martedì 23 febbraio 2016

Grecia in default, anche nello sport: si cambia passaporto per le Olimpiadi

Lo hanno già ribattezzato il grande esodo degli atleti greci, che se ne stanno andando per preparare altrove le Olimpiadi di Rio de Janeiro
Dai fasti delle Olimpiadi 2004 al default, anche nello sport. Dopo la fuga di cervelli, tocca alla fuga dei muscoli. Dalla Grecia non scappano solo professionisti e imprese ma anche gli sportivi: a pochi mesi dalle Olimpiadi ecco uno squadrone di atleti fare le valige verso Cipro, Balcani e Sud Africa dove allenarsi è più semplice. Con alcuni che hanno addirittura preso un'altra cittadinanza pur di non perdere l'occasione dei Giochi.

Dove fuggono

Lo hanno già ribattezzato il grande esodo degli atleti greci. Perché di esodo si tratta. Il motivo? Nessuno sponsor presente in Grecia, impossibilità - come accadeva in passato - di accedere alla carriera militare o nello stato, quindi nessuna speranza che un'eventuale vittoria possa avere un qualche seguito, anche economico e professionale. E soprattutto l'impossibilità di programmare con continuità un ciclo di allenamenti e di poter usufruire di attrezzature adeguate. Meta più gettonata è la vicina Cipro.
Il 29enne lanciatore di giavellotto John-George Smalios è ora assoldato dalla Svezia mentre dal 2009 l'ostacolista Minas Alozidis ha preso la cittadinanza cipriota. Stessa decisione per il discobolista Kostas Stathelakos che ha partecipato con i colori ciprioti alle Olimpiadi di Londra nel 2012 nel lancio del martello (vanta un record personale di 75 metri e 32). Stathelakos è nato in Fthiotida, nella Grecia centrale, ma è sposato con un'atleta cipriota. Anche il campione di sollevamento pesi Antonis Martasidis è emigrato nell'isola di Afrodite pur essendo attualmente il numero uno in Grecia.

Emigranti

Uno dei talenti più puri dell'atletica ellenica è il già citato Smalios: un metro e 92 di altezza, medaglia d'oro agli europei junior del 2005 a Kaunas, in Lituania, è riuscito ad emigrare in Svezia, in quanto sua madre ha la nazionalità svedese. È stato avvantaggiato dal fatto di essere nato a Stoccolma nel 1987, anche se nel 2008 aveva preso parte con i colori greci alle Olimpiadi di Pechino. Ma nel frattempo la Federazione Ellenica di Atletica Leggera ha rifiutato di dare il nulla osta alla perdita di un così grande talento. E al contempo Smalios non ci stava a restare prigioniero di quel regolamento e per questo è stato fuori dalle gare per due anni. Nel 2013 però è riuscito a prendere la cittadinanza svedese e, dopo un grave infortunio, è tornato alle gare. E a Rio gareggerà con la pettorina svedese.
Il 25enne Chris Chatziangelidis inizia a correre i cento metri con i colori della società sportiva GA Glyfada, nella splendida zona costiera della capitale greca. Lo scorso anno però con la maglia cipriota ha vinto la medaglia d'argento nei 100 metri ai giochi dei piccoli stati di Reykjavik. Un altro nome di peso ad essersene andato è Dimitris Chondrokoukis. Campione del mondo al coperto di salto in alto nel 2012, è stato trovato positivo al controllo anti-doping ed estromesso dalle Olimpiadi di Londra. Ha accusato la Federazione greca di atletica di non averlo supportato in questa disavventura e ha lasciato per questo la Grecia. L'ultimo ad aver scelto la strada dell'emigrazione sportiva è il campione di sollevamento pesi Antonis Martasidis, nato a Kavala: campione europeo Junior con i colori greci, negli anni scorsi è stato il miglior sollevatore di pesi della Grecia. Ma a 24 anni ha deciso di giocare come gli altri colleghi la carta di Cipro.

