martedì 15 giugno 2010

La parità non può essere solo nei doveri


Da Ffwebmagazine del 15/06/10

Donne e innalzamento dell’età pensionabile: il problema non è solo nel merito, quanto nel metodo e nel contesto in cui è attuato. Per dirla con le parole di Flavia Perina, direttore del Secolo d'Italia e parlamentare del Pdl, a fronte di un adeguamento a livelli pensionistici europei, ci siano anche livelli di vita e parità di condizione europei. La proposta di parificare con quella degli uomini la pensionabilità delle donne italiane nel pubblico impiego apre l’ennesimo ragionamento sulla contingenza. Perché, al momento, ci si trova dinanzi una condizione economica difficile, per cui urgono interventi radicali e rapidi. Ma se sulla questione si fosse iniziato a confrontarsi in tempi utili, ci sarebbe stata l’opportunità di una maggiore gradualità.

Al di là del fatto se sia condivisibile o meno far lavorare tutti di più - e oggi forse è una strada obbligatoria - sono mancati i cuscinetti che armonizzassero decisioni drastiche. Le donne italiane non vivono come quelle europee, questo è un dato di fatto. Non godono degli stessi servizi, delle medesime infrastrutture, per non parlare dell’immagine sociale e della cultura di approccio, non solo nelle relazioni umane ma anche e soprattutto professionali. Come la possibilità di accedere ai posti di comando della pubblica amministrazione, o dei cda di aziende quotate, o nei cosiddetti posti di potere, dove la percentuale italiana è ancora troppo bassa.

Si pensi che in questi giorni il governo di Angela Merkel sta discutendo se includere gli asili nido all’interno dei diritti delle donne. Lontana l’Europa. E, allora, visto che le donne sono il terminale della cultura nazionale italiana (in quanto mogli, mamme, lavoratrici), che si preveda una sorta di riequilibrio. Il pensiero corre a interventi sull’Irpef, a sgravi fiscali, a enti locali che provvedano con asili municipali alle esigenze delle famiglie. Ovvero misure che armonizzino il sistema complessivo, scrostando quel velo di iniquità che esiste. Sì a detrazioni agevolate, iniziative fiscali e sociali, ma che non si continui solo a chiedere alle donne, senza proporre misure che ridefiniscano diritti e doveri. È altrettanto chiaro, però, che una razionalizzazione del mercato del lavoro e delle finestre pensionabili, sia a questo punto indispensabile. Perché allora non utilizzare quei soldi che con l’innalzamento si risparmieranno, per politiche a vantaggio delle donne? Sarebbe la risposta migliore, di una politica che giustamente si trova costretta a guardarsi attorno, attivandosi in tutti i settori. Ma che al momento dovrebbe fare un passo in più, affiancando al rigore anche un minimo di iniziativa.

Capitolo a parte meriterebbe l’immagine femminile nel suo complesso, che accusa ancora una posizione di svantaggio in Italia. Basta dare un’occhiata ad una pubblicità che reclamizza cibo per cani, i cui manifesti affissi sul lungotevere romano ritraggono una donna nuda. Che poco o nulla di attinente ha con il prodotto in questione. Il gap quindi con l’Europa è soprattutto culturale, dove le intersezioni sociali al di sotto delle Alpi appaiono ben ancorate a un certo stereotipo della donna. Per questo, la parificazione con l’Ue andrebbe fatta non solo sull’età pensionabile, ma anche nel campo dei servizi e della considerazione mentale. Non c’è dubbio inoltre che la condizione femminile sia cambiata radicalmente negli ultimi cinque lustri, a causa dell’allungamento dell’età, dei lenti progressi di carriera, dove fra l’altro si sconta ancora un ritardo atavico rispetto alle opportunità che gli uomini hanno. Certo, l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego, può essere utile in prospettiva di un reinserimento ma, è la critica che hanno trasversalmente mosso Emma Bonino, Flavia Perina, Linda Lanzillotta, Fiorella Kostoris, Maria Ida Germontani e Pina Nuzzo, sarebbe servita maggiore gradualità.

Palese poi, come oggi, dinanzi a una crisi di questa portata e a un’emergenza impellente come gli indici dei debiti pubblici e la mancata crescita dimostrano, la risposta dello Stato non può che essere immediata e tarata sulla contingenza. Accade che la politica - sbagliando - proceda spesso per compartimenti stagni, senza preoccuparsi di dialogare con tutte le componenti, avviando un’iniziativa globale. Quasi smarrendo l’esigenza di interconnettere le proprie azioni, ed evitando in questo modo disomogeneità e squilibri. Ma allora quando verrà il tempo di una politica che non si faccia prendere in controtempo dagli eventi, e che ragioni ad ampio respiro, anziché farsi risucchiare da dinamiche non sufficientemente previste?

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