lunedì 30 settembre 2013

Blitz anti-nazi in Grecia: presi i capi di Alba Dorata

Torna l'instabilità in Grecia: in manette capi di Alba Dorata, con lo spettro delle elezioni anticipate. Preparavano un colpo di Stato con l'aiuto di complici nelle forze dell'ordine e nei servizi segreti: trentotto i mandati di cattura spiccati dal procuratore generale di Atene con l'accusa di eversione e banda armata criminale, una ventina gli arresti già eseguiti. Decapitato il partito neonazista greco di Alba Dorata: arrestati il fondatore e leader Nikolaos Michaloliakos, il portavoce Ilias Kasidiaris (prossimo candidato alle amministrative di Atene) e altri tre deputati: sono già stati tradotti in tribunale ammanettati e rischiano 20 anni di carcere. I provvedimenti giungono dopo le indagini avviate all'indomani dell'assassinio del 34enne rapper Pavlos Fyssas, ucciso da un militante del partito neonazista, ma le accuse riguardano altri venti episodi di violenza perpetrati dal 1987 ad oggi, oltre che di riciclaggio di denaro sporco.
Nella Grecia che non ha raggiunto gli obiettivi preposti dalla troika (ha lasciato ieri Atene dove vi farà ritorno il 15 ottobre senza aver chiuso il pacchetto relativo al bilancio 2013), con il programma di privatizzazioni in alto mare e un rischio di nuovi tagli a stipendi e pensioni entro la fine dell'anno, ecco scoppiare una vera e propria bomba sociale con riverberi pesantissimi: è la prima volta in Grecia, dal 1974, che alcuni deputati vengono arrestati senza che decada l'immunità parlamentare. Per cui secondo la Costituzione si dovrebbe andare al più presto ad elezioni anticipate, come chiede anche la federazione delle sinistre del Syriza. Il premier conservatore Antonis Samaras invece, poco prima di partire alla volta degli Usa dove sarà ricevuto da Barack Obama, allontana questo spettro predicando stabilità e niente urne.

L'arresto del leader di Alba Dorata è l'atto conclusivo di una settimana complicatissima nel Paese, con un report dei servizi segreti ellenici e israeliani che indicava il partito pronto ad un colpo di stato supportato da alti dirigenti delle forze di polizia e militari. Tre giorni fa infatti erano stati sostituiti nella notte i due vice capi generali della Polizia, mentre ieri era saltato il più alto dirigente del controspionaggio: avrebbero offerto copertura e sostegno al partito neonazista che si è distinto in questo primo anno in Parlamento per le mense organizzate solo per poveri greci, per le ronde anti immigrati e per la battaglia condotta contro gli evasori appartenenti alla lista Lagarde. Intanto alla Camera la sede del gruppo parlamentare di Alba Dorata è stata interdetta ad addetti ai lavori e al pubblico, mentre proseguono le ricerche a tappeto in tutte le regioni greche in cerca dei latitanti. Lo scorso venerdì i deputati avevano minacciato di dimettersi, spalancando le porte a nuove elezioni: sarebbero le terze in un anno e mezzo. Circostanza che ha fatto irrigidire sia la cancelliera Angela Merkel sia il numero uno del Fmi, Christine Lagarde, preoccupate che i tre memorandum lacrime e sangue imposti al paese possano subire un freno. 

Per il premier Samaras inizia oggi un delicatissimo viaggio negli Usa, non solo sarà ricevuto alla Casa Bianca dal presidente Obama ma è atteso da incontri con i vertici del Fmi. Al suo fianco ancora una volta il consigliere economico Stavros Papastavrou, nonostante il suo coinvolgimento nella lista Lagarde degli illustri evasori ellenici su cui indaga ancora l'apposita commissione parlamentare d'inchiesta. 

Fonte: Il Giornale del 29/9/13
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sabato 28 settembre 2013

Caso Alba dorata, cacciato alto dirigente del controspionaggio greco

E’ caos in Grecia sul presunto coinvolgimento del partito neonazista di Alba dorata in un colpo di Stato, che sarebbe stato orchestrato grazie all’infiltrazione di alcuni simpatizzanti fra alti dirigenti dei servizi e personale militare di primissimo piano. Ieri è stato “dimissionato” un dirigente del controspionaggio greco. E’ il terzo indizio che potrebbe formare una prova: ovvero che le indiscrezioni su un presunto colpo di Stato organizzato in maniera sotterranea sarebbe più di un semplice timore, anche se continuano ad esserci molti lati oscuri.

Dopo la decapitazione dei vertici della polizia (sostituiti i due numeri due) a seguito del vertice notturno tra il ministro della difesa Avramopulos e quello dell’interno Dendias, è la volta di Dimos Kouzilos, capo della Terza divisione Peg del controspionaggio ellenico. Si tratta della sezione dedita al controllo nazionale delle intercettazioni telefoniche che gestisce la famosa “valigia” con il “bug”, ovvero il sistema centralizzato del Big Brother ellenico. Il dirigente secondo alcuni quotidiani sarebbe parente di un deputato di Alba dorata, Nikos Kouzilos, eletto al Pireo: circostanza che la sua sezione pare ignorasse.

Le ragioni ufficiali della sostituzione non sono state rese note, ma risalta subito come la decisione della politica si inserisca nel momento di caos generalizzato seguito all’accusa condotta verso Alba dorata. Il dirigente in questione aveva la responsabilità globale per le indagini sul partito guidato da Nikolaos Mikalioliakos ed era stato promosso da Ioannis Dikopoulos, uno dei due capi sostituiti tre giorni fa. I suoi comportamenti sarebbero stati portati all’attenzione del Sostituto Procuratore della Suprema Corte, Charalambos Vourlioti. La sezione Peg è quella più delicata della sicurezza nazionale greca, in quanto gestisce tutti i dossier più sensibili come la criminalità organizzata e il terrorismo.

