venerdì 7 settembre 2012

L’isola e le rose: se l’utopia dell’ottimismo diventa carburante per la nuova Atlantide...


E se la risposta al buio di questo secondo decennio del duemila, grigio e “medievale”, fosse in un moto di ricostruzione di scoperte ancora da fare? In luoghi da ricercare con determinazione e “fame”, da realizzare dalle fondamenta? In entità da brandire con avidità, in mondi diversi e ancora sconosciuti da conquistare? Edificare una nuova Atlantide, mura e stanze dove far confluire sogni e progetti: carburanti ideali per creare quelle trasformazioni telluriche della storia tanto ricercate da popoli e menti. É una storia per ritrovare l’ottimismo post crisi l’utopia possibile, anzi doverosa, de L’Isola delle Rose, il nuovo romanzo di Walter Veltroni. Che si apre con una vicenda vera, quella dell’Inzulo de la Rozoj, un luogo dell’arte e della cultura costruito al largo di Rimini nel 1967 in acque extraterritoriali, autoproclamatasi repubblica indipendente con bandiera propria e lingua ufficiale l’esperanto. E abbattuta nel 1968 per timore che diventasse supporto di operazioni militari albanesi, centro di ricerche petrolifere abusivo o casinò illegale gestito dalla malavita. 
Ma rappresenta l’occasione per guardare a quegli eventi innanzitutto con occhi “altri” rispetto a quelli di un giornalista o un politico. Perché l’autore si fa semplicemente uomo, anzi, bambino. E racconta fatti e speranze. Idee e obiettivi. Immagini e forme. 
Il libro è stato tra l’altro recensito da Massimo D’Alema sulle colonne dell’Unità, dettaglio che ha comunque fatto parlare. Che cos’è, si chiede ad esempio Massimo Franco sul Corriere della Sera, se non una notizia? E ciò in virtù dei noti contrasti fra i due. Ma dopo è stato anche un gesto di pace e prima ancora di rispetto. Intanto è la storia del Sessantotto, che però un giovanissimo D’Alema, 19enne studente alla Normale di Pisa, ha vissuto diversamente dall’autore. E in un duplice ed originale ruolo: mentre si trovava a Praga per contestare i carri armati sovietici, e in veste di militante del Pci. 
E per spostarsi poi a Francoforte, in rappresentanza della Fgci in occasione del congresso della Sds tedesca. Ma tornando all’autore e al “suo” Sessantotto, emerge un Veltroni ovviamente caratterizzato da un’età che ne influenza ricordi e percezioni. Allora è un 13enne e materialmente dispone di strumenti differenti, che lo guidano nel sottolineare gli elementi della quotidianità. Forse sta proprio in quel pertugio emozionale che si apprezza lo sforzo dell’autore nei veicolare un’altra storia di quegli anni che hanno scritto pagine italiane ed europee. 
Un viaggio nella memoria recente di un’Italia, oggi come allora, smarrita e desiderosa di mete innovative e lontane. Per scalciare gli incubi dell’ultimo decennio, per se¬gnare una separazione tra un passato che non è stato sufficientemente implementato. E un presente per nulla gravi¬do di spunti o proposte. Ma, è l’auspicio, ancora per poco. 

Fonte: Il futurista quotidiano del 7/9/12
Twitter@FDepalo

Nessun commento: