giovedì 25 ottobre 2012

«Solo i terroni potranno redimere i terroni. In fuga dal sud, ora si rischia ospizio virtuale»

Il sud? Si sta svuotando pericolosamente, se le cose non cambieranno presto «nell’arco di pochi decenni quel pezzo del paese diventerà, nell’arco del suo complesso, una sorta di ospizio virtuale popolato prevalentemente da ultra ottuagenari». È l’analisi del pugliese Giovanni Valentini, editorialista di Repubblica ed ex direttore dell’Espresso, che conversando con Italiani a proposito del suo ultimo pamphlet, Brutti, sporchi e cattivi (ed. Longanesi), ragiona sulle prospettive del meridione. Se l'Europa non può fare a meno dell'Italia, ad esempio, può l'Italia fare a meno del suo Sud? I meridionali sono davvero brutti, sporchi e cattivi?
Scriveva Francesco Saverio Nitti che «il problema della libertà e l’avvenire dell’unità, sono nella soluzione del problema meridionale». Oggi quanto ancora c’è di Antistato a sud?
La profezia dei grandi meridionalisti come Nitti è oggi più che mai attuale. La ripresa dell’Italia passa necessariamente attraverso il sud, la cosiddetta questione meridionale è sempre più nazionale e soprattutto cruciale per uscire dalla crisi. L’Antistato esiste nella memoria collettiva, oltre che nella cultura di una larga fetta del Mezzogiorno. Deriva da ragioni storiche, si veda quella che venne chiamata la piemontizzazione: con la conseguenza di un atteggiamento ostile verso lo stato centrale, visto come distante e quasi un nemico. Si vedano le false pensioni di invalidità, le truffe ai danni dell’Ue, l’evasione fiscale massiccia, il sommerso. Fino all’estremo della criminalità organizzata che lì ha costruito quattro multinazionali: mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita.
La famosa frase di Jfk che inserisce alla fine del pamphlet, «non chiedetevi quello che il vostro Paese può fare per voi, ma quello che voi potete fare per il vostro Paese», è un richiamo affinché muti l’antropologia del cittadino meridionale?
Sì. Recentemente il premier Monti, inaugurando a Bari la Fiera del Levante, ha invitato i meridionali a cambiare mentalità. Nonostante sia presente una parte del sud dinamica e moderna, ve ne è un’altra ancora affetta da un cronico assistenzialismo e vittimismo, per cui c’è sempre qualcuno che deve fare qualcosa per il sud.  Nei quarant’anni dell’intervento straordinario, che vanno grossomodo dal 1950 al 1990, è stato calcolato che il sud ha ricevuto 213 miliardi di euro. Denaro utilizzato, in parte per ammodernare il sud, in gran parte disperso, se non sprecato. Senza dimenticare lo scandalo attualissimo dei fondi continentali 2007-2013: Bruxelles ha destinato all’Italia 59,4 miliardi di cui 47 al sud. Ma alla fine del 2010 solo un quinto risultava già impegnato. Ecco perché, da meridionale, penso che il sud non debba più aspettarsi molto da nessuno. Come scrivo nel libro, soltanto i terroni possono redimere i terroni, naturalmente senza rinunciare (e questo va sottolineato per onestà intellettuale) ad avere condizioni di partenza il meno disuguali possibili.
Come le grandi infrastrutture?
Cito il dato dell’attuale rete ferroviaria del paese al alta velocità, o ad alta capacità, di complessivi 1.032 chilometri di cui solo 107 si trovano nel Mezzogiorno.
Nel Novecento sud era sinonimo di nomi del calibro di Croce, Laterza, Moro. Oggi Cosentino, Scilipoti, Previti. Anche una questione di interpreti?
Certamente è una questione che investe la classe dirigente nel complesso, con riguardo alle imprese, alle economie e agli intelletti. Il sud è stato svuotato di energie e risorse intellettuali, e purtroppo non possiamo non certificare che in politica vi sia una rappresentanza meridionale che non è top. Nel frattempo le generazioni più giovani nonostante abbiano incrementato il proprio livello di formazione, paradossalmente non trovano sbocchi occupazionali adeguati. Più cresce la preparazione, meno opportunità di lavoro si trovano.
Quanto influisce quella tendenza, italica e meridionale, all’autocommiserazione dei 30enni di oggi? In fondo i nostri nonni e i nostri padri hanno affrontato guerre e attraversato ricostruzioni…
I giovani di oggi reagiscono spostandosi, andando al nord Italia o al nord Europa. Il dato più inquietante è che pochi, o pochissimi di loro hanno poi voglia di tornare al sud. Nell’ultimo rapporto Svimez è stato utilizzato il termine “tsunami demografico”, ovvero un’immagine che meglio di altre rende l’idea di uno svuotamento o di un depauperamento anagrafico del meridione. Che, se continuerà con queste proporzioni, e in assenza di una forte inversione di tendenza, nell’arco di pochi decenni quel pezzo del paese diventerà, nell’arco del suo complesso, una sorta di ospizio virtuale popolato prevalentemente da ultra ottuagenari.
 
Fonte: Italiani quotidiano del 25/10/12
Twitter@FDepalo

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