domenica 30 marzo 2008

Il Piano Annan? Non garantisce pari diritti alle due comunità




Il Piano Annan? Non garantisce pari diritti alle due comunità, dal momento che appare sbilanciato a favore della parte turco-cipriota e lascia ancora aperti molti dubbi e questioni, in particolare circa l'effettiva restituzione ai proprietari greco-ciprioti delle loro case e terreni attualmente occupati da coloni turchi “forzatamente” indotti ad emigrare, per volontà del loro Governo, dalle regioni interne della Turchia verso la Cipro occupata, così da alterare il preesistente rapporto percentuale tra maggioranza greco-cipriota e minoranza turco-cipriota. Nazioni Unite e ruolo di intermediazione nella delicata vicenda di Cipro: il tema è quantomai attuale e merita riflessioni e ragionamenti approfonditi, ma questa volta la sede non è un sinedrio internazionale, non il palazzo di vetro con il nuovo inquilino Ban Ki-Moon, bensì la Libera Università Mediterranea di Casamassima (Bari), università non statale legalmente riconosciuta, dove una laureanda, Carmen Intartaglia, si è cimentata in una tesi in diritto internazionale sul ruolo dell’ONU nella delicata vicenda cipriota.
“Lo scopo è contribuire alla formazione culturale delle giovani generazioni - commenta il suo relatore, il prof. Stelio Campanale, docente di diritto internazionale-, nella consapevolezza che solo con un’ampia conoscenza e visione delle problematiche internazionali che incidono anche su vicende europee come il tema dell'ingrsso della Turchia nella UE, oltre che, nello specifico, in ambiti territoriali non lontani dalla nostra regione, sarà possibile che le classi dirigenti del domani studino e propongano le soluzioni più idonee a dare le giuste risposte alle questioni irrisolte.”
Il Piano Annan si colloca nel panorama internazionale cipriota dopo 30 anni di trattative e si basa sulle risoluzioni delle Nazioni Unite del 1960 e cioè prima ancora dell’occupazione turca del 1974 della zona nord dell’isola. Il lato greco lo ha categoricamente rifiutato mentre il lato turco si è espresso favorevolmente. Nel maggio 2004 Cipro è entrata nell'UE, anche se in concreto ciò si applica soltanto alla parte del sud dell'isola.
Nel riconoscimento del sostegno della Comunità Cipriota turca alla riunificazione, tuttavia, l'UE ha indicato chiaramente che concessioni commerciali sarebbero state raggiunte per stimolare lo sviluppo economico nel nord e che rimane l'impegno a una riunificazione in termini accettabili. Secondo il piano la Repubblica Unita di Cipro avrebbe dovuto avere bandiera nazionale ed inno unificati, essere retta da un governo federale composto da due stati costituenti; un senato federale composto da 24 turco-ciprioti e 24 greco-ciprioti dovrebbe costituire l'assemblea legislativa comune. Il Presidente greco, il vice-presidente turco.
In primis il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti Umani e risoluzioni dell’ONU, perchè esso fonda la sua base attuativa sull’art. 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi nella veste pratica escluderne la concreta applicazione. Al suo interno è possibile rinvenire una miriade di interepretazioni, quasi ci trovassimo in fitti cunicoli sotterranei, come una serie di restrizioni nella libertà di movimento e di acquisto di immobili e proprietà nella zona turco-cipriota da parte dei greco-ciprioti. Di contro un cittadino europeo potrebbe acquistare liberamente nella zona turco-cipriota.
Ma uno dei punti maggiormente contestati dai ciprioti riguarda l’acquisizione di immobili : il piano Annan si è caratterizzato per una politica alquanto restrittiva e inapplicabile a causa di alcuni vizi di forma a sfavore dei greco-ciprioti. Un esempio pratico è rappresentato dal fatto che i rifugiati più anziani potrebbero tornare alle loro case (ma non è specificato se possono acquistarle nuovamente) per i primi tre anni in percentuale del 3%. Ogni anno i rientri aumenterebbero dell’1% con un’ interruzione dopo i primi 20 anni. Questi rifugiati non potrebbero comunque superare il 24% della popolazione della parte turca. Per quanto riguarda poi la difesa dell’isola sarebbe contemplata un’azione di completa smilitarizzazione, mentre sarebbe mantenuto un consistente esercito turco-cipriota fino a data da stabilire : altro dettaglio del quale non si comprende al meglio la scelta. Garante della sicurezza dell’isola verrebbe incaricata la Turchia, che non è neanche membro dell’UE.
Per svariati anni i greco-ciprioti, in piccole percentuali, potrebbero solo visitare quotidianamente la zona turca dell’isola : qualora volessero effettuare un soggiorno dovrebbero richiedere permessi specifici alle autorità locali, che dovrebbe essere richiesto anche dai rifugiati greco-ciprioti mandati via dalle loro case dopo l’occupazione turca del 1974.
Infine il piano Annan continuerebbe a proteggere gli interessi di USA e Gran Bretagna che, con basi militari ad Akrotiri e Dhekelia, controllano strategicamente il Mediterraneo orientale e tutto il Medio Oriente.
Dopo l’esito negativo del referendum dalla parte greco-cipriota,e l’ingresso ufficiale della Repubblica di Cipro nell’UE dal 1 maggio 2004, queste basi appartengono giuridicamente all’Europa Unita.
Oggettivamente il piano Annan si pone come una lontana soluzione, magari nata da intenzioni apprezzabili di ristabilire quantomeno una gerarchia politico-sociale, in pratica però presta il fianco a critiche non occasionali ma frutto di una ponderata riflessione: esso non garantisce pari diritti alle due comunità.

