lunedì 29 settembre 2014

Sì al velo, no a trucco e tattoo: le regole islamiche di Ankara

C'è un qualcosa di macabro nell'ultima provocazione del governo turco. Non è più solo islamizzazione forzosa o una guerra ideologica ai social network : questa volta Erdogan l'ha fatta grossa, perché ha messo mano alla regole di abbigliamento e di condotta nelle scuole medie e superiori, con divieti e prescrizioni che sanno di privazione palese della libertà.
Un pugno in faccia alla singola determinazione individuale a soli 13 mesi dai massacri di Gezi Park e dalle piazze del Paese che urlavano tutto il proprio dissenso contro uno Stato democratico a parole, ma dittatoriale nei fatti.
Secondo il nuovo codice di abbigliamento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il governo di Ankara da un lato ha abolito il divieto per le giovani di indossare il velo islamico tra i banchi delle scuole medie e superiori e dall'altro ha proibito alle studentesse di truccarsi, di farsi tatuaggi o piercing. Nel contestato decalogo pubblicato sul quotidiano Hurriyet si legge che «devono presentarsi a scuola con il volto visibile: non possono usare sciarpe, berretti, cappelli, borse o altri accessori con simboli politici o scritte; non si possono tingere i capelli, non possono avere tatuaggi né sfoggiare il trucco; non possono avere piercing, né baffi né barba». Capitolo velo. Rimane off sino alle scuole elementari, così come annunciato dal vice premier Bulent Arinc, scatenando un vespaio di polemiche, dal momento che tale divieto risale allo stato laico voluto dal fondatore della Turchia moderna, Musfata Kemal Ataturk. Per cui il «turban» era ammesso solo nelle scuole religiose, mentre nelle università il divieto era stato abolito con una riforma costituzionale adottata nel 2008 dal governo islamico dell'allora premier e attuale presidente Recep Tayyip Erdogan. Una condotta abolita da una sentenza della Corte Costituzionale che annullò il provvedimento.
Una deriva illiberale che pare non avere fine: prima della battaglia strumentale contro i social network da parte dell'allora premier Erdogan, anche si dice per nascondere un video hard che ritrarrebbe il premier con la bella ex miss Turchia Defne Samyeli, il governo turco nell'ultimo anno si è distinto per la reazione scomposta e violenta contro i manifestanti a Gezi Park, con una repressione armata che ha provocato morti e feriti. Poi è stata la volta della crociata contro YouTube e Twitter , a seguire l'apertura di un carcere speciale per omosessuali annunciato lo scorso maggio dal ministro della Giustizia Bekir Bozdag. Passando per l'attuale neo-premier, l'ex ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, su cui sono calate le pesanti ombre di un pamphlet in cui teorizzò il neo-ottomanismo: nel libro Profondità Strategica teorizza una nuova veste per la diplomazia turca, basata sull'Islam e sul passato ottomano della Turchia, al fine di incarnare nuovamente il ruolo di potenza regionale.
E ancora, le minacce alle aziende internazionali che avessero collaborato con Cipro, una visione islamica della politica, senza dimenticare gli scandali che hanno riguardato tutto il governo turco lo scorso inverno e che ha portato ad un maxi rimpasto senza un passaggio parlamentare. Il tutto mentre Ankara mantiene a Cipro ben 50mila militari. Ultimo dato, in ordine di tempo, la timidezza con cui la Turchia, membro della Nato, ha affiancato gli Usa nella guerra all'Isis, in una macro contraddizione politica. E 20 giorni fa in un tweet, il segretario generale della CSU Andreas Scheuer, ha scritto: «La Turchia di Erdogan non ha un posto in Europa». Che abbia ragione?

