lunedì 24 marzo 2014

«Erdogan e la miss in un video» Il gossip fa tremare il premier

Due ex alleati (e amici) politici. La lunga corsa per non perdere il potere e finire nel dimenticatoio. Gli scandali legati a «cerchi magici» sul Bosforo conditi da un video hard che ritrarrebbe il premier con la bella ex miss Turchia Defne Samyeli. Ce n'è abbastanza nel mortaio turco per «pestare» e ragionare su uno scontro ormai aperto. Il giorno dopo la crociata di Erdogan contro Twitter, ecco che i riverberi personali fanno a sportellate con strategie future ed elezioni alle porte, con sullo sfondo l'immancabile pista sessuale.

Il primo ministro turco Erdogan e il presidente Gül sono stati a lungo sodali politici. Ma le proteste di piazza Taksim del giugno scorso hanno segnato un solco, che in aggiunta allo scandalo tangenti, alle notizie sul video hard e alla battaglia ideologica di Erdogan contro il web (ora vuol chiudere Youtube), potrebbe non solo definitivamente chiudere i rapporti tra i due, ma segnare la fine del partito Akp. Più di recente, però, i due hanno avuto difficoltà a nascondere la discordia. Secondo un dispaccio diplomatico del Dipartimento di Stato Usa pubblicato da Wikileaks nel 2010, Gül coglie ogni occasione per mettere Erdogan in cattiva luce. Addirittura si spinge anche a parlar male di Erdogan di fronte agli ospiti stranieri, soprattutto quando il primo ministro è in viaggio all'estero. E c'è chi dice che Gül così si starebbe assicurando il futuro, visto che se gli scandali dovessero continuare, Erdogan vedrebbe chiusa per sempre la porta della politica nazionale, senza dimenticare l'ombra di una crisi economica che, sotterranea, potrebbe allungarsi su Ankara, con la moneta che perde pezzi e progetti faraonici come il terzo aeroporto di Istanbul sempre a caccia di finanziatori.

I due provengono da storie diverse, ma in comune hanno sempre avuto non solo la fede in Allah bensì la brama di potere. Hanno collaborato fattivamente sin dal 1990 e la loro alleanza ha sostenuto l'Islam politico a raggiungere una posizione di vertice, anche dal punto di vita economico, così come tutti gli indici turchi dimostrano. Ma da qualche anno tra loro si sarebbe creata una frattura, certificata nelle condanne di Gul contro la repressione delle proteste giovanili di Gezi Park.
Erdogan ha lavorato duro per arrivare dove è oggi, partendo dall'esperienza come venditore ambulante di sesamo nel porto di Istanbul a Kasmpasa. Gül, invece, si presenta come diplomatico e moderato. A differenza di Erdogan, parla inglese. I genitori di Gül lo hanno fatto studiare a Londra economia, prima di iniziare a lavorare come manager per una banca islamica.

In un'intervista sul britannico Guardian, pochi mesi fa Gül lasciò intendere (e non per la prima volta) che sarebbe pronto a sfidare l'autoritario primo ministro del paese nelle elezioni presidenziali della prossima estate. Certamente non sottovaluta il fatto che durante i tre mandati di Erdogan l'economia turca sia stata letteralmente stravolta, consentendole, dopo una serie di riforme nei primi anni 2000, di crescere di oltre il 5% annuo. Il reddito pro capite è più che quadruplicato per tutto questo periodo, passando a 11 mila dollari l'anno (da 2500). Ma ecco l'imprevisto della politica a condizionare fatti e storie personali. 
Nel prossimo agosto Erdogan cesserà il suo terzo mandato e non potrà ricandidarsi alla premiership, per cui vorrebbe prendere il posto di Gül in una sorta di staffetta sul modello Putin-Medveedev. Ma la rivalità tra i due ha preso il sopravvento. E c'è chi dice che Erdogan ormai è storia passata.

Crisi Grecia, Atene torna al baratto. Il biglietto del teatro si paga con pasta e pane

Mentre la grande stampa internazionale e il governo locale lodano il memorandum imposto dalla troika alla Grecia, il Paese reale convive con la situazione kafkiana di un avanzo primario da un miliardo e mezzo di euro a cui fa da contraltare la povertà galoppante e diritti che svaniscono. Altro indizio di un disagio sociale è il ritorno ad una sorta di baratto: venerdì 14 marzo in occasione di un musical organizzato da alcuni studenti di una scuola di Atene, anziché pagare il prezzo del biglietto al teatro si accederà “pagando in cibo“.

L’iniziativa è della scuola Atene community school (ACS) in Halandri: il ricavato andrà alla Social grocery halandriou per sostenere i cittadini dell’omonimo quartiere ateniese, colpito come altri da un aumento vertiginoso delle sacche di povertà, con il famoso dato Ocse dei bimbi ellenici sottopeso che un anno fa fece scattare l’intervento di ong come Medici senza frontiere. Ogni spettatore dovrà portare con sé una borsa con prodotti come olio, zucchero, pasta e articoli da toeletta, alimenti per l’infanzia, pane tostato, marmellate, composte, e più ampiamente generi alimentari: l’obiettivo è di ottenere almeno 500 pacchi­ famiglia da destinare ai più bisognosi, tanti sono i posti a sedere della struttura. Si tratta di iniziative che rafforzano lo spirito di collegialità nella comunità scolastica, fanno sapere dall’istituto.

Particolarmente significativo che partano proprio dalle scuole, ovvero un altro di quei settori messi nel mirino dalla troika. Mercoledì scorso sono scesi in piazza in svariate città del Paese gli insegnanti che rischiano il licenziamento per effetto del provvedimento varato dal governo per tagliare 15mila dipendenti pubblici. Alcune docenti si sono incatenate dinanzi alla sede del Parlamento in piazza Syntagma ad Atene, per dire “no” al taglio indiscriminato di diritti e di settori nevralgici come l’istruzione mentre il sistema partitico che ha prodotto la voragine finanziaria greca non ha subìto alcuno stop.

Il riferimento è all’impegno assunto dal premier in persona di tagliare costi superflui che si sta rivelando solo un annuncio: come riferiscono oggi alcuni giornali greci, ammonta a 10mila euro per il 2013 il costo di caffè e acqua offerti dal Parlamento ellenico, quindi dai cittadini, ai componenti delle 44 riunioni delle Commissioni della Camera, come risulta dalle fatture pubblicate. Che si sommano ai 17mila euro in biscotti che i 300 deputati greci hanno consumato fino allo scorso dicembre.

La conferma del disagio sociale in cui si trova il Paese arriva dai dati dell’agenzia statistica nazionale greca. Proprio mentre il Parlamento europeo boccia la troika accusandola di avere aumentato povertà e disoccupazione, infatti, il tasso di disoccupazione in Grecia è aumentato al 27,5% nel quarto trimestre del 2013. In luglio-settembre il tasso si era attestato al 27, mentre nel quarto trimestre del 2012 la disoccupazione era stata pari al 26 per cento. In Grecia, che conta una popolazione di circa 10 milioni di persone, ci sono attualmente 1,36 milioni di persone senza lavoro e in cerca. I giovani restano i più colpiti, con un tasso di disoccupazione per gli under 25 al 57 per cento.

Il tutto mentre la troika, ad Atene sino a domenica, cerca un accordo con il governo greco per dare il via libera all’ulteriore tranche di prestiti da 15 miliardi, su cui spicca la preoccupazione e le riserve da parte del capo della missione del Fondo monetario internazionale, Pooul Thomsen. Secondo fonti comunitarie nella riunione di mercoledì, propedeutica a quella decisiva, il danese avrebbe messo sul tavolo nuove richieste da parte dei creditori internazionali, compresa la soppressione per tre anni, a partire dal 2017, di alcuni diritti dei lavoratori nell’ambito del nuovo contratto collettivo. Ma dimenticando, forse, che già da un anno e mezzo i nuovi lavoratori grazie al memorandum possono essere assunti con uno stipendio di 350 euro mensili. Con le multinazionali (tedesche) che ringraziano.

Libia, il dossier dimenticato

Il Paese dove centinaia di piccoli focolai si sono trasformati in insidiosi incendi torna alla ribalta dell’agenda nazionale non solo per le note criticità, come la fuga del primo ministro, quanto anche per il rapimento di un cittadino italiano a Tobruk, in Cirenaica, nella parte orientale della Libia. Si tratta di un tecnico del settore dell’edilizia che soffre di diabete e non ha con sé il suo kit di insulina. E’ il terzo episodio in tre mesi che ha coinvolto italiani, dopo che lo scorso gennaio erano stati rapiti a Motouba, sulla strada tra Derna e Tobruk, altri due italiani, gli operai edili Francesco Scalise e Luciano Gallo. Entrambi sono stati liberati lo scorso 7 febbraio.