Strategia

La Federazione greca di atletica, a partire dall'inizio della stagione 2015/16, ha avuto tra le sue fila allenatori che non hanno lesinato sforzi in questo senso: tutti avrebbero voluto evitare il travaso di atleti. Ma l'altra faccia della medaglia si chiama logistica. Degli impianti costruiti in occasione delle Olimpiadi del 2004 resta poca cosa: la maggior parte di quelli ad Atene sono finiti in malora, per via dell'alto costo della manutenzione e della crisi economica che, nel frattempo, ha falcidiato in primis proprio gli stanziamenti governativi allo sport. Di sponsor privati neanche l’ombra, per un trend negativo che sta interessando tutti gli sport, calcio incluso, con molti club di serie A e di serie B impossibilitati finanche ad iscriversi ai campionati.
La spesa per le infrastrutture e l'organizzazione delle Olimpiadi greche del 2004 è stata di 8,5 miliardi di euro, ma il governo dell'epoca sostenne la tesi che gran parte dei lavori avrebbe avuto ricadute nel medio-lungo periodo nel paese, con benefici duraturi anche in altri settori nevralgici come il turismo. Ma a differenza di Sydney, che prevedeva già in sede di costruzione di destinare a eventi futuri il grande Villaggio Olimpico, in Grecia non c'è stata alcuna strategia condivisa e programmata. Oggi le piscine, gli stadi e le infrastrutture adibite a specialità come il canottaggio sono veri e propri monumenti fatiscenti e invasi da rifiuti.
Come osservato da Mark Stewart, docente di Economia, Finanza e Marketing dell'University of Warwick dalle colonne di News.com, le Olimpiadi elleniche non hanno portato benefici turistici nazionali per la Grecia in quanto in quel periodo aumentò il turismo in Italia, a causa di persone in cerca di sole e tranquillità. E che nel 2004 evitarono la Grecia proprio per la concomitanza dei Giochi.

Logistica

Oltre ai pochi centri sportivi rimasti operativi ad Atene e Salonicco, altro non c'è nel paese. Per cui moltissimi atleti, pur di non correre il rischio di sbagliare tempi e modi della preparazione in vista delle Olimpiadi brasiliane, hanno deciso di allenarsi a Cipro, o in alcuni paesi balcanici o addirittura in Africa. Lo scorso autunno il campione di corsa ad ostacoli Kostas Douvalidis ha scelto Novi Sad, in Serbia con l'allenatore Babis Sdrola.
La Bulgaria e precisamente la città di Sliven è stata invece la meta per gli atleti Antonis Mastora (salto in alto), Voula Papachristou (salto triplo) e Lili Alexoulis (salto in lungo). Il gruppo è partito lo scorso fine novembre per un ciclo di preparazione intensiva che è durato un paio di settimane. Un altro pezzo da novanta dell’atletica ellenica, Licurgo Tsakonas, ha scelto il centro di formazione di Pretoria come anche Maria Belimpasaki con il suo allenatore Michael Goniotaki e la podista Despina Zapounidou. Sono andati a Tenerife invece Panagiotis Andreadis e Panagiotis Trivizas (100 metri), mentre a Nicosia un altro gruppo è già stato ad allenarsi prima delle festività natalizie, anche sfruttando le buone condizioni climatiche. Sull'isola di Afrodite hanno già effettuato una serie di allenamenti intensivi nei primi venti giorni di gennaio il campione di lancio del disco Chrisoula Anagnostopoulos, oltre a Elena Filandros e Costas Nakopoulos (mezzofondo), Anastasia Marinakou (800 metri) e Efi Theodorou (400 metri).

domenica 21 febbraio 2016

Così hanno invaso lisola di "Mediterraneo": 300 abitanti e 900 rifugiati

Da Il Giornale del 21/2/16

Giugno 1941, febbraio 2016. Ieri teatro di Mediterraneo, capolavoro valso nel 1992 a Gabriele Salvatores il premio Oscar per il miglior film straniero. Oggi approdo di popoli in fuga che la invadono. L'isola di Kastellorizo, in Grecia, ha una popolazione che non arriva a 300 persone, che da alcuni giorni convivono con 900 rifugiati, un terzo donne. Numero finanche spropositato rispetto ai pochissimi poliziotti e addetti comunali. La polizia è allocata nella Caserma dei carabinieri costruita dagli italiani nel 1928, e che fu sede della stazione radio. Chiamata nell'antichità Megisti, nel 1921 fu annessa all'Italia, con ottimi rapporti con gli autoctoni non solo perché gli italiani assicuravano un ombrello di protezione dalla Turchia, ma perché non crearono imposizioni. 