giovedì 25 settembre 2014

L’ombra di Riyadh sulle intese militari tra Egitto e Russia

L'ombra di Riyadh sulle intese militari tra Egitto e Russia
La mano e il portafogli di Riyahd dietro l’ordine miliardario di armi sull’asse Cairo-Mosca? I rapporti tra Egitto e Russia sono diventati sempre più forti a seguito dei recenti accordi tra i due Paesi. L’esitazione degli Stati Uniti per la fornitura di armi all’Egitto e la crescente minaccia terroristica che il Cairo sta affrontando ai suoi confini orientali e occidentali, hanno portato l’Egitto a chiedere armi russe. Ma chi ha pagato il conto? E con quali obiettivi?
L’ACCORDO
E’ di pochi giorni fa la sigla dell’accordo preliminare per la fornitura di armi russe al Cairo del valore di 3,5 miliardi di dollari. Attori protagonisti l’influente capo dell’agenzia russa per gli armamenti e il generale Al Sisi, che ha deciso di strizzare l’occhio a Vladimir Putin: dopo questo passo la cooperazione nelle esportazioni di armi è un fatto compiuto, oltre all’istituzione di un centro logistico a Masri, sulle coste del Mar Nero. Gli Stati Uniti hanno sospeso parte delle forniture di armi alla caduta dell’ex-presidente egiziano Mohamed Morsi, nel luglio 2013. L’Egitto da tempo cerca di diversificare i fornitori di armamenti per non dipendere più dagli Usa, ma ora questa deriva preoccupa Washington e non solo. Il Cairo è un partner strategico in Medio Oriente, soprattutto a fronte dei nuovi sommovimenti jihadisti e del caos libico.
COSA ACCADE
Elicotteri d’attacco Mi-35 e gli elicotteri multiruolo Mi-17 russi: si tratta di mezzi di cui l’Egitto già dispone (circa cento) oltre a vecchi elicotteri Mi-8 sovietici per trasporto truppe, cargo, intelligence elettronica e attacco. Nell’accordo rientrano i caccia MiG-29M/M2, i sistemi SAM anti aerei, i missili antinave, oltre ad armi leggere e munizioni. La lista prende di fatto il posto degli armamenti Usa, ovvero i caccia Lockheed Martin F-16, gli elicotteri d’attacco Boeing AH-64Apache, i carri armati M1A1 e i missili antinave.
IL TREND
L’acquisto giunge dopo numerosi vertici avviati lo scorso febbraio sull’asse Cairo-Mosca. Risale proprio all’inizi del 2014 la prima firma preliminare a seguito dell’incontro in Russia tra il leader militare egiziano Al Sisi e Putin. In precedenza nel mese di novembre era stato il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov a spianare la strada alla firma al Cairo assieme al ministro della Difesa Serghei Shoigu. Secondo una serie di indiscrezioni apparse sulla stampa e riportate anche dal sito Al monitor.com, i contratti sarebbero frutto del finanziamento dell’Arabia Saudita.
LA CONGIUNTURA
E’ chiaro che l’ascesa di Al Sisi da un lato ha evidenziato un momento di stand-by dei rapporti con Washington che ad ottobre aveva cassato gli aiuti militari al Cairo, dall’altro ha accelerato ad una forma di partenariato maggiormente solido con Mosca. E’ la ragione per cui tra l’altro Putin appoggiò ufficialmente la candidatura di Sisi alla presidenza egiziana.
LE MIRE DI RIYADH
La notizia dal Cairo giunge dopo un’altra decisione che risale allo scorso dicembre, quando venne reso noto che gli Emirati arabi uniti avevano fornito liquidità alle Forze Armate libanesi per acquistare armi dalla Francia. Secondo molti analisti la mossa di Riyadh è un preciso segnale di malcontento saudita nei confronti della politica di Washington su questioni regionali come Iran, Siria ed Egitto.

mercoledì 24 settembre 2014

Tutti i limiti e le colpe di Ankara nella guerra contro Isis

Tutti i limiti e le colpe di Ankara nella guerra contro Isis
Sarebbe dovuto essere il primo e più importante alleato nella battaglia della Nato contro l’Isis. LaTurchia di Erdogan al centro delle ansie mediorientali, con lo stesso neo presidente della Repubblica che se da un lato è riuscito ad ottenere (non senza polemiche) la liberazione degli ostaggi tenuti prigionieri dal Califfato, dall’altro non mostra una posizione particolarmente attiva a sostegno della Nato. Che succede ad Ankara? L’analisi di Nathalie Tocci, esperta di Turchia dell’Istituto Affari Internazionali.
Ankara è membro della Nato ma è assente dalla coalizione impegnata contro l’Isis: come spiegarlo?
Il motivo principale, sino alla scorsa settimana, era concentrato sulla questione dei 49 ostaggi catturati dall’Isis, che ormai sono stati rilasciati. Per cui il motivo non è più formalmente valido.

Cosa c’è dietro?
Il fatto che la Turchia di per sé continua a restare ostaggio dell’Isis.

