mercoledì 16 marzo 2016

Atene, sui rifugiati la strategia di Tsipras sta nel dialogo con la Turchia

Ora che la rotta balcanica è definitivamente sigillata, come si muoverà il governo di Atene nella gestione dei circa 45mila profughi ancora presenti in territorio greco? Qualche risposta arriva dalle mosse diplomatiche del governo Tsipras, e sono emerse anche dopo la giornata romana del ministro ellenico per gli Affari Europei Nikos Xydakis (in foto), ricevuto la scorsa settimana a Roma dai sottosegretari Sandro Gozi ed Enzo Amendola e dal vice-ministro Filippo Bubbico.
Punto di partenza il dialogo obbligato con la Turchia. Xydakis definisce infatti Ankara "la chiave" per aprire il dossier migranti e consentire alla Grecia di non restare sola nel suo status di “inizio del corridoio balcanico”. Per cui - ed è la posizione greca ribadita da più voci - andrà fatto ogni sforzo possibile per giungere ad un accordo che impegni la Turchia a svolgere il compito che tutti si aspettano.
Le parole di Xydakis corroborano la tesi che vuole Atene bussare con insistenza alla porta del governo Davutoğlu. “L’UE ha bisogno della Turchia e la Turchia ha bisogno dell’UE – ha dichiarato il ministro - la Turchia ha le chiavi della porta, mentre la Grecia è l'inizio del corridoio. Alcuni paesi europei hanno chiuso i confini, così noi dobbiamo parlare e fidarci del nostro vicino”.
Da parte greca emerge la chiara volontà di accettare le condizioni poste da Ankara, che tanto hanno fatto storcere il naso ad altri paesi membri, perché la posta in gioco è troppo alta per poter mettere a rischio l’intera operazione. Ad alzare il prezzo è però stata Ankara, che ha chiesto sei miliardi anziché i tre concordati in prima battuta, aggiungendo poi la “postilla” annunciata dal ministro turco degli Affari Europei Volkan Bozkir, secondo cui gli accordi di riammissione non includono “i rifugiati che già si trovano sul territorio greco”. Lo stesso Bozkir ha poi previsto che “il numero di migranti che la Turchia dovrà riammettere probabilmente non si conterà in milioni” ma al massimo “in decine di migliaia”.

Rotta albanese

Sullo sfondo dei riverberi della chiusura balcanica, la prima conseguenza è l’intensificazione dei controlli alla frontiera greco-albanese dato che, come ha precisato Xydakis, “i disperati vanno dove trovano la strada”, e da più parti si preannuncia l'apertura di una nuova rotta sull'asse Grecia-Albania dopo la chiusura del confine greco-macedone. E’ la ragione che ha spinto anche Roma a riconsiderare l’aspetto della prevenzione, come dimostra la notizia di un contingente dei Carabinieri che si appresterebbe ad aiutare a presidiare proprio la frontiera greco-albanese.
La posizione del governo greco è che “i muri eretti dai Balcani sono la risposta sbagliata”, agli antipodi quindi dei tweet del Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk che alcuni giorni fa ha cinguettato un “grazie” ai paesi dei Balcani che hanno sigillato la “rotta balcanica” portando “alla fine del flusso irregolare di migranti”. Parole “inaccettabili", ha affermato Xydakis aggiungendo che "le azioni unilaterali sono da condannare. Noi difendiamo Schengen e i principi dell'Unione europea. Nessun leader europeo vuole tornare ai tempi della guerra fredda. Erigere muri con il filo spinato non è il nostro modo di fare le cose".
Nel frattempo un sostegno alla Grecia arriva dal Commissario UE per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi Christos Stylianides, che ad Atene ha incontrato Tsipras. Su twitter scrive che il vertice è servito a "riaffermare pienamente la partnership e la solidarietà con la Grecia".
Raddoppia la dose anche il portavoce della Commissione UE Margaritis Schinas secondo cui il bilaterale Stylianides-Tsipras ha avuto il merito di analizzare un nuovo strumento economico di assistenza umanitaria all'interno dell'UE. Si parla soprattutto di 700 milioni promessi dalla Commissione alla Grecia, per affrontare l'emergenza. Al momento il porto del Pireo è al collasso, e drammatica è la situazione nel villaggio di Idomeni, dove pochi giorni fa un bimbo - immortalato da una foto che è diventata virale sui social – è nato in una tenda ed è stato lavato con l'acqua di alcune bottiglie di plastica. L'Associazione dei Medici Infettivi greci da giorni ha lanciato l'allarme tubercolosi all'interno del campo.
Il premier ellenico ha garantito che il governo, nonostante le note difficoltà finanziarie, è riuscito ad aumentare la sua capacità di ricezione con 10mila posti in più. Tsipras ha chiesto però che il prossimo passo sia quello di un sostegno concreto di Bruxelles e degli stati membri ad Atene con riferimento alla logistica e al personale da impiegare in loco, nella consapevolezza che "la crisi umanitaria che stiamo affrontando in questo momento non è un affare greco ma una questione europea e dobbiamo affrontarla insieme".

La sponda atlantica

Anche al di là dell'Atlantico l'emergenza migranti non passa inosservata. Lo dimostra la visita a Idomeni dell'Assistente del Segretario di Stato USA, Victoria Nuland, che ha anche incontrato il ministro di Stato greco Nikos Pappas, principale collaboratore di Tsipras. La Nuland ha incontrato anche il Segretario Generale del ministero degli Esteri Paraskevopoulos e rispondendo alla domanda sul perché non abbia avuto contatti a un livello più alto, ha detto che il viaggio è stato programmato all'ultimo minuto, e che "il ministro competente aveva un altro appuntamento oggi".
Al di là del protocollo, la notizia sta nel focus puntato da Washington su Idomeni e Atene, anche perché, come ha sottolineato la Nuland, con la visita al campo di fango al confine tra Grecia e Macedonia (FYROM per Atene) si vuole "mostrare la solidarietà americana alla Grecia al fine di comprendere meglio come possiamo essere più utili".
La Nuland ha mostrato apprezzamento per la situazione a Diavata, definita un campo modello anche per altri centri di accoglienza in Grecia, e ha ribadito più volte che i greci sono sì molto generosi nell'aiutare i rifugiati, ma si dovrebbe procedere in modo più veloce, visti i numeri degli arrivi. Un altro passaggio significativo è stato poi rappresentato dall'incontro bilaterale tra Nancy Jackson, sottosegretario di Stato all'immigrazione USA, e la vice ministro della Difesa greco Demetris Vitsa. La questione migranti da molti viene interpretata infatti soprattutto in termini di sicurezza, più che di emergenza umanitaria. E in molti, sia in Grecia che in Europa, criticano Tsipras sostenendo che il suo governo non abbia fatto abbastanza per presidiare i confini nazionali nell’Egeo orientale.

lunedì 14 marzo 2016

La Turchia di Erdogan è una polveriera: autobomba fa 34 morti

Da Il Giornale del 14/3/16

Un macabro cliché che si ripete. Un attentato, tanto panico e media senza voce. Per la quarta volta in sei mesi la Turchia di nuovo a ferro e fuoco. Nel parco Guven, accanto a un grande snodo dei trasporti, un'autobomba è stata fatta esplodere - probabilmente dal Pkk o da un gruppo affiliato - vicino a una fermata del bus e della metro provocando - ha comunicato ieri sera il ministro della Salute Mehmet Muezzinoglu - 34 morti, tra cui due kamikaze, e 125 feriti (19 gravi mandati in dieci ospedali). Media nazionali zittiti, come ormai consuetudine, da un'ordinanza del governo che impedisce le riprese video, mentre i social network del paese dopo l'esplosione vanno a scartamento ridotto.Un attacco, seguito da colpi di arma da fuoco, che era nell'aria, come dimostra la nota diffusa 48 ore prima dall'ambasciata degli Stati Uniti in Turchia che allertava i propri concittadini sul pericolo di «un potenziale piano terroristico per colpire edifici governativi e abitazioni nell'area di Bahcelievler». 

Tutt'intorno auto in fiamme, un autobus carbonizzato, gente in cerca di riparo e una colonna di fumo visibile da un paio di chilometri di distanza. In serata il premier Ahmet Davutoglu, preoccupato da un'informativa dei servizi che parlava di un secondo possibile attentato, convoca una riunione di sicurezza. Un video mostra una forte esplosione ripresa da una telecamera sopra l'ingresso di una stazione della metropolitana, con i passanti che iniziano a correre per allontanarsi dalla zona. Il luogo dell'attacco, nel centro di Ankara, è stato il teatro delle proteste contro il governo nel 2013 ed è lo stesso dell'autobomba che tre settimane fa aveva ucciso 29 persone vicino al Parlamento turco e alla base dello Stato Maggiore dell'Esercito: al passaggio di un camion militare, un terrorista aveva fatto saltare in aria tutto ciò che era nel raggio di pochi metri. Mentre a tremare, quaranta giorni fa, era stata Istanbul, con vittime della violenza undici turisti tedeschi in piazza Sultanahmet per mano di un kamikaze siriano che si era fatto esplodere, a due passi da Santa Sofia e dalla Moschea Blu. 