Kastellorizo è anche la protagonista di «On an Island» il terzo album solista di David Gilmour, voce e chitarra dei Pink Floyd a dimostrazione di un luogo fortemente simbolico.Un Mediterraneo fatto di profumi, sapori, viaggi e oggi anche di tragedie. Settantacinque anni di distanza ideale, attraversati da una pellicola che di fatto ha reso nota al grande pubblico l'isola che si trova a sole due miglia dalla cittadina turca Kas, da dove si imbarcano indisturbati i migranti. Ieri gli isolani guardavano quei soldati italiani, interpretati da Diego Abatantuono & Co. E ne coglievano le profonde diversità rispetto ai duri e crudi tedeschi: umani, disposti ad emozioni ed anche ai piaceri. 

Certo, forse a tratti approssimativi e con mandolino e pallone nello zaino, ma in fondo brava gente. E comprendendo come per loro, la prostituta Vassilissa, il papàs ortodosso e le mogli dei pescatori, non vi fosse alcun pericolo. Oggi gli isolani di Castellorosso, al pari degli abitanti di Chios, Leros, Lesbo e Kos hanno paura. Ma non del diverso ma di perdere il turismo, l'unica fonte di sopravvivenza, se gli hotspots verranno realizzati lì così come Bruxelles e Berlino hanno deciso. Per restare agli ultimi tre giorni, solo a Mytilini ne sono sbarcati ben 11mila, con l'isola che diede i natali alla poetessa Saffo nel VII secolo a.C. praticamente al collasso. Non ci sono neanche servizi igienici a sufficienza, denunciano sulla stampa greca cittadini affranti, con appena due ambulanze a fare la spola dal porto al nosocomio. «Lo Stato e l'Europa ci hanno abbandonato», dicono con amarezza. E Kastellorizo si scopre disarmata.

giovedì 18 febbraio 2016

Autobomba contro i militari 28 morti e 60 feriti ad Ankara

Da Il Giornale del 18/2/16

Una colonna di fumo a trecento metri dal Parlamento turco e dalla base dell'esercito, mentre era in corso un vertice di alto livello nel Palazzo presidenziale con il presidente Recep Tayyip Erdogan. Ankara scossa nella serata di ieri da una forte esplosione, con almeno 28 morti e 60 feriti. Un'autobomba è stata fatta saltare in aria al passaggio di un camion militare che trasportava truppe nella zona centrale di Kizilay. Sul posto un gran numero di ambulanze e vigili del fuoco.Su Twitter il ministro della giustizia Bekir Bozdag ha cinguettato che l'attacco è stato un atto di terrorismo e, pochi minuti dopo, il premier Ahmet Davutoglu ha annullato il viaggio a Bruxelles dove oggi avrebbe dovuto partecipare al Consiglio d'Europa e al trilaterale con Merkel e Tsipras per il dossier migranti. 

Subito dopo l'attacco il Consiglio Supremo della Turchia per la Comunicazione (RTÜK) ha annunciato un divieto di copertura mediatica dell'incidente, così come accaduto trentacinque giorni fa per il kamikaze di Sultanahmet. Nel Parlamento in quei frangenti era in corso una seduta, con il vicepresidente Akif Hamzah che non ha accettato di sospenderla: «Non si può fermare il lavoro dell'Assemblea a causa di attacchi terroristici» ha detto, mentre molti erano i deputati favorevoli allo sgombero. Nei concitati minuti post esplosione anche un giallo: prima il ministero della Salute turco ha diffuso un alert per richiedere dosi massicce di sangue, salvo fare marcia indietro mezz'ora dopo.Appena un mese fa vittime della violenza erano stati i turisti in piazza Sultanahmet a Istanbul, con un kamikaze siriano che si era fatto esplodere, a pochi passi da Santa Sofia e dalla Moschea Blu. 