In che senso?
Nel senso che c’è un enclave in Siria di Sulemai Sha, una tomba custodita dalle forze armate turche: territorio formalmente turco in Siria. Per rifornire i militari turchi occorre un accordo implicito con l’Isis che controlla quella parte del territorio. Questo il caso più eclatante, ma più in generale mentre teoricamente la frontiera di quasi 900 chilometri divide oggettivamente Turchia e Isis, e quindi dovrebbe mettere Ankara in prima linea nel contrastare la stessa Isis, di contro il Paese ha il terrore di essere sovraesposto.

Dopo gli eventi dell’ultimo anno come Gezi Park, prima ancora la provocazione dell’appalto Nato ai cinesi, l’elezione a presidente di Erdogan, lo scandalo corruzione del governo e quindi la paura dell’infiltrazione di Isis, ecco un atteggiamento alquanto ambiguo. Va considerata come un alleato recalcitrante o un prossimo “nemico”?
Escludo un nemico, è un alleato recalcitrante perché sovraesposto. Una frontiera così lunga e porosa si somma al cambiamento generale della politica. A monte, quella islamista non era considerata la prima minaccia per la Turchia, ma devo dire che così è stato anche per l’occidente. Chiediamoci infatti da dove abbia preso le armi l’Isis. Fino a poco tempo fa chiunque era nemico di Assad era implicitamente amico nostro. Nel caso turco in maniera più evidente dal momento che il conflitto con Assad era proprio più esasperato.

Ankara si ritrova in casa un problema enorme, quindi?
La porosità della frontiera e il fatto che molte cellule islamiste siano dislocate anche in Turchia,rappresentano due fattori che rendono il Paese estremamente vulnerabile. Da un lato si ritrovano a voler combattere questo fenomeno, dall’altro a non sapere quale sia il modo più sicuro per farlo.

Cambia il panorama mediorientale dopo il report del servizio di intelligence federale tedesco (diffuso dal Welt) secondo cui vi sono crescenti segnali che Erdogan vuole l’arma nucleare?
Credo sia pura fantascienza. I turchi dispongono di un programma nucleare in quanto hanno un enorme problema energetico, ma essendo sotto lo scudo della Nato non avrebbero bisogno di un’arma. Ankara ha preso in considerazione il fatto di diventare una potenza nucleare solo dal punto di vista energetico, dal momento che è dipendente da Russia e Iran, Paesi-partner ma molto problematici.

Come procedere allora?
In parte con una riconciliazione con i curdi iracheni, quindi con l’Iraq del nord e con l’interesse per il gas del Mediterraneo orientale. E in parte con molta attenzione rivolta alle rinnovabili.

La disputa sul programma nucleare iraniano come influirà la Turchia in ottica Isis?
Con l’Iran i rapporti sono stati storicamente difficili, ma quella frontiera è in assoluto la più stabile in Medioriente ed è rimasta immutata da centinaia di anni a questa parte. Ciò significa che si tratta di due popoli e due potenze ben consapevoli del fatto che rimarranno entrambi fondamentali nella regione. E anche se su mille dossier hanno idee e approcci differenti, in primis la Siria, sanno come e quando mettere da parte le divergenze per collaborare laddove è utile farlo. Da un annetto infatti si assiste ad una progressiva riconciliazione fra Ankara e Teheran.

L’Italia, che ha legami commerciali e politici molto forti con Ankara che ruolo vuole giocare, spettatore o pontiere?
Roma deve curare il rapporto tra Turchia ed Europa, più che tra Turchia e Medioriente: le due cose sono chiaramente collegate. Noi abbiamo interessa a che Ankara giochi un ruolo, nella Nato e nella comunità euroatlantica, propositivo e costruttivo. L’unico modo per farlo è attraverso l’ancoraggio della Turchia alle strutture euroatlantiche, in particolare all’Europa.

