giovedì 27 novembre 2014

Venezia, se cultura e politica tornano a parlarsi

“E’ necessario – scrive Protagora – che tutti i cittadini compartecipino perché vi possa essere una polis”. E Socrate osserva: “E’ buona prova del fatto che qualcuno possegga la conoscenza di una cosa determinata, la capacità di trasmettere questa conoscenza anche ad un altro”.
Due citazioni utili in tempi di cooptazione di yes-man nella politica e di scarsa attitudine, di giovani e meno giovani, alla conoscenza e alla quotidianità del nostro Paese. E se cultura e politica tornassero a parlarsi?
Vorrebbe dire che nel mezzo del “Medioevo 2.0” in cui ci troviamo, – culturale, valoriale, professionale ed emozionale – c’è chi non ci sta. E punta dritto ad un nuovo “Rinascimento biancorossoeverde” che passi da quella straordinaria aggregazione socio culturale che prende il nome di conoscenza. Direzioni di marcia, analisi approfondite, rivoluzionarie tecnologie applicate alle città, strategie future e un nuovo glossario della politica: è quello di cui necessitiamo. Perché il logos è un seme che va innaffiato quotidianamente. E la speranza non può che essere rappresentata dalla generazione dei 20enni, come quelli – entusiasti e non selezionati come un cast – che sto incontrando in questo fine settimana alla scuola di politica del Centro Studi Europa di Venezia.

Ma, in questo, un ruolo primario appartiene di
 diritto alla cultura, un punto insindacabile. La cultura come pillola di crescita. Cultura fa rima con Italia, un tricolore di competenze, di storia, di patrimonio artistico inestimabile ma che spesso viene relegato a scomoda cornice, o addirittura dileggiato da chi mette al centro dell’agorà numeri e spread, fatturati e percentuali destinate a sgonfiarsi.Nell’Antica Grecia esisteva il culto della paedia. Ovvero quel dialogare socratico come forma di educazione metodologica a valori come la giustizia, la virtù, la pietà religiosa, l’amicizia, il coraggio. Il richiamo a Socrate non è accademia ma vettore per sottolineare come la sua paideia sta proprio nella direzione di marcia in cui cercare la possibile verità. Socrate interroga e si interroga alla ricerca del sapere, perché l’apprendimento è il collante per una cittadinanza che si fa attiva, proprio perché consapevole.
E ancora, cultura è valorizzazione della lingua italiana, meravigliosa creatura (figlia del d’oc e del d’oil), e delle arti da divulgare in quanto tesori senza tempo che l’Italia ha donato al mondo: Dante Alighieri e Leonardo, Raffaello e Pico della Mirandola, Machiavelli e Pinturicchio.
Cultura però non è solo conoscere la data dell’unificazione italiana, o giustamente quella della Carta Costituzionale. Cultura è anche, e soprattutto, capacità di dialogo multilivello, interlocuzione con chi presenta opinioni differenti, predisposizione all’ascolto e all’approfondimento, dedizione senza paraocchi ai fenomeni che caratterizzano le vite di ciascuno di noi, apertura ideale e mentale per offrire soluzioni ai nodi che si presentano.
Cultura sono questi 20enni che, per un week end, rinunciano a locali e corse in autostrada, per parlare di politica. Cultura è il seme che la politica fino ad oggi ha scelto di ignorare. Ma che va di nuovo innaffiato.

lunedì 24 novembre 2014

Tutti i progetti di Al Sisi su Libia, Irak e Israele

Da Formiche.net del 24/11/14
Stabilizzazione della Libia, truppe egiziane per la Palestina, sicurezza di Israele, linea dura verso Morsi e azione comune contro terrorismo. Sono alcuni dei punti del decalogo del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, che da oggi è in Italia per 48 ore di visite istituzionali (incontri con Matteo Renzi, Giorgio Napolitano, Papa Francesco prima di dedicarsi ad un meeting dell‘Italian-Egyptian Business Council, co-guidato da Mauro Moretti, ad di Finmeccanica, e Khaled Abu Bakr) per poi proseguire in suo tour europeo verso Parigi.
Non solo cooperazione italo-egiziana, con la firma di un memorandum di intesa commerciale, ma anche molti dossier di politica estera al centro dell’agenda.
LIBIA
Parola d’ordine è stabilizzazione. Secondo l’ex generale gli scenari di Tripoli e Bengasi, dominati oggi “dal caos” (ha ammesso ieri dalle colonne del Corriere della Sera), sono terreno fertile per la nascita di basi jihadiste di “estrema pericolosità”. Perché, si chiede, dopo la guerra che ha eliminato Gheddafi la Libia è stata abbandonata?

