale voragine finanziaria greca. Scelta sbagliata?

Oggi la politica con la P maiuscola, quella che annuncia ai cittadini di perseguire il bene comune su «consiglio» della troika, quella che ad Atene esclude altri sacrifici ma nei fatti li ha già avallati un anno fa firmando il memorandum, è fra le concause di Alba Dorata. Perché ha amministrato male un Paese per trent'anni, perché ha permesso che le sperequazioni sociali fossero legge, perché ha immolato la libera iniziativa imprenditoriale sull'altare dei sussidi, perché ha preso finanziamenti europei senza i necessari controlli, perché non ha contrastato un sistema clientelare che oggi ha fatto crollare non solo la Grecia ma l'Europa stessa: certificando che la sovranità nazionale, dopo il caso greco e quello cipriota scomparso dai radar della comunicazione europea, non è più un elemento fondante degli Stati membri.

Alba Dorata altro non è che la logica conseguenza di chi pensava di essere più furbo degli altri e che oggi si trova in casa la troika, ospitandola con tutti gli onori. Ma anziché essere chiamata sul banco degli imputati per decenni di bugie, malagestione, clientelismi, assenza di politica industriale che ha fatto importare alla Grecia di tutto, perfino olio e cotone, la politica greca - democratica e non violenta - oggi si erge a difensore del popolo e dei diritti, dei deboli e degli affranti. Quando invece è l'imputato numero uno. Che però alla sbarra non andrà mai.

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venerdì 3 gennaio 2014

Cipro, causa contro l'Europa per il prelievo forzoso nei conti


E adesso cosa potrebbe accadere se i cittadini vedessero riconosciute le proprie ragioni nel primo caso continentale di una class action contro la troika? Ben cinquanta depositanti ciprioti hanno citato in giudizio l'Eurogruppo e le altre istituzioni dell'Unione Europea (come la Banca Centrale Europea) per l'haircut sui loro depositi. Era il marzo dell'anno appena concluso e la troika, al fine di concedere prestiti per dieci miliardi di euro alle banche isolane «intossicate» da titoli greci e da una voragine finanziaria che fece nascere la prima bad bank «made in memorandum», decise che anche gli istituti (quindi i correntisti) avrebbero dovuto recitare la propria parte, con un prelievo forzoso sui depositi. Come una tela di Penelope prima si ipotizzò che fosse per tutti, poi solo per i conti sopra i centomila euro.

Infine si giunse due mesi dopo all'accordo per una sforbiciata del 47,5% ad appannaggio di quei creditori non garantiti. Una primizia choccante per l'Europa (anche se un precedente si era verificato in Italia sotto il governo Amato), un monito scoccato da Bruxelles per tutti gli Stati membri: attenti, era la vulgata di quelle ore, a chi non fa i compiti a casa potrebbe toccare la stessa sorte.

Nel mezzo i cittadini ciprioti, in quei giorni terremotati da bancomat fuori servizio, lunghe code agli sportelli, con un limite alla circolazione di contante e con la scena da spy story di un cargo giunto all'aeroporto di Larnaca pieno zeppo di contanti, scortato da militari armati fino ai denti sino ai caveau delle banche. Oggi la notizia della class action, presentata dallo studio legale Christostomides con l'appoggio di altri legali europei. Vale la pena ricordare che questa è la prima volta che qualcuno si rivolge ad un tribunale europeo per stabilire se le operazioni dell'Eurogruppo siano corrette o meno, con un gigantesco punto interrogativo circa la futura decisione dei giudici. In particolare, i ricorrenti chiedono il risarcimento principalmente per gli effetti negativi causati dalla decisione dell'Eurogruppo, del marzo 2013, che includeva le misure di risanamento per la Banca Popolare e la Banca di Cipro.

Tutti gli imputati sono accusati di gravi violazioni del diritto di proprietà e dei principi generali della protezione della non discriminazione del legittimo affidamento e di proporzionalità sanciti nel diritto europeo. Insomma, una pietra miliare in questa eurocrisi. Quali scenari si aprirebbero se ai cittadini fosse riconosciuta la ragione? Ancora oggi la troika a Cipro annuncia un programma per rinfoltire la fiducia nel sistema bancario, quello stesso che è stato ignorato per due lustri e che un bel giorno è finito nel mirino degli euro burocrati. Nel frattempo proprio i creditori internazionali di Fmi, Bce e Ue proseguono sulla traccia «ellenica» a Cipro, con un programma di privatizzazioni dal sapore di una svendita. 

Cipro riveste, oggi più che mai, un ruolo geopolitico significativo nel versante euromediterraneo e mediorientale per via della presenza massiccia di idrocarburi nel proprio sottosuolo, particolare che non ha mai sopito le mire espansionistiche turche. Oltre ai 50mila militari di Ankara che dal 1974 hanno invaso l'isola nell'indifferenza della comunità internazionale, da alcuni mesi ci pensano anche le navi per i rilievi sottomarini turche ad agitare le tranquille acque in cui Nicosia aveva raggiunto un accordo di collaborazione con Tel Aviv per sondare i fondali e procedere alle trivellazioni, con l'intervento anche di aziende italiane, minacciate dalle parole di alcuni ministri turchi.