twitter@FDepalo

Ecco come l’India è entrata nel club spaziale degli esploratori di Marte

Ecco come l'India è entrata nel club spaziale degli esploratori di Marte
L’India è approdata su Marte. Il subcontinente e anche il suo grande vicino di casa cinese potrebbero cambiare la strategia dell’esplorazione mondiale nello spazio. Finora solo gli Stati Uniti, l’ex Unione Sovietica e l’Unione europea sono riusciti a volare su Marte. L’India è il primo Paese che ha fatto centro al primo tentativo.
SU MARTE
L’annuncio è stato dato su Twitter dal primo ministro Narendra Modi. La navicella spaziale senza equipaggio “Mangalyaan” lo scorso mercoledì, come previsto, è entrata nell’orbita del pianeta. Il progetto è frutto del lavoro degli scienziati della Indian Space Research Organisation a Bangalore. A bordo della sonda quasi 1500 chilogrammi di strumentazioni per studiare l’atmosfera e la superficie.
LA DIMOSTRAZIONE
L’emergente India ha voluto così dimostrare di essere capace di una missione nello spazio interplanetario. Fino a questo momento nell’impresa erano riusciti solo Usa, Russia e Ue. La missione ha avuto un enorme impatto economico con la spesa di 57 milioni di euro. Ad eccezione di alcuni componenti elettronici, tutte le parti della sonda sono state progettate e realizzate in India. Sei anni fa si registrò il primo tentativo indiano nello spazio con una missione lunare conclusa con successo.
GLI SCENARI
La missione su Marte non sarà un punto di arrivo per l’India, ma di nuova partenza: obiettivo 2016, quando gli scienziati dell’ISRO prevedono di inviare un veicolo indiano robot sulla Luna; ciò potrebbe essere seguito due anni più tardi da un ulteriore tentativo di atterraggio su Marte. “Il successo di oggi ci dovrebbe portare a cercare altre sfide,” ha commentato il Primo , ministro, lasciando intendere quale sarà la strategia del Paese.
LA SONDA MAVEN
La notizia indiana giunge a pochi giorni da un’altra avventura spaziale, quella della sonda dellaNasa “Maven” che ha raggiunto Marte. Il progetto da 500 milioni di euro punta a determinare perché il clima del pianeta rosso miliardi di anni fa sia cambiato da caldo e umido a freddo e secco. L’indagine assume un ruolo significativo, dal momento che mira a rispondere ad uno dei più grandi misteri della scienza: c’è stata vita su Marte? “Marte è un luogo freddo, ma l’atmosfera è sottile,” ha dichiarato lo scienziato John Clarke e sappiamo che potrebbe cambiare perché in passato era diversa. È ampiamente dimostrato che l’acqua scorreva sulla sua superficie”.
L’EXCURSUS
Il nuovo governo indiano ha lanciato ben cinque satelliti stranieri in orbita dal giorno del suo insediamento: francese, tedesco, canadese e due di Singapore. Nell’occasione fu utilizzato il vettore low cost Polar Satellite Launch Vehicle-C23 (Pslv-C23) progettato dagli scienziati dell’Agenzia spaziale indiana Isro. Il trend “spaziale” cinese si presta ad una lettura globale, con uno dei Paesi Bric in grande evidenza.
IL PROGETTO
Le mire spaziali hanno subito un’accelerazione nel dicembre del 2011 con la stipula di un protocollo di intesa con cui l’Agenzia Spaziale Indiana ha affidato all’Aeronautica militare del Paese il compito di addestrare gli astronauti che voleranno nello spazio con mezzi costruiti in India. Nel protocollo ci sono la fornitura di attrezzature del valore di 200 milioni di rupie ed il coinvolgimento dell’Agenzia per la realizzazione delle strutture per la selezione dei candidati.

lunedì 22 settembre 2014

Sanzioni contro Mosca, tensioni e ritorsioni


Sanzioni contro Mosca, tensioni e ritorsioni
Per tre anni è stato alla ricerca di opportunità di investimento in Russia ma invano. Oggi l’investitore finanziario americano Blackstone si allontana dal Paese, all’indomani dell’accelerata sulle sanzioni. Ecco una mappa aggiornata su ciò che accade alla voce “finanza e petrolio“.
PASSO INDIETRO
La società di investimento ha scelto di non rinnovare i contratti dei suoi consulenti in Russia, così come riportato dal Financial Times. Il motivo? Nessuna opportunità di investimento adeguata. Solo tre anni fa il co-fondatore Stephen Schwarzman, tramite il comitato consultivo internazionale, ha avvicinato la russa Investment Fund. L’idea era quella di ottenere in cinque anni 10 miliardi dollari dal governo russo. Da allora Blackstone ha mantenuto solo ufficio privato in Russia, ma di affari a quanto pare nessuno.