martedì 11 marzo 2008

Ma Bari è in Europa?

A Liverpool è stato progettato un nuovo simbolo che rilancerà la città inglese come “architettonicamente amichevole”. Si chiamerà The Lamp, la lampada, e si tratta di un osservatorio di forma elicoidale che illuminerà le acque del fiume Mersey. A Bari invece chi osa parlare di porticciolo turistico deve scontrarsi con una realtà fatta di miopìe decisionali ed incongruenza politica.
Mentre nel resto d’Europa e del mondo si sperimenta, si innova, si migliora, in Italia e in Puglia no. Non solo nel Paese si sconta un ritardo abissale circa l’alta velocità ed il triangolo ferroviario Lione-Torino-Trieste resta sulla carta, ma si evita accuratamente di prendere in esame perfino le indicazioni della commissione europea: il riferimento è all’intersnodo portuale-ferroviario che vedrebbe coinvolte Taranto, Gioia Tauro, Trieste e Genova, e all’ormai famoso quanto irraggiungibile Corridoio 8: con tale decisivo sviluppo infrastrutturale, il nostro Paese e il capoluogo pugliese avrebbero accesso, con priorità rispetto ad altri, alle zone minerarie ed energetiche dei Balcani per la trasformazione della materia prima nelle nostre imprese. Sensibili sarebbero inoltre i benefici per appalti ed impianti. Nelle aree interessate è prevista anche la costruzione, l'ampliamento o il miglioramento di autostrade, di ferrovie ad alta velocità, di terminal per containers, di cavi ottici per le telecomunicazioni. Insomma, creare e ridare linfa al progetto arioso di Bari centro del Mediterraneo: non più vana utopia, ma traguardo più vicino del previsto, solo a patto che lo si voglia raggiungere veramente.
Ma tant’è. E’altresì pacifico agli addetti ai lavori, che al giorno d’oggi non è più sufficiente disporre di un buon prodotto (nel caso del nostro olio, il ‘buono’ va sostituito con ‘ottimo’): servono sì strategie di marketing e campagne di promozione ma soprattutto sono necessarie reti trasportistiche all’avanguardia. Immaginiamo dove potrebbe arrivare il nostro olio se su Bari fossero simultaneamente operative una serie di infrastrutture, come le autostrade del Mare (la Trieste- Catania, o la Helsinky- Cipro), il Corridoio 8 fino al Mar Nero, l’aeroporto intercontinentale, il terminal containers e lo snodo ferroviario che arriva sino in porto.
Disporre di quindici chilometri di lungomare pare non interessare alla città di Bari ed ai suoi governanti: a cosa serve progettare per tempo un molo turistico degno di questo nome? Il lungomare della vicina città greca di Patrasso, presenta molte affinità strutturali con quello barese. Entrambi si snodano perimetralmente e si prestano ad una progettazione diversificata: ma mentre quello greco è stato opportunamente sezionato in varie aree, ovvero porticciolo turistico, zona giardini per passeggiare, zona con locali e ristoranti a pelo d’acqua, porto commerciale, zona per canottaggio e zona per il rimessaggio delle imbarcazioni, quello barese invece galleggia ancora nella mediocrità architettonica e logistica in attesa di tempi migliori. O in attesa di una classe dirigente finalmente all’altezza.
Chiediamo troppo?

