mercoledì 29 luglio 2015

Grecia, chi sono i membri della nuova troika in azione ad Atene


La troika è tornata protagonista della crisi greca. Alexis Tsipras è passato in soli duecento giorni dall’addio a un nuovo benvenuto ai rappresentanti di Bce, Fondo monetario internazionale e Commissione Ue, arrivati in queste ore nella capitale ellenica per negoziare il memorandum sul piano di aiuti da 82-86 miliardi di euro. Mentre i colloqui ad alto livello ripartono, dal segretario al Tesoro americano Jack Lew, che nelle scorse settimane si è mosso per conto dell’amministrazione Obama con l’obiettivo di riportare al centro dei negoziati la ristrutturazione del debito, è arrivata la richiesta a tutti i protagonisti di adottare un “approccio pratico”.

Ma chi sono i destinatari dell’appello statunitense, i nuovi interpreti della cosiddetta trimurti? Rasmus Ruffer, Declan Costello e Delia Velculescu, a cui si somma un quarto funzionario: l’italiano Nicola Giammarioli, responsabile del Meccanismo europeo di stabilità (Esm), il nuovo fondo salva Stati d’Europa.

Ruffer, rappresentante della Banca Centrale Europea, è stato membro della troika in Portogallo. Di lui, nel 2012, Arménio Carlos, segretario generale della Confederação Geral dos Trabalhadores Portugueses disse: “Questi signori si comportano come dei robot. Sono venuti qui con una missione e, potete starne certi, la missione non è quella di aiutare il Portogallo. Sono qui per aiutare i mercati”. In quella circostanza Ruffer lavorò su una piattaforma che prevedeva: la cancellazione di ogni vincolo al licenziamento e riduzione degli indennizzi; l’allargamento dei contratti precari e cancellazione della contrattazione collettiva; il taglio dell’indennità per straordinari e per i giorni di riposo; il taglio delle 4 giornate festive; l’allungamento della giornata lavorativa fino a 12 ore al giorno e fino a 60 ore settimanali; il taglio del giorno di riposo compensativo e soprattutto del sussidio di disoccupazione per il 20%. Fu lui insomma a premere il pulsante del Memorandum of Understanding on specific economic policy conditionality nonostante i salari del Paese fossero già tra i più bassi d’Europa.

L’ambasciatore Ue Costello, irlandese classe 1967, è dal 1991 in Commissione Europea. Dal 2012 al 2014 ha diretto il dipartimento della direzione F che comprende le Economie degli Stati membri. Come dire che il dossier crisi, alla voce Paesi Piigs, è stato analizzato e vergato proprio da lui. Si è occupato di redigere le previsioni degli sviluppi economici e delle prospettive finanziarie, per monitorare la conformità con i requisiti del Patto di stabilità e della crescita. Quando lo scorso 19 marzo il Parlamento greco approvò con una straordinaria maggioranza di due terzi, le misure per sostenere le 300mila famiglie in povertà con circa 200 milioni di euro, da Bruxelles Costello si indignò e sentenziò: “Non ci avete chiesto il permesso, è un atto unilaterale”. Le cronache riportano che lo scorso 29 dicembre una squadra di tecnici della troika arrivò ad Atene per controllare il programma di risanamento attuato dall’allora governo Samaras e preparare la strada al ritorno del pool capeggiato proprio da Costello. Già sette mesi fa, quindi, al centro dello scanner dei creditori c’era il buco nel bilancio che, secondo la troika, superava i due miliardi mentre, per il ministero delle Finanze greco di allora (guidato da Ghikas Hardouvelis), non era sopra ai 980 milioni.

A capo della missione 2015 dei creditori c’è una donna, degna interprete del Lagarde pensiero (e stile): il membro del Fondo Monetario Internazionale, già ribattezzata “la donna che sta facendo tremare la Grecia”. Si tratta dell’economista rumena Velkouleskou nata nei Carpazi, madre di tre figli e moglie di un rinomato ricercatore di oncologia. Nel suo recente passato ha curato il caso Cipro dal 2013 a ieri. E’ sua la mano che ha azionato il prelievo forzoso su alcuni conti correnti per ottenere i prerequisiti grazie ai quali, poi, i creditori internazionali hanno concesso il prestito a Nicosia. Deve ora gestire il fil rouge più delicato dei tre, dal momento che paradossalmente oggi il Fondo è sulle stesse posizioni dell’ex ministro Varoufakis  secondo le quali il debito ellenico non è sostenibile, tesi da sempre avversata dal ministro tedesco Wolfgang Schaeuble che ha minacciato anche di dimettersi, piuttosto che cambiare idea.

@FDepalo

sabato 11 luglio 2015

Ok del Parlamento a Tsipras. Ma la maggioranza e Syriza sono a pezzi

E’ caos politico in Grecia: il governo è “con le gambe all’aria” scrivono oggi alcuni quotidiani greci. Alexis Tsipras conquista il sì del Parlamento al terzomemorandum della crisi, già molto gradito a Bruxelles, ma di fatto cambia la maggioranza che lo sostiene aprendo a scenari nuovi: 32 deputati - tra destrorsi diAnel alleati al governo e syrizei duri e puri – non lo votano, mentre ben 100 sì giungono dai banchi delle opposizioni. 
Fonti del partito lasciano intendere che ci potrebbero essere anche dimissioni di alcuni ministri contrari all’austerità, prima combattuta nel famoso programma di Salonicco e in campagna elettorale “e ora accettata supinamente nonostante il no al referendum”.
Hanno risposto paròn (presente) 17 deputati di Syriza su 149 alla votazione, ufficialmente astenendosi (in totale sono 32) ma di fatto aprendo una questione politica in seno alla maggioranza di governo. Oltre all’ex ministro Yanis Varoufakis, al sole dell’isola di Egina per un weekend con moglie e figlia, ci sono i fedelissimi come il capo del correntone di Iskra Panagiotis Lafazanis, ministro dell’energia e uomo di raccordo con Mosca, la presidente della Camera Zoì Kostantopoulou (assieme a Dimitris Stratoulis, Costas Lapavitsas, Stathis Leoutsakos) che in questa sorta di voto di fiducia sul governo stanno dalla parte opposta a quella del premier. Il partito è per la prima volta in subbuglio. Il ragionamento che si fa al sesto piano della sede di Koumoundourou è che se il mandato elettorale dello scorso gennaio e ancor più quello del referendum di appena sei giorni fa erano contro nuove forme di austerità, come giustificare oggi un altro piano lacrime e sangue, con aumenti di Iva, Imu sugli immobili e tasse di vario genere?
E’quasi l’alba quando Tsipras dirama una nota in cui sottolinea che il Parlamento ha dato al governo un mandato forte per completare i negoziati e raggiungere un “accordo economicamente sostenibile e socialmente giusto”. Quest’ultimo è il punto controverso, su cui il dibattito interno a Syriza è montato sin dalle settimane precedenti al referendum e sui cui, alla fine, si è poi consumata anche la rottura (politica e umana) con Varoufakis.
Poco prima ecco la bordata di Lafazanis: “Ho espresso la mia opposizione profonda e inequivocabile a una proposta che minaccia di estendere la custodia esterna del mio Paese. Io sostengo il governo, ma sostenere un programma di austerità, neoliberale e deregolamentato non farà altro che aggravare il circolo vizioso di recessione, povertà e miseria”. 
Una dichiarazione di sfiducia piena al piano che invece è stato votato da 100 deputati centristi, socialisti e conservatori dell’opposizione (in totale 251 favorevoli, 32 contrari, 8 astenuti). Prima del voto c’è stato anche un documento siglato da quattro deputati di Syriza (Dimitris Kodela, Vassilis Kiriakakis, Eleni Sotiriou e Claus Chatzilamprou) in cui scrivono che il governo ha chiesto il loro appoggio per “un terzo memorandum preparato su richiesta della Troika”.
Se le critiche al piano appena votato dovessero realmente trasformarsi in passo indietro di alcuni ministri, ecco che Tsipras sarebbe costretto ad un rimpasto di governo, ma aprendo necessariamente a chi gli ha consentito di tornare a trattare con i creditori: i centristi di Potami, i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Dimokratia.
Che, a quel punto, su sponda del presidente della Repubblica, pretenderebbero un nuovo esecutivo di larghe intese con tutti dentro, sognando addirittura un nuovofrontman (il giornalista Stavros Theodorakis, capo del Potami). “Ma se siamo stati eletti per cambiare tutto – si chiedeva ad alta voce un dirigente di Syriza prima dell’ennesimo caffè – come potremo adesso fare un governo con gli amici della troika che hanno governato dal 2011 a ieri?”.

mercoledì 8 luglio 2015

Vita ad Atene dopo il referendum: pochi soldi in tasca e cibo razionato

Senza soldi dai bancomat, con la Borsa ancora chiusa e senza commesse dall'estero. Cittadini e piccoli commercianti in Grecia si svegliano dall'euforia post referendaria, ma subito dopo piombano nell'incubo della quotidianità. Come si fa ad andare avanti con le banche chiuse e senza liquidità?
La maggior parte della gente comune, non quella che guadagna col turismo, è corsa ai ripari e sta razionando cibo in casa e pochi euro in tasca, altri si preparano al peggio.
Eleftherìa confessa di avere in cassaforte qualche migliaio di dollari. Le sono avanzati alcuni anni fa dopo il suo viaggio di nozze a Miami e «oggi potrebbero tornare molto utili se le maledette banche non dovessero riaprire». Babis ha due camion frigo ed è appena partito da Patrasso per la Germania via Italia, ma rischia di non arrivare a destinazione perché non può utilizzare la sua carte di credito per fare gasolio e per pagare le autostrade.
«Vogliono solo contanti da noi greci, - racconta sua madre che ieri ha avuto un malore per lo stress - ma il viaggio di mio figlio fino a Rostock costa 5mila euro e come si fa a mettere tanti soldi in tasca se il bancomat ci dà solo briciole?». Un falso problema, dice invece senza peli sulla lingua Pavlos: «Ma quale emergenza, da Natale abbiamo già ritirato un sacco di soldi dalle banche. Quelli che fanno la fila oggi sono solo i pensionati».
Non la pensa così Sissy, che gestisce una pasticceria con le sue sorelle alla periferia di Atene. Prima della crisi, alle 11 del mattino aveva esaurito quasi tutti i suoi dolci, oggi invece preferisce «fare meno torte e biscotti, perché quasi ogni giorno avanzano invendute, ma più pane e pizze così ciò che resta lo porto a casa e anche ai miei vicini: servono idee originali quando si è nelle nostre condizioni».
Per avere il polso della Grecia serve però spostarsi in provincia. Takis gestisce un fondo di famiglia a Edessa, in Macedonia. Le sue pesche sino allo scorso anno prendevano la via dell'estero, su tutti il redditizio mercato russo. Ma oltre alle sanzioni che gli hanno precluso di guadagnare parecchi rubli, ecco oggi le ristrettezze del fronte interno. «Non le compra nessuno e piuttosto che gettarle vie ne ho regalato qualche cassetta ai bisognosi - dice - ma al di là del bel gesto che ho fatto non vedo alcuna prospettiva. Cosa farò? Qui qualcuno inizia a prestare i terreni per le discariche abusive».
L'atmosfera nel Paese sta cambiando e non solo da domenica sera in poi. Gli indigenti sono in drammatico aumento, così come gli imprenditori in rosso che rappresentano oggi un terzo dei nuovi poveri. Si iniziano persino a rubare le cassette di api che gli apicoltori lasciano da anni, incustodite, sul ciglio delle strade di montagna e che fino a oggi mai nessuno ha osato toccare. Ieri a Stylida, nella Grecia centrale, un agricoltore 45enne si è impiccato nel terreno dove coltivava pochi ulivi. La pressione delle ultime ore, mescolata alla depressione da crisi, lo ha portato al peggio.
A dare ragione alla tesi del Telegraph , secondo cui le banche greche riapriranno solo dopo aver stampato dracme, ci pensa Vassilikì. È proprietaria di alcuni bungalow a Ghìtion, nel Peloponneso, che affitta ai vacanzieri ed è convinta che con una nuova moneta, svalutata e fiscalmente sexy, le cose cambieranno. «Pagare più tasse? E perché? Non credo più all'euro, mi aspetto che la vecchia moneta attiri investitori stranieri e nuove opportunità, leggo tante cose sugli amici russi, sarebbero i benvenuti qui». In questi giorni si fa pagare solo cash e sta raccogliendo dollari, euro, yen e rubli: «Non si sa mai che possano tornarmi utili, tra qualche tempo». O addirittura domani.
Twitter: @FDepalo

martedì 7 luglio 2015

La Grecia del 'no' orfana di Varoufakis

Il voto netto di una piazza per legittimare le trattative future. Una perdita secca nella squadra di governo (si dice subìta, più che decisa). E la consapevolezza che un nuovo inizio è possibile per la crisi del secolo. In pochi giorni Alexis Tsipras e la Grecia hanno attraversato una di quelle mareggiate che lascia sul campo rottami e uomini in mare.
Neanche il tempo di festeggiare il risultato del referendum, con il “no” alle misure di Bruxelles che supera il 60%, che ecco la prima conseguenza piombare nel “Megaro Maximos” ateniese, sede del governo: il passo indietro dell'estroso Yanis Varoufakis, quell'allievo di James Galbright che ha fatto discutere (e quanto) nei primi duecento giorni di governo, dimessosi e sostituito dal capo negoziatore Euclid Tsakalotos, più diplomatico e gradito dai creditori internazionali.

Una figura che non passa inosservata

A gennaio Varoufakis fu il deputato più votato delle elezioni greche, con 130mila preferenze ed estese personalmente il programma di Syriza in quanto considerato uno dei fedelissimi di Tsipras. Le sue prime parole furono “fiscal waterboarding”, con riferimento all’austerità imposta alla Grecia da Bruxelles e Berlino da lui paragonata alle tecniche di tortura della Cia. Teorie che pubblicò in una serie di volumi come "Dare un senso al mondo post-2008", con Joseph Halevi e Nicholas Theocarakis (2011), "Teoria dei giochi" con Shaun Hargreaves-Heap (2004), "Il Minotauro globale: l’America, le vere cause della crisi finanziaria e il futuro del mondo dell’economia" (2011), e il pamphlet "Una modesta proposta per uscire dalla crisi dell’euro", scritto a quattro mani con James Galbraith, figlio di John (guru economico del presidente Kennedy) in cui si scaglia contro l'austerity.
I rumors, nonostante dietro ogni mossa economica di Tsipras ci fosse il suo zampino, danno come “naturale” questa sostituzione. Era nell'aria il cambio alle finanze, da quando due mesi fa il premier decise di affiancargli due vice: il vicepremier Iannis Dragasakis e appunto Tsakalotos, volto economico di Syriza e dai modi più temperati. Il dilemma al quale si è assistito in questi mesi è stato proprio sul profilo di Varoufakis: genio o spregiudicato pokerista?

I tanti volti di Varoufakis

Paul Krugman, professore di Economia e di Relazioni Internazionali all'Università di Princeton e Nobel per l'economia nel 2008, dalle colonne del New York Times non ha mai nascosto la sua antipatia per gli integralisti dell'austerità. Ha parlato addirittura di "vergogna per l'Europa l'aver voluto avviare una campagna di intimidazione dei Greci", terrorizzando i cittadini con la chiusura delle banche e seminando il caos. "I tecnocrati egoisti europei - ha osservato - sono come i dottori del Medioevo che hanno insistito per lasciare i loro pazienti sanguinare, causando più emorragie". E di fatto sposando la teoria tanto cara a Varoufakis secondo cui, in un Paese azzoppato da debiti e crisi, insistere su un ulteriore regime di austerità equivale a spremere l'economia più velocemente di quanto si riduca il debito. Per cui la vittoria del "no" al referendum in tutto il Paese, secondo Krugman, offre “almeno una possibilità di fuga da questa trappola”.
Chi non ha gradito le posizioni di Varoufakis sin dall'inizio del suo mandato è l'economista italiano Giacomo Vaciago, ex sindaco di Piacenza, secondo cui fino ad oggi - ha detto recentemente in un'intervista televisiva - si è avuto “un ‘abuso’ di informazioni "su cosa pensano Tsipras e Varoufakis, che hanno molte idee ma le cambiano nell’arco della giornata, magari come gli aperitivi con le olive e il formaggio".
Secondo Vaciago, Tsipras e Varoufakis da cinque mesi hanno fatto i "protagonisti sulla scena internazionale e fanno trattative sul palcoscenico del mondo divulgando documenti segreti o colloqui privati con altri leader: cose mai viste".

Giudizi polarizzati

Diplomazia goffa, buone maniere invisibili, rispetto delle regole piuttosto difficile: è il dipinto dell'ormai ex ministro fatto da Claudio Seidl sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, che mette l'accento, come fatto da gennaio ad oggi, sugli svarioni caratteriali di Varoufakis. "Il governo greco invece di pagare finalmente i propri debiti, - verga graffiante - è impersonificato da Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis, i due peggiori cattivi politici di tutto il continente. Maniere miserabili, una discutibile morale, un modo di esprimersi a cui sono costretti politici europei che oggi non tollerano più l'insolenza di greci".
A stemperare le critiche contro l'economista dal doppio passaporto greco e australiano, ci pensa ancora Krugman secondo cui ad oggi la strada praticabile “potrebbe essere quella di ripristinare l'accesso al credito per le banche greche" un credito "bloccato dalla BCE alla vigilia del referendum, decisione che ha contribuito al panico ed alla decisione del governo di chiudere le banche e imporre il controllo sui capitali". "In quel modo però", aggiunge Krugman, "la BCE ammetterebbe che il congelamento era solo un atto politico. Allo stesso tempo, senza ripristinare le linee di credito, costringerebbero la Grecia a introdurre una nuova moneta”. Il ragionamento di Krugman, quindi, procede in parallelo con la strada indicata da Varoufakis.
Due mesi fa anche Joseph Stiglitz, economista e saggista statunitense, Nobel per l'economia nel 2001, in occasione della conferenza dell’Institute of Economic Thinking a Parigi, aveva appoggiato le tesi di Varoufakis, intervistandolo pubblicamente ed esprimendo la sua personale ammirazione, al pari degli italiani Giuseppe Guarino e Antonio Maria Rinaldi.
Ma la palma dei giudizi negativi va di diritto all'Eurogruppo dello scorso 24 aprile. A Riga infatti fu tacciato di essere "un perditempo, un giocatore d’azzardo, un dilettante", decretando la rottura completa tra le parti. In quell'occasione anziché una svolta nelle trattative tra la Grecia e i creditori, si ampliò il solco. E l'Eurogruppo definì il suo comportamento "irresponsabile e dilettantesco".

L'impressione che si ricava dell'ex ministro è quella di una personalità che divide, narcisista e complessa. Non ci sono mezze misure, se si chiede un giro un giudizio su di lui: amore o odio, anche tra i suoi colleghi di partito che, da domani, non lo vedranno più arrivare al Consiglio dei Ministri in sella alla sua moto e senza scorta. E non è detto che sia un bene.

Armatori fuggono a Cipro. Paura di Grexit ma anche di nuove tasse

Dagli appalti pubblici e dai conflitti di interessi nell’Egeo alla bandiera cipriota. Il possibile Grexit non spaventa solo le istituzioni europee ma anche le uniche realtà che in Grecia producono pil indisturbate (il 20% del totale): le grandi navi degli armatori, da Alafouzos a Melissanidis, da Niarchos aMarinakis, se la crisi dovesse avere un’evoluzione traumatica, potrebbero trasferire sedi e filiali a Cipro.
Si tratta di quella casta che lo scorso febbraio il premier ellenico Alexis Tsipras aveva annunciato di voler colpire con una patrimoniale, senza poi tradurre in pratica la promessa. Tanto che dieci giorni fa il presidente della commissione Ue Jean-Claude Juncker ha rivendicato di essere stato lui a chiedere al governo di rivedere le aliquote fiscali sulle compagnie di navigazione.
Peraltro in passato nessun norma ha impedito agli armatori greci di essere al contempo petrolieri, editori e titolari di lavori pubblici senza gare di appalto. Alcuni di loro recentemente hanno anche partecipato al processo di privatizzazioni come quella dell’Opap (il Totocalcio) nonostante possedessero importanti squadre di calcio. Senza contare che hanno goduto dell’esenzione fiscale per i profitti generati all’estero, come previsto dalla Costituzione.
La conferma della “voglia di Cipro” arriva dalle parole affidate alla stampa ellenica e inglese dal numero uno della Camera del trasporto cipriota, Thomas Kazakos. Alcuni spedizionieri greci hanno già avviato contatti con le autorità locali per informarsi sulle procedure richieste e sul sistema fiscale applicato al momento sull’isola. Dove, unico precedente europeo di quello che sta ora accadendo in Grecia, nel 2013 le banche sono rimaste chiuse per quasi due settimane in seguito a una crisi causata dalla pesante esposizione al debito di Atene. “Noi forniamo solo un ventaglio di informazioni, poi la scelta spetta a loro”, ha detto Kazakos all’agenzia di stampa News Agency Cipro.
Nell’occasione ha anche ammesso che nei giorni scorsi diversi rappresentanti di realtà elleniche hanno contattato le società operanti su Cipro per valutarne lo status fiscale e ragionare su come avviare le pratiche per trasferire la domiciliazione fiscale sull’isola. Il sistema in vigore a Cipro, ha commentato Kazakos, è qualcosa che “gli armatori greci considerano attraente, competitivo, anche perché è rispettoso della legge ed è trasparente”. Ad oggi già il 40% delle navi battenti bandiera cipriota sono di proprietà greca. E Cipro è la terza bandiera europea più utilizzata dopo quelle di Malta e Grecia, di fatto controllando il 4% della flotta mondiale. Il suo principale porto, Limassol, è residenza fiscale di circa 130 società di gestione navale che svolgono attività internazionali dall’isola, tra cui sino a due anni fa moltissimi russi.
Il settore greco della cantieristica navale, a dispetto delle notizie sui licenziamenti, gode di ottima salute: l’associazione nazionale che raggruppa gli armatori nigeriani (Nisa) ha appena annunciato di aver raggiunto un accordo con diversi armatori greci per ricevere 40 navi cargo nell’arco di ventiquattro mesi. Quindi nuovecommesse.
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