sabato 28 luglio 2012

Ilva, chi "sigilla" la cattiva politica?

Un limbo limaccioso e instabile, dove le vie di uscita non conducono da nessuna parte, se non di fronte a nuovi labirinti. Indefiniti e dal peso specifico sconosciuto. Il dramma dell’Ilva di Taranto (perché di dramma, nudo e crudo, si tratta) è figlio di decenni di pressapochismo e disinteresse (o mero interesse elettorale) della politica. Dove, dopo centinaia di operai e cittadini che all’alba di un brutto giorno hanno scoperto di essere solo carne da macello per via di veleni sparsi nel proprio organismo un po’dovunque, oggi va in scena l’atto (finale?) di una tragedia dell’assurdo all’italiana. In questa storia c’è chi ha fatto correttamente il proprio lavoro e chi no. Confermata la protesta degli operai dello stabilimento e assemblea fiume convocata dai sindacati dopo la notizia del sequestro, disposto dalla magistratura, dell'intera area a caldo dello stabilimento jonico che mette a rischio l'attività di migliaia di lavoratori.

Tra l’altro la Puglia in questa vicenda mostra un filo rosso con la Liguria, dove l'Ilva di Genova ha solo 5 giorni di autonomia dopo la chiusura dello stabilimento pugliese, (che di fatto è l'unico in grado di produrre acciaio dalla materia prima). Si chiama “paura di restare senza lavoro anche se il lavoro uccide”. Ed è una peculiarità di un sud alla canna del gas, dove la crisi sta mordendo anche la dignità stessa di chi ha subìto negli anni la condanna di ammalarsi pur di lavorare come la Costituzione prevede. Al pari delle morti silenziose da amianto, dal triangolo della morte in Sicilia alla Fibronit di Bari, dagli stabilimenti toscani alla vergogna nazionale degli addetti sulle navi che quella polvere bianca e mortale hanno inalato anche per un solo attimo. Ecco l’altro killer che serpeggia nel silenzio imbarazzante delle istituzioni. Che se ne ricordano solo in occasione di commemorazioni o tagli di nastro.


La magistratura deve andare avanti, ripeteva a squarciagola ieri il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno e non potrebbe essere altrimenti. Il nodo, però, non è questo: in quanto non si può pretendere che il potere giudiziario sia calibrato sulle conseguenze di sentenze o disposizioni, dal momento che deve rispondere solo e soltanto al dettato della legge. Quello che invece è mancato nel corso dei decenni e che ha causato il corto circuito socio-economico attuale è la buona politica. Quella che non ha controllato chi e come ha prodotto posti di lavoro, con quali ricadute ambientali sul territorio, con quali e quante tasse non pagate (si veda la storia dell’ici non corrisposta a un comune che pochi anni fa ha dichiarato bancarotta), preoccupandosi esclusivamente del ritorno elettorale di un polo siderurgico. Chiudendo gli occhi sui numeri della diossina, su famiglie intere sterminate dai veleni di un’acciaieria che ha fatto salire in maniera vertiginosa le patologie in quel fazzoletto di terra nello stivale di Italia. A pochi chilometri dalla movida salentina, dai cotillon del Premio Barocco e dai trulli patrimonio dell’Unesco dove hanno acquistato un “cono” vip e pseudo tali. Due facce, diverse ma molto simili, di un paese dove si muore ancora di lavoro, nel silenzio imbarazzante di chi fa affari. E solo quelli.


Fonte: il futurista del 28/7/12
Twitter@FDepalo

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