SANZIONI
All’indomani del divieto russo sulle importazioni alimentari in risposta ai provvedimenti finanziari targati Usa-Ue, ecco che molte sono state le aziende occidentali a non poter più investire nel Paese. Ma la finanza si intreccia con il petrolio e con tutte quelle attività estrattive che sono parte integrante del panorama economico russo. Altra “vittima” delle sanzioni contro Mosca è l’americana Exxon.

EXXON
Il colosso russo Rosneft ha fermato lo sviluppo petrolifero sulla penisola artica in connessione con le sanzioni che l’Unione europea ha imposto alla stessa Rosneft e ad altre società russe. Exxon e Rosneft avevano un accordo per progetti petroliferi comuni. Forbes due settimane fa ha scritto che Exxon è la voce più importante in materia di petrolio e gas nel Paese ed è improbabile che gli Stati Uniti e l’Europa giocheranno duro con l’energia russa. Ma se le sanzioni peggioreranno a pagarne le conseguenze non sarà solo Putin (quindi il suo più fidato alleato Sechin) ma proprio la Exxon.

SCENARI
Un futuro senza petrolio? Le sanzioni hanno avuto un preciso impatto su tutte le principali compagnie petrolifere e del gas della Russia. Ciò interesserà quasi tutte le aziende attive su progetti in questo settore, tranne forse i progetti nel Caspio di Lukoil che non è formalmente sottoposta alle sanzioni (ma per quanto?). Il procedimento per sostituire la tecnologia e gli appaltatori occidentali in Russia sarà difficile e costoso, dicono gli esperti, ma il governo ha già promesso di concedere denari provenienti dal Fondo nazionale di previdenza.

PETROLIO
Nella maggior parte delle sanzioni, colpita è la Rosneft, che opera in 44 zone off-shore con riserve di 42 miliardi di tonnellate di petrolio. La società già ha avviato i progetti esecutivi per 23 di loro. Nel 2011 Rosneft ha firmato un accordo con ExxonMobil per lavori nel Mare di Kara, così come la Tuapse Trough nel Mar Nero e nel 2013 l’azienda ha accettato di lavorare insieme per altri sette siti nell’Artico. Le aziende stanno collaborando in un progetto denominato Triz in Siberia occidentale. Secondo Bloomberg ExxonMobil (che ha annunciato il rispetto di tutti i requisiti delle autorità statunitensi) può sospendere le esplorazioni dei pozzi nel Mare di Kara. Ma Rosneft, secondo i termini pattuiti, dovrebbe ottenere un indennizzo per l’esplorazione fino a 3,2 miliardi di dollari.

UNIVERSITETSKAYA
Il sito Universitetskaya estende su una superficie di 1200 mila km. Le sue risorse rappresentano oltre 1,3 miliardi di tonnellate di petrolio. L’intera base di risorse delle tre aree è stimato in 87 miliardi di barili o 13 miliardi di tonnellate di petrolio. Secondo gli esperti il ​​volume delle risorse nel Kara Sea è superiore alle risorse di petrolio e gas presenti nel Golfo del Messico, nel bacino brasiliano, in quello dell’Alaska e del Canada, e sarà paragonabile alla base di risorse presenti in Arabia Saudita.

LUKOIL
E’l'unica società privata che opera nel Mar Caspio dove le riserve totali sono di circa 630 milioni di tonnellate di petrolio. Nel 2014 ha stipulato un accordo per lo sviluppo di Triz in Siberiaoccidentale con la francese Total. Ma secondo alcune fonti russe le sanzioni non potranno toccare quei progetti dal momento che sono già stati firmati contratti importanti.

TRIZ
Si tratta di un progetto da realizzare con la anglo-olandese Shell (JV Salym Petroleum Development). Gazprom Neft-Khantos ha ricevuto una licenza per lo studio del settore Priobskoe. Inoltre all’inizio di quest’anno Gazprom Neft e l’americana Schlumberger hanno accettato di collaborare proprio nel settore di Triz. Anche perché la Russia è fortemente dipendente da fornitori USA, UE e Giappone circa le attrezzature per i sistemi di controllo remoto, automazione, comunicazione, geofisica e studi sismici.

COLPITI
Il pacchetto di nuove sanzioni influenzerà le compagnie petrolifere di Stato russe con un fatturato di oltre 1 trilione di rubli. Quindi Tula Arms Plant, Rosneft, Transneft e Gazprom Neft, così come un certo numero di grandi imprese della difesa, tra cui Kalashnikov e JSC. Nella lista nera dell’UE altre 24 persone, compresi i rappresentanti della Repubblica di Crimea, la dirigenza dell’autoproclamata Ucraina Donetsk Popular Republic, politici e uomini d’affari russi.