Secondo una fonte governativa non confermata, l’informativa dei servizi greci e israeliani faceva riferimento al 28 settembre come la data prevista per il colpo di stato che sarebbe stato ideato da Alba dorata sostenuta da un team paramilitare guidato dal comandante in pensione Sotiris Tziakos. Ragion per cui ieri c’è stata una brusca accelerazione con la sostituzione dell’alto dirigente dei servizi. Tziakos, laureato presso l’Accademia nel 1979, gestisce una pagina facebook ad hoc mentre afferma che “non è adiacente ad alcun partito politico” anche se continua a postare foto di tipo militarista. E’anche membro e di due strani “gruppi” di Facebook, il gruppo “un milione di armi greche”, il cui amministratore è un discendente della nota famiglia pro-giunta dei colonnelli, ma anche di “Costituzione Gruppo Tempo Zero”, che accoglie politici estremisti.

Il vice responsabile di questa organizzazione militarista è il colonnello Michalis Ioannides. Con una rapida ricerca sulla sua pagina su facebook, si scopre che ha molto in comune con il signor Tziakos: si dice “indignato” e vuole citare in giudizio i politici per “alto tradimento alla patria”. In serata arriva una nota ufficiale del ministro della Difesa Dimitris Avramopoulos: “Non c’è stato alcun coinvolgimento o partecipazione nella gestione attiva delle forze speciali delle forze armate da parte di membri di Alba dorata”. A questo punto delle due l’una: o il governo nasconde qualcosa a cittadini e media o l’intera vicenda del colpo di Stato è stata sin dall’inizio una montatura. In entrambi i casi sarebbe auspicabile un chiarimento definitivo.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 27/9/13
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martedì 24 settembre 2013

Frau Merkel sovrana ma non assoluta: tratta già coi socialisti

Il giorno dopo la storica vittoria di Angela Merkel nelle elezioni più scontate che la storia ricordi, Berlino incarna già l'operosità teutonica: dichiarazioni con poco brio, bollicine archiviate e tanta voglia di ragionare su come procedere. Perché il partito della Cancelliera uscente, quella Cdu capace di imporsi sulla scena politica mondiale come nessun altro, freme per tessere la tela delle alleanze e andare al più presto al governo. Indiziato numero uno per un bis delle larghe intese in stile 2005 è la Spd del socialdemocratico Peer Stenbrueck, con il punto interrogativo rappresentato dalle scelte economiche sull'Europa.

Lo sfidante di frau Angela, incapace durante il confronto televisivo di rivolgere una critica una alla donna più influente del globo, nonostante da sempre si sia professato favorevole al mantenimento delle misure di risanamento di bilancio in Grecia, è un convinto sostenitore di un nuovo «Piano Marshall» di aiuti allo sviluppo. Come dire che la patata bollente rappresentata da un Paese già fallito da tempo ma che in primis la Cancelliera ha inteso salvare, potrebbe essere un ostacolo alla nuova ma vecchia coalizione tra conservatori e socialisti. La Grecia, titolano molti quotidiani tedeschi, sarà il fulcro delle trattative per formare una coalizione di governo a Berlino, passaggio che lo stesso Steinbrueck ha fatto suo con insistenza, come per tracciare una linea Maginot per future alleanze. Merkel si è affrettata a chiarire che continuerà a spingere la Grecia sul terreno delle riforme, ma l'impressione è che difficilmente la Spd potrà avere la forza di impuntarsi.

«Noi come conservatori - ha precisato la donna capace di fare meglio di Adenaue e Kohl - abbiamo un chiaro mandato per formare un governo e la Germania ne ha bisogno». Un primo contatto tra Cdu e Spd c'è già stato ieri con una telefonata della Merkel al presidente del partito Zigkmar Gabriel partita di buon mattino, un altro (più significativo) è in programma per il prossimo venerdì. La vulgata nel quartier generale di frau Angela è che le elezioni siano state un forte messaggio di unità per l'Unione europea, «che deve persistere nel processo di riforme per rafforzare la propria competitività». Il punto di vista dei socialdemocratici si ritrova nelle parole del presidente Gabriel che frena gli entusiasmi: «Non vi è alcun meccanismo automatico per una grande coalizione e nulla è stato deciso. Ci sarà un dibattito aperto». Sulla stessa linea Steinbrueck secondo cui «non entreremo nell'imbuto dall'altra estremità». Aria di redde rationem tra i Verdi, i cui vertici al completo si sono dimessi: pagano lo scotto dell'8,4% contro il 10,7% di quattro anni fa. Identico stato d'animo tra i liberali, fuori dal Bundestag nonostante siano reduci da quattro anni al governo, mentre la delusione per gli anti euro di Alternativa per la Germania, per un soffio incapaci di guadagnare la soglia minima, è già voglia di rimboccarsi le maniche per le europee del prossimo anno.

Pollice alzato dall'Italia, con il Presidente Giorgio Napolitano che considera il risultato del voto tedesco un elemento che «rafforza decisamente la causa dell'Europa e della sua unità». «Tifoso» della Grosse Koalition è il premier Enrico Letta che evidenzia il significato del voto da cui emerge «un modello di cooperazione simile al nostro, forse in Italia si capirà che quando i nostri elettori ci obbligano ad una grande coalizione bisogna farsene una ragione».