DOSSIER LIBICO
Ma ecco che i riflettori accesi sull’italiano rapito “ricordano” alla comunità internazionale che il dossier Libia è tutt’altro che risolto, stretto nella morsa di una instabilità cronica che ha portato lo scorso 3 marzo all’assalto del Parlamento, in cui sono rimasti feriti due deputati mentre cercavano di abbandonare in auto la sede di Tripoli. Una situazione ad altissima tensione che è sfociata ieri in un violento scontro tra gruppi di uomini armati che bloccano i maggiori terminal petroliferi libici e forze di sicurezza nella città orientale di Ajdabiya. Solo l’intervento dei leader tribali ha interrotto le ostilità. Il gruppo di ex rivoluzionari ha attaccato le forze di sicurezza libiche impegnate a liberare tre scali marittimi bloccati dalla fine di luglio del 2013. Uno stop che è condotto dall’Ufficio Politico della Cirenaica, guidato dall’ex rivoluzionario Ibrahim Jadran, che ha dichiarato l’autonomia della regione orientale. Dopo i fatti del 2011 si è messo alla testa delle guardie di sicurezza di alcuni impianti petroliferi.

STRATEGIE
Che il caso libico fosse al contempo strategico per il Mediterraneo (quindi per l’Italia) e delicatissimo da un punto di vista strettamente geopolitico era cosa nota sin dai giorni immediatamente successivi alla caduta di Gheddafi, motivo per cui la Conferenza Internazionale sulla Libia era stata prevista in Italia, a Roma, ma anziché nel mese di dicembre 2013 è slittata a pochi giorni fa. Con l’inconveniente rappresentato dalla crisi in Ucraina, che ha monopolizzato l’attenzione dell’evento, quando invece avrebbe potuto rappresentare l’occasione per far emergere il ruolo italiano nella vicenda, su cui la comunità internazionale scommette non poco. Proprio in questa fase l’Italia è chiamata ad una partecipazione più attiva nella risoluzione del caso libico, particolare che sarà anche al centro del vertice tra Barack Obama e il premier italiano Matteo Renzi.

NAVY SEALS
Una criticità generalizzata che ha avuto il suo picco con la questione della petroliera ribelle circondata dalle navi delle milizie filo-governative, su cui pochi giorni fa il gruppo americano dei Navy Seal è intervenuto con un blitz notturno. Hanno così preso il controllo della petroliera nordcoreana Morning Glory che trasportava greggio acquistato illegalmente dai ribelli della Cirenaica, sfidando il governo centrale. L’operazione è avvenuta al largo delle coste di Cipro, ma al momento non è ancora noto a chi fosse destinato il carico.

FUTURO
Quello che è certo, al netto di scontri ormai quotidiani e sequestri di armi, (come il carico di un aereo russo destinato a militari libici, e rubato mentre era fermo per rifornimento all’aeroporto internazionale di Tripoli), è che il governo libico, presieduto dall’ex ministro della difesa Abdulah al-Thani, ha deciso per un cambio di passo e si è affidato in toto a Washington. E al contempo ha annunciato un’offensiva contro i secessionisti dell’Est. Un altro passaggio non secondario è dato dal fatto che proprio il caos sulle forniture di armi ha allarmato ulteriormente Usa e Ue, con la presenza significativa del segretario di Stato americano John Kerry alla conferenza di Roma nella direzione di sostenere il governo nell’approvvigionamento di armi per rimettere insieme le forze di polizia. Ma a Tripoli le autorità sono ancora molto divise su come trattare con le milizie. Una parte le guarda come ultima speranza per garantire la sicurezza, altri sostengono il loro disarmo come anticamera ad una più diffusa stabilità.

Fonte: Formiche del 23/3/14

La sveglia di Obama a Renzi su Libia e difesa

Esteri e difesa. E’ su questo doppio binario che dovrebbe muoversi, secondo una serie di anticipazioni diplomatiche, il prossimo vertice tra il presidente americano Barack Obama e il premier italiano Matteo Renzi. L’intersecazione dei due ambiti con altrettanti fronti di crisi come Ucraina e Libia non possono far trovare l’Italia impreparata e sprovvista di una strategia di lungo respiro che sia in qualche modo risolutrice, sottolineano alcuni addetti ai lavori.Un appuntamento delicatissimo, non fosse altro perché è la prima vera occasione per Renzi nei rapporti con la Casa Bianca.