E l'attentato di ieri giunge a tre mesi dal folle gesto di due attentatori suicidi, che avevano colpito un raduno di attivisti filo-curdi all'esterno della principale stazione ferroviaria della capitale, uccidendo più di cento persone. Il rapporto tra il pugno di ferro di Erdogan e i militanti curdi negli ultimi anni ha prodotto solo strappi. Da tempo l'epicentro dei disordini nel paese si ritrova nella strategia del presidente che dopo essere succeduto al più democratico Gul, ha deciso per il muro contro muro con il Partito dei lavoratori del Kurdistan fuorilegge (PKK), che ha risposto con la clava gli attacchi contro obiettivi militari, nella maggior parte concentrati nel fazzoletto a sud-est a maggioranza curda. 

A cui Erdogan ha controreplicato, oltre che con la forza, anche invocando un complotto ad opera del suo ex sodale Gulen. Senza dimenticare la posizione inizialmente ambigua che lo stesso Erdogan ha tenuto contro l'Isis prima della crociata della Nato pro Ankara, con video che mostravano il passaggio di adepti del Califfato su suolo turco. La partita è ampia e articolata su più fronti. Da un lato è chiaro che ad Ankara non vedono di buon occhio il massiccio acquisto di armi che l'Egitto ha fatto dalla Russia. Il generale Al-Sisi e Vladimir Putin sono uniti da un profondo sentimento di anti-islamismo, passaggio propedeutico alla nuova cooperazione tra un Egitto orfano degli Usa e la Russia, che ha recentemente fornito una centrale nucleare al Cairo. 
Dall'altro la tensione resta altissima anche perché la Turchia continua a considerare le forze curdo-siriane del Pyd «terroristi» legati al Pkk, mentre Mosca mette l'accento sul fatto che è la Turchia a fornire armi all'Isis. Per questo motivo Ankara non vorrebbe che la città siriana di Azaz fosse occupata dalle forze curde. Il motivo? Si trova sul sentiero usato (pare) dai turchi per rifornire i miliziani dell'Isis

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domenica 7 febbraio 2016

A Kos è rivolta contro il centro rifugiati

Da Il Giornale del 7/2/16

Guerriglia sull'isola di Kos, tra residenti e polizia antisommossa: molotov, lancio di pietre e lacrimogeni. La miccia è la decisione del governo di costruire lì uno degli hotspot per l'accoglienza dei migranti a pochi mesi dall'inizio della stagione turistica. Per questo un centinaio di residenti del villaggio di Pyli ha circondato ieri mattina l'area dove gli operai sono al lavoro per realizzare il centro gemello di quello già operativo nell'isola di Lesbo. 

Hanno prima acceso dei focolai di protesta, incendiando gomme e pezzi di legno. E quando all'ingresso del cantiere è giunta l'auto del funzionario di polizia che sovrintende ai lavori, gli hanno sbarrato il passaggio: fischi, contestazioni e anche rocce posizionate per strada. All'arrivo degli altri operai poi c'è stato un incontro con i residenti, al termine del quale è spuntato un trattore che ha spostato i massi dall'ingresso del cantiere. Ma i manifestanti non l'hanno presa bene e intorno a mezzogiorno si sono scontrati con la polizia antisommossa. La tensione è salita quando si sono avvicinati al cancello laterale del campo per lanciare sassi e molotov. Gli agenti hanno risposto con lacrimogeni: tre manifestanti feriti e un imprenditore arrestato, poi rilasciato in giornata.Il sindaco Kos George Kyritsis si appella al governo greco: che prenda in considerazione altre soluzioni, chiede, «qui fra due mesi arriveranno i primi turisti, l'unica nostra fonte di sopravvivenza e se ci saranno gli hotspot la stagione subirà un crollo». Accusa Tsipras (già accerchiato dalle proteste dei forconi di Grecia e da una maggioranza risicatissima) di aver messo in atto un'operazione militare vera e propria. 