Fonte: Il Giornale del 24/9/13
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La crisi siriana nel triangolo “maledetto” Mosca-Pechino-Tel Aviv

François Hollande ne ha copiato il motto: “Il conflitto in Siria? Avrebbe conseguenze catastrofiche su scala mondiale”. Ma la prima voce a mettere in guardia dai rischi di un ennesimo giro di Risiko sullo scacchiere medio orientale era stata quella di Vladimir Putin che, assieme a Pechino e Tel Aviv, condivide in modo differente e con diverse sfumature legate alla geopolitica, i timori sui riverberi planetari del caso siriano. Si prenda la Russia che, come lo stesso presidente siriano Bashar Assad intervistato dal quotidiano di Mosca Izvestia ha ammesso, "difende i propri interessi nella regione, ed è suo diritto". E quali sono questi interessi? Non solo limitati al porto di Tartus, per esempio, ma ben più profondi e radicati alla voce import-export. Per questo Assad ci ha tenuto a sottolineare in quella conversazione con Alexander Potapov e Yuri Matsarsky incontrati a Damasco che "gli attacchi terroristici contro la Siria minacciano la stabilità di tutto il Medio Oriente. La destabilizzazione qui si rifletterà sulla Russia". Come dire che la nuova grande guerra fredda che Obama e Putin stanno già da tempo combattendo non verrà archiviata con una gita sul Mar Nero nella dacia dello zar Vlad, né con una passeggiata nel giardino delle Rose. Su twitter poi sono detonate, come due missili Tomahawk, le parole del vicepremier russo Dmitri Rogozin: “L’Occidente sta giocando con il mondo islamico come una scimmia con una granata”. 

A ciò si aggiunga un'altra preoccupazione che al Cremlino sta pesando non poco in queste valutazioni. Stando ai dati sciorinati recentemente dalla Cnn, Mosca starebbe ancora scontando le perdite provocate dalle sanzioni internazionali in Iran, ben 13mila milioni di dollari. Senza dimenticare la cancellazione di contratti in Libia per 4mila e 500 milioni di dollari. Ragion per cui Mosca non può, per nulla al mondo, permettersi di subìre perdite in Siria, anche perché quella regione consente alla Russia di poter mantenere una base navale strategica sulle sue coste, mentre Damasco “in cambio” non cessa di acquistare armi sovietiche. In ultimo, ma non per peso specifico dell'analisi, la Russia teme un effetto Libia: ovvero che si possa replicare lo scenario andato in onda sugli schermi di Tripoli, dove il principio di intervento da parte di paesi stranieri è stato da solo in grado di sovvertire il regime sgradevole all'occidente. Mentre il ministro degli Esteri russo ha parlato di "una sfida alle disposizioni della Carta dell’Onu e ad altre norme di diritto internazionale". Prima di spedire nel Mediterraneo una nave anti sommergibile della flotta del Nord e l’incrociatore lanciamissile Moskva della flotta del Mar Nero. Capitolo Cina: Pechino in verità non ha grossi numeri in Siria rispetto ad altri suoi partner commerciali, per cui teoricamente non avrebbe particolari motivazioni per affiancare il regime di Assad in questi giorni di crisi. Ma il nodo è non lasciare soli i vicini di casa russi in questa partita, soprattutto dopo che, specialmente negli ultimi due lustri putiniani, Mosca ha accuratamente lavorato per impedire ogni tentativo di isolamento internazionale verso Pechino.

E'chiaro che il terzo anello di questa catena fatta di armi e di dollari non può che riguardare l'eterno binomio mediorientale rappresentato da Iran e Israele: in quanto un intervento militare in Siria potrebbe, oltre che minare i già citati delicati rapporti con la Russia, alleato storico di Assad, “attivare” Teheran. Per cui anche l'Iran ha minacciato minaccia ritorsioni: “Israele brucerà”, ha detto il vice capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Masoud Jazayeri.  Dal canto suo Israele, mai come questa volta, ha compreso che in Siria potrebbe andare in scena il secondo round di quella grande partita avviata in Libano sette anni fa. Da molto tempo gli aderenti alle milizie di Hezbollah combattono in Siria o provvedono ad addestrare i lealisti. Tel Aviv, di contro, non sembra però fidarsi troppo di chi dovrebbe prendere il posto del cosiddetto "al clan alauita degli Assad". Nessuno dimentichi che nell'intera area ormai ogni stato vive accerchiato da potenziali nemici tutti intenti a guardarsi in cagnesco, a maggior ragione in un anno di veri e propri terremoti politici: l'Egitto con la Fratellanza musulmana alle prese con la deposizione del presidente Morsi e con la scarcerazione di Mubarak; la Tunisia con la nuova classe dirigente post Ben Alì, dove si uccidono leader dell'opposizione e si insegue una nuova Costituzione; l'Arabia Saudita tallonata sulla strada della competitività dall'onnipresente Qatar; la Turchia che, più che con gli avversari esterni, deve fare i conti con le smisurate mire espansionistiche del suo leader Erdogan. Tutti attori di un unico copione: sfruttare il caos siriano per approvvigionarsi nel necessario. Con tanti saluti agli stucchevoli propositi di pace, e in attesa dei due veri latitanti di questa ennesima partita mondiale: Onu e Unione Europea. 

Fonte: Gli Altri settimanale del 13/9/13
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lunedì 23 settembre 2013

Una leader grigia ma vincente come Adenauer

Sfiorata la maggioranza assoluta, quasi Grosse Koalition, puniti i liberali, bene gli anti euro ma alla fine della fiera comanda sempre lei. Il primo leader europeo a guadagnarsi la conferma degli elettori dopo l'inizio della crisi economica: Angela Merkel si avvicina al mito di Adenauer e di Kohl guadagnando almeno 302 seggi su 606 (secondo le proiezioni), con Cdu-Csu al 42,3% (+8,5% sul 2009) che le valgono un voucher di governo in quasi solitudine.

La Cancelliera sbaraglia la tiepida concorrenza dei socialisti e vince anche su se stessa. Parla subito di un risultato eccellente: «Cari amici oggi siamo davvero entusiasti di questo grande risultato, vorrei ringraziare elettori e elettrici che ci hanno dato una fiducia così grande. Faremo tutto il possibile nei prossimi 4 anni per il successo della Germania». Ma il miglior risultato dalla Riunificazione tedesca per la Cdu, (circa 8,5 punti percentuali in più rispetto alle elezioni 2009), porta in dote la debacle dei liberali alleati. La Fdp del ministro degli Esteri uscente Guido Westerwelle è fuori dal Parlamento per la prima volta dal dopoguerra, con appena il 4,5% e accusa una perdita netta del 10%. Difficile mandar giù come un partito di governo abbia potuto subire questa sorte: finora aveva avuto un destino simile solo l'ex partito di blocco di guerra Bhe nel 1957 nella giovane Repubblica Federale. Frustrato il leader Rainer Brüderle: «È chiaro che è il risultato peggiore che abbiamo mai realizzato, una tomba per noi». E aggiunge: «Mi assumo la piena responsabilità, ma questa non è la fine del partito». Non la pensa così il presidente Philipp Roesler che annuncia «conseguenze politiche». 
Comunque vada, gli anti-euro dell'Afd, appena sotto alla soglia di sbarramento del 5% (sono al 4,9%), hanno vinto la loro partita dal momento che si presentavano alle urne per la prima volta ed erano dati attorno al 2%. Bernd Lucke ammette: «Oggi abbiamo arricchito la democrazia in Germania». E a Brandeburgo il candidato degli antieuro Alexander Gauland annuncia: «Siamo noi gli eredi della Fdp».

Sconfitti in partenza, i socialisti della Spd hanno raggiunto il 26,3% dei voti, segnando un più 3% circa rispetto alla performance del 2009 (fu il loro peggior risultato di sempre). Amaro Peer Steinbrueck: «Non abbiamo ottenuto il risultato che volevamo, anche se è chiaramente migliore di quello del 2009. Ora la palla è nel campo di Angela Merkel». Pagano dazio per una campagna elettorale condotta senza mordente, con la ciliegina sulla torta del dibattito televisivo Merkel- Steinbrueck in cui il candidato socialista non accennò né ad un attacco alla cancelliera uscente né ad una critica neanche sul tema scottante dell'eurocrisi o degli aiuti alla Grecia. Verdi e sinistra radicale (Linke) al terzo posto con l'8%, in calo rispetto al 2009 (erano rispettivamente 10,7% e all'11,9%). Katrin Göring-Eckardt, numero uno dei Verdi, ringrazia gli attivisti, ma ammette: «Oggi si deve dire con chiarezza che non abbiamo raggiunto i nostri obiettivi. Abbiamo bisogno di un'analisi onesta e chiara». Niente da fare per il Partito Pirata, che non è riuscito a superare l'ostacolo della soglia minima. Il più rapido a congratularsi con frau Angela è stato il presidente francese, François Hollande, che ha invitato la collega non appena le sarà possibile a «proseguire la stretta collaborazione» franco-tedesca, «per affrontare le nuove sfide per la costruzione europea».

Fonte: Il Giornale del 23/9/13
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Germania al voto. Il "partito pro Merkel". Quanti leader tifano per lei

Al di là degli elettori della Cdu, c'è più di qualche colletto bianco che domani, a spoglio ultimato, stapperà una bottiglia d'annata e saluterà con un brindisi la probabile vittoria di Angela Merkel. Si tratta del «partito internazionale di frau Angela» a cui aderiscono molte cancellerie continentali, e non solo, a metà strada tra appoggio convinto e convenienza geopolitica.

Indiziata numero uno l'Inghilterra, dove sia per contrastare la freddezza di Hollande, sia per ritorni interni che vede in Farage un avversario ostico, Downingn Street ha scelto di schierarsi pro Angela e contro l'euroscetticismo. Un passo falso della cancelliera darebbe fiato al partito antieuropeo e anti austerità che in Inghilterra ha nell'Ukip una novità insidiosa per i destini di Cameron. Altro tifoso sviscerato di frau Angela è l'olandese Mark Rutte: pur avendo fatto passare in parlamento i «bailout» di Grecia e Portogallo, è contrario, sulla linea della cancelliera, ad altri aiuti ai Paesi inadempienti.

Sponsor di peso è Manuel Barroso: mentre i Piigs affrontavano la crisi economica e le politiche di austerità per superare le criticità di bilancio, la Germania viveva invece una stagione di crescita. Il Presidente della Commissione europea e il suo essere morbido con i Paesi in difficoltà non è stato particolarmente gradito dalla Merkel. Ma lui si è «difeso» sulla stampa tedesca con parole al miele: ha smarcato la Merkel dall'ultrarigore che ha contraddistinto la recente direzione politica dell'Ue, sostenendo pubblicamente che i problemi economici di Francia e Portogallo non sono ascrivibili alla Cancelliera. Battezzandola invece come il leader che meglio di tutti «ha compreso le cause della crisi dell'euro».

Un «oui», seppure a denti stretti, potrebbe essere pronunciato dall'inquilino dell'Eliseo, quel François Hollande che fino a qualche mese fa componeva la «coppia d'Europa» con Angela, anche se qualche dubbio rimane sia perché non è detta l'ultima parola sulla composizione della Grosse Kalition (non è esclusa alleanza CDU-SPD se il centro da solo non dovesse farcela con liberali FDP), sia perché Hollande è in difficoltà per via delle politiche attuate e che gli starebbero suggerendo di tifare SPD in ottica futura. Parigi spinge per bilanci comuni, ma da Berlino resta per il no. Tra i Paesi del vecchio continente la Francia è quella che sta meglio, ma non è immune dall'onda della crisi, tutt'altro. Quindi non vede di buon occhio il rigore merkeliano e oggi potrebbe anche fare il tifo (a bassa voce) per Steinbruck.

Con Barack Obama il rapporto è tutt'ora fragile e, per certi versi, di convenienza. Oggi alleati forzati, pesa non poco la parabola discendente di Obama sullo scacchiere mondiale. Non ancora scemata l'onda polemica del Datagate, con le rivelazioni di Snowden sulle intercettazioni Usa. La Cancelliera ad agosto chiese ufficialmente rispetto tra Stati sovrani. Ma dal canto suo Obama attende tatticamente l'esito delle elezioni tedesche sperando di veder emergere a Berlino un governo in grado di affiancare gli Usa nella crescita, proprio nel triennio presidenziale che resta. Obama infatti mira ad uscire dalla Casa Bianca, nel 2017, lasciando in dote al successore una fase di crescita economica paragonabile a quella dell'ultimo periodo di Clinton. Ragion per cui ha bisogno di alleati come Berlino. Anche se la Merkel aveva più in comune, ideologicamente parlando, con il presidente George W. Bush, lesto a puntare sul suo rifiuto del comunismo.

E in Italia? Patto consolidato con Napolitano per evitare una crisi italiana prima del voto tedesco. Tra i due si sussurrò anche di una telefonata, nell'ottobre del 2011, per caldeggiare il governo tecnico di Monti. Anche il Professore della Bocconi è un suo elettore, così come l'attuale premier Letta. Ultimo arrivato nella scuderia di Angela è Matteo Renzi, che volò a Berlino per incontrarla lo scorso giugno.

Fonte: Il Giornale del 22/9/13
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Grecia, agente interrogato per tre colpi di pistola nelle manifestazioni di Atene

Come trent’anni fa nelle notti del Politecnico: destra contro sinistra per le strade di Atene, scontri tra cittadini dello stesso Paese e timori per i disordini futuri con l’ombra delle infiltrazioni durante le manifestazioni pubbliche. Non bastava la crisi economica a devastare la Grecia e ciò che resta delle impalcature politiche e sociali: nella settimana caratterizzata dall’assurdo gesto di violenza che ha visto morire ad Atene un rapper 34enne per mano di un aderente ad Alba dorata, la Grecia si interroga sui riverberi nevrotici di una crisi che ormai ha contagiato tutta la popolazione. Durante un presidio antifascista nel quartiere ateniese di Daphne nella sera del 20 settembre, sono stati esplosi tre colpi di pistola da un ufficiale appartenente alla Direzione di Polizia dell’Attica: l’ufficiale è stato identificato dai manifestanti mentre, in abiti civili, si nascondeva in un negozio per sfuggire al linciaggio. 

La posizione ufficiale delle forze dell’ordine parla di un agente fuori servizio che ha sparato in aria come forma di intimidazione, ma convince poco visto poi che lo stesso agente non si è qualificato e ha cercato riparo in un supermercato nelle vicinanze. L’episodio ha inizio, sempre secondo le informazioni della polizia, quando un gruppo di circa trenta persone distaccate dalla piazza dove si svolgeva la manifestazione, ha attaccato la guardia speciale danneggiando la sua moto di servizio. Ma con il passare delle ore la versione è stata più volte modificata con altri particolari che oggi sulla stampa greca fanno sollevare qualche sopracciglio ad alcuni commentatori, inclini a vedere il coinvolgimento dei servizi o comunque di alcuni infiltrati all’interno della marcia di protesta.

In tarda serata giunge la notizia dell’arresto della guardia speciale con l’ordine partito dal ministero dell’interno alla polizia di appurare quanto prima l’origine dell’episodio aprendo un’inchiesta. Secondo quanto riferito da un testimone interrogato in nottata, l’ufficiale di polizia sarebbe stato ferito alla testa e condotto in ospedale per i primi soccorsi. Ma sui quotidiani greci campeggiano alcuni interrogativi: l’agente era casualmente presente alla manifestazione? Come mai era armato visto che era fuori servizio e in abiti civili? E ancora: c’è qualcuno che, come più volte nel recente passato, sta soffiando sul fuoco delle proteste per un ritorno politico? Il rischio che il nervosismo ideologico degeneri in violenza è ben lontano da essere solo un’ipotesi.

A Patrasso un 18enne è stato aggredito da tre anarchici: la sua colpa era di aver postato su Facebook una foto che lo ritraeva con la bandiera greca, quindi un potenziale nazionalista, anche se nulla aveva a che fare con il partito nazista di Chrisì Avghì. Il giovane era seduto su una panchina in piazza della Resistenza quando i tre lo hanno individuato e picchiato. In precedenza si erano verificati altri due scontri in Piazza Olgas tra due appartenenti allo spazio antiautoritario e militanti di Alba dorata. Il bilancio è di tre feriti condotti in ospedale e numerose squadre di poliziotti in tenuta antisommossa a presidiare il centro cittadino.

Il nodo è il potenziale consenso attorno al partito di Alba dorata: un trend che molti sondaggi vedono in continua ascesa, dal momento che il partito che lo scorso anno ha fatto ingresso in Parlamento per la prima volta dopo 40 anni con il 7% è dato oggi vicino al 20% dei consensi, in quanto capace di pescare voti nei quartieri operai rubandoli alle classiche formazioni di sinistra, abbattendo il luogo comune del Partito Comunista unico difensore del lavoro. Il quotidiano Ta Nea oggi apre con un titolo indicativo: “Si rompono le uova di serpente”, con in evidenza a tutta pagina un uovo giallo con il simbolo di Alba dorata da cui fuoriesce sangue a fiotti.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 21/9/13
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Germania, le falle del gigante che vota per non cambiare

Brillante, con un Pil da fare invidia a mezzo mondo, con un numero sempre maggiore di emigranti che lì si recano perché c'è lavoro, dotato di distretti industriali che fanno numeri imponenti. La domanda da porsi alla vigilia delle elezioni in Germania è quanto il modello tedesco, oggi vincente su tutti i tavoli, lo sarà anche domani e dopodomani. Perché se è vero come è vero che nel Paese si voterà sostanzialmente per non cambiare, con i tedeschi consapevoli di come questa impalcatura rappresenti la polizza sulla vita per il loro futuro, qualche domanda sarà utile porla a chi governa e a chi sarà governato dalla, probabile, Grosse Koalition. Ovvero, quali sono i punti deboli del gigante tedesco? E quali potrebbero esserlo considerando che attorno a Berlino gli altri stati membri rischiano di cadere sotto i colpi della crisi e dello spread? E ancora, quali conseguenze patirebbe in caso di default della Grecia o se, così come appare probabile, il partito antieuro di Alternativa per la Germania dovesse raggiungere il 5% e fare ingresso nel Bundestag con propositi rivoluzionari?

«Stiamo vivendo sulle riserve di ieri», ha ammesso a denti stretti un alto dirigente della Federazione delle industrie tedesche, Dieter Schweer, tradizionalmente molto legato alla Cdu. Come a voler destare dal torpore quanti si accontentano del pur invidiabile status quo di un paese prospero e che fino a oggi è passato indenne sotto le forche caudine dell'eurocrisi. Non è tutto oro quello che luccica al di là delle Alpi, con la stragrande maggioranza dei cittadini sì rassicurata, secondo tutti i sondaggi, da una politica stabile che non mette a rischio il benessere consolidato, ma con una fetta consistente di un elettorato quantomai trasversale foriera di dubbi sul presente di nome euro e sul futuro alla voce sviluppo interno. Si prenda il comparto energetico, dove nonostante fortissime pressioni legate al gasdotto North Stream e al recente Tap, i contribuenti tedeschi continuano a pagare circa il 30% in più per un kilowatt ora di energia elettrica rispetto alla media della zona euro. Un pugno nell'occhio per frau Angela, oltremodo equilibrata e sempre attenta a non prendere posizioni in politica estera e a rimandare scelte decisive a data da destinarsi, si veda alla voce terzo memorandum greco. Oppure si prendano le dinamiche industriali «germanocentriche» che da un lato hanno rappresentato quella coccarda che la Cancelliera si appunta sul petto, ma che dall'altro hanno concorso alle difficoltà strutturali dell'intera eurozona incapace di rialzarsi, anche perché schiacciata da qualcuno che corre più di tutti gli altri.

Il pericolo di una Germania che «sta cavalcando un'onda di euforia» è stato sventolato poche settimane fa dall'Istituto tedesco per la ricerca economica, non certo da qualche tabloid di opposizione, sollecitando più investimenti in mezzi di trasporto, scuole e rete elettrica. Impressionante è la posizione finanziaria, si legge, ma proprio per questo potrebbe essere anche «ingannevole». La lignite, ad esempio, che in Germania si raccoglie per circa 100mila tonnellate al dì, consente di compensare il calo della produzione di energia nucleare e rinnovabile. La Germania in questo appare come «drogata», dal momento che detiene il secondo primato mondiale, dopo la Russia, in Lusazia ma la politica energetica della signora Merkel è in qualche modo in cima alla lista delle minacce per l'economia, in quanto dopo il disastro di Fukushima, ha spento immediatamente le centrali nucleari: mossa politicamente popolare, ma nel merito non risolutiva. Perché non ha previsto alternative rapide e praticabili. E ancora, il mercato del lavoro con una possibile ondata di pensionati e di lavoratori in là con gli anni a cui occorrono come l'aria sostituti in tempi brevi a cui Merkel non pensa, sfoggiando il consueto immobilismo che tanta fortuna le ha portato fino ad oggi.
Insomma, il mosaico della «Merkelnomics» che però, proprio perché costruito all'interno di una vera e propria gabbia dorata, non è immune da un appagamento continuato: bello da vedere ma pericoloso in prospettiva.