NOMI
In particolare le sanzioni USA-UE hanno colpito il ceo della società Rosteh AlexanderZaharchenko, 11 deputati della Duma di Stato, tra cui il leader del Partito Liberal Democratico di Vladimir Zhirinovsky, il vice presidente della Duma Igor Lebedev (LDPR), Ivan Melnikov(CPRF) Nikolai Levichev (“Russia Giusta”), così come il capo della fazione “Russia Unita” Vladimir Vasilyev, un membro della commissione della Duma per gli affari internazionali Alexander Babakov (“Russia Unita”), un membro della commissione difesa, Viktor Vodolatsky(“Russia Unita”), i vice presidenti della Commissione per gli affari esteri Leonid Kalashnikov (CPRF) e Svetlana Zhurova (“Russia Unita”), il primo vice presidente della commissione per gli affari della CSI Vladimir Nikitin (CPRF) e Oleg Lebedev (“Russia Unita”).

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sabato 20 settembre 2014

Ecco come i musulmani tedeschi combattono l’Isis

Duemila moschee in tutta la Germania raccolte in preghiera contro lo Stato islamico, al fine di dire “no” alle decapitazioni in Siria e in Iraq. Ecco l’iniziativa lanciata dal presidente del Consiglio centrale dei musulmani in Germania, Aiman ​​Mazyek.
PREGHIERA
Lo scorso venerdì il presidente del Consiglio centrale dei musulmani in GermaniaAiman ​​Mazyek, ha detto alla popolazione musulmana del Paese che non dovrebbero restare immobile circa l’uso improprio della fede islamica. Il riferimento è a quello Stato islamico definito “gruppo di terroristi e assassini della verità” che stanno trascinato l’Islam “nel fango.”

ISLAM DI PACE
Mazyek ha sottolineato che “l‘Islam è una religione di pace”, aggiungendo che il Consiglio vuole “mettere in chiaro che la maggioranza dei musulmani qui in questo Paese e in tutto il mondo pensano e agiscono in modo diverso”. La cosiddetta ‘giornata di lotta’ coinvolge nove grandi manifestazioni nelle città di tutta Germania, tra cui BerlinoStoccardaHannover e Mölln. L’iniziativa religiosa giunge dopo che la Germania ha vietato ogni forma di sostegno ai ribelli dell’Isis in Siria e in Iraq e dopo che molti stati europei, tra cui anche l’Italia, hanno deciso di inviare armi ai combattenti curdi che si stanno scagliando contro le forze Isis.

SOSTEGNO
La campagna avviata dal Consiglio centrale dei musulmani in Germania è stata favorevolmente accolta dal presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, Dieter Graumann il quale ha osservato, dalle colonne della Deutsche Welle, che “è un bene che le associazioni musulmane stanno mettendo su una lotta contro il terrorismo degli islamisti fanatici”. Inoltre il ministro federale dell’Interno tedesco Thomas de Maiziere è intervenuto ieri in una moschea nei pressi di Hannover, chiedendo uno “scambio di informazioni sui movimenti di viaggio dei jihadisti” e di cooperare al fine di “rilevare il pericolo di diventare giovani radicalizzati.”

TURCHIA
Il ministro Maiziere ha anche sollecitato un contatto più stretto tra la Germania e la Turchia sulla questione dei giovani che diventano radicali, dal momento che la comunità turca nel Paese è molto estesa. Tra l’altro, almeno il 10% dei miliziani Isis proviene dalla Turchia secondo quanto osservato dal settimanale tedesco Die Welt. Al gruppo avrebbero aderito miliziani europei di origine turca giunti da Germania, Francia, Belgio e Austria, scrive Die Welt. Per cui il governo dell’islamico Erdogan è stato accusato più volte dall’opposizione turca e dai curdi-siriani di avere sostenuto in Siria non solo i ribelli sunniti ‘ufficiali’ dell’Els ma anche i gruppi armati jihadisti vicini ad Al Qaida.

PROFUGHI
Ankara ha deciso di aprire le proprie frontiere a centinaia di profughi curdi siriani in fuga dopo la chiusura dei confini a scopo precauzionale. È stato il premier Ahmet Davutoglu ad assicurare di voler dare “assistenza a questa gente: secondo le ultime informazioni sono 4mila” ha detto durante una visita ufficiale in Azerbaigian, aggiungendo che obiettivo della Turchia è “aiutarli entro i limiti delle frontiere siriane”.

