lunedì 13 agosto 2012

Grecia, mentre il Paese affondava la banca centrale ha speso 50 milioni in pubblicità


Più di cinquanta milioni di euro in inserzioni pubblicitarie su giornali e televisioni, pagati con soldi pubblici e senza trasparenza, dalla Banca Nazionale di Grecia nel biennio terribile della crisi 2009-2011. Senza un ritorno effettivo per la banca, il cui amministratore delegato invece ha utilizzato soldi pubblici per fare pr e ammorbidire la stampa nazionale. Il fuoco dello scandalo è svelato dal settimanale greco Pressing che pubblica l’elenco di quotidiani, settimanali e canali televisivi (con date, cifre e numero di pagine) che hanno usufruito di tanta grazia proprio nel biennio maledetto. Due anni in cui è partito il quasi default ellenico e nei quali gli undici milioni di cittadini greci hanno dovuto ingoiare le restrizioni contenute nel memorandum della troika, mentre ministri e grande stampa si accomodavano al “banchetto”.

Secondo quanto scritto da Pressing in una lunga e articolata inchiesta, l’ad Apostolos Tambakakis avrebbe persino scomodato il primo ministro di allora, Georgios Papandreou in persona, per avere il nulla osta all’operazione. Al numero uno del Pasok e figlio d’arte, inoltre, chiese anche quanto e a chi di preciso la banca avrebbe dovuto concedere. In soldoni a quale testata dare di più e a quale dare di meno. Un interrogativo che Tambakakis rivolse anche ai ministri di quel governo targato Pasok, verosimilmente per compiacere i media che ricevevano così tanta generosità proprio nei mesi in cui a causa della crisi l’intero settore comunicativo subiva un crollo del 60%, tra quotidiani e periodici non acquistati e giornalai che chiudevano (e chiudono) uno dopo l’altro.

Ma ad inquietare non è soltanto il sistema (seppur fuori luogo nella Grecia di oggi) delle inserzioni o degli annunci a pagamento che un ente pubblico sceglie di mettere in pratica, quanto che lo abbia fatto la banca nazionale più in difficoltà del continente e senza i parametri abituali. La domanda da porsi a questo punto è: di chi erano quei denari? Certamente non dell’amministratore delegato che li ha riversati sui media in questione, né di Papandreou che svolgeva un incarico a tempo (il primo ministro), né degli altri suoi ministri. Bensì dei piccoli azionisti che oggi devono scontrarsi con la dura realtà di una svalutazione dei titoli, con la cronica mancanza di liquidità, con una crisi essenzialmente bancaria e, di conseguenza, drammaticamente sociale che imperversa nel paese. Si va dai 250.000 euro dati in una sola settimana al giornale Ethnos del gruppo Bobola per la sponsorizzazione, agli stessi importi destinati al quotidiano Kathimerini del gruppo Alafouzos. Passando per i canali Mega e Skai, oltre a inserti domenicali anche di una pagina pagati a colpi di 10mila euro.

E lo scandalo non si ferma alla cifra, 51 milioni, ma riguarda anche la ratio, una sorta di fondo perduto senza ritorno. Ecco come funzionava l’inghippo: il mercato della pubblicità a pagamento in Grecia funziona con tre elementi. Il soggetto che investe, lo strumento che pubblica (carta stampata o tv) e il cosiddetto “GRPs”, un codice con il quale si intende la percentuale di utenti che in media si ritiene saranno colpiti da quel messaggio, con una precisa ricaduta sul committente che investe denaro nella pubblicità.

In questo caso la Banca Nazionale di Grecia ha elargito un fiume di euro senza indicare alcun canone “GRPs”. In sostanza nel biennio in cui la troika chiedeva ai cittadini (e otteneva obtorto collo) gli immensi sacrifici di cui in questi mesi si è dato conto (150mila dipendenti pubblici licenziati, pensioni e stipendi ridotti del 20% ma a settembre saranno abbassati di un altro 5%, benzina verde schizzata a due euro e iva salita al record del 23%), l’ad della banca di Grecia ha pensato bene di investire in pubbliche relazioni con i soldi della banca. E nonostante uno stipendio mensile da 20mila euro. La magistratura ha aperto un’inchiesta, ma il danno è fatto e aggiunge fiele e amarezza a un panorama che definire difficilissimo è un eufemismo. Dove la classe dirigente continua ancora a non dare il buon esempio: oltre ai rimborsi elettorali milionari che in questi giorni i partiti greci si stanno auto assegnando, pochi giorni fa l’ex premier Papandreou pretendeva di imbarcarsi su un traghetto per l’isola di Samos senza aver acquistato il biglietto. Come dire che la troika, accanto a un piano di sacrifici e tagli per tutti, avrebbe dovuto forse predisporre un memorandum anche per chi la crisi ha causato.

Fonte: Il Fatto quotidiano del 13/8/12
Twitter@FDepalo

venerdì 10 agosto 2012

Grecia, è quasi crisi umanitaria?



Mentre i board delle grandi banche e i ministri competenti (o incompetenti, a seconda di come si voglia vedere la cosa) si spellano le mani per sanare i debiti ellenici con altri debiti, il paese reale si scotta con la quotidianità di un default tecnicamente certificato ormai da tempo. La sanità in Grecia sfiora la crisi umanitaria, per usare le parole dell´Athens Medical Association, in quanto molti pazienti non assicurati non ottengono le prestazioni sanitarie che necessitano. E perché non sono in regola con il fisco, o perché sono falliti o perché non hanno potuto pagare l´ultima rata della propria assicurazione. Con casi incredibili di degenti, anche in attesa di un intervento, lasciati in una corsia di ospedale. Il sodalizio medico ha per questo rivolto ieri un appello ai nosocomi di tutta la Grecia, perché si facciano carico del costo di interventi chirurgici e di interventi di ospedalizzazione urgente di questi pazienti che sono a rischio-vita.

Il problema, secondo il presidente George Patoulis è che i casi vengono trattati dagli ospedali quando le condizioni del paziente sono ormai gravi, e dal momento che la legge attualmente in vigore giustifica le spese mediche per i cittadini non assicurati solo in situazioni di emergenza. Quindi addio prevenzione ma anche addio alla semplice verifica preliminare di una diagnosi sospetta. Con la conseguenza che ci si potrebbe trovare presto con un numero altissimo di pazienti già con patologie in stato avanzato, che bussano alla struttura sanitaria di turno, ma trovano porte drammaticamente chiuse. È sufficiente recarsi nelle più grandi cliniche ateniesi per rendersi conto di persona della situazione: donne incinte con gravidanza ad alto rischio, pazienti oncologici affetti da tumori chirurgicamente gestibili in una fase precoce, malati curati solo quando le complicazioni sono questione di vita o di morte, ma anche anziani con cataratta avanzata. E c´è anche un´altra conseguenza oltre a quella sanitaria in quanto gli stessi ospedali, curando pazienti gravi, sarebbero costretti ad un esborso economico maggiore, come ad esempio il caso di una terapia intensiva che ha parametri differenti rispetto ad un normale screening cardiologico.

Una donna 48enne, rivela l´Associazione, presentava sanguinamento nel sistema gastrointestinale e nel corso dell'ultimo trimestre era stata visitata per ben tre volte da uno specialista che le aveva prescritto una colonscopia. La donna, però, era in forti difficoltà economiche e quindi solo la buona volontà del medico (che ha pagato di tasca propria il costoso esame) le ha permesso di giungere finalmente alla diagnosi. L'esame ha infatti rivelato un tumore enorme nel colon, che doveva essere operato con urgenza. Ma ancora la precarietà economica della donna le ha impedito fino ad oggi di affrontare l´intervento. Ecco uno spaccato sociale della crisi greca, fatta di decenni di politiche miopi, di soluzioni affrettate e che non risolvono un problema enorme. Che, forse, meriterebbe altra cura.

E mentre l´ennesimo analista di turno, Marcel Fratser nuovo capo dell'Istituto tedesco di ricerca economica, offre la sua personale ricetta anti crisi: la zona euro, dice alla Deutsche Welle, ha bisogno di allargamento. Varrebbe però la pena, prima di allargare frettolosamente e ulteriormente un contenitore azzoppato, rinforzarlo e ri-strutturarlo in chiave realmente federale. Ma forse da quelle parti non ricordano i moniti in questo senso di due giganti europeisti di nome Altiero Spinelli e Giscard d´Estaing.

Fonte: Formiche del 10/8/12
Twitter @FDepalo

giovedì 9 agosto 2012

Grecia, governo litiga su tagli a pensioni. E 53mila bambini restano senza asilo


Cinque miliardi di euro per evitare la crisi di governo e convincere la troika a finanziare un’ulteriore tranche di aiuti per casse dello Stato vuote. Un’ulteriore immissione di liquidità che in ogni caso concederà ossigeno solo per pochi mesi e non risolverà il problema a monte. Prosegue la telenovela euro-ellenica: la Grecia non soffre soltanto per le pur altissime temperature di una delle estati più torride degli ultimi trent’anni (picchi di 44 gradi e numerosi incendi). Ma a spaventare cittadini e osservatori sono le condizioni in cui prosegue l’applicazione del memorandum della troika, con serrati confronti tra i leader politici che appoggiano il governo Samaras e che si dice potrebbero metterne in discussione la sopravvivenza.

I rappresentanti ad Atene di Fmi, Bce e Ue necessitano di ulteriori 11 miliardi e rotti di tagli da parte del governo greco per staccare un altro assegno: ma sulla portata di quei macro tagli si è incagliata la sintonia dei tre partiti che formano l’anomalo governissimo ellenico (conservatori, socialisti e democratici di sinistra). Fotis Kouvellis, leader della sinistra democratica esclude di dare il proprio assenso a un’ulteriore riduzione di pensioni, stipendi, indennità e servizi sociali già vessati da un biennio di misure di austerità (tutti ridotti già del 20%, con le pensioni minime crollate a 250 euro). Ultima in ordine di tempo la direttiva del premier Samaras di alzare l’età pensionabile a 66 anni e di tassare le pensioni sopra i 1.400 euro. Due gli scenari sul tavolo delle contrattazioni. Il primo: riduzione del 3% per le pensioni da 700-1000 euro; del 5% per le pensioni da 1000-1400 euro; del 10% per quelle oltre i 1.400 euro. Il secondo: riduzione del 2% per le pensioni da 700-1000 euro; del 3% per quelle da 1000-1300 euro; del 5% per quelle da 1300-1600 euro; del 10% per le pensioni da 1600-2000 euro e del 15% per quelle oltre i 2.000 euro. Il tutto senza toccare i grandi patrimoni, come rimprovera il leader dell’opposizione Alexis Tsipras, oltre gli stipendi dei manager di Stato, gli euro greci in Svizzera e ritardando ancora le privatizzazioni che il tecnico Lucas Papademos (premier per soli sei mesi) invocava dallo scorso novembre.

In occasione di un vertice a cui ha preso parte il ministro delle Finanze Ioannis Stournaras pare siano volate parole grosse tra i due. Con Kouvellis che ha definito la misura “un fiasco, e non è possibile concordare con un fiasco”. La risposta di Stournaras: “I numeri non usciranno senza rompere le uova”. Una metafora greca per dire che se i nuovi tagli saranno avallati, qualche altra cosa verrà rotta. Non ha detto cosa, ma è facile intuirlo: o gli equilibri interni di una maggioranza che scricchiola o la vita degli undici milioni di cittadini ellenici che stanno facendo i conti con l’iva al 23% e con una macelleria sociale già in atto. Degli 11,5 miliardi da tagliare non c’è accordo su cinque: se Kouvellis esclude di mettere mano ad ammortizzatori sociali e fondi disoccupazione, il socialista Venizelos annuncia altri licenziamenti nel pubblico impiego, provocando la dura reazione dei sindacati oltre che del suo partito che vive giorni di forti faide intestine. Secondo Stournaras per raggiungere l’obiettivo della troika dovrebbero essere garantiti 5 miliardi di risparmio dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, (il 50% della loro portata attuale). Con ripercussioni sui livelli occupazionali, sui meccanismi di cassa integrazione, sull’intero sistema previdenziale già azzoppato da decenni di politica. L’impressione è che la manovra porterà con sè chirurgiche conseguenze sul piano politico. In molti sostengono che alla fine di agosto, quando sarà necessario fornire alla troika numeri e dati, ci potrebbero essere delle sorprese.

Ma la notizia del giorno ad Atene è un’altra: oltre 53.000 bambini potrebbero non essere ammessi all’asilo nido e nelle scuole materne il prossimo settembre in virtù dei tagli già effettuati ai servizi sociali. E confermando i timori delle associazioni di genitori, che negli ultimi giorni hanno scritto al ministero per protestare contro la drastica riduzione. Secondo il presidente dell’Unione Regionale dei Comuni di Attica (PECA) Nick Sarantis “ancora una volta e in pochi giorni lo strangolamento economico da parte del governo centrale getta il peso della crisi solo ed esclusivamente sulle spalle dei cittadini”. Intanto il rating della Grecia viene relegato a ‘CCC/C’ , rivisto l’outlook portandolo da stabile a negativo. Così Standard and Poor’s secondo cui la decisione è stata presa in seguito “ai ritardi nell’attuazione delle misure di risanamento del bilancio e del peggioramento della situazione economica greca”. S&P stima che la Grecia “avrà probabilmente bisogno di ulteriori finanziamenti per il 2012”. Anche se il problema primario rimane chiudere quella gigantesca falla, anziché ripianare debiti con altri (e infiniti) debiti.

Fonte: Il fatto Quotidiano del 9/8/12
Twitter@FDepalo


martedì 7 agosto 2012

Grecia, ritorno alla dracma? Vademecum di Focus per i turisti tedeschi


“Cari turisti tedeschi in Grecia, se dalla sera alla mattina doveste trovarvi nel bel mezzo del passaggio dall’euro alla dracma, ecco come sbrigarvela”. Il periodico tedesco Focus dedica un altro articolo provocatorio alla crisi ellenica e questa volta non si limita a pronosticare la vendita di qualche isola delle Cicladi al solito miliardario russo (ieri segnalata Ludmilla Putin in soggiorno nella mondana Mykonos) per ripagare il debito o l’affitto di una delle meraviglie archeologiche presenti nell’Egeo. Ma fa un passo in più spargendo un po’ di malsano terrorismo mediatico.  Mosso forse, come qualche malpensante dice a bassa voce, dal timore della Bundesbank di perdere, in caso di bancarotta, gli interessi sul maxiprestito che tiene il Paese attaccato a una sorta di alimentazione forzata. E, sulla scorta del fatto che la troika a settembre (Eurogruppo straordinario fissato per il 3) potrebbe non avallare l’ennesima e, a lunga distanza, inutile tranche miliardaria di aiuti, pubblica una specie di vademecum per il turista tedesco in Grecia. Ovvero come gestire tecnicamente l’eventuale passaggio immediato, frutto del default, dalla moneta comune alla vecchia dracma. Sollevando un ovvio polverone di reazioni, considerata la vis polemica che caratterizza il periodico, non da ieri. Secondo l’articolo in questione, al centro di questo agosto di fuoco ci sarà la grande e decisiva riflessione di Bruxelles: se continuare o meno a tenere il Paese attaccato al famoso sondino che gli consente ogni due mesi di pagare stipendi, pensioni e spese pubbliche. Ma che nei fatti non chiude quella voragine che prende il nome di debito pubblico e che soprattutto non consente una minima ripresa, ma anzi impoverisce il popolo greco e salva le rendite di posizione di ricchi e super ricchi, comprese le forniture di armi da Germania, Francia e Olanda.

Sul rischio di un conio ellenico, Focus scrive che “per molti turisti questo scenario sembra spaventoso, soprattutto se fatto introducendo una nuova moneta proprio durante la loro permanenza vacanziera”. A sostegno di una visione pragmatica e meno allarmistica giungono però le parole di Sonia Mounte, docente di Economia Turismo, che dalle stesse colonne rileva che se si introducesse una nuova moneta, questo accadrebbe senza problemi in un week-end quando le banche sono chiuse. E ciò significa che per i turisti, in  quei giorni,  i pagamenti con carte di credito sarebbero impossibili, come i prelievi dai distributori automatici. Perciò, consiglia Mounte, tutti i turisti in Grecia in questo caso dovrebbe avere con sè un po’ di contanti in più. E poi la stoccata: l’uscita dalla zona euro e l’introduzione di una nuova moneta provocherebbe un immediato aumento interno dei prezzi. Questo si applicherebbe principalmente alle importazioni di merci. Anche se i vacanzieri non spenderebbero di più, aggiunge Takis, di professione albergatore. Secondo il quale così facendo si spaventano solo i futuri turisti che in questi giorni stanno decidendo se trascorrere in Grecia le proprie  vacanze. “Quell’articolo è un colpo basso all’unica cosa che in Grecia funziona”, aggiunge.