STRATEGIA
Nuovi interventi militari sono da escludere secondo la visione di Al-Sisi (nega che l’Egitto ne abbia condotti) che invece invita la Comunità internazionale a scegliere l’esercito nazionale libico e “nessun altro”. Il riferimento è al sostegno materiale che consiste in “aiuti, equipaggiamenti, addestramento” ad appannaggio esclusivo dell’esercito regolare.

MIGRAZIONI
Ma Libia fa, alle latitudini italiane, sempre più rima con flussi migratori, con la novità della missione Triton dopo Mare Nostrum: un altro elemento complicato del post Gheddafi. Sul punto non solo il presidente porge la solidarietà al nostro Paese (“l’Italia non può affrontare il problema da sola”) ma richiama a una strategia più volte ipotizzata in passato ma che non ha poi trovato concreta attuazione: creare lavoro nei Paesi di origine, perché “i diritti umani si difendono anche così”.

ISRAELE
All’orizzonte potrebbe profilarsi una terza intifada? Al primo punto dell’agenda di Al Sisi c’è la volontà di “stemperare questa crisi, che ha un impatto sull’intera regione”. E propone di dare “speranza ai palestinesi” lavorando per uno Stato che li faccia “vivere in pace a fianco del popolo israeliano”. La tesi dell’ex generale è che “tutti abbiamo bisogno di Stati” ammette a Repubblica, in questa direzione va letta la proposta di garantire “all’emergente Stato palestinese e a Israele che nessuno dei due possa rappresentare un pericolo per l’altro”.

INSTABILITA’
Questa la ricetta egiziana per abbattere il rischio instabilità nell’intera macro regione, ma a patto che alla base dell’intera strategia ci sia il coraggio. Quello stesso che condurrà ad una “situazione nuova nell’intera regione”. L’Egitto si dice pronto a farsi vettore di precise garanzie che la pace “non rappresenterà un rischio né per i palestinesi né per gli israeliani”.

HAMAS
Ma nulla potrà essere pacificamente programmato se non saranno disinnescati i pericoli legati all’estremismo. Al Sisi ritiene che non si può separare “lo Stato Islamico da ciò che sta accadendo in Afghanistan o dal gruppo Ansar Bait al-Maqdis“. E’ la principale ragione per cui questi gruppi non sono e non saranno mai delle “entità separate tra loro”, piuttosto si rende imprescindibile una strategia non solo militare. Il riferimento è a misura “globali”, per evitare lo spauracchio di una guerra di religione. Con una grossa fetta di responsabilità affidata ad un periodo di transizione iniziale che “sarà determinante”. E con l’Egitto prontissimo a sostenere la transizione.

SCENARI
“Il terrorismo è composto da tante facce di una stessa medaglia” è il ragionamento di Al Sisi, ma la risposta degli Stati democratici dovrà gioco forza parlare con un alfabeto diverso, coinvolgendo anche temi delicatissimi e direttamente proporzionali alla rivolta come la lotta alla povertà. E sulle accuse rivoltegli di aver usato la forza per stemperare azioni e strategie dei Fratelli musulmani(chiesta la pena di morte per il suo predecessore regolarmente eletto Mohammed Morsi) Al Sisi mette l’accento sul fatto che nel luglio del 2013, quando Morsi cadde sotto la spinta di milioni di egiziani, “i Fratelli musulmani avrebbero potuto collaborare con le Forze armate, nessuno li perseguitava, si muovevano liberamente. Invece si dettero alla violenza e crearono una occupazione illegale”.

sabato 22 novembre 2014

Così la visita di Al-Sisi a Roma rafforzerà le intese tra Italia ed Egitto

Energia, tecnologie, scambi commerciali e risvolti politici nell’intera area Mediterranea. Sono i punti principali della visita di due giorni in Italia (la prima in un Paese dell’Ue dalla sua elezione) del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, con una delegazione di governo e una nutrita missione di imprenditori. Il 24 novembre sarà atteso da Matteo Renzi, mentre il giorno successivo parteciperà a un panel su imprese e nuovi investimenti curato dall‘Italian-Egyptian Business Council, co-guidato da Mauro Moretti, ceo di Finmeccanica, e Khaled Abu Bakr.
IL MEMORANDUM
In quell’occasione sarà firmato da Mounir Fakhry Abdel Nour, ministro dell’Industria e del Commercio dell’Egitto e Carlo Calenda, vice ministro dello Sviluppo Economico italiano, un memorandum di intesa tra ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane e ECS – Egyptian Commercial Service, per lo sviluppo commerciale e industriale dei due Paesi, focalizzato su investimenti industriali, trasferimento tecnologico, innovazione, sviluppo delle risorse umane e commercio bilaterale (ecco sfide e prospettive tra cooperazione italo-egiziana e ruolo del Cairo nelle delicate questioni mediorientali).
LE PROSPETTIVE
Il governo di al-Sisi è intenzionato a rimuovere gli ostacoli normativi e burocratici che scoraggiano la presenza di investitori stranieri, come le modifiche alla normativa relativa al business e agli incentivi per gli investimenti. La novità principale sta proprio in un nuovo disegno di legge per semplificare il procedimento di queste misure. L’orizzonte è, secondo le stime del governo, di almeno 15 miliardi di dollari di investimenti nei prossimi tre anni. Ciò si tradurrà in nuove opportunità di lavoro anche grazie al ruolo che potrebbe giocare l’Italia. Una boccata di ossigeno dopo gli sviluppi politici successivi al gennaio 2011.
IL BINOMIO
Il rapporto fra Italia ed Egitto oggi si ritrova nella recente licenza acquisita dal gruppo Edison alla ricerca di petrolio e gas in Abo Qir, del valore di 1,4 miliardi di euro. Ad oggi ci sono 789 progetti congiunti con un capitale lordo di circa 1,45 miliardi dollari secondo i dati forniti dall’autorità generale per gli investimenti e zone franche (GAFI). Gli scambi commerciali hanno toccato quota 5,1 miliardi di dollari nel corso del 2011. Tutto questo rende l’Italia uno dei maggiori investitori presenti nell’economia egiziana, in una serie di ambiti come gli idrocraburi, il turismo, le comunicazioni e il settore bancario.
IL KNOW HOW
Un’altra area di cooperazione che sarà al centro dell’incontro è relativa al trasferimento di tecnologia italiana in Egitto, in particolar modo nelle industrie di mobili, cuoio, alimentari eprodotti chimici. Il sostegno italiano sarà esteso anche ai programmi di formazione tecnica e industriale. Il più importante esempio è rappresentato dal settore tessile, in cui sono state creato fabbriche di cotone che operano sotto il controllo italiano. Inoltre una porzione di investimenti è stata utilizzata per fondare scuole tecniche e migliorare le competenze dei giovani egiziani. Una mossa nella direzione dell’esportazione di know how del made in Italy, per consentire loro di entrare nel mercato del lavoro.
I NUMERI
Il rapporto esistente fra Egitto e Italia si basa su numeri significativi. Durante la prima metà del 2014 si registra un +6,5% negli scambi commerciali (due miliardi e sei circa). I progetti da parte italiana ammontano a circa 1465,39 milioni dollari. La società Italgen, entro il prossimo dicembre, avvierà un progetto per generare energia elettrica dal vento all’interno della baia nelMar Rosso. Inoltre, al fine di sviluppare le sue industrie e aumentare la sua competitività l’Egitto ha istituito 14 centri di tecnologia e innovazione, 7 dei quali in partnership con Roma. Lo scopo principale di questi centri è di migliorare la qualità della produzione e del lavoro. Al momento, sono riusciti a fornire supporto a 5mila imprese che si occupano della lavorazione di pelli,marmo, mobili, moda, design e gioielli.
IL QUADRO GEOPOLITICO
Rilevante è stato in questo semestre il ruolo dell’Egitto all’interno della tregua fra Hamas e Israele. Tre mesi fa al Cairo è andato in scena un accordo importante nell’ampio raggio diplomatico che l’Egitto intende promuovere nella macro area. Un primo punto a favore dell’Egitto è stato senz’altro, per molti osservatori, l’aver disinnescato la “mina” della Fratellanza Musulmana. Prossimo step le elezioni parlamentari che, per molti analisti, potrebbero rappresentare il vero banco di prova per una stabilità utile, tra le altre cose, anche per l’attrazione di nuovi investimenti.
CASO LIBIA
Altro fronte caldo in cui l’Egitto sta recitando un ruolo è la Libia. Al-Sisi ha esortato gli Stati Uniti e l’Ue a sostenere l’esercito libico nella sua lotta contro i militanti islamiciIn occasione di un’intervista con France 24 ha osservato che “la comunità internazionale, l’Ue e gli Usa, devono aiutare l’esercito nazionale libico a riconquistare la sua posizione e combattere il terrorismo in Libia per ripristinare la sicurezza e la stabilità”

giovedì 20 novembre 2014

Ecco come si rafforzano le sintonie militari fra Russia e Cina

Dopo il gas e gli alimenti, ecco la cooperazione militare bilaterale. Mosca e Pechino proseguono nell’interlocuzione a trecentosessanta gradi e annunciano, dopo settimane di sussurri, una serie di esercitazioni navali congiunte. Ecco come si rafforzano le nozze (anche militari) fra i due Paesi, con l’obiettivo di controbilanciare l’ombra degli Usa nella macro regione Asia-Pacifico.
ESERCITAZIONI
L’occasione è la strategia a medio e lungo termine per affrontare le “situazioni difficili” che permangono in aree sensibili come il Pacifico, le coste nordafricane, il Medio Oriente. Così spiega il ministro della difesa russo, Sergei Shoigu, la volontà di Cina e Russia di marciare unite anche sotto le armi. L’incontro di ieri tra i maggiori funzionari militari del due Paesi non ha avuto solo l’obiettivo di annunciare una partnership che nei fatti non è più occasionale, ma anche di dettare una linea che caratterizzerà il solido rapporto tra i due colossi.

SHOIGU
Il ministro della difesa russo Sergei Shoigu, in visita a Pechino, ha detto che le due parti “hanno espresso preoccupazione per i tentativi degli Stati Uniti di rafforzare la propria influenza politica e militare nella zona”. E’ la ragione di fondo per cui l’attenzione commerciale dei due Paesi si è progressivamente spostata dal gas e dalle partnership aziendali, alla cooperazione militare comprendendo anche il tentativo di sanare il gap strutturale che la Cina presenta, ad esempio, alla voce propulsori. Esempio eclatante il nuovo caccia stealth di Pechino concorrente dell’F-35,il J-31, appena presentato in occasione dell’Airshow cinese di Zhuhai.

TREND
La cooperazione militare e militare-industriale russocinese, quindi, da oggi in poi acquisisce un “significato particolare”, dove quelle parole del ministro russo indicano una strada che già da tempo è stata battuta con accordi su tecnologia e know how oltre che sul gas ma che, complici le sanzioni occidentali a Mosca, si è rafforzata con interessi in materia alimentare, per via della reazione di Putin che ha chiuso le frontiere “del cibo” con l’Italia. Le future esercitazioni navali congiunte apriranno di fatto un 2015 carico di aspettative ma anche di nuove sfide, così come lascia intendere il Generale Xu Qiliang, vice presidente della Commissione militare centrale cinese.

FRONTE ASIATICO
Una cooperazione che i due Paesi hanno scelto di costruire deliberatamente ma che è stata accelerata dal congelamento dei rapporti russi con Washington e Berlino post crisi in Ucraina. La contingenza di Kiev, dunque, come spartiacque per nuove frontiere non solo politiche ma soprattutto commerciali. La Cina infatti rappresenta uno dei maggiori mercati di esportazione di armi russe, ragion per cui a breve partiranno una serie di joint ventures tra le imprese della difesa russa e cinese. Saranno costruiti nuovi aerei, elicotteri e altri armamenti.

COME
La mossa della Difesa segue i 38 contratti firmati a Mosca dal premier Li Keqiang due mesi fa che hanno permesso di approfondire la cooperazione in materia di energia per un valore complessivo di 150 miliardi di yuan (25 miliardi dollari). Un passaggio figlio del mega accordo del maggio scorso per la fornitura trentennale di gas a Pechino, del valore di 400 miliardi dollari.

SCENARI
Non va dimenticato che il settore dell’aerospazio è un altro elemento comune tra Pechino e Mosca, con i numeri cinesi a fare da sfondo. Il riferimento è anche al ruolo della Cina nel trasporto aereo mondiale con le aspettative di crescita previste entro i prossimi due decenni, che hanno portato il colosso cinese Boc ad un ordine straordinario di nuovi velivoli.

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martedì 18 novembre 2014

Ecco gli ardimentosi progetti spaziali di Putin

La Russia nel 2017 inizierà ad implementare una propria stazione spaziale. Il progetto sarà sviluppato dall’Agenzia Spaziale Federale Roscosmos, guidata dal generale Oleg Ostapenko. Il segmento russo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) dovrà comunque soddisfare gli obblighi verso gli altri partecipanti al programma fino al 2020, ma senza la proroga richiesta dagli Usa al 2024. Ecco che per il decennio successivo potranno essere indipendenti, se i lavori procederanno secondo il programma che prevede un proprio equipaggio e una collaborazione con Pechino.
QUI MOSCA
Secondo fonti del Central Research Institute of Machine Building, mettere in orbita una stazione spaziale russa è una delle proposte chiave presenti nell’agenda governativa, con l’orizzonte del 2050. Al lavoro ci sarà un gruppo di scienziati aderenti alla Roscosmos e ad altre organizzazioni di ricerca anche di altri Paesi (in pole position la Cina). La configurazione iniziale sarà formata sulla base di un laboratorio polivalente e su moduli spaziali ad hoc. Primo step il periodo 2020-2024 in cui dovranno essere effettuati i fondamentali test di potenza.

ROSCOSMOS
Strategia di Roscomos è quella di creare sinergie con il partner di Mosca al momento già rodato:la Cina. Si registra un intenso movimentismo sul fronte spaziale russo-cinese. La China National Space Administration ha in programma una stretta collaborazione con la Roscomos di Oleg Ostapenko, principale relatore al seminario, con l’obiettivo a medio e lungo termine di un’esplorazione dello spazio. In questo modo, è la tesi caldeggiata da Roscomos, è possibile soddisfare gli obiettivi strategici dei singoli attori e quelli relativi allo sviluppo delle relazioni bilaterali. Uno dei progressi compiuti grazie alla cooperazione fra gli esperti delle due agenzie riguarda i motori a razzo, tallone d’Achille tanto russo quando cinese.

ISS
Parallelamente alle mire russe si apre una questione relativa alla stazione spaziale internazionale per un possibile disimpegno di Mosca, che quest’ultima però pare escludere. Mosca intende rispettare con fermezza i suoi obblighi internazionali fino al 2020, ma senza dare seguito alla proposta statunitense che avrebbe voluto una proroga di quattro anni, ovvero sino al 2024. Lo scorso mese di maggio, all’interno del complessivo raffreddamento delle relazioni traMosca e Washington a seguito della crisi ucraina e delle sanzioni a carico dell’industria moscovita, il vice primo ministro Dmitry Rogozin aveva già annunciato l’intenzione russa di non prorogare l’attività della ISS fino al 2024, come proposto dagli Stati Uniti. E di reindirizzare i fondi inizialmente previsti verso altri progetti spaziali.

AGENDA
Un primo step del progetto potrebbe trovare risposte più certe il prossimo 24 novembre quando si terrà a Astana un focus programmato della commissione intergovernativa russo-kazako, a cui prenderà parte non solo il primo presidente della commissione, il vice primo ministro Igor Shuvalov, ma anche altri funzionari direttamente coinvolti. Assieme al generale Oleg Ostapenko (numero uno dell’agenzia Roscosmos) e al suo primo vice, Alexander Ivanov, dovrebbero approfondire i dettagli tecnici sul volo spaziale con il relativo equipaggio, tra cui la seconda fase di costruzione del cosmodromo Oriente.

SCENARI
Cosa cambierà quando il progetto russo vedrà la luce? In primis la Russia avrà accesso allo spazio civile da due siti dal momento che la nuova stazione sarà situata in una posizione geometricamente favorevole, con la possibilità di una visuale della Terra piuttosto estesa. Dalla stazione sarà visibile il 90% del territorio russo e anche la piattaforma artica, mentre ad oggi nella Iss quel campo di osservazione non supera il 5%. Nulla si sa ancora dei costi del progetto. Prima di aderire all’Iss la Russia poteva contare sul complesso orbitale “Mir” che nel 2001 è stato ritirato (affondato nell’Oceano Pacifico) per via dei costi elevatissimi, circa 200 milioni di dollari all’anno. Nel 2011, l’allora vertice della Aerospace russa Yuri Koptev disse che non esisteva alcun motivo per continuare ad utilizzarlo, anche per via di momenti critici come le frequenti perdite di controllo della stazione durante il volo.

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lunedì 17 novembre 2014

Come cambia lo shopping militare dell’India

L’India è il più grande acquirente al mondo di armi, con il 14%, quasi tre volte di più della Cina. Ma mentre sino al 2013 gli Stati Uniti avevano superato Mosca come il più grande fornitore di armi dell’India, ora New Delhi rinuncia all’acquisto del complesso missilistico anticarro portatileJavelin dagli americani e strizza l’occhio ai francesi di AirbusCome cambia la partita geopolitica nella macroregione asiatica?
NUMERI
Negli ultimi due lustri l’India ha incentrato le proprie politiche militari sul rinnovamento pressocché totale di una flotta ormai obsoleta, figlia dell’ex Unione Sovietica. Non solo mezzi e strumenti in tutti i settori, ma nuovi elicotteri hanno sostituito almeno duecento velivoli. L’India è attualmente il primo importatore di armi del pianeta, seguito da Cina e Pakistan. Ai primi tre posti fra gli esportatori, invece, ci sono Usa, Russia e Germania.

