giovedì 6 maggio 2010

CRISI GRECA, CHI INCHIODA I RESPONSABILI?


“…solo un muro di legno non vi tradirà”, sentenziò l’Oracolo di Delfi agli ateniesi in attesa di conoscere la profezia sulla battaglia che di lì a poco si sarebbe consumata alla piana delle Termopili tra spartani e soldati del re Serse. Quel muro che segnò un vantaggio per i trecento in realtà era stato innalzato anni prima dagli abitanti della Locride e della Focide per difendersi da Macedoni e Tessali: Leonida, quando giunse in quello spicchio di terra, lo trovò in rovina e provvide a ricostruirlo.

Quello stesso muro potrebbe oggi, duemilaquattrocentonovanta anni dopo, giungere in soccorso di una Grecia minacciata non dall’invasore straniero ma dai debiti: e prende il nome di Unione Europea. E fatto da mattoni di solidarietà, non forzatamente romantica ma finanziaria, che gli stati membri non possono non offrire ad Atene. Anche per non rimetterci di tasca propria. E in considerazione delle drammatiche conseguenze che, un ritorno greco alla dracma, avrebbero per l’intero continente aprendo, per dirne una, una falla gigantesca sulla tenuta dell’euro e sul significato politico più intimo della moneta unica. A cosa servirebbe isolare gli stati membri in difficoltà, quando forse proprio la crisi è l’occasione per vedere finalmente e nei fatti l’Unione dell’Europa?

Pochi giorni fa il primo ministro greco, George Papandreu, dalla lontana isola di Kastellorizo, ultimo pezzo di Grecia prima delle coste turche- e chissà se non sia stato un caso- ha chiesto ufficialmente l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, suscitando ulteriori perplessità della Germania. A quali risultati porterebbe, come la cancelliera Merkel sta facendo, chiudere le porte in faccia alle richieste di aiuto ateniesi? Quali scenari apparirebbero con una Grecia che potrebbe fare da apripista ad altri illustri fallimenti all’interno dell’Ue? Si legge che Spagna e Portogallo registrerebbero gli stessi gravi indici economici. E’chiaro che un prestito-ponte da solo non sarà sufficiente a riequilibrare conti dilaniati da anni di sperperi e, sarebbe il caso di dire, di illusioni mitologiche sul potere di acquisto. Ma neanche un gelido rifiuto di collaborazione o di estintore per la casa del vicino in fiamme, come ha metaforicamente rilevato Giulio Tremonti, servirebbe granchè.

Dopo mesi di travaglio mediatico sulla crisi economica greca, appare sin troppo semplicistico avanzare analisi e riflessioni sullo status quo. I numeri parlano chiaro. Altrettanto deleterio è però continuare con quella strana deriva che ignora palesemente responsabili e cause del crack di oggi. Il default ellenico non è figlio solo della crisi che ha colpito il mondo, ma della concorrenza di più elementi. Chi, all’ombra dell’Acropoli ma anche in sede comunitaria, avrebbe dovuto vigilare sui bilanci? Vi sono le premesse per ipotizzare un qualche coinvolgimento di istituti di credito, che hanno “affiancato” i governi ellenici degli ultimi due lustri nel gravoso compito di camuffare numeri e dati? E ancora: perché far pagare il “conto” della crisi al ceto medio ellenico, già dato in picchiata verso la condizione di semipovertà, con prezzi schizzati alle stelle e commerci paralizzati?

Inutile nascondere che il progresso socio-economico è stato visto a tratti in Grecia come volano per avventurose iperboli finanziarie. E per la diffusione a tutti i livelli del concetto di spreco. Un’agenzia di stampa ellenica ha riportato due episodi chiarificatori: in uno si apprende che il sito internet della camera dei deputati, pare sia costato effettivamente 200mila euro, a fronte del milione investito; nell’altro, si sosteneva che alcuni proprietari di ville con piscine, per pagare meno imposte, denunciavano quelle graziose vasche come semplici fontanelle. Un panorama allucinante che si è districato su vari fronti, dai rapporti dello Stato con le gerarchie ecclesiastiche sui cui poca chiarezza anche finanziaria c’è stata, ad alcune operazioni commerciali azzardate; da scandali post Olimpiadi del 2004 con il coinvolgimento di multinazionali tedesche, alla scelta di non incoraggiare carburanti alternativi. Difficile credere che in un Paese privo di un regime fiscale ben applicato, e dove non vi era un solo investimento “reale”per le future generazioni, non si sarebbe abbattuta la scure della crisi post annus orribilis 2009. Le precise condizioni che hanno portato allo scenario di oggi, sulle quali tutti convengono, non sminuiscono di contro le mancanze della classe politica di un decennio. Perché il Fmi non interpella i ministri delle finanze ellenici degli ultimi cinque esecutivi?

Di contro in questa fase sarebbe saggio preoccuparsi non solo del versante burocratico, ma anche degli aspetti sociali della situazione. Non potrà certo essere sufficiente il gas lacrimogeno spruzzato contro impiegati statali, operai e semplici cittadini scesi a Syntagma a manifestare nella piazza del Parlamento ateniese per spiegare loro come dovranno far fronte allo spaventoso buco. Forse il Governo socialista insediato da meno di un anno dovrebbe fare di più per impedire non solo disordini, ma per evitare che la sperequazione sociale che oggi migliaia di ellenici stanno vivendo in prima persona, si trasformi in lacrime di violenza. Come accaduto nel passato, non solo greco.

E allora il ricordo della battaglia delle Termopoli, forse può essere utile per rimboccarsi le maniche e prepararsi ad una lunga corsa contro il tempo, che vede pochi pronostici a favore come in quel 480 aC. Negli attimi che precedettero lo scontro alle “porte”, si narra che uno dei trachini avesse fatto notare allo spartano Dienece come gli arcieri persiani erano talmente numerosi che, quando tiravano, migliaia di frecce in cielo oscuravano il sole. Se possibile, ancora più incredibile fu la risposta del condottiero: “Bene, almeno in questo modo combatteremo all’ombra”.

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