VERTICE
Al di là delle intenzioni dell’amministrazione americana di approfondire gli annunci di matrice economica che Renzi ha fatto nei giorni scorsi e che ha portato al vaglio dell’Europa nella settimana appena chiusa, è certo che Obama mostri un sincero interesse per come Renzi intenderà approcciarsi su due piani di azione estremamente significativi, come appunto gli esteri e la difesa. In primo luogo è verosimile che si assisterà ad un ragionamento complesso e articolato sul caso ucraino, che ha visto gli Usa dirigersi con decisione sulla via delle sanzioni. Facile immaginare come al premier italiano verrà posta la questione di un allineamento verso la posizione di Washington dopo l’annessione della Crimea alla Russia, al fine di comporre un quadro euroamericano d’insieme per scoraggiare Vladimir Putin dal tentare una seconda volta avventure militari come quella andata in scena in Ucraina.

PROSPETTIVE E CONTINUITA’
In secondo luogo un interesse spiccato da parte americana prende il nome di continuità. Come riporta La Stampa di oggi, le parole della portavoce della Casa Bianca Caitlin Hayden rimandano al concetto di continuità. Continuità sui dossier strettamente legati alla collaborazione nella difesa e nella sicurezza (quindi anche sugli F-35), nel presidio dell’Afghanistan e dei fronti caldi situati nel nord Africa, come Libia ed Egitto. Un passaggio quello relativo alla condivisione delle risorse e delle strategie a livello comunitario, su cui il governo è chiamato ad un’accelerata. Se fino ad oggi sono stati compiuti progressi di carattere organizzativo all’interno del trasporto aereo e della sicurezza marittima, – così come ha spiegato il ministro della Difesa Roberta Pinotti in occasione del convegno presso l’Ufficio del Parlamento europeo di Roma dai parlamentari dell’Alleanza progressista dei socialisti e democratici, intitolato “Il futuro della difesa europea: dal Consiglio Ue di dicembre al semestre di presidenza italiano” – , da oggi occorre un passo in più: ovvero nell’opera di persuasione di una cittadinanza propensa a ricercare nel comparto militare le risorse per le politiche economico-sociali.

LIBRO BIANCO
Per questi motivi il governo è pronto a pubblicare una sorta di “Libro Bianco” sui dossier relativi ai nuovi scenari internazionali. Facile immaginare come all’interno di quell’elenco troveranno spazio i dibattiti sugli stanziamenti per le strutture e per i programmi militari, su cui le intenzioni di mister spending review Carlo Cottarelli sono apparse determinate nella direzione dei tagli. Un passaggio che, prima di essere completato analiticamente, necessita di quelle valutazioni post vertice Obama-Renzi che saranno decisive non solo nel breve periodo dell’attuale esecutivo, ma soprattutto nel medio-lungo periodo circa il ruolo dell’Italia in un Mediterraneo ancora senza un’euro visione politica unitaria.

Fonte: Formiche del 23/3/14

Perché la Turchia in crisi mostra i muscoli alla Siria

Tensione in ascesa ad Ankara, visti i venti di guerra tra Siria e Turchia, con il caccia di Damasco abbattuto da Ankara e l’instabilità – pericolosa per l’intero Medio Oriente – dettata delle mosse di Recep Tayyip Erdogan, come la censura ad alcuni social network. Dopo Libia e Egitto, un altro fronte caldo si apre nel Mediterraneo con l’economia turca in crisi, dopo che il progressivo aumento del Pil dal 2000 ad oggi sta registrando un preoccupante stop.

IL FRONTE SIRIANO
Ultimo in ordine di tempo il già citato incidente di due giorni fa, quando un caccia aereo militare siriano è stato abbattuto dalla difesa antiaerea turca mentre bombardava un gruppo di ribelli che cercava di prendere il controllo di un valico di frontiera nel nord est del Paese. Il premier Erdogan, azzoppato da alcuni scandali e da uno scontro tutto intestino con l‘amico-rivale Gul, ha subito sottolineato che “la nostra risposta sarà forte se si viola il nostro spazio aereo”, oltre ad elogiare senza mezzi termini l’armata turca per aver abbattuto l’aereo siriano. Ma Damasco sostiene che Ankara si è resa protagonista di un’aggressione militare “ingiustificata e senza precedenti”.