Ma dallo scorso marzo, quando di fatto nel continente è stato inaugurato il famigerato «metodo Cipro», le cose sono sensibilmente cambiate e in questi giorni di forti fibrillazioni ad Istanbul qualcuno vede anche un possibile peggioramento. Un altro elemento di raffronto con la crisi greca merita di essere scrupolosamente attenzionato. Al 31 dicembre 2010, quando Atene era già stata investita dall'ondata del primo memorandum che destinava risorse per l'80% alle banche e per il restante 20 alle amministrazioni locali, dei 141 miliardi in titoli greci che solo dodici mesi prima le banche straniere possedevano, si era passati a soli 45 miliardi. E grazie al protocollo d'intesa imposto dalla troika al governo del tecnico Lucas Papademos (lo stesso chiamato due mesi fa a valutare la nostra Banca d'Italia) ben 100 miliardi erano stati destinati dal Memorandum per risarcire gli istituti stranieri. Un trucco di proporzioni terrificanti che salvò le banche europee attraverso una vera e propria ipoteca della Grecia intera. Oggi un simile scenario è messo in dubbio da cinquanta correntisti ciprioti che si chiedono se ci sia un giudice a Bruxelles.

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giovedì 2 gennaio 2014

Putin alla roulette russa delle Olimpiadi

Novantanove miliardi di rubli (oltre ventuno miliardi di euro): è il contributo dello Stato per la costruzione degli impianti sportivi di Sochi, quando le Olimpiadi invernali che si apriranno tra qualche settimana in Russia avranno un sapore non solo sportivo, ma squisitamente geopolitico. Il mantra dei cinque cerchi concentrici su cui Vladimir Putin punta tutto è quello della progettualità accanto a una nuova primavera politica, che risolva i nodi nel Caucaso, che interpreti un rinnovato ruolo nei confronti dell'Ue, che armonizzi esigenze e prerogative verso la dorsale pacifica del globo.

Ciò che è stato costruito non verrà abbandonato un attimo dopo la chiusura ufficiale dei Giochi invernali. È il caso delle tredici strutture edificate per l'avvenimento russo, che si andranno ad affiancare alle quattrocento complessive destinate a dare fiato a Sochi, grazie a 144 miliardi di rubli che si sommeranno ai denari investiti dallo Stato in questa faraonica edizione, turbata dall'allarme terroristico che di fatto ha spostato le attenzioni di Al-Qaida (anche se forse solo temporaneamente) dalla costa atlantica al Mar Nero. Primo effetto la limitazione nell'invio di pacchi chiusi, che da quarantott'ore non possono più essere inviati a Sochi, per il timore di attentati. Una misura di sicurezza (l'ennesima) che si aggiunge ad un imponente dispiegamento di mezzi e uomini decisi da Mosca, come le 1500 unità della Protezione civile, le 5000 telecamere, i droni senza pilota a cui sarà affidato il controllo dal cielo e da terra, i metal detector oltre ai cani addestrati ad individuare l'esplosivo.

Ma lo sport sarà solo una cornice, seppure entusiasmante e dall'alto appeal per sponsor e visitatori, per disegnare i contorni di una più ampia partita geopolitica che si sta giocando da un lato al confine con le fibrillazioni caucasiche, e dall'altro con il fronte orientale (Cina, Giappone, India, Corea) che preoccupa e interessa Mosca. I negoziati sul nucleare in Iran hanno decretato per sei mesi le limitazioni all'arricchimento dell'uranio da parte di Teheran che al contempo ottiene non solo la legittimità ad arricchire l'uranio per usi civili, ma anche un limitato alleggerimento delle sanzioni. Con la possibilità in meno di sei mesi di recuperare 6-7 miliardi di dollari.

Senza dimenticare i cinque fronti di instabilità euromediterranei rappresentati da Turchia, Libano, Siria, Grecia ed Egitto, che anche se non turbano profondamente i sonni di Mosca, rappresentano comunque un bacino di prova impegnativo, per via dei riverberi nelle dinamiche mediorientali che portano in pancia. Un quadro d'insieme che per essere meglio decifrato ha necessità di essere supportato dal grande evento di caratura mondiale rappresentato dai Giochi di Sochi.

Proprio l'elemento edilizio (con uno sviluppo deciso di strutture e infrastrutture) rappresenta la cartina di tornasole per leggere fra le righe di cemento e record olimpici. I numeri forniti dal Comitato organizzatore parlano di 350 km di nuove arterie stradali, 22 gallerie, 200 km di ferrovie, più di 40 alberghi. Fiore all'occhiello è l'avveniristica stazione ferroviaria, alla cui inaugurazione due mesi fa non è voluto mancare il presidente Putin, particolarmente soddisfatto per l'espansione di servizi. Il riferimento è al Palasport «Bolshoj» ad Adler, con la peculiarità di un tetto fatto sulla scorta del tendone di un circo, con una cupola che si estende per una dimensione pari a uno stadio di calcio, in grado di essere fruito da almeno 12mila persone. Altra struttura interna alla città Olimpica è il palasport Shajba, tirato su in poco più di tre anni e con l'unicità di essere smontabile. Ovvero al termine dei Giochi potrà essere trasportato in una qualsiasi altra zona del Paese, «allungando» l'ombra dello sport sull'intera Russia.

Lo sosteneva il generale De Gaulle che «non si può essere allo stesso tempo l'uomo delle grandi tempeste e quello delle basse manovre». Ecco perché il baricentro di Giochi Olimpici dirà molto sul futuro politico di Mosca e del suo Presidente.

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