NUMERI
Secondo il rappresentante speciale Onu in Irak, Nikolay Mladenov, dallo scorso gennaio in Iraq sono stati colpiti 25 mila civili, di cui almeno 8.500 morti: i numeri sono stati forniti in occasione del Consiglio di Sicurezza Onu. Gli sfollati in Irak sono quasi 2 milioni da gennaio e, solo nelle ultime quattro notti, altre 10 mila persone sono state costrette ad abbandonare le loro abitazioni. Sul punto è intervenuta anche Federica Mogherini, neo commissario europeo agli esteri, secondo cui nella lotta all’Isis serve coinvolgere “tutti gli attori della regione, compreso l’Iran. L’Iran può svolgere un ruolo positivo”.

venerdì 19 settembre 2014

Boeing, ecco la prossima navicella spaziale per la Nasa

Boeing al servizio dello spazio. Il CST-100 è stato ideato come parte del programmaCommercial Crew della NASA. Nel mese di settembre 2014 la Boeing è stata selezionata per la fabbricazione del CST-100 come fornitore di veicoli spaziali della NASA.
CST-100
La navicella CST-100 è stata progettata per trasportare fino a sette passeggeri o una combinazione di equipaggio e carico verso destinazioni a bassa orbita terrestre, come laStazione Spaziale Internazionale (ISS) e la stazione Bigelow.

DOVE
La prima è una stazione spaziale dedicata alla ricerca scientifica che si trova in orbita terrestre bassa, gestita come progetto congiunto da cinque diverse agenzie spaziali: la statunitense NASA, la russa RKA, l’europea ESA (con tutte le agenzie spaziali correlate), la giapponeseJAXA e la canadese CSA. Viene mantenuta ad un’orbita compresa tra i 330 km e i 435 km di altitudine e viaggia a una velocità media di 27 600 km/h, completando 15,5 orbite al giorno.
La Bigelow invece si prepara ad accogliere nel 2015 un componente speciale: il modulo espandibile Beam. Sviluppato dalla Bigelow Aerospace sotto contratto Nasa, partirà a bordo della capsula Dragon e resterà agganciato alla base spaziale per 2 anni.

HOUSTON
Il CST-100 è stata progettata nell’Houston Product Support Center e sarà prodotta presso la Crew Commercial Processing Facility (C3PF), in precedenza e Orbiter Processing Facility-3 (OPF3), al Kennedy Space Center in Florida. Boeing inizierà immediatamente la produzione di tre CST-100 come articoli di prova strutturale del Fondo Crew Commercial Processing. Questi articoli di prova verranno utilizzati nel battesimo ufficiale che si concretizzerà tra due anni, e se tutto andrà bene il primo volo sarà programmato all’inizio del 2017, così come il primo volo con equipaggio per la ISS a metà del 2017.

COME E’ FATTA
La nuova navicella Boeing sarà riutilizzabile fino a 10 volte, grazie a una struttura senza saldature. La plancia dei comandi è supportata da tecnologia Tablet e Internet senza fili oltre al istema Boeing LED “Sky Lighting“.

I NUMERI
La NASA ha assegnato alla Boeing 4,2 miliardi dollari per costruire la navicella. “Boeing ha fatto parte di ogni programma americano di volo spaziale umano, e siamo onorati che la NASA ci abbia scelto per continuare questa eredità di esplorazione spaziale,” ha detto John Elbon, vice presidente e general manager di Boeing. “Il CST-100 offre alla NASA il successore più efficace, sicuro, innovativo e collaudato per lo Space Shuttle.”

SCENARI
Boeing ha costruito il veicolo spaziale per la NASA, ma auspica in futuro di trasportare anche i passeggeri commerciali e di altri governi nello spazio. Già Bigelow Aerospace e SpaceAdventures hanno iniziato a lavorare con la Boeing per promuovere il turismo spaziale. Per queste ragioni Boeing ha recentemente completato la revisione critica del progetto (CDR) e la fase due dei veicoli spaziali Safety Review del suo Crew Space Transportation (CST). Guardando al futuro, Brandon Setayesh, un ingegnere del programma CST-100, ha detto che prevede che il volo spaziale diventi accessibile al grand pubblico così come oggi è il trasporto aereo.