VENTI DI GUERRA?
Ma cosa sta accadendo nell’area di Kassab, nel nord della provincia di Latakia, vicino al confine con la Turchia? I ribelli jihadisti hanno lanciato un’offensiva contro le forze lealiste. Passaggio sul quale si registra anche la presa di posizione della Comunità Armena di Roma, secondo la quale con il pretesto della guerra civile in Siria “il governo turco prosegue, ora come cento anni fa, la politica di aggressione contro le locali comunità armene”. Gruppi paramilitari turchi avrebbero attaccato la zona popolata quasi esclusivamente dai discendenti di quegli armeni che sfuggirono al genocidio del 1915.
Un sacerdote armeno, parroco in Kessab, attraverso la sua pagina Facebook ha postato la notizia che due giorni fa, alle 6 del mattino, la città sarebbe stata bombardata da parte di gruppi paramilitari turchi e la popolazione del paese (1500 anime) sarebbe fuggita verso Latakia (a circa 60 km da Kessab). E Kessab sarebbe finita così nelle mani delle milizie turche.

APPELLO ALL’ONU
Come ha scritto il Kessab Educational Association di Los Angeles in una nota ufficiale rivolta al numero uno dell’Onu, Ban Ki-Moon, si chiede l’intervento immediato delle Nazioni Unite in Siria per proteggere la vita dei cristiani di minoranza armena a Kessab. Al momento impazza una battaglia nel nord-ovest della Siria al confine con la Turchia. L’antica città cristiana armena di Kessab e le sue frazioni (con una popolazione di 3.500 abitanti) sarebbero state attaccate venerdì 21 marzo da cecchini e bombe. Gruppi paramilitari turchi avrebbero attaccato la zona popolata quasi esclusivamente dai discendenti degli armeni sfuggiti al genocidio del 1915.

STRATEGIE E PROSPETTIVE
Ciò potrebbe rendere la zona un altro fronte caldo in quella porzione di territorio a cavallo fra Europa e Asia. Un’eventualità da scongiurare secondo la comunità internazionale, compresa l’Italia, già chiamata a dirimere la questione libica ed egiziana, in primis per le oggettive difficoltà che l’intera area registra anche in relazione all’epicentro vero di un possibile “sisma”: l’economia turca.

CRISI IN TURCHIA?
Se dal 2000 ad oggi si è avuta una crescita costante del 5% del Pil, è altrettanto vero che i numeri di Ankara offrono un’analisi diversa. Le proteste di Gezi Park dello scorso giugno prendevano spunto dal “no” alla costruzione di un nuovo centro commerciale da parte del governo. L’edificazione del terzo aeroporto di Istanbul è in stand-by per via di una serie di analisi che non consentono al Paese ulteriori esposizioni con le banche, visto e considerato, così come si sussurra in molteplici ambienti finanziari, che gli istituti mediorientali, fino ad oggi prodighi di crediti con Ankara, avrebbero deciso per uno stop. In più la crisi personale e politica che sta investendo Erdogan è un evidente deterrente. A questo si sommano un video compromettente che starebbe per essere diffuso con il premier in compagnia dell’ex miss Turchia e gli scandali mai sopiti del circuito legato a politica e interessi edilizi che hanno coinvolto Erdogan e anche suo figlio tramite una ong. Su tutto ciò aleggiano le elezioni amministrative alle porte, accanto allo scontro ormai aperto con il presidente della Repubblica Abdullah Gul, deciso a staccare la spina al vecchio compagno di partito. Elementi che potrebbero segnare la fine politica del tre volte premier.

Fonte: Formiche del 24/3/14
twitter@FDepalo

Il medioevo della troika e un nuovo 25 marzo

Che 25 marzo sarà questo per la Grecia? Una festa nazionale non è solo l’occasione per organizzare parate e far prendere un po’di aria a belle casacche e abiti d’epoca. La Grecia del 2014, quella che il governo presenta come fuori dalla crisi, è un paese sventrato, dove i diritti sono diventati secondari, dove i ricchi sono diventati sempre più ricchi -nonostante la troika- e i poveri sempre più poveri, dove la classe media sta sparendo e dove nessuno dei responsabili del crac ha pagato fio. Dove l’industria non esiste più, al suo posto una colonizzazione di chi, forte di una legge che si chiama memorandum, è legittimato ad assumere lavoratori a 400 euro al mese.Era questa la grande aspettativa di chi scelse sic et simpliciter un’alimentazione e idratazione forzata da parte dei creditori internazionali? 