A causa della minaccia di Bruxelles di chiudere di Schengen, pochi giorni fa è giunto in gran segreto sull'isola il ministro della Difesa Panos Kammenos. Una perlustrazione in elicottero e la scelta dell'area per gli hotspot. Nelle ultime 24 ore sarebbero accaduti episodi spiacevoli in quella che è una meta gettonatissima di turisti da tutto il mondo: dopo il volo del ministro alcuni residenti sarebbero stati minacciati e un giornalista che curiosava nell'area bloccato dagli agenti che gli avrebbero sequestrato telefono cellulare e telecamerina.L' obiettivo della protesta, è la tesi del sindaco, è proteggere la vita sociale ed economica di Kos. «Le nostre proposte non sono state ascoltate, non siamo contrari all'accoglienza in sé ma alla creazione di residenze permanenti». 

E ancora: «Continueremo la nostra lotta fino a quando dal governo ascolteranno le nostre richieste», dice a fine giornata Minas Hadjimichael, portavoce degli albergatori dell'isola. Tra due mesi cadrà la Pasqua Ortodossa e con essa i primi turisti. Sono attesi rispetto allo scorso anno anche numerosi russi, che dopo la crisi tra Mosca e Ankara, hanno scelto la Grecia come meta per le vacanze. Dopo il memorandum questo è un altro pasticcio europeo, ammette ad una tv locale un commerciante dell'isola.

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lunedì 1 febbraio 2016

Mediterraneo orientale, la partita del gas

La recente scoperta di ingenti riserve di gas nel Mediterraneo orientale crea nuove opportunità di collaborazione, ma anche di scontro, sull'asse Grecia, Cipro, Turchia e Israele
A Nicosia il 28 gennaio scorso si è svolto il trilaterale Grecia-Cipro-Israele: un momento importante nel dibattito in corso sul gas nel Mediterraneo, un incontro in grado di dare forma alle future alleanze nella grande e sensibile partita dei gasdotti. A causa della crescente importanza della politica di sicurezza nazionale, tutti gli Stati della macro-regione del gas hanno infatti l'occasione di strutturare un'azione congiunta per sfruttare la zona marina del sud-est del Mediterraneo.
Il gas naturale è diventato il tema principale dei colloqui bilaterali. Oltre all'accordo israelo-cipriota sullo sfruttamento del gas naturale nel loro spazio comune, Cipro può essere usata anche come un trampolino di lancio fondamentale per le infrastrutture di trasporto del gas nel bacino del Mediterraneo orientale, a causa della sua posizione strategica. Con l’Italia che potrà recitare un ruolo importante in questa sorta di “rete euro-caucasico-mediterranea” del gas.

Priorità

All’orizzonte del nuovo "triumvirato energetico del Mare Nostrum" si profila una cooperazione energetica che nasce con l'obiettivo di non restare schiacciati dagli attori già attivi nell'area: la Turchia a est e gli Stati Uniti ad ovest, in un momento in cui Tel Aviv vive rapporti complicati con Washington dopo gli screzi seguiti all'accordo sul nucleare iraniano.
Allo scacchiere si somma l'Egitto, che dopo il raddoppio del Canale di Suez assume un ruolo cardine, come dimostra la volontà di Grecia e Cipro di saldare ulteriormente i rapporti col Cairo.
Il vertice di Nicosia si è tenuto all'ombra dei recenti segnali di riavvicinamento tra Israele e la Turchia. Fonti ufficiose dicono però che Tel Aviv ha dato assicurazione ad Atene e Nicosia che i passi diplomatici verso Ankara non avranno conseguenze negative sui dossier comuni. Una politica di equilibrio indispensabile per non irritare nessuno degli attori protagonisti.