giovedì 6 marzo 2008

DIAMOCI UN TAGLIO



Ha poco più di un anno e mezzo di vita, nel corso del quale le istituzioni europee hanno fatto ben poco per contrastarlo. Parliamo del NVD, ("Amore del prossimo, libertà e diversità"), il primo partito dichiaratamente pedofilo. Nato in Olanda ha tra i suoi obiettivi la liberalizzazione della pornografia infantile e i rapporti sessuali fra adulti e bambini. La domanda è: come si può legittimare un movimento che si fonda su un’idea che è considerata palesemente un reato?
"Educare i bambini significa anche abituarli al sesso. Proibire rende i bambini ancora più curiosi", ha dichiarato Ad van den Berg, 62 anni, fondatore del partito. "Vogliamo trasformare la pedofilia un argomento di dibattito". Ora, il fatto che della pedofilia si discuta e si dibatta non rappresenta un elemento di difficoltà, dal momento che, essendo espressamente contemplato come reato, ad esso vengono per fortuna dedicate trasmissioni televisive ed inchieste giornalistiche. Lo scopo del signor van den Berg, forse, non è allora quello di creare dibattito, bensì di cercare legittimazione. Chiedere che venga legittimato un elemento che è considerato reato, non rappresenterebbe dunque un'altra forma di reato?

Nel programma (ammesso che possa definirsi tale) c’è anche la soppressione del Senato, la funzione di primo ministro, la legalizzazione di tutte le droghe, leggere e pesanti, e l'ergastolo per gli omicidi recidivi. E ancora, sì al sesso con gli animali, no ai maltrattamenti e la possibilità di viaggiare sempre gratis in treno per l'intera popolazione: insomma, un’iniziativa che definire deprecabile è riduttivo. Il partito, sul suo sito internet, afferma che chiunque abbia compiuto i sedici anni dovrebbe poter interpretare film porno e che la maggiore età sessuale dovrebbe essere abbassata a dodici anni. "Daremo una svegliata all'Aja!", è l'eloquente slogan che compare sul sito.

Ma ancor più sconvolgente delle suddette dichiarazioni di intenti è il silenzio delle istituzioni: non una voce si è alzata per condannare tale degrado socio-culturale, non un solo intellettuale che abbia definito “spazzatura” tale iniziativa, non un intervento delle varie componenti mondiali, Onu in testa. Forse in questo caso non vi è interesse a concludere la vita di tale partito, forse non c’è abbastanza introito a mettere la parola fine a questo scempio socio-culturale. Assistiamo purtroppo ad una ennesima dimostrazione di totale smarrimento dei valori più elementari, all’interno per giunta di un Paese membro dell’Unione europea.
La politica al servizio della società: una citazione che mai è stata così lontana da un movimento che cerca spazio in un parlamento della nostra Europa.

LEGGE ELETTORALE, CAMBIAMOLA

In questi giorni di fibrillazione per le sorti del Paese, e il riferimento non è solo alla campagna elettorale (ma alla spazzatura campana, al Santo Padre umiliato per i fatti della Sapienza, al diritto alla vita schernito, alle borse in disagio, alle famiglie ormai sul lastrico), serve confrontarsi anche su quella che è stata definita la pietra del contendere, ovvero la legge elettorale. Molti sostengono la bontà dell’attuale legge, definita a più riprese dal sen. Calderoli Porcellum, dal momento che impedirebbe l’inserimento della zizzania del malaffare, in quanto le liste sarebbero ad appannaggio delle segreterie politiche e senza lasciar spazio a richieste di contributi per la campagna elettorale.