Era questa l’infrastruttura valoriale comunitaria che gli strateghi di Bruxelles hanno costruito dimenticando di finire quel ponte che oggi conduce solo all’Ade? Ma se Bruxelles piange, Atene non ride. L’insipienza e l’incapacità di una classe dirigente che per trent’anni ha essa stessa fatto razzia di tutto e di tutti, oggi appare come un vessillo di salvezza, ma solo agli occhi di certa stampa embedded.La realtà dice che quasi il 20% dei greci è in povertà, con il 60% che dichiara di fare economia sul carrello della spesa e con i ristoratori che lasciano un po’di cibo invenduto fuori dalla saracinesca, una volta chiusa, dopo una giornata di lavoro. Ecco la fotografia dell’avanzo primario sbandierato con orgoglio dal governo. 

Ma dimenticando che quel miliardo e mezzo di euro che Atene rispedisce a Bruxelles come nuovo bigliettino da visita di rigore e austerità, è stato pagato da diritti svaniti e dalle sofferenze degli ultimi.Buon 25 marzo a tutti greci nel mondo, non a chi ha apposto la firma su un Medioevo che fatica a farsi Rinascimento.

300 assurdità: perché svilire la storia al cinema?

Rispetto, racconto, stile: la storia non è un prodotto commerciale che va (s)venduto al supermercato o, peggio, al discount. Piuttosto un’icona da maneggiare con cura, indossando guanti gialli e di velluto, meglio se in cachemere. Senza svarioni o sbavature, portando il rispetto che si deve, senza ingessarlo di un certo conservatorismo stantìo. Ma neanche svilirlo con fiotte di sangue che neanche dall’Etna si sono mai viste, o con forzature degne più di un videogioco cripto-nipponico che di una rivisitazione cinematografica di una pietra miliare della storia antica.“300, l’alba di un nuovo impero“, tratto dall’ultimo romanzo a fumetti di Frank Miller, è la storia parallela all’epica battaglia delle Termopili, dove il sacrificio dei 300 spartiti impedì a Re Serse di sfondare le porte di fuoco e di invadere l’Occidente. 

Ma questa volta di eroismi e figure da inserire di forza nel Pantheon valoriale ce ne sono poche, dal momento che la battaglia di Capo Artemisio viene raccontata puntando su carica erotica, su una donna muscolosa e rigurgitante, ma senza il fascino e soprattutto lo stile che si deve ad uno dei curvoni più significativi della storia. Facendo invece solo del wrestling.Altro spessore era stato “300“, ottima ricostruzione di Leonida, seppure con dettagli storici da rivedere, ma puntando le fiches sull’eroismo allo stato puro, su un valore condiviso di comunità, dove il sacrificio di uno vale un bonus di sopravvivenza alle generazioni future. Insomma, il germe comunitario tanto caro alla polis di ieri, che dovrebbe essere ripreso come pungolo per gli stati-membri che, oggi, faticano tremendamente a tenere unita la tela di un’Europa sempre più in bilico tra un Serse chiamato euro e un Leonida che purtroppo ancora non c’è.

Premio Leibniz del 2013? L’ha vinto un greco. Ecco come metterlo a frutto per il suo Paese

A 44 anni, Larisaios Vasilis Ntziachristos, Professore presso l’Università Tecnica di Monaco di Baviera, ha vinto il Premio Leibniz del 2013, il “German Nobel” e grazie a un nuovo metodo di coltivazione delle cellule tumorali in un laboratorio innovativo. Un risultato che colloca lo scienziato di diritto nell’elites scientifica internazionale, per via di innovativi fasci di luce e di ottiche iper tecnologiche con cui è riuscito nella sua impresa.

Ma al di là della preziosa coccarda che gli è stata assegnata nella rigorosa e diffidente Germania, ecco un altro elemento che intreccia la ricerca universitaria al mercato per lo sviluppo economico. La nuova “chiave” è il termine Uni-impresa (la sintesi di due termini come università e impresa), creato su spunto dell’agenzia DAAD, la più grande organizzazione tedesca che promuove la cooperazione accademica internazionale. Il progetto è stato sviluppato in collaborazione con il Technische Universität di München e le università greche Aristotele e Creta. Ma che cos’è l’Uni-impresa? Descrive la sintesi raggiunta dalle università sullo sfruttamento delle conoscenze prodotte: si tratta dell’occasione più importante di sviluppo che ha il paese. In una prima fase è essenzialmente l’inizio di un dibattito sulla creazione di regole e incentivi che permettono all’università greca di non essere uno spettatore passivo nei confronti dei problemi economici del paese, facendola invece diventare il suo principale attore.

Quasi un lustro dopo l’inizio della spirale economica che ha condotto l’Ellade a un passo dal default, inizia finalmente a circolare il termine sviluppo tra chi proprio non ha voglia di abbattersi o di mollare tutto e fuggire lontano dall’Egeo. Alcuni imprenditori, in collaborazione con le maggiori università, hanno avviato tavoli analitici e dibattiti su come stimolare nuove idee e quindi una seppur minima ripresa, nella consapevolezza che non si può vivere di soli prestiti della troika. Ed ecco che una buona scoperta scientifica, come appunto quella del vincitore del Nobel teutonico sulle cellule tumorali, può essere sviluppata armonicamente ma solo se si riuscirà a strutturare una rete, tra idea, atenei e imprese. Un po’ quello che, con successo, è stato fatto in Corea e Israele, che in due decenni da Paesi a forte sviluppo agricolo si sono trasformati in centri di produzione di nuove tecnologie applicate a svariati ambiti.

Una prima sarà quindi nella direzione di creare reti di impresa fra le Pmi, individuando aree di ricerca specifiche che rispondono alle potenzialità e all’importanza strategica della Grecia come ad esempio le nuove tecniche per l’energia solare, dal momento che il sole è presente (e forte) in loco praticamente tutto l’anno. E da quel bagaglio avviare la costruzione “industriale” di quell’idea. Perché l’esempio di Ntziachristos non resti un caso isolato.

Twitter@FDepalo

giovedì 6 marzo 2014

Europa: verso una guerra civile?

Ha scritto Zygmunt Bauman che “l’Europa non è un tesoro che va scoperto ma una statua che deve essere scolpita”. La consapevolezza che gli spunti dei padri fondatori, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Altiero Spinelli siano stati ampiamente disattesi si è tramutata, nell’ultimo triennio, in drammatica contingenza, dal momento che l’infrastruttura continentale, così com’è, non solo non funziona ma poco investe sulla propria futura sopravvivenza. Facile immaginare come, prima diretta conseguenza, sia lo scollamento da parte dell’elettorato che non si riconosce e non crede più nell’idea di Unione. Con il probabilissimo exploit il prossimo maggio di formazioni politiche euroscettiche e contrarie alla moneta unica. Ma dire “no” allo status quo non può essere sufficiente, nel rispetto di idee e spunti: occorre un passo in più. Accendere la luce, anziché maledire il buio.

Quando il premier italiano dice che i “conti vanno messi a posto non per l’Ue ma per i nostri figli”, dimentica forse di aggiungere che senza un serio e disciplinato regime di controlli sui provvedimenti attuati dai ministri dell’economia dei paesi membri, i casi ellenici potranno solo moltiplicarsi. Il default greco è figlio di trent’anni di politiche miopi, economiche e industriali, e della cura totalmente sbagliata che la troika ha scelto di propinare al malato di Atene, oggi alimentato e idratato forzatamente da Berlino e Bruxelles. Per cui ancora una volta chi ha sbagliato non è stato chiamato a rispondere delle proprie condotte, che sia governo centrale comunitario o periferico membro. Mentre oggi l’amara cicuta è propinata ai cittadini ellenici, e chissà, domani, a quelli degli altri Paesi Piigs, già privati di un pezzo della sovranità nazionale.

Per cui due sono gli elementi che la prossima Commissione Europea è invitata a tenere in debita considerazione e a issare come pungolo per il futuro mandato: una seria e credibile rivisitazione dei parametri economici che, accanto ad un moderato rigore non sviliscano le politiche di ripresa, nella consapevolezza che senza un consumo interno non vi è possibilità di stimolare l’occupazione; una rivoluzione galileiana circa il concetto di uomo come primo esponente e componente della famiglia continentale.

Il rischio Weimar, oggettivamente già presente in Grecia, è un batterio che progressivamente, in assenza di modifiche radicali alla governance europea, non potrà che espandersi pericolosamente trovando terreno fertile lì dove le disuguaglianze sociali sono più evidenti. E per sfatare un tabù, è utile ricordare che in Grecia un terzo delle Pmi si trova oggi nello sgradevole e impensabile status di nuovi poveri: essendosi fermato il circuito produttivo nazionale, anche le aziende hanno seguito il destino di operai e manovali. Restando senza occupazione.

Un elemento su cui investire risorse ed energie mentali si direziona in un doppio ruolo: un ministro per l’Euromediterraneo che ci si augura il governo Renzi vorrà introdurre e un Commissario europeo che non si limiti a prendere atto di tragedie Mediterranee come l’immigrazione lasciata sulle spalle di Lampedusa o la cattiva gestione della globalizzazione, con i prodotti del made in Italy sviliti sull’altare di accordi palesemente controproducenti per il nostro Paese. Ma che, nel rispetto di leggi, regolamenti e direttive, si sforzi di creare realmente una base di convivenza dove non ci siano asini ma neanche primi della classe che schiacciano tutti gli altri.

Immaginare una business community del Mesogheios, supportata dalla banca Euromediterranea, potrebbe essere una prima concreta azione su cui far convergere posizioni e azioni. L’Italia ha la possibilità di far valere quella presenza in “trincea” dal momento che condivide le medesime sofferenze con gli altri paesi che lì si affacciano, essendo un molo naturale naturalmente piazzato in quel grande lago salato che è il Mediterraneo.

Se l’eurocrisi sarà l’occasione per immaginare nuovi scenari lo scopriremo già in occasione del semestre di presidenza europeo. Ma solo uscendo mentalmente dal binomio muscolare germanocentrismo-austerity sarà possibile rimodulare non ideologicamente memorandum e trattati dell’euro, nella consapevolezza che la moneta troppo forte così come è ora, accanto a un debito pubblico monstre e a un vecchiume amministrativo, ci porta sui binari greci. E al rischio di una guerra civile europea di cui in troppi, oggi, sottovalutano portata e imprevedibilità.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 5/3/14

Governo Renzi, manca un ministro dell’Euromediterraneo

Renziani e non renziani devono fare il tifo per questo esecutivo, l’alternativa sarebbe l’oblio, ha detto qualche giorno fa Massimo Cacciari. In parte può essere un assunto condivisibile, per una serie di ragioni. Perché la politica ha terminato i bonus con l’elettorato ormai sempre più ridotto a mero spettatore; perché le imprese chiudono come funghi e delocalizzano alla faccia del made in Italy; perché i cassintegrati aumentano e le commesse diminuiscono; perché i “patti” sull’asse Bruxelles-Berlino stanno già condizionando il neo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan tentato dalla patrimoniale che potrebbe, per questo, avere poco spazio di manovra; perché mentre la sponda pacifica del pianeta corre il vecchio continente, fatta eccezione per Berlino, arranca e si avvicina pericolosamente ai trend greci; perché è tempo di cambiare, e dopo il Medioevo 2.0 non può che esserci un eurorinascimento mediterraneo.

Ma proprio per tutte queste ragioni due “buchi neri” nella lista dei ministri sono incomprensibili: il Mezzogiorno e l’Europa, ovvero i due fronti di guerra dove si decideranno i destini del Paese. Un grande meridionalista come Francesco Saverio Nitti anni fa osservava che “il problema della libertà e l’avvenire dell’unità, sono ora nella soluzione del problema meridionale”. Una constatazione che, in tempi di rottamazione e rivoluzioni, non può che essere il faro per una impostazione amministrativa veramente innovativa. Che parta, magari, dal buco nero delle municipalizzate, che privatizzi lì dove la mano pubblica ha lasciato solo debiti, che liberalizzi con cognizione e non con foga, per evitare quell’ircocervo di conflitti di competenze tra stato centrale e Regioni che la ventilata riforma del Titolo V potrebbe stanare.

Ma l’assenza di uno spunto verso quel meridione che dovrebbe essere l’epicentro del cambiamento non è un segnale incoraggiante, al pari dei silenzi sulle mafie di cui non è stato fatto cenno, né dal ministro della Giustizia né da quello dell’Interno. 
Altro nodo l’Europa. In molti temono un’escalation delle formazioni anti-moneta unica il prossimo maggio in occasione delle elezioni europee, le più euroscettiche che il vecchio continente ricordi, ma la politica che si dice alta, democratica ed europeista cosa sta facendo per far tornare i cittadini a sentirci parte della casa comune immaginata da Spinelli, Adenauer e De Gasperi?

Auspicare un ministro dell’Euromediterraneo non sarebbe solo uno slogan buono, forse, solo per qualche tweet. Ma un fatto concreto e maledettamente utile.