PROGETTI
Da qui al 2020 il Paese ha in programma di spendere circa 130 miliardi di dollari per nuovi ordini, tra sistemi di arma, mezzi e tecnologie. Ma il dato relativo al trend in entrata si somma a quello riferito al ruolo geopolitico che potrebbe giocare all’interno della macro area asiatica. Non solo facendo un assist alle aziende statunitensi e russe relativamente ai contratti, ma con uno sguardo rivolto alle continue e sempre più frequenti esercitazioni congiunte proprio tra India e Usa, che fanno da sfondo alle tensioni mai sopite con Cina e Pakistan.

MAKE IN INDIA
Da quest’anno il trend potrebbe subire una mutazione di orizzonti e direttrici di marcia. L’India ha annullato due ordini per l’acquisto di aerei e sommergibili e ha deciso di fabbricarli in casa. La mossa rientra all’interno di un nuovo e ambizioso progetto del governo guidato dal primo ministroNarendra Modi, per promuovere un’industria nazionale legata alle armi. L’obiettivo è dare lustro ad una grande iniziativa interna che lo stesso Modi ha definito “Make in India.”

QUI TEL AVIV
Il progetto “Make in India” non viaggia però su un binario singolo, bensì si lega ad una serie di mosse. Il ruolo di Israele all’interno delle dinamiche militari indiane ha registrato un intenso movimentismo che ne ha cambiato orizzonti e potenzialità. L’India ha recentemente rinunciato all’acquisto dagli Usa del complesso missilistico anticarro mobile Javelin, a vantaggio della società israeliana Rafael Advanced Defence Systems. Il nulla osta all’operazione si è avuto a fine ottobre quando, in occasione del Defence Acquisition Council, il ministro della difesa ArunJaitley ha appaltato ad Israele – non senza polemiche – quasi novemila missili anticarro Spike e più di trecento rampe di lancio per una spesa complessiva di 525 milioni di dollari.

ASSE CON AIRBUS
Un altro elemento di analisi è dato dalla volontà di Тata di fabbricare un aereo militare da trasporto assieme ai francesi di Airbus. Secondo il quotidiano Times of India quello con Airbus è il primo passo con una realtà straniera compiuto all’indomani dell’aumento deciso del governo degli investimenti stranieri nella difesa (saliti dal 26 al 49%). Al momento l’aviazione indiana conta sui mezzi russi An-32 e Il-76, sui britannici Avro, sugli americani Lockheed C-130Hercules e Boeing C-17 Globemaster III. Senza dimenticare l’ordine da Mosca del Multirole Transport Aircraft (Mta).

SCENARI
Si tratta di un passaggio significativo all’interno delle dinamiche politiche commerciali tra i due bacini, che hanno visto coinvolti, a più riprese e in diverse vesti, praticamente tutti maggiori Paesi dello scacchiere mondiale. Come il caso della portaerei “Vikramaditya” (ex “Ammiraglio Gorshkov”) relativo lo scorso anno, quando il mezzo, sviluppato dai russi di Sevmash, fu consegnato all’India senza i principali sistemi di difesa aerea. Un fatto che i giornali locali imputarono agli sviluppatori israeliani. Ecco, quindi, che il cambio di strategia di New Dehli si presta ad una serie di valutazioni e letture che non possono, per forza di cose, essere slegate daeventi paralleli, come adempio la volontà di produrre con la Russia il velivolo regionale Sukhoi Superjet 100, alla commercializzazione del quale partecipa anche Finmeccanica-Alenia.

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Klaus Iohannis, chi è il vincitore dei ballottaggi in Romania

Chi è e cosa pensa il nuovo presidente della Romania, il francofono Klaus Iohannis, 55enne fresco vincitore (a sorpresa) dei ballottaggi contro il premier uscente socialdemocratico VictorPonta. Un liberale, di etnia tedesca e protestante, in un Paese a forte trazione ortodossa. Ecco sfide e programmi.
CHI E’
Di centrodestra, di etnia tedesca e di religione protestante (membro del consiglio della chiesa luterana fino al 2011): ce n’è abbastanza per parlare di rivoluzione nel Paese che fu diCeaucescu, e che oggi, all’indomani di un ballottaggio a cui ha votato il 63% degli aventi diritto, vede profilarsi un orizzonte di chiara matrice liberale. Conservatore e filorigorista, Iohannis fa parte della minoranza tedesca del Paese presente in loco sin dal Medioevo. Laureato in fisica, è stato per due volte primo cittadino della cittadina di Sibiu, nel 2007 capitale europea della cultura.
COSA PENSA
Liberista, sostenitore della certezza del diritto, dell’indipendenza della magistratura e della libera impresa: ecco i suoi capisaldi programmatici che lega al rigore nei conti ed alla lotta ad una corruzione che è fra le più alte d’Europa. In Romania l’instabilità è direttamente proporzionale ai numerosi scandali legati alla gestione del potere e alla criminalità organizzata. La grande stampa, secondo alcuni analisti eterodiretta dal suo diretto avversario politico, lo ha accusato di essere un cavallo di troia della cancelliera tedesca Angela Merkel in quanto fautore di un fermo rigorismo nei conti e perché poco propenso a intrecciare rapporti con l’Ungheria di Viktor Orbane con la Russia di Vladimir Putin, a cui invece Victor Ponta guardava.
DICONO DI LUI
Particolarmente ricco nonostante alla voce professione si legga “insegnante”, è stato coinvolto in passato in accuse di adozioni illegali di bambini rumeni da parte di stranieri che però non sono sfociate in procedimenti. I suoi sostenitori riferiscono che ciò sia il frutto della guerra mediatica scatenatagli contro dai socialisti, anche se cinque anni fa è stato indagato per aver ricoperto più ruoli: sindaco, Ceo della Sibiu Parchi Industriali-Sura Mica, oltre che rappresentante della assemblea degli azionisti della Apa Canal Sibiu e Mercati Sc. Da queste accuse è stato assolto in primo grado, ed ora in attesa del secondo.
IOHANNIS DIXIT
“Sarò il presidente di tutti, un presidente libero” sono state le sue prime parole a scrutinio terminato, segno dell’intenzione di voler già veicolare un messaggio “altro” rispetto al suo predecessore. “Grazie agli oltre 6,2 milioni di romeni che hanno scelto il presidente della Romania. Grazie a tutti quelli che hanno votato, oltre il 64%, un’affluenza enorme, la sorpresa più bella di queste elezioni”. E su Facebook aggiunge: “Vi ringrazio, sta iniziando un altro tipo di Romania”.
SCENARI
Ecco, il punto è proprio questo. Un esperimento di natura liberale in un Paese appartenente all’ex blocco sovietico, oggi dotato di un cordone ombelicale diretto con il rigorismo merkelianoe con l’allergia ai compromessi di certi governi socialdemocratici. Gli ingredienti per osservare da vicino quale sarà l’evoluzione della Romania ci sono tutti, anche alla luce dei risultati di Iohannis da sindaco di Sibiu. E’ stato numero uno del Forum democratico dei tedeschi di Romania (Forumul German), anche sfruttando il trampolino di lancio datogli dai riverberi dell’immagine europea di Sibiu, capitale Ue della cultura. In quell’occasione riuscì a far convogliare sulla cittadina una notevole quantità di denaro da Bruxelles, per eventi di vario genere, dalla cultura alle imprese, passando per la cooperazione e l’internazionalizzazione.
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sabato 15 novembre 2014

Tedeschi a processo per gli appalti furbetti

Rigidi in casa (anche nostra) e furbetti altrove. Tedeschi ancora nell'occhio del ciclone in Grecia con le accuse di corruzione, riciclaggio e abuso di ufficio. I vertici di alcune aziende produttrici di armamenti sono finiti in un'indagine della magistratura greca. Circa 38 i milioni versati complessivamente a politici greci e all'ex direttore generale della Difesa, Antonis Kantà, che lo ha ammesso direttamente alcuni mesi fa davanti ai pm, scoperchiando un vero e proprio vaso di Pandora per le forniture di carri armati, cingolati e proiettili. Oggi i pm ellenici chiamano a testimoniare tredici dirigenti di vario livello delle società tedesche Atlas e Rheinmetall AG, coinvolti nei programmi di armamento di sommergibili e sistema anti-aerei Asrad venduti alla Grecia a prezzi esorbitanti. 
Il governo greco ha già presentato una causa civile per ottenere il risarcimento di 13 milioni. Una goccia nel mare di denaro che dal 2000 al 2010 è transitato sull'asse Berlino-Atene, con la tedesca Siemens che tra le altre cose si aggiudicò gli appalti per i lavori multimilionari delle Olimpiadi greche del 2004 costate tre volte quelle di Londra: metropolitana di Atene, aeroporto internazionale «Elefteros Venizelos», ponte di Rio-Antirrio, e con il conseguente terremoto ai piani alti della multinazionale. Davanti ai magistrati Kantas ha confessato di aver intascato personalmente almeno 19 milioni di dollari di mazzette, per forniture di 170 carri armati Leopard, proiettili e sistemi di difesa di vario genere nonostante le casse del Paese fossero già in profondo rosso. 
Una primizia nel sistema tangentizio greco che ebbe il suo fulcro nell'ex ministro Akis Tzogatzopulos, per vent'anni braccio destro di Andreas Papandreou, padre padrone socialista della Grecia, da trenta mesi agli arresti accusato di tangenti sempre con la Germania implicata.
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mercoledì 12 novembre 2014

J-31, ecco come la Cina vuole fare concorrenza agli F-35

Per la prima volta la Cina mostra pubblicamente a un Paese straniero il jet Stealth che fino ad oggi era stato tenuto segreto. Il J-31 ha potenziali acquirenti militari di tutto il mondo, in concorrenza all’F35. L’aereo è in fase di sviluppo da parte delle imprese di proprietà statale appartenenti alla Aviation Industry Corp of China. La soddisfazione di Pechino sta tutta nelle parole del vicepresidente dell’Avic, Li Yuhai, al Financial Times: “Ora possiamo finalmente giocare”.
IN CONCOMITANZA CON APEC
L’occasione è il vertice 2014 a Pechino dell’Asia Pacific Economic Cooperation (APEC), in contemporanea con la decima Biennale China International Aviation and Aerospace Exhibition, per appaltatori della difesa cinese, programmata proprio in concomitanza con le riunioni APEC. L’obiettivo è mostrare al mondo il nuovo caccia stealth cinese, che di fatto nelle intenzioni dovrebbe entrare in competizione con i software, made in Usa, nei singoli mercati di esportazione.
LA STRATEGIA
Il jet da combattimento bimotore, di cui non sono stati confermati gli ordini, secondo il Quotidiano del Popolo (organo del Partito comunista cinese) sarebbe particolarmente interessante per quei paesi che sono al momento tagliati fuori dalle esportazioni di armi Usa, come il Pakistan e l’Iran. Il J-31 ha circa le medesime dimensioni dell’F-35. Gli aerei stealthrappresentano quindi la chiave della Cina Air Force per implementare il proprio sviluppo tecnologico futuro, legato alla capacità di svolgere entrambe le operazioni, offensive e difensive, così come certificato già agli inizi di quest’anno da alcuni report del Pentagono.
LE MIRE CINESI
Non è completamente chiaro se l’introduzione del J-31 rafforzerà in maniera significativa l’influenza della Cina nel commercio mondiale di armi. Né è ancora certo che il velivolo sviluppato dalla statale Shenyang Aircraft Corporation sia destinato effettivamente all’esportazione. A differenza dell’F-35, il J-31 ha due motori, forse perché non essendo la Cina tradizionalmente nota per motori potenti, gli ingegneri hanno voluto prevedere inconvenienti legati alla propulsione.
QUESTIONE MOTORI
Robert M. Farley, professore presso l’Università di Patterson nella Scuola di diplomazia del Kentucky, ha detto al New York Times che i progetti iniziali del motore avevano ostacolato le ambizioni aerospaziali cinesi. Infatti il Xian Aircraft Industry Y-20, un altro nuovo mezzo ma costruito per il trasporto militare di produzione nazionale, è stato sviluppato con i motori realizzati dalla società russa Aviadvigatel, che sono notoriamente molto meno efficienti e affidabili rispetto agli occidentali Pratt & Whitney e Rolls-Royce. “Richiedono tolleranze marginali nella costruzione e anche piccoli errori possono portare il motore a bruciare”, ha osservato.
IL MERCATO
Secondo le prime valutazioni il J-31 potrà fare realmente concorrenza all’F-35 inizialmente se avrà un prezzo di acquisto più basso, per cui non più della forbice di prezzo prevista tra i 150 e i 300 milioni a modello (a seconda delle varianti). Al momento i costi per lo sviluppo del J-31 sono inaccessibili, ma la rivista Science ha ricostruito che circa il 45% della spesa governativa cinese per ricerca e sviluppo è destinata al settore della difesa.
I NUMERI
La Cina al momento è il quarto esportatore mondiale di armi, dietro la Germania e prima della Francia. E nell’ultimo lustro la percentuale del commercio mondiale di armi provenienti dalla Cina è salita dal 2 al 6% per effetto di mercati particolarmente sensibili come Pakistan, Bangladesh e Myanmar. Per avere un’idea più precisa, si pensi che nel 1997 il bilancio della difesa cinese era di circa 7 miliardi di dollari, mentre quest’anno è stato ufficialmente 150 miliardi.