Ma i più grandi tour operator continentali affrontano con serenità la possibilità di un ritorno alla dracma. In quanto, continua Focus, sia che la Grecia uscirà dall’eurozona o meno, verrà colpita da una pura speculazione, aggiungendo a una valutazione meramente turistica altre considerazioni di carattere economico e finanziario. E non dicendo, magari, che in quel caso proprio il settore turistico non patirebbe alcunché, anzi, i prezzi per gli stranieri si commuterebbero in “estremamente vantaggiosi”, senza contare il sempre maggior numero di pensionati tedeschi che scelgono di trasferirsi in Grecia per godersi la liquidazione. Il turismo è il maggiore settore dell’economia ellenica. Forse l’unico che, guardando alla vecchia banconota da mille dracme con il viso di Apollo stampato, non storcerebbe il naso. Anzi, si preparerebbe a incassi senza dubbio migliori.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 6/8/12
Twitter@FDepalo

sabato 4 agosto 2012

Ma gli Stati Uniti d'Europa vanno sostenuti a monte

Ha scritto Zygmunt Bauman che l’Europa è un qualcosa «che va creato, un dramma dalla trama intricata, che sfida ogni possibilità di programmazione a priori». Ma per dirigere la nave del vecchio continente verso l’obiettivo del secolo, quell’approdo naturale ma ancora molto distante che prende il nome di Stati Uniti d’Europa, non saranno sufficienti dichiarazioni di intenti o aperture seppur gradite (si veda il nulla osta della Germania all’acquisto di titoli italiani da parte della Bce). Bensì si renderà imprescindibile un approccio del tutto innovativo alla materia: che prenda le mosse certamente dalla contingenza economica frutto dell’emergenza finanziaria e dell’area euromediterranea in apnea, ma che oltre a “occhiali” da ragioniere inforchi anche le lenti più umane della cultura e dell’analisi di una convivenza, complessa ma nelle corde di popoli e stati. Dove quell’epiteto (culturale) non intende essere lo stucchevole riferimento solo ed esclusivamente all’immenso bagaglio cognitivo e sociale che proprio dal Mesogheios ha dato il “la” alla civiltà. Quanto a trasformare radicalmente il modus con cui si è attuata un’unione che, oggi, sta purtroppo urlando tutti i suoi dolori, tecnici e personali. Una possibile via da seguire per l’armonizzazione federale dell’Europa potrebbe risiedere in un doppio binario di azione, che strutturi efficacemente il controllo sovranazionale del debito e dei meccanismi amministrativi correnti, e al contempo stimoli adeguatamente lo spirito europeo basato sulla comunione continentale e non sugli egoismi dei singoli, come i padri nobili Giscard d’Estaing e Altiero Spinelli annotavano alcuni decenni fa. Con il comune denominatore di regole ferree da rispettare (ad esempio fondi europei solo a chi li spende bene e in tempo), sia per impedire che i cosiddetti “compiti a casa” vengano svolti solo da scolari coscienziosi, sia per non mortificare il principio della solidarietà europea. Contrariamente si proseguirebbe sulla strada tracciata fino ad oggi, con crisi che si susseguono a velocità vertiginosa e che tardano ad essere ricomposte anche per via di deficienze strutturali non ancora sanate.