Mi permetto di dissentire per una serie di ragioni: non ritengo una forma di democrazia partecipativa il fatto che nel chiuso delle segreterie romane un manipolo di uomini, per quanto simpatici e sicuramente di alto spessore politico, abbiano il potere di stabilire la composizione delle liste, togliendo al cittadino ormai l’unico mezzo che gli è rimasto per far sentire la propria voce, ovvero la preferenza. In base a quale principio è corretto stabilire che è lecito impedire all’elettore di scegliere autonomamente il proprio candidato preferito? Il rilievo che il sistema delle preferenze comporti per i candidati dispendiose campagne elettorali non è un dato a mio avviso consistente, dal momento che non mi pare di straordinaria importanza nell’economia globale del ragionamento, e soprattutto in considerazione del fatto che gli eletti poi non hanno comunque stipendi da fame, anzi.

All’indomani della riforma con cui siamo andati alle urne nel 2006, all’elettore non è stato consentito di scegliere per chi votare dal momento che è stata abrogata la preferenza. L’articolo 3 della carta costituzionale recita: “E’compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica, sociale del Paese”.

Il suddetto articolo richiama il diritto di partecipazione del quale ogni cittadino è investito. Da queste basi è necessario ricominciare quando si dice che si vuole mettere il cittadino al centro della politica. E’restituendo all’elettore il proprio potere che lo si ricrea protagonista della vita politica, perché è grazie al suo voto che si determina la composizione del Parlamento.

Per questo ritengo che il ritorno alla preferenza rappresenti nei fatti ormai l’unico baluardo di vera libertà e di puro spirito partecipativo che è rimasto a questo Paese, a meno che non si prosegua con la deleteria promessa di “fare il cittadino protagonista” per poi lasciarlo ancora una volta ai margini, relegandolo al ruolo di mero notaio che certifichi passivamente l’elezione di questo o quel candidato.

Cipro, alla prova dei fatti



To provlima, il problema. Così da 34 anni viene definita la questione di Cipro, da quando nel 1974 aerei da guerra turchi (e non solo) sorvolarono non a scopi turistici l’isoletta all’estremo est del Mediterraneo, occupandone militarmente e abusivamente la parte nord orientale e perpetrando razzìe e violenze inaudite. Da quel momento, a parte promesse elettorali ed appoggi strumentali da parte di questo o di quel Paese, nulla è cambiato, anzi, per i greco-ciprioti è iniziato un lungo calvario socio-culturale culminato con il piano Annan, che nel 2004 proponeva una soluzione per loro svantaggiosissima, ma che la comunità internazionale presentò al mondo come “la migliore che si potesse auspicare”. Il “no” al referendum, poi, ha destato l’attenzione dei governanti europei, i quali hanno purtroppo continuato a ragionare in termini economici più che in termini politici.

L’ottimismo di certi media europei di fronte alla vittoria del leader comunista Christofias merita di essere analizzato attentamente, per non incorrere in oggettive imprecisioni e sottovalutazioni di ogni dettaglio, che in questa storia si intreccia a dichiarazioni diplomatiche e scelte precise, come una rampicante fa avvinghiandosi sempre di più alla ricerca di un appiglio.
Non deve trarre in inganno il curriculum del neo presidente della Repubblica: il fatto che si sia formato a Mosca non deve necessariamente far trasparire una sua formazione comunista intesa “all’antica”. L’Europa si auspica che invece egli interpreti il ruolo di garante degli interessi greco-ciprioti da un lato, incarnando una politica di sinistra moderna come avviene nel resto del mondo civile. Detto questo è utile passare ai fatti, quelli concreti.

La situazione a Cipro è sotto gli occhi di tutti, come Mondogreco stesso testimonia con servizi e illuminanti fotografie, quelle sì che non hanno bisogno di alcun commento. Solo pochi mesi fa, in occasione della visita dell’Archipiscopo di Cipro Chrisostomos II in Vaticano dal Santo Padre e della sua partecipazione in ottobre al meeting Ecumenico di Napoli con lo stesso Benedetto XVI, molti organi di informazione italiani (tra gli altri La Stampa, Il Riformista, Il Messaggero, Ansa) hanno dedicato ampi reportages alle condizioni in cui versa la Katekomena, ovvero la parte occupata dai turco-ciprioti. Il riferimento è alle chiese di rito non musulmano che sono state oggetto, per usare un eufemismo, di una sorta di restyling stilistico che le ha tramutate in bordelli, caserme militari, residence, in totale spregio delle più elementari forme di rispetto e di civiltà. Cancellate con un tratto di penna, come quando si depenna un invitato dalla lista di un matrimonio: e così sono state rubate preziosissime icone ad appannaggio del mercato nero, ghigliottinati affreschi sacri e mosaici di inestimabile valore religioso ed artistico, nonostante l’Onu presidiasse l’isola con le sue jeep bianche targate UN, ma che paura non hanno suscitato in contrabbandieri e invasori.

Trentaquattro anni fa i greco-ciprioti dovettero abbandonare in fretta e furia le proprie (dicesi proprie, quelle di cui si ha legittima proprietà) abitazioni, lasciandovi preziosi, ricordi, oggetti, appezzamenti di terra, quella stessa terra che oggi agli usurpatori consente di continuare nella produzione di quegli agrumi famosi in tutto il mondo, dei quali l’Archipiscopo mi ha fatto amabilmente degustare il nettare nel suo studio in occasione della mia visita a Lefkosia.
Parlare con cognizione di causa del problema di Cipro presuppone che si abbia toccato con mano la tragedia che si è consumata sotto gli occhi di un occidente sempre più sordo a diritti civili e mistificazioni. Prima di lanciare campagne di informazione e di mobilitazione verso drammi che si consumano a latitudini da noi lontane e che meritano grande attenzione e sforzi, ritengo che la Commissione Europea debba confrontarsi con disastri politici interni al Mediterraneo, quegli stessi disastri che sovente vengono ignorati anche da deputati del Parlamento italiano o addirittura del Parlamento europeo. Cito fatti verificati personalmente dal sottoscritto.
Quando nel 2007, in occasione della visita in Italia del Presidente dei turco-ciprioti due deputati radicali hanno voluto accettare da lui la cittadinanza onoraria, offrendogli anche la scorta armata dei Carabinieri italiani, hanno commesso una violazione palese, dal momento che lo stato turco-cipriota non è dall’Ue riconosciuto anche in considerazione del fatto che esso stesso non ha inteso riconoscere Cipro, ammessa invece al club dell’Unione.

Come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni e come avrò modo di riferire in qualità di modesto relatore alla platea di Lefkosia in occasione del Quarto Congresso Internazionale di Studi Cipriologici del prossimo aprile, il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti Umani e risoluzioni dell’ONU, perchè esso fonda la sua base attuativa sull’art. 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi, nella veste pratica, escluderne la concreta applicazione. Al suo interno è possibile rinvenire una miriade di interepretazioni, quasi ci trovassimo in fitti cunicoli sotterranei, come una serie di restrizioni nella libertà di movimento e di acquisto di immobili e proprietà nella zona turco-cipriota da parte dei greco-ciprioti. Di contro un cittadino europeo potrebbe acquistare liberamente nella zona turco-cipriota.

L’auspicio è che i futuri riferimenti al piano Annan vengano pesati sufficientemente dalla bilancia tarata su valori fondamentali come diritto e civiltà.
Il Mediterraneo, culla della filosofia ellenica e dello « ius » romano meriterebbe pilastri morali che vadano oltre la mera tabella composta da entrate ed uscite. Cogitare sulla legittimità di un’occupazione militare senza nemmeno prendere in considerazione il dramma umano e sociale di un popolo, significa dimenticare colposamente la storia. Grave per due ragioni : in primis perchè si commette un errore oggettivo, mentendo spudoratamente al mondo. In secundis perchè proprio la culla morale e scientifica del mondo non merita un popolo di non-vedenti che ignora da dove siamo venuti e soprattutto che ignora dove andremo.
Da nessuna parte, temo, senza quella filosofia e senza quel diritto.

Tratto da http://www.mondogreco.net/ del 06/02/2008