Nell'ottobre scorso due attentatori suicidi avevano colpito un raduno di attivisti filo-curdi all'esterno della principale stazione ferroviaria di Ankara, uccidendo più di cento persone. E un mese fa, a Stoccolma, un attentato in un centro culturale turco, fortunatamente senza vittime o feriti.Obiettivo del governo Davutoglu, come è noto, sono i curdi, nello specifico l'organizzazione denominata «Falchi della libertà» (Tak). Infatti nella mattinata di ieri le autorità turche avevano dichiarato un nuovo coprifuoco «a tempo indeterminato» in due distretti delle province sud-orientali di Hakkari, mentre sette militanti del Pkk erano stati uccisi sabato nella città sud-orientale di Diyarbakir. Una tensione che si tocca con mano non solo nelle città strategiche del paese, ma anche al confine turco-siriano dove l'artiglieria di Ankara continua a bombardare le milizie curde in Siria. «Non c'è posto per le organizzazioni terroristiche nella nostra civiltà», è stata la reazione del presidente Erdogan che poche ore prima aveva fatto anche altre due dichiarazioni. 

Nella prima sosteneva che la scarcerazione dei giornalisti arrestati «va contro gli interessi nazionali e mette a rischio l'esistenza della Corte costituzionale» e la seconda che in Turchia ci sono ancora tre milioni di profughi pronti a partire per l'Europa.

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venerdì 11 marzo 2016

Ma Alfano «non vede evidenza di flussi enormi» via Albania

Da Il Giornale dell'11/3/16

Un corridoio ormai sigillato (quello balcanico). E uno che, a giorni, potrebbe drammaticamente aprirsi (quello albanese e quindi pugliese) anche se il ministro Alfano minimizza. La «mano euro-ottomana» sul rubinetto migranti sta decidendo in queste ore il destino non solo dei 41mila rifugiati presenti in Grecia, ma anche di altri 500mila il cui futuro è in bilico tra isole greche e Turchia, con Ankara che detta ancora le condizioni.Mentre nell'Egeo orientale si continua a morire, con cinque migranti annegati a Lesbo tra cui un neonato di sei mesi, i ministri dell'Interno Ue si riuniscono per tracciare il perimetro successivo al traballante accordo raggiunto con Erdogan, che il ministro slovacco Kalinak ha definito una «partnership commerciale».

 In vista del vertice europeo del 17 e 18 marzo gli aspetti da mettere in ordine sono parecchi, tra numeri che non tornano e quella guardia frontaliera europea che dovrebbe garantire l'impermeabilità dei confini. Lo dimostrano le parole del ministro degli Affari Europei di Ankara Bozkir: l'accordo prevede che «il numero di migranti che saranno rimandati alla Turchia non è di milioni» ma al massimo di «decine di migliaia», e Ankara inizierà a riprendere i rifugiati solo quando quelli già sul territorio europeo saranno stati ricollocati nei vari Paesi. Il tutto mentre «Vienna non farà passi indietro» annuncia l'austriaco Mikl-Leitner, anche se il problema più grosso «è che i profughi hanno ancora speranze e aspettative, che vengono continuamente alimentate». È la ragione per cui Atene invita i 12mila rifugiati presenti a Idomeni a lasciare il campo di fango ormai al collasso, ma con il rischio che vadano ad ingrossare la rotta albanese. Quella stessa strada che, nonostante gli allarmi multilivello diffusi, è derubricata dal Ministro dell'Interno Alfano. «Fino a questo momento non abbiamo evidenza di questo flusso enorme - dice -. Siamo abituati a fare le previsioni ma anche ad osservare la realtà. La logica ci suggerisce che con la chiusura della rotta balcanica si potrebbe aprire una rotta. Questo però ce lo fa dire la logica, ma oggi non i fatti». Un modo arzigogolato per non prevenire uno scenario che è invece altamente probabile, come conferma il suo omologo spagnolo Diaz, che prevede un flusso in partenza dalle coste occidentali di Algeria e Marocco o anche di Mauritania e Senegal, che toccherebbe quindi di nuovo Lampedusa. 