Strategie

A Cipro gli occhi sono puntati sul giacimento “Afrodite” - scoperto nelle acque del Mediterraneo orientale a circa 200 chilometri a sud di Limassol e stimato in 129 miliardi di metri cubi di gas – che si estende fino a toccarsi con il “Leviatano”, che giace in acque israeliane. Nicosia insiste affinché tutti gli attori presenti sul campo rinuncino a velleità localistiche per fare squadra nel valorizzare le risorse esistenti nell'area. Anche perché il peso specifico del gas presente in acque transnazionali potrebbe aprire a nuovi scenari e cooperazioni.
In questo quadro, e soprattutto se la Turchia rinuncerà a porre ulteriori veti su Cipro - di cui occupa di fatto da quarant'anni la parte settentrionale con 50mila militari - il governo di Nicosia potrà finalmente strutturare uno sfruttamento armonico di “Afrodite”, che consenta alle pipeline cipriote di interconnettersi anche a quelle russe.
Una sorta di “rete euro-caucasico-mediterranea”, come detto, che supera le schermaglie (geo)politiche e offre un nuovo panorama energetico. Tra l'altro la situazione economica a Cipro, a quasi tre anni dal prelievo forzoso sui conti superiori ai centomila euro che nel marzo del 2013 mise l'isola al centro dell'agenda economica europea, è sensibilmente migliorata.
Oggi il paese ha eseguito i dettami derivanti dal memorandum con Fmi, Ue e Bce superando l'impasse, e con in bella vista un altro scenario positivo che si somma alla migliorata situazione finanziaria: proprio lo sfruttamento della zona economica esclusiva (ZEE) con i giacimenti sottomarini di gas.

Il nodo

Il nodo, al momento, resta legato alle posizioni di Ankara che, avendo ricevuto da Bruxelles e Washington una linea di credito da tre miliardi di euro nella lotta all'Isis e nella gestione della crisi rifugiati, non pare intenzionata a mutare atteggiamento verso Cipro, nonostante il presidente della Repubblica Nikos Anastasiadīs abbia più volte espresso posizioni concilianti, anche in vista di un accordo territoriale.
Nel luglio del 2013 sulla stampa greca rimbalzò notizia di un missile turco lanciato contro una nave italiana che stava piazzando cavi sottomarini proprio nella ZEE cipriota. La notizia non fu confermata dalle autorità, ma è chiaro che è stata la spia di una fortissima tensione nell’intera zona. Senza dimenticare che Ankara rifiuta di applicare le norme previste nel trattato di Montego Bay del 1982sul cosiddetto mare territoriale.
Dal 2013 si sono poi verificati numerosi sconfinamenti della nave oceanografica turca “Barbaras” nella zona esclusiva di Cipro, nel silenzio delle istituzioni europee. Nonostante dal 2013 Nicosia abbia raggiunto un accordo con Tel Aviv per lo sfruttamento congiunto del gas, la Turchia continua ad avanzare pretese su quel fazzoletto di acque. E' la ragione per cui dodici mesi fa si è rischiato anche lo scontro fisico, con la presenza contemporanea a largo di Cipro di una fregata russa, di un cacciatorpediniere greco, di un sommergibile greco e di sei F-16 israeliani.
Per cui prima di parlare di gas sarà indispensabile far intervenire la diplomazia, anche con il supporto di soggetti terzi. Ecco perché in questi giorni a margine del World Economic Forum, il presidente cipriota ha incontrato il vice presidente degli Stati Uniti, John Biden, oltre che il leader dell'autoproclamata Repubblica turca di Cipro Nord, Mustafa Akinci, assieme al segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon. In precedenza Anastasiadīs aveva partecipato ad una cena su invito del fondatore e presidente del World Economic Forum Klaus Schwab, proprio per porre le basi di un riavvicinamento con la parte turca.

Qui Italia

Il ruolo italiano stavolta potrà essere diverso rispetto al passato: il numero uno di Eni Descalzi è già volato in Israele prima di Natale per parlare di super-hub del gas. In sostanza l’Eni promuove nel Mediterraneo orientale un’intesa che coinvolga anche Egitto e Cipro.
Il gigante energetico italiano mostra interesse per un suo ulteriore coinvolgimento nella ZEE di Cipro. Nikos Anastasiadīs ha per questo incontrato a Davos i vertici dell'Eni per ragionare sugli sviluppi nel campo della ricerca e dello sfruttamento degli idrocarburi. Durante l'incontro è emersa una posizione italiana molto attenta al significato strategico della ZEE cipriota.
Tra l'altro, è stato sottolineato come la scoperta del giacimento “Zor”, nella ZEE egiziana, crei nuove prospettive per l'intera regione. Per cui, indipendentemente dall'attuale trend globale di riduzione del prezzo del gas, Eni punterà forte sulla cooperazione con Nicosia.