martedì 29 novembre 2016

Si prepara l'invasione turca Scafisti a caccia di barconi


Prima le minacce, mai velate. Poi le prime avvisaglie e adesso le azioni immortalate dai droni dei servizi. 

Secondo un report dell'intelligence greca, in Turchia i trafficanti di migranti stanno facendo incetta di barche, gommoni e motori fuori bordo. Verranno verosimilmente utilizzati, nelle prossime settimane, per far transitare i tre milioni di migranti che Erdogan ha già annunciato di voler rispedire in occidente. Il rischio è che ciò possa avvenire al ritmo di tremila persone al giorno, con conseguenze drammatiche per quei paesi che sul Mediterraneo si affacciano, ovvero Grecia e Italia.
La notizia ha messo in allarme il ministero della Difesa di Atene, già alle prese con i quotidiani sconfinamenti aerei degli F16 di Ankara, anche perché non si tratterebbe di un gesto isolato dei trafficanti che, proprio sulle coste occidentali turche, hanno la base logistica da cui gestiscono le partenze, bensì della «naturale» evoluzione delle intenzioni di Erdogan. I natanti in queste ultime due settimane sarebbero stati allineati sulle coste e pronti a essere attrezzati per i ricchi viaggi.
Giovedì scorso, dopo la risoluzione del Parlamento europeo sul congelamento dei negoziati di adesione della Turchia, era stato il primo ministro Binali Yildirim ad avvertire i 28 che «siamo uno dei fattori che proteggono l'Europa e se i rifugiati attraversano i nostri confini, allora invaderanno l'Europa». Ora il rischio di una «tempesta perfetta» con rubinetti di migranti aperti dalla Turchia verso le isole dell'Egeo orientale, e con la moltiplicazione di altre Idomeni, ha tolto il sonno al governo di Atene, già alle prese con il nodo debito, che ha interpellato addirittura il Pentagono per decifrare i possibili rischi nel breve periodo. 
Le minacce di Erdogan questa volta non si sono limitate ai diritti in patria o ai reiterati annunci di voler trasformare Santa Sofia in moschea, ma hanno toccato anche capisaldi legislativi come il Trattato di Losanna sulla definizione dei confini nel mar Egeo che il presidente turco contesta, suscitando il panico tra gli isolani ellenici, al pari delle aziende legate al gas che speravano in una riunificazione di Cipro, su cui Ankara con pretese assurde ha di fatto messo il veto. La Grecia, è il messaggio che Atene ha inviato a Washington, corre seriamente il rischio di rimanere intrappolata, sia perché il costone balcanico è chiuso già a doppia mandata da Albania e Macedonia, sia perché il governo fatica a gestire i 50mila immigranti presenti oggi, figurarsi un'eventuale ulteriore ondata anomala. E l'Italia sarebbe coinvolta direttamente da questa mossa.
Chi non resta con le mani in mano sono i componenti del consiglio comunale dell'isola di Chios. Per una volta maggioranza e opposizione si sono compattati perché la strategia dell'esecutivo ha già azzoppato l'unica entrata dell'isola, ovvero il turismo. Il governo Tsipras avrebbe voluto creare un hotspot più grande, ma ancora senza interpellare gli amministratori locali. E non si placa la tensione nel paese, con un altro incendio scoppiato all'interno del centro di accoglienza migranti di Nea Kavala, nel comune di Kilkis: nessun ferito ma la consapevolezza che la situazione è davvero ingestibile anche per chi, come Tsipras, sconta dure critiche da chi lo ha rivotato un anno fa. Le elezioni anticipate a febbraio 2017 sono più che un'opzione: non solo i conservatori di Nea Dimokratia dati in testa, ma Alba dorata che sfonda quota 10% e insidia Syriza al secondo posto, crollata al 13%.
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Evasione fiscale, le banche greche propongono una tassa sui prelievi bancomat per disincentivare il contante


Le banche greche chiedono al governo Tsipras di tassare ogni prelievo bancomat con la motivazione di voler così ridurre l’evasione fiscale ancora altissima nel Paese. Nell’auspicio dei proponenti, la misura dovrebbe scoraggiare le compravendite in contanti, che sarebbero direttamente proporzionali all’economia sommersa. Inoltre gli istituti di credito chiedono al governo Syriza-Anel, impegnato in queste ore nei colloqui con il commissario europeo alle Finanze, Pierre Moscovici in visita ad Atene, che introduca l’obbligo di utilizzo di carta di credito per quelle libere professioni finite nell’occhio del ciclone per l’alto tasso di evasione. Sino allo scorso anno le mancate entrate per l’erario ellenico ammontavano a circa un miliardo di euro al mese, motivo che ha fatto traballare più volte l’accordo con i creditori internazionali, su cui ad esempio l’ex ministro Yanis Varoufakis aveva proposto che casalinghe e studenti si trasformassero in agenti in borghese dell’agenzie delle entrate.
Inoltre c’è sul tavolo la proposta dei rappresentanti delle banche che, non solo le carte di credito o di debito, ma anche altri vettori di pagamento telematici, vengano utilizzati di routine per piccoli pagamenti. Si tratta di una strategia messa in piedi dagli istituti finanziari ellenici per colpire il macrodato dal sommerso, che secondo le ultime valutazioni ammonta a circa 40 miliardi di euro all’anno, che per un Paese di poco più di 10 milioni di abitanti è moltissimo, anche perché incide sulle perdite sui proventi da tassazione per 15 miliardi di euro all’anno: un dato che non si è affievolito in questi anni di crisi, mentre invece altri indicatori hanno subito un calo, come il numero delle imprese fallite, nel 2015 diminuito del 40% rispetto ai dodici mesi precedenti. Nello specifico in Grecia si è passati da 330 fallimenti del 2014 ai 189 dell’anno scorso: un passaggio significativo se si considera che nel triennio maledetto (2011-2014) i numeri erano ben altri (445, 415, 392). Si tratta di dati aziendali forniti dalla Federazione dell’attività Information Services con la partecipazione ICAP, che non contemplano i fallimenti di persone fisiche. Secondo Fani Drakopoulou, Direttore di Information Business & rating di ICAP Group SA, anche se in Grecia c’è stato un calo significativo del numero di fallimenti formali (-42,7%), questo non è dovuto ad alcun miglioramento del clima economico ma al fatto che molte aziende non pagano i loro debitori a causa delle lunghe procedure, della burocrazia e dei costi elevati connessi al quadro giuridico esistente in Grecia. Senza contare che un gran numero di piccole imprese e liberi professionisti a causa della crisi economica hanno portato la propria azienda alla cessazione del lavoro, senza fallimento.
Tornando alle banche greche, secondo fonti interne sarebbero state stimolate dalla troika, per attuare una precondizione affinché l’Eurogruppo del prossimo 5 dicembre sia davvero disponibile ad un accordo sul debito greco. La visita di Moscovici lunedì ad Atene sarebbe da leggere proprio in questo contesto, anche se restano importanti divergenze nella stessa troika: come il pacchetto di misure di attuazione immediata (il cosiddetto breve termine) che ha generato un deterioramento del debito a valori correnti del 20%, ragione che sta spingendo il Fondo Monetario a pensare realisticamente ad un allungamento extra del debito a oltre 50 anni. In assenza di un accordo sul si fanno insistenti le voci che vogliono elezioni anticipate nei primi mesi del 2017.

giovedì 3 novembre 2016

Grecia, 10mila in piazza contro i tagli delle pensioni: fondi decurtati del 50%


Pensionati che bruciano le lettere con cui il governo annuncia nuovi tagli, uno sciopero generale proclamato per il prossimo 8 dicembre e la sensazione che questa volta una pensione da 34 euro sia davvero troppo poco per chi da sei anni combatte con nuove tasse e prestiti infiniti.
Mentre a giorni sono attesi gli emissari della troika per ridisegnare strategie e analisi sui (mancati?) progressi ellenici, i pensionati greci scendono di nuovo in piazza Syntagma, per protestare contro la riforma Katrugalos che ridefinisce in toto il sistema ellenico del welfare e, quindi, anche l’entità degli assegni mensili. Diecimila pensionati si sono ritrovati nel centro della capitale greca in quella piazza simbolo di crisi e di scioperiper bruciare le lettere con cui il ministro del lavoro Katrugalos, padre della riforma sponsorizzata dalla troika, annuncia il taglio dei contributi previdenziali in busta.

Circa 250mila persone sono toccate da questo nuovo taglio, dopo aver subito altre tre sforbiciate dall’inizio della crisi ad oggi, e con migliaia di pensionati che dopo due anni dalla cessazionedell’attività lavorativa non hanno ancora ricevuto la liquidazione, che presumibilmente sarà come minimo decurtata del 30%. Alla testa dei manifestanti c’è il combattivo presidente della Federazione dei pensionati, Koubouris, incredulo davanti all’ipotesi che un governo di sinistra possa tagliare le pensioni.
Prima di incitare la folla a bruciare le lettere dice al megafono che le pensioni integrative sono diminuite già dell’ 82%, mentre quelle principali del 45%, senza contare che tredicesime e quattordicesime sono ormai abolite. Di contro aumentano senza sosta le spese dei cittadini per servizi essenziali come spesa sociale, salute, prodotti farmaceutici, esami specialistici. Per 250mila beneficiari le riduzioni contenute nella riforma Katrugalos (che pare però non siano ancora sufficienti alla troika) sono in vigore dal giugno scorso.
Tagli che in alcuni fondi hanno raggiunto e superato il 50%. L’assurdo è che ad esempio riguardo all’Eteam, un fondo complementare, dopo il ricalcolo alcuni pensionatipercepiscono un assegno di 144,68 euro anziché 511,20. Ma quei 144 euro a causa dei prelievi una tantum o di conteggi su arretrati e conguagli, scendono ulteriormente a 71,50 euro. E non è tutto, perché sui media ellenici troneggia il caso di un pensionato che prende solo 34,75 euro.
La marcia di protesta, seppur pacifica, si è conclusa con il falòsimbolico delle lettere fin sotto la sede del ministero del lavoro, con la richiesta avanzata al gabinetto del ministro di un incontro chiarificatore anche di pochi minuti, che però è stato negato dall’esponente di Syriza. Tra l’altro nello stesso dicastero, delicatissimo perché destinatario del 90% delle riforme, al massimo entro la prossima settimana i creditori internazionali torneranno per verificare se i requisiti richiesti ad Atene siano stati rispettati dal governo, che deve subire anche l’attacco delle opposizioni, che invocano a gran voce nuove elezioni per l’inizio del 2017.
Uno scenario su cui si abbatte l’ambigua previsione della Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) relativa al tasso di crescita dell’economia greca nella seconda metà del 2016: sarà probabilmente positivo. Per il 2017 il report della Bers prevede che il ritmo del Pil greco raggiungerà il 2%. Un segnale incoraggiante di quest’anno è il positivo contributo degli investimenti fissi alla crescita, osserva la Banca, mentre gli altri componenti dei conti nazionali come i consumi privati, quelli pubblici e le esportazioni nette, fanno segnare nuovamente un picco verso il basso.
Twitter: @FDepalo