Contrariata la cancelliera Merkel, secondo cui la chiusura della rotta balcanica «non risolve i problemi» che però sono iniziati proprio con la sua proposta di porte aperte a tutti. Nel frattempo il «muro» dei Balcani con il lucchetto in Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia non ferma il flusso in arrivo in Grecia: ieri mattina altri 800 sono sbarcati al Pireo, aggiungendosi ai tremila già sulle banchine, provocando l'allarme del commissario all'immigrazione Avramopulos («La crisi umanitaria in Grecia rischia di tramutarsi in disastro umanitario») per cui fissa l'asticella dei ricollocamenti a seimila richiedenti asilo al mese da Grecia e Italia. 

E anche se il ministro degli esteri Gentiloni da Malta tenta di spargere camomilla («stiamo lavorando con le autorità greche e albanesi per prevenire lo sviluppo di traffici da parte di organizzazioni criminali») giusto a 25 anni dallo sbarco a Bari della nave Vlora, in Salento già si trema per i riverberi sul turismo, così come accaduto nelle isole greche del Dodecaneso con il crollo verticale delle prenotazioni.

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giovedì 10 marzo 2016

Olio tunisino senza dazi, c’è il via libera dalle Ue. M5S: “Regalo a multinazionali”

C’è l’accordo tra i 28 Stati membri per l’ok all’olio tunisino senza dazi nella Ue. La plenaria di Strasburgo ha dato il via libera finale al pacchetto di aiuti d’urgenza alla Tunisia, che comprende ilRegolamento che permette l’importazione di 35mila tonnellate aggiuntive di olio d’oliva. Il voto era stato sospeso il 25 febbraio, ieri il Coreper ha recepito gli emendamenti tecnici e comunicato che avrebbe adottato il testo che sarebbe passato oggi al Parlamento europeo. Che ha approvato con 500 sì, 107 no, 42 astenuti. Un voto positivo arrivato in tempi record, con la plenaria che ha modificato, in zona Cesarini e con uno scatto da centometristi, l’ordine del giorno al Parlamento europeo. Sì quindi alle 35.000 tonnellate in più all’anno di olio d’oliva tunisino sulle tavole comunitarie e dopo l’emendamento del Movimento 5 Stelle che aveva bloccato l’iter a febbraio, puntando ad obbligare la Tunisia a esportare esclusivamente olio proveniente da olive tunisine, presentato proprio al fine di rassicurare i consumatori italiani sulla reale provenienza dell’olio.
“Temevamo questo voto favorevole – dice a ilfattoquotidiano.itil deputato dei Cinque Stelle Filippo Gallinella, membro della commissione agricoltura della Camera – decisione che abbiamo ampiamente criticato e combattuto sin dall’inizio dopo l’annuncio della Mogherini. Denunciamo anche il fatto che il Governo Renzinon ha presenziato agli incontri che avrebbero potuto porre un veto alla decisione di Bruxelles. Mi riferisco a venerdì scorso, in occasione del Comitato tecnico per la politica commerciale del Consiglio europeo, – aggiunge – con la diserzione del ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi e a ieri mattina, durante la discussione Coreper, con l’assenza del ministero degli esteri. Per non parlare del vero grande assenteista, ovvero il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina: nel 2015 ha disertato senza giustificazione ben 9 Consigli europei su 13″. Secondo il gruppo del M5S al Parlamento Europeo l’acquisto di olio tunisino favorisce solo le grandi multinazionali della distribuzione che miscelano l’olio tunisino con quello italiano o lo vendono con etichetta extra Ue nei supermercati. Contrario anche il movimento Azione Nazionaleche con l’ex sottosegretario all’ambiente, Roberto Menia, annuncia un presidio a tutela dell’olio extravergine made in Italynei maggiori porti italiani, a partire da quelli sulla dorsale adriatica come Trieste e Bari.
“Rimango fermamente contrario a qualsiasi aumentopermanente del contingente di olio tunisino – dice in una nota il Ministro Maurizio Martina – Come ministero delle politiche agricole abbiamo posto delle condizioni chiare sull’attuazione e sulle quote mensili dei contingenti e su questi punti non intendiamo cedere. Se non avremo garanzie continueremo a opporci all’adozione del regolamento da parte della commissione“. E aggiunge: “Nel frattempo gli organismi di controllo del ministero, a partire da capitanerie di porto, corpo forestale e ispettorato repressione frodi intensificheranno le ispezioni ai porti sul prodotto in arrivo. La filiera dell’olio italiano è tra le più controllate in assoluto e negli ultimi due anni abbiamo alzato il livello dellarisposta contro possibili frodi come mai accaduto in passato”. Solo qualche mese fa, in seguito allo scandalo dell’olio taroccato ad opera di un cartello italo-spagnolo, il ministro dellePolitiche Agricole aveva replicato al M5S che le relative informative comunicate dall’Agenzia delle Dogane al suo dicastero non erano state ignorate ma, anzi, utilizzate dai suoi ispettori in diverse operazioni. “Oggi invece – attaccano i deputati pentestellati Gallinella e Cariello – viene smentito anche dai dati raccolti dai Carabinieri dei Nas secondo cui nell’ultimo anno le frodi ai danni dell’olio extravergine d’oliva sono quadruplicate. Dov’erano e dove sono allora i controlli di cui si vantava il ministro Martina?”.
Pollice verso anche da Coldiretti secondo cui la mossa decisa dall’Ue “rischia di non aiutare gli agricoltori tunisini e di favorire solo gli imbottigliatori anche perché corrisponde appena ad un incremento del 3%, un dato decisamente insufficiente per garantire un reale impatto sulla situazione della popolazione rurale del paese africano”. Per questo ha promosso per oggi una mobilitazione per la difesa del Made in Italy a Catania, dove migliaia di agricoltori si sono dati appuntamento, simbolicamente, per difendere “il petrolio italiano”.
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lunedì 7 marzo 2016

Grecia, nasce My Human Bank: “Ci impegniamo a far uscire il Paese dalle sabbie mobili"

L’accesso al credito è una chimera? In Grecia un gruppo di volenterosi (anche un italiano) si  è inventato la Banca umana e i supermercati più equi: My Human Bank. L’idea è stata implementata da un gruppo di manager e professionisti greci, tra cui anche un architetto italiano, che stanno per mettere a regime una filiera di finanziamenti e prestiti agevolati nel settore agroalimentare, ma anche nel terziario relativo a nuove imprese, start up e informatica.  E garantiscono che non si applicherannoipoteche e altri gravami sui mutui erogati e il tasso complessivo in linea di massima per i mutui sarà stabile al 4%, netto senza alcun altro onere.
“Al momento non possiamo ancora esplicitare la provenienza del capitale iniziale – dice a ilfattoquotidiano.it uno dei soci fondatori,Angelo Saracini, 71enne romano ma che vive ad Atene dagli anni Settanta – lo faremo nelle prossime settimane per ragioni di opportunità che potete ben comprendere. Quello che ci tengo a sottolineare è che l’impegno di questo nucleo di persone è di venir fuori in qualche modo dalle sabbie, mobili e putride, in cui la Grecia è finita”. In quel 4% è compresa un’assistenza completa secondaria, come ad esempio a chi vorrebbe allestire una serra per la coltivazione e “noi gli offriamo tutto il know how, il supporto tecnico, legale e burocratico relativo alle autorizzazioni ed al regime fiscale”. L’idea è che quel tasso venga pareggiato dai guadagni provenienti dalla gestione ottenuta tramite la banca, “che sarà quindi co-partecipe delle attività finanziate”.
Non solo. Nei prossimi mesi apriranno delle agenzie nelle tredici province della Grecia in parallelo con tredici supermercati che venderanno prodotti locali, tra cui quelli dei clienti della banca stessa, messi sugli scaffali a prezzi molto più bassi rispetto alla media commerciale. “E’questo un altro elemento che ci differenzia dalla banca etica – aggiunge Saracini – ci denominiamo banca umana perché ci rivolgiamo alle persone, tramite una collaborazione pulita e asciutta tra l’ente erogatore e l’imprenditore. Ovvero in primis chi si occupa di agroalimentare e a seguire start up e idee innovative. Non saranno clienti della banca umana né persone orientate ad ottenere fondi per l’acquisto di automobili, né di immobili o in Borsa, per cui siamo una banca al servizio del lavoratore”.
Nel nucleo dei soci fondatori spiccano il 44enne Ioannis Xrisogonìdis, nato in Germania ma laureatosi in Giurisprudenza in Grecia, gli economisti corfioti Nikolaos Riganàs, laureato a Bari e Nikiforos Rapsomanìkis laureato a Bologna, sotto l’egida del professor Stèfanos Tsolakìdis, fisico e ingegnere aeronavale oltre che Doctor of Professional Studies in Aerospace and Defence Technologies Management alla Middlesex University of England.
In attesa del nulla osta da parte della Banca Centrale Greca, entro fine mese saranno operative le prime quattro sedi della banca umana, aperte a Kolonaki (il quartiere del business ateniese),Salonicco e Corfù. “Assumeremo in primo luogo portatori di handicap, ma con particolari requisiti di competenze bancarie e informatiche. Poi i disoccupati, meglio se giovani in cerca di primo impiego, e altre categorie diciamo sensibili come padri di famiglia in difficoltà – conclude Saracini -. Tutto sarà gestito nella massima trasparenza, con i profili dei candidati e poi degli assunti pubblicati sul nostro sito. Lo stipendio  sarà composto da una base come previsto dalla legge greca e da un bonus relativo agli obiettivi man mano raggiunti”. E scorrendo il portale si apprende che la Banca umana si occuperà anche di emergenza migranti, con il progettoPeople Solidarity: una realtà filantropica per contribuire all’accoglienza, l’alloggio e la ristorazione di immigrati che oggi in Grecia, per quanto riguarda i siriani e gli afghani, hanno toccato quota 31mila.
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sabato 5 marzo 2016

Grecia, flusso di migranti affossa turismo. A Lesbo prenotazioni crollate del 90%

Da Il Fatto Quotidiano del 5/3/16
Lo temevano gli isolani di Kos, quando due settimane fa avevano protestato per la costruzione di un hotspot nella gettonatissima isola del Dodecaneso, finendo colpiti dai lacrimogeni delle teste di cuoio. E oggi i primi numeri forniti dall’Associazione degli albergatori dell’Egeo nord-orientale: parlano di un “colpo mortale al turismo”, come già dimostrano gli annullamenti di prenotazioni per la prossima estate, senza dimenticare che in mancanza dell’apporto del giro di affari proprio legato alle vacanze, i prospetti della troika relativi a entrate e quindi a obiettivi da raggiungere, potrebbero dover essere rivisti.
L’isola che porta il maggiore peso dei flussi di rifugiati, Lesbo, secondo il presidente dell’associazione albergatori, Periclis Antoniou, presenta un calo delle prenotazioni del 90%. “La situazione è drammatica – analizza dai microfoni di una televisione locale – le cancellazione di gruppi vengono una dopo l’altra. L’estate scorsa abbiamo avuto 25 voli charter settimanali ma quest’anno appena nove”. Lesbo, oltre ad aver dato i natali nel IV secolo a.C. al filosofo Teofrasto e alla poetessa Saffo nel VI secolo a.C, è visitata per le sue spiagge ed anche per le grotte di Skala e per il monastero di Limonas dove vivono le rare foche monache e uccelli selvatici quasi in estinzione. Gli isolani hanno scritto una lettera a Tsipras in cui chiedono almeno che il governo conceda loro lo status speciale per la tassazione, che gli era stato revocato lo scorso ottobre.
Chios, dove si produce la mastika (per dolci e liquori) con cui in un nosocomio ateniese si sta sperimentando una cura naturale almorbo di Crohn, c’è già il 60% di prenotazioni ritirate. Dei sei voli charter settimanali ne sono stati annullati tre. Gli agenti stranieri non possono vendere pacchetti di viaggio per l’isola a causa dei rifugiati, lamentano gli albergatori, dal momento che i turisti europei non vogliono vedere gli immigrati durante le vacanze spiega il presidente degli albergatori dell’isola, Petros Fengoudakis.
Intanto nell’isola di Kastellorizo, che dista solo due miglia marine dalla costa turca di Kas, due giorni fa un incendio ha distrutto il magazzino dove erano custoditi i vestiti per i rifugiati. I residenti e volontari attraverso i social media informano che “vestiti, scarpe, coperte e tutto il resto è andato bruciato, e l’area danneggiata”. La causa dell’incendio non è ancora nota, ma le forze dell’ordine non escludono l’origine dolosa.
La Grecia è una delle maggiori destinazioni turistiche del mondo con 25 milioni di arrivi nel 2015, in crescita del 13,5% rispetto all’anno precedente. L’industria del turismo nel paese contribuisce direttamente al 20% del Pil e si è ampliata in modo significativo negli ultimi anni con 9745 alberghi, di cui il 17% a 4 o 5 stelle, mentre solo 307 strutture hanno più di 300 posti letto. Di tutte le destinazioni, solo cinque principali hanno l’84% della capacità totale di ricettività e incassano il 93% del fatturato e dei profitti. E’ la ragione per cui a pochi giorni dall’inizio della primavera e a poco più di un mese dal primo vero appuntamento turistico ellenico, la Pasqua Ortodossa, si comincia a ragionare sui dati che potrebbero venire fuori da questa situazione: se la troika dovesse rivedere le previsioni del turismo, l’unico settore dove il Paese fa numeri significativi, ci potrebbe essere il rischio di nuovi interventi.
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venerdì 4 marzo 2016

Migranti, il piano Ue è una tragica mancia. Addio Schengen e Grecia

Una tragica mancia per creare in Grecia un lazzaretto a cielo aperto, stabilendovi in modo permanente migliaia di persone che lì non vogliono restare. A primo impatto il piano dell’Ue sull’emergenza umanitaria nell’Ellade è poco più che l’ennesima partita di giro, ma con un ventaglio di conseguenze di cui forse non ci si sta preoccupando abbastanza.
Si è scelto di scaricare solo su Atene questa immensa tragedia. I potenti del vecchio continente, incapaci di adottare una soluzione una, semplicemente scelgono una scorciatoia, e senza che dall’altro lato della barricata qualcuno dica una sola parola. Hanno deciso che Atene sarà l’unico mega hotspot d’Europa. Addio alle quote, alla distribuzione, al senso comunitario di un’unione. Ma si tratta di una decisione che provocherà forti squilibri sociali e nessuno può escludere che i disordini “alla Calais” vengano replicati.
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Un contesto in cui spiccano le incredibili parole di Donald Tusk, presidente Consiglio europeo, agli irregolari: non venite in Europa, dice, non date retta ai contrabbandieri, come se dipendesse da chi dalla guerra fugge a gambe levate. Non una parola sulla folle permeabilità dei confini marittimi dell’Europa, con la Turchia che non ostacola le partenze, con il ricatto dei tre miliardi mentre Ankara continua a bombardare i curdi e ad arrestare i giornalisti, con le isole del Dodecaneso letteralmente invase da migliaia di persone senza che la Marina ellenica batta ciglio.
In gioco non c’è più l’ideologia di chi vuole accogliere e di chi no, né le tesi veriegate sull’integrazione o sull’assimilazione: il nodo è strategico e logistico. L’Europa è un colabrodo e qualcuno a Berlino e Bruxelles ha pensato, con la consueta miopia degli ultimi due decenni, di chiudere la porta della Grecia e buttare la chiave in quei 38 chilometri di filo spinato al confine con la Fyrom. Una mossa azzardata e irresponsabile, che mette fine de facto a Schengen, che smaschera le promesse di tutti quegli euro burocrati che stanno dichiarando di non voler certamente lasciare la Grecia sola al proprio destino, mentre in soldoni lo hanno già fatto. Cosa accadrà ad Atene tra due settimane, quando complice la primavera gli arrivi sfonderanno quota 100mila? Cosa accadrà a Idomeni dove i diecimila profughi di ieri diventeranno 15mila tra poche ore con il rischio tubercolosi? Cosa accadrà nei 120 siti individuati dal governo Tsipras per accogliere tutti i profughi che Germania ed Austria non vogliono più? Ma non era stata la Cancelliera Merkelad asserire che l’accoglienza doveva essere un metro di azione comunitaria? Ha cambiato idea, come in altre occasioni.
Ma la responsabilità questa volta, come tante altre, non è solo della politica che sbaglia. Dove sono le teste degli intellettuali europei? Dove si nasconde l’intellighenzia che ha scelto di non pungolare la classe dirigente continentale su questo come su altri temi? Il timore, fondato, è che scrittori, analisti, poeti e intellettuali abbiano, loro prima dei politici, imboccato la strada del medioevo 2.0, del silenzio della favella, perché tanto è più comodo accucciarsi al calduccio del cancelliere di turno. E così addio eurodibattito, addio dita alzate per eccepire o per criticare in modo costruttivo. E soprattutto addio Europa.
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mercoledì 2 marzo 2016

Sbarchi, emergenza senza fine Il 2016 è già l'anno dei record


I sassi e le mele. Sono le due icone di Calais e del confine greco-macedone dove ieri si è registrata un'altra giornata di forte tensione con la protesta da parte dei migranti, mentre i numeri di Frontex sugli arrivi in questo scorcio di 2016, ben trenta volte maggiori rispetto a un anno fa, fanno sempre più paura.In Francia, sulla sponda opposta a Dover, ecco riprendere le operazioni di sgombero della «giungla». Fango, trattori e ruspe a cui i migranti replicano con il lancio di sassi. Tanti, tutti orientati contro il presunto nemico. Le tende erano diventate ormai tutt'uno con il terreno, reso impraticabile dalle piogge degli ultimi giorni. Alcuni attivisti «no borders» hanno tentato di impedire le operazioni salendo su un tetto e armati di un coltello, minacciando di tagliarsi le vene se gli agenti si fossero avvicinati. 

Dopo alcuni minuti di tensione, la polizia è riuscita a bloccarli mentre durante la notte aveva fatto ricorso ancora all'uso di lacrimogeni. «L'attivismo di una manciata di militanti - dice il ministro dell'Interno francese Cazeneuve - non cambierà niente». Duemilacinquecento chilometri più a sud, al confine tra Grecia e Fyrom, sono le mele a colpire l'attenzione. Le hanno lanciate un gruppo di migranti, dopo aver fatto una fila di quattro ore per ottenerle assieme ad un panino. Sono novemila, la metà minori, e premono sulle recinzioni, che restano sbarrate. Un pugno di persone riesce a passare assieme a quattro treni merci, la Macedonia con settecento agenti schierati vorrebbe rimandarli in Grecia ma Atene replica che essendo la frontiera ufficialmente chiusa non se ne fa nulla. Una donna tenta di darsi fuoco, ma viene fermata in tempo. 

I campi di accoglienza a Idomeni non possono più contenerli. I bambini, numerosi, iniziano ad ammalarsi, il cibo scarseggia, come le condizioni igieniche. Si dorme nel fango e c'è il rischio tubercolosi, osserva la società greca di malattie infettive mentre prende quota l'ipotesi della rotta albanese e a Vienna il cancelliere austriaco Faymann manda un pizzino a frau Angela: «L'Austria non è la sala d'attesa per la Germania».Una situazione dunque esplosiva come confermano anche i dati dell'Unhcr secondo cui sono 131.724 i migranti e rifugiati giunti sulle coste europee attraverso il Mediterraneo nei primi due mesi dell'anno. E rispetto allo stesso periodo del 2015, osserva Frontex, il numero è aumentato di 30 volte. E con il rischio che la primavera ormai alle porte faccia sbarcare in Grecia sino a 120 mila profughi entro poche settimane. È la ragione per cui Atene chiede 480 milioni in fondi di emergenza. «Non possiamo sopportare l'onere, deve esserci une soluzione permanente», ha detto il portavoce del governo Olga Gerovassili.

Ed ecco la direttrice di marcia in cui si muove l'Ue, con la doppia idea per uscire dall'impasse: creare postazioni permanenti dove farli impiantare o dare loro buoni per affittare appartamenti e acquistare cibo. In entrambi i casi il rischio, altissimo, di un'altra partita di giro con la possibilità elevata al cubo che prosegua il caos e il malcontento fra chi in Grecia non vuol restare. L'Ue ha finora utilizzato due strade in caso di crisi umanitarie. Il primo progetto è quello che viene applicato in un certo numero di paesi africani, ma anche in Giordania e Libano. Per questo medita la creazione di tende, fornite di cibo, acqua e servizi igienico-sanitari. Il primo aspetto negativo di questo progetto è che scarica di fatto su una sola specifica area il peso di una nuova popolazione di rifugiati. 

E nel caso della Grecia, o domani anche dell'Italia, si prevede di generare reazioni forti da parte dei residenti nelle zone in cui verrà decisa la creazione di questi campi. In alternativa l'idea di dare ai rifugiati buoni o voucher con cui affittare appartamenti o camere in alberghi e acquistare alimenti nei supermercati. Questo progetto è stato implementato in passato dalla Commissione europea per i rifugiati siriani in Libano e per quelli ceceni in Azerbaijan. E mentre Ankara mobilita cinquemila militari al confine con l'Egeo, anche ieri in Grecia numeri drammatici: a Lesbos in quattromila attendono di imbarcarsi.

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