Fonte: Il Giornale del 21/9/13
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venerdì 20 settembre 2013

Così gli euroscettici conquistano l'Europa

Fate largo agli euroscettici. A quarantott'ore dalle elezioni in Germania ma soprattutto a pochi mesi dalle urne per il nuovo Parlamento europeo, ecco che la novità potrebbe essere rappresentata proprio dal proliferare in tutto il continente di formazioni anti moneta unica. In grande spolvero, proprio perché gli unici a movimentare la noiosa attesa berlinese, gli antieuro tedeschi di «Alternative fuer Deutschland» guidati dall'economista Bernd Lucke, che per la prima volta si affacciano ad una competizione elettorale e che due sere fa in televisione si sono presentati avvolti da una bandiera greca con un grosso buco al centro. Ma se fino a qualche mese fa erano visti come una primizia acerba e incapace di entrare nel Bundestag, ecco che il sondaggio condotto dall'istituto Insa per conto del quotidiano popolare Bild li accredita del 5% dei consensi, quindi in grado di sedere nel nuovo parlamento. E andando ad ingrossare la pattuglia di formazioni con le stesse prerogative che si sono diffuse negli stati membri.
Si prenda l'epicentro della crisi, la Grecia, dove i partiti euroscettici sono addirittura due. I neonazisti di Alba Dorata forti di un consenso che dal 7% dello scorso giugno li vedrebbe al 20: chiedono con forza la nazionalizzazione delle banche che hanno ricevuto iniezioni di capitale sotto la garanzia del debito pubblico greco e la cancellazione del debito delle famiglie greche con criteri sociali. Ma anche i grillini penstellati, guidati da Theodoros Katsanevas, fondatore del movimento ellenico Dracmh che richiama punti programmatici del Movimento cinque stelle nostrano con un forte accento sulla creazione di una moneta unica utilizzabile in una sorta di zona unificata che comprenda Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e Cipro.

In Olanda c'è il «Partij voor de Vrijheid», che il 21 aprile dello scorso anno ha ritirato il sostegno al governo di Mark Rutte, portando il paese ad elezioni anticipate. È nato nel 2004 quando Geert Wilders abbandonò i liberali del Partito popolare per la libertà e la democrazia, e diede vita ad un proprio gruppo parlamentare perché non condivideva la posizione filoeuropeista del Vvd, impegnandosi anche per il no al referendum confermativo della Costituzione europea, conquistando alle elezioni del 2006 il 5,9% dei voti.  In evidenza in Inghilterra l'Ukip, che alle elezioni amministrative del 2013 ha ottenuto un risultato mai raggiunto prima, il 23% dei consensi contro il 25% dei Conservatori e il 29% del Labour: nati da una costola di scissionisti del Partito conservatore, inneggiano al ritiro del Regno Unito dall'Unione europea. È rappresentato da tredici deputati al Parlamento europeo e due Lord alla Camera dei Lord.
In Belgio spicca il partito Ldd attivo dal 2007, quando guadagnò cinque seggi alla Camera dei rappresentanti e un seggio al Senato, mentre nelle scorse europee ottenne un seggio. Senza dimenticare quelli più destrosi come l'English Defense League in Inghilterra, il partito ungherese Jobbik, o il Freddy Party olandese, passando per i belgi del Vlaams Belang e per l´estrema destra svedese degli Sverigedemokraterna.

Fonte: Il Giornale del 20/9/13
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Grecia, scontri per l’omicidio del rapper di 34 anni. Perquisite sedi di Alba Dorata

Non si placa la tensione in Grecia a due giorni dall’omicidio ad Atene del rapper greco Pavlos Fyssas da parte di un militante di Alba dorata. L’episodio sta destabilizzando ulteriormente un Paese ormai da tre anni ininterrottamente sull’orlo del baratro, economico e sociale. Nel giorno in cui si sono celebrati i funerali del 34enne accoltellato durante una partita di Champion’s League, arriva la notizia di trentuno feriti (uno ha perso un occhio) giunti la notte scorsa nel nosocomio ateniese del Tzanio: erano stati colpiti dal lancio di pietre e pezzi di plastica mentre manifestavano contro il partito nazista di Chrisì Avghì per le strade della capitale ateniese, sotto gli occhi impassibili delle forze dell’ordine come dimostra il video girato dalla BBC. Nella sequenza si vede un gruppo di agenti in borghese insultare e gettare pietre contro gli antifascisti durante la manifestazione per l’omicidio del musicista di 34 anni.

Il rischio Weimar in Grecia, più volte invocato nell’ultimo anno da commentatori, analisti e negli ultimi due mesi anche dalla grande stampa internazionale, si è nei fatti già verificato. Il voto di protesta del 7% che si sta pericolosamente trasformando in altro, per via delle ronde anti immigrati che Alba dorata organizza, per le mense dedicate solo a poveri greci muniti di carta di identità, per i presìdi che il partito guidato fino a ieri da Nikolaos Mikalioliakos (imminente pare un cambio al vertice, con quasi certamente nuovo leader Ilias Kassiriadis) ha allestito non solo nelle grandi città come Atene, Salonicco e Patrasso ma che sta trovando fiato anche in provincia. É di pochi giorni fa un sondaggio che attribuiva nella sola Atene, chiamata a maggio al rinnovo del sindaco, ben il 20% di gradimento dei cittadini al candidato di Alba dorata.