La tesi sostenuta anche da illustri commentatori stranieri, come il corrispondente tedesco in Italia della Frankfurter Allgemeine Zeitun, Tobias Piller, è che la mancata ripresa dei cosiddetti stati membri di serie B sia direttamente proporzionale alle riforme non fatte. Ragion per cui gli indici produttivi non potranno che accusare il segno meno se vi saranno le sperequazioni e le discrepanze attuali. Valutazione corretta nel merito. Come invogliare, ad esempio, gli investitori ad avere fiducia in titoli di uno stato di cui non si conosce ancora la portata riformatrice futura? Uno schema da cui si esce vincitori proseguendo con la “costituzionalizzazione” di due misure: una rete di pene severe contro enti e amministrazioni che producono buchi nel bilancio e un abbattimento della spesa pubblica, intesa anche come sopravvivenza di rendite di posizione. Ma accanto a dati oggettivi incontrovertibili sarebbe utile ragionare sulla peculiarità della situazione generale: quella recessione che impedisce di applicare griglie che, in condizioni normali, avrebbero un risultato certo in termini di benefici. Con una consapevolezza ormai maturata: lo spread “borbotta” quando le forze politiche di ogni paese a rischio si allontanano da forme collaborative produttive.

Inoltre merita di non essere sottovalutata la prima conseguenza della contingenza economica di questa crisi: il quasi default ellenico, il contagio già avvenuto delle banche spagnole, portoghesi e cipriote se da un lato stanno insegnando sulla pelle di un popolo come evitare quella drammatica interdipendenza, dall’altro producono un aumento della tassazione e un abbassamento della qualità della vita. Con i casi eccezionali segnalati nell’ultimo biennio in Grecia, dove i numeri parlano chiaro: raddoppio del numero di bambini sottopeso ad Atene (record nel paesi Ocse), iva al 23%, disoccupazione salita al 22% (50% tra i trentenni), scivolamento del ceto medio verso quello indigente, suicidi da crisi che dal 2009 a oggi hanno toccato quota duemila unità (255 solo quest’anno).

E allora al dilemma europeo greco, continuare obtorto collo con le misure draconiane della troika che potrebbero solo ritardare il fallimento già certificato o tentare il miglioramento di quel piano, la risposta sta nel mezzo. Con una spinta propulsiva e decisa verso una rete federale continentale che ammortizzi le difficoltà dei più deboli senza che tale intervento si trasformi in regalìe di sorta, ma al contempo provveda alla creazione di un sistema unitario che impedisca l’eurocrisi a monte. Per cui imprescindibile appare oggi pungolare Bruxelles e gli stati membri dinanzi alle proprie responsabilità: si faccia l’unione politica vera approfittando della crisi. Alternative praticabili non ve ne sono.

Fonte: Agenda del 4/8/12
Twitter@Fdepalo

venerdì 3 agosto 2012

Grecia, un mare di debito


Un mare di debito. Sin dal principio del crollo greco, i numeri parlavano con imbarazzante chiarezza: impennata costante della disoccupazione, oggi al 23% (tra i giovani di 30 anni è salita al 51%); conti sempre più in rosso e un debito pubblico che nel 2012 salirà al 170% del Pil, dopo che nel 2011 è stato al 160% e dodici mesi prima al 150%, con l’attuale ministro dell’Economia, Sturnaras, che, al pari del predecessore Rapanos (rimasto in carica per 48 ore), vanta l’appartenenza alla speciale commissione che curò l’ingresso della Grecia nell’euro. Volendo semplificare con una metafora, si può dire che la Grecia di oggi appare come una gigantesca damigiana che perde acqua in abbondanza per via di una falla, ma chi l'ha causata, anziché chiudere quel “fiume in piena”, versa nella damigiana altra acqua: che però irrimediabilmente uscirà da un buco che quotidianamente si allarga. Una criticità strutturale che, se non metabolizzata adeguatamente, non potrà essere risolta.
Il memorandum della troika si presta a una doppia valutazione nel merito. Da un lato si poggia su una sorta di macro spending review che taglia praticamente tutto: altri 150mila dipendenti pubblici già il prossimo settembre, 20% in meno per pensioni, salari e indennità; oltre all’introduzione di una serie di tasse come l’Imu sulle abitazioni (i karadzi). Misure necessarie per colmare il gap fiscale con il resto del continente, ma che pregiudicano il futuro, sia internamente come qualità della vita sia esternamente come spendibilità di titoli di Stato. Accanto a esse non un’azione di supporto che equipari il tenore dei sacrifici. Il riferimento è alle rendite di posizione dei cosiddetti Paperoni dell’Acropoli (si accenna a 30 miliardi di euro ellenici custoditi in Svizzera), rispetto ai quali l’esecutivo guidato dal conservatore Antonis Samaras sembra non voler procedere come fatto invece dalla cancelliera Merkel, che ha stabilito un’aliquota per i correntisti tedeschi fuggiti in Svizzera tra il 21 e il 41%. In Grecia la lotta all’evasione è oggi condotta con mezzi insufficienti, con risorse ridotte all’osso: una contingenza che di fatto rallenta l’azione dell’ufficio centrale delle imposte e della polizia tributaria. Altra criticità ateniese è una struttura burocratico-amministrativa già di per sé deficitaria nelle fondamenta, come i rapporti economici con il clero. I privilegi della Chiesa si traducono in esenzione totale di tasse sugli immobili e in stipendi dei sacerdoti a carico dello stato e non della curia. A corollario una giustizia lenta e farraginosa, che non si mostra efficace soprattutto per quanto concerne i reati contro la pubblica amministrazione.
Ragion per cui, accanto a misure di austerità imprescindibili, sull’onda del principio “governi e cittadini hanno vissuto non solo al di sopra delle proprie possibilità, ma soprattutto al di sopra delle proprie necessità”, sarebbe auspicabile che l’interventismo della troika prevedesse anche altre misure altrettanto necessarie, che impediscano la distruzione completa di un tessuto sociale già in avanzato stato comatoso. Il riferimento è a una tassazione non ideologica ma ragionevole delle rendite finanziarie, a un pubblico registro degli appalti pubblici, alla totale trasparenza bancaria, alla strutturazione di un settore industriale di prodotti greci per impedire la massiccia importazione che politiche industriali scellerate hanno avallato nel corso degli ultimi sei lustri.
Piccoli esempi di vita quotidiana possono dare la cifra di scelte amministrative deleterie. Nella regione della Fthiotida esiste una miniera di bauxite. Lo Stato, in virtù di un accordo con una società francese, ha concesso che l’estrazione del minerale fosse effettuata dalla multinazionale transalpina, che porta la bauxite in Francia e lì la trasforma in prodotto finito prima di venderla alla stessa Grecia. Un esempio che meglio di altri fotografa la miopia industriale del Paese, con una  tripla conseguenza negativa: non valorizza le risorse del proprio territorio, impedisce un circuito occupazionale che in loco si sarebbe potuto sviluppare e paga ciò che invece avrebbe potuto realizzare in prima persona. Altro esempio concreto riguarda le grandi opere pubbliche. In occasione delle Olimpiadi del 2004, per cui sono stati spesi tre volte i fondi preventivati, sono state anche realizzate due grandi infrastrutture: l’aeroporto internazionale di Atene “Elefteros Venizelos” e il ponte di Rio-Antirrio, che collega il Peloponneso al continente. Nel primo caso le aziende impegnate nella costruzione dell’imponente scalo sono state tedesche, con un accordo che prevedeva la costruzione a carico delle aziende teutoniche che per vent’anni hanno in “dotazione” l’aeroporto, incassando l’80% degli utili. Identico sistema per il ponte, dove i 4,5 km sono stati realizzati da ingegneri italiani e tedeschi e del pedaggio che ogni automobilista versa per attraversarlo (13 euro) l’80% va alle suddette aziende e solo il 20% al disastrato erario ellenico.

Twitter@FDepalo

mercoledì 1 agosto 2012

Grecia, il prezzo della crisi


Vendesi isole greche, prima tappa Rodi: sette investitori si sono presentati ufficialmente per la "privatizzazione" del noto complesso Afandou, in prima fila la prestigiosa London & Regional Properties. Si tratta della prima fase di un processo di gara internazionale condotta dal Fondo per lo sviluppo della Bills proprietà privata (TAIPED) per utilizzare la proprietà in loco. Cinque i soggetti stranieri, solo due ellenici: anche questo è il tragico prezzo che la crisi impone di pagare.

La prima fase del concorso è stata completata lo scorso 30 luglio e ieri si sono avuti i nomi, tra cui spicca la London & Regional Properties, una delle più grandi società immobiliari in Europa che gestisce immobili di valore di nove miliardi. Oltre a due fondi americani, uno dei quali è la NHC, che ha un forte interesse, e la Minoan Group Plc. Candidati nazionali sono il gruppo di sviluppo Lamda e la famiglia Latsis Temes Constantakopoulos e sviluppatore di investimenti turistici Costa Navarino in Messenia. Al termine della prima fase del concorso, iniziato a metà marzo, le sette domande di investimento saranno valutate dal Fondo per l'adempimento dei requisiti formali e sostanziali. Nella seconda fase, si presume dopo la metà di agosto, i soggetti interessati saranno invitati a presentare offerte vincolanti. Consulente finanziario al Fondo per il processo di offerta è Piraeus Bank. La struttura a Afandou si trova nella parte nord-est di Rodi, a 20 km dalla città ed include una superficie di 450.000 mq circa, disegnata da Donald Harradine nel 1973.

Il nodo non è tanto la volontà di privatizzare, che invece traccia una strada utile e senza dubbio produttiva in prospettiva futura, dal momento che la forza dello stato non consente più investimenti di alcun tipo, non fosse altro perché non saranno sufficienti dieci anni per ripagare la troika del maxiprestito. Quanto iniziare a domandarsi se non era il caso di far partire le privatizzazioni da società dello stato, dai cosiddetti carrozzoni che costano molto all´erario e non producono utili, da immobili come l´ex aeroporto di Atene sul meraviglioso lungomare della capitale (su cui gli arabi avevano messo gli occhi). E non da siti turistici greci, fiore all´occhiello del paese, frutto di anni di sacrifici. Ma la politica ellenica, poco abituata al dibattito e alle domande scomode, decide diversamente.

Per questo il quesito da porre sarebbe un altro e lontano anni luce da quei maledetti numeri e da quella politica che continua, nonostante pensioni ridotte all´osso e un paese allo stremo, ancora e irresponsabilmente a comprare armi (il giorno prima delle elezioni, acquistati 14milioni di euro di munizioni per carri armati dall´Olanda): si decide di (s)vendere pezzi di un paese in cambio di altri prestiti utili solo ad andare avanti qualche mese. Ma così il disastro europeo non rischia di acuirsi in maniera irreversibile?

Fonte: Formiche del 1/8/12
Twitter @FDepalo

Il “negoziatore” alla prova Finlandia. Ma dalla Bundesbank il nein alla Bce


Le premesse (il patto di ferro con Hollande) lasciano ben sperare. Perché se già si dovesse raggiungere una comunione di intenti sulla volontà (ferrea ma anche ragionevole) di come salvare l’eurozona e se fosse davvero avallata da tutti, significherebbe disporre di un altro strumento, questa volta politico, contro lo spread e i mercati. In questa direzione va letto il tour continentale che il premier Monti sta effettuando in lungo e in largo. Dopo il bilaterale dell’Eliseo con un Hollande tenue ma deciso (tutto il contrario di Sarkozy) è la volta della Finlandia, per convincere gli integralisti di numeri e griglie che la situazione attuale dell’Ue fa rima con emergenza e a nulla potranno valere schemi buoni, forse, in “tempi di pace”. Ma sarà imprescindibile partire sì dal rigore dei conti e dai cosiddetti “compiti a casa” (che l’Italia ha ben svolto), e per affrontare l’ultimo tratto del tunnel nella consapevolezza che serve anche elasticità.

 In verità un primo incoraggiante punto è stato segnato dalla storica apertura della Germania, che ha dato il placet alla Bce nell’acquisto dei titoli italiani, anche se agli scettici teutonici che già ipotizzavano un buonismo dato dal vertice della banca centrale targato Draghi, andrebbe risposto che di regalo non si tratta. E dal momento che tra spending review e tranquillizzazione dei mercati in vista dei 218 miliardi di titoli da piazzare entro l’autunno, l’Italia sta ben figurando.  

Certo, c’è da registrare l’altolà della Bundesbank, secondo cui la Bce non dovrebbe “oltrepassare il proprio mandato”  (come ha detto a Bloomberg, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann). Aggiungendo che i governi sovrastimano le possibilità dell'Eurotower. Ma ai “nein” tedeschi l’Europa è ormai abituata. Sta al “negoziatore” Monti il compito di ammorbidire posizioni e tentare di convergere ricchi e poveri.

Fonte: il futurista del 1/8/12
Twitter@FDepalo