La politica intanto tenta di correre ai ripari: sede di Alba dorata perquisita dalla polizia, possibile estromissione dalle prossime elezioni per il partito nel giorno in cui scioperano per 48 ore i dipendenti pubblici per i quali il licenziamento è stato già deciso per legge. Il ministro degli interni Nikos Dedias ha scritto una lettera al Procuratore della Corte Suprema Euterpi Koutzomani, per chiedere di sospendere l’immunità parlamentare per i deputati di Alba dorata, definendoli membri di un’organizzazione criminale. I due maggiori partiti, i conservatori di Nea Dimokratia e la sinistra del Syriza che fanno polemica in un momento in cui forse servirebbe solo il silenzio. Da Bruxelles dove ha incontrato Jörg Asmussen, il secondo uomo tedesco nel consiglio della Bce, Alexis Tsipras torna a parlare di debito greco insostenibile chiedendone il taglio. La replica è di Hrisanthos Lazaridis, consigliere del premier Samaras ma con un passato comunista tra gli eroi del Politecnico, che definisce Syriza un partito “fuori dall’arco costituzionale ellenico che ha creato questo clima di tensione sfruttato da Alba dorata”. La stampa ellenica si interroga su un attacco gratuito all’unico politico ellenico, appunto Tsipras, che non dice sì alla troika e che in questi giorni è atteso a Mosca da Vladimir Putin.

Lutto e la rabbia prevalgono al funerale del 34enne Paul Fyssas con un nutrito gruppo di cittadini che si sono stretti attorno alla famiglia nella chiesa di Agios Gerasimos: presenti alcuni deputati del Syriza e agenti in borghese pronti ad intervenire in caso di disordini. “Sangue che scorre, chiede vendetta” gridano i suoi compagni prima di seppellirlo nel cimitero di Schistos. Un saluto che promette altra tensione in un Paese sempre più allo sbando.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 19/9/13
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lunedì 16 settembre 2013

Dopo il salvataggio Cipro “accende” il gas della zona economica esclusiva

Grecia e Cipro, da secoli legate da vicende storiche, sociali e culturali oggi hanno in comune non solo le conseguenze dell’eurocrisi ma anche un altro fattore determinante come i risvolti legati alla geopolitica, che a quelle latitudini fa rima con giacimenti sottomarini. Ma se Cipro già da tempo si è attrezzata per lo sfruttamento siglando un accordo con Israele che venerdì ha prodotto la prima fiammella del gas nelle acque cipriote, Atene è ancora ferma per gli atavici ritardi dell’ente nazionale per le privatizzazioni, il Taiped, e per la concomitanza di interessi legati al nuovo gasdotto Tap che di fatto frena la presenza di Gazprom nell’intera area euromediterranea.

Nel giorno in cui da Bruxelles è arrivato il via libera dell’Eurogruppo alla nuova tranche di aiuti per Cipro (1,5 miliardi di euro che saranno erogati entro fine settembre, dopo l’approvazione formale da parte del board dell’Esm) e in attesa che il Fondo monetario internazionale dica l’ultima parola sulla sua tranche da 86 milioni il 16 settembre, il dipartimento dell’Energia dell’isola ha diffuso le prime immagini dell’inizio del test di produzione: si “accende” il gas prodotto dal giacimento Afrodite situato all’interno del Blocco 12 della ZEE.

Le riserve probabili di sei zone con licenza nella cipriota ZEE sono pari a 1,1 trilioni di metri cubi. Lo scopo è stato di quello di verificare la qualità del gas nella zona economica esclusiva di Cipro. Il gas naturale è venuto a galla senza problemi e sono state attivate correttamente le valvole. Il test di produzione durerà circa cinque giorni e poi l’impianto inizierà a valutare la tenuta del lavoro. In un articolo apparso sul Forum Oxford Energy, una pubblicazione trimestrale dell’Istituto for Energy Studies, il presidente della Kretyk, l’azienda di Stato cipriota deputata allo sfruttamento del gas, Haralambos Ellina, facendo riferimento alle prospettive dei mercati del gas naturale in tutto il mondo, ha osservato che il bacino cipriota potrebbe coprire un terzo del combustibile utilizzato per la produzione di energia elettrica entro il 2040, quando il carbone cesserà di essere un’opzione competitiva. “A quel punto – ha scritto – la domanda di gas naturale crescerà più velocemente di qualsiasi altra fonte di energia, che consentirà di aumentare la produzione del 65% entro il 2040″.

Ma la preoccupazione del governo cipriota a questo punto risiede nella reazione turca all’accensione della prima fiammella di gas. Già lo scorso autunno, in concomitanza con le prime firme sugli accordi Tel Aviv- Nicosia, il governo di Erdogan aveva avuto di che ridire. Una nota ufficiale del governo turco aveva minacciato di sospendere i progetti avviati con l’Eni a causa della partecipazione del gruppo petrolifero italiano al programma di esplorazione dei giacimenti di gas al largo delle coste di Cipro, che Ankara contesta in una disputa sulle acque territoriali. Il ministro dell’Energia Taner Yildiz accusava il governo di Nicosia di non poter gestire autonomamente le risorse energetiche al largo dell’isola. Per questo fin dallo scorso ottobre Ankara ha minacciato più volte di sospendere ogni collaborazione con i gruppi petroliferi internazionali che concludano accordi con il governo cipriota. Anche se, in virtù del diritto internazionale e del fatto che la fantomatica Repubblica turco-cipriota del nord non sia riconosciuta dall’Onu, non avrebbe di cosa pretendere da quello spazio marino, in quanto lo ha occupato abusivamente dal luglio del 1974, con ancora oggi 50mila militari turchi in loco e un filo spinato che divide l’isola da ovest a est. Si aggiunga che lo scorso 31 luglio, la stampa greca diffuse la notizia che un missile turco era stato lanciato contro una nave italiana che lavorava per conto di Cipro. L’imbarcazione stava piazzando cavi sottomarini. La notizia non fu confermata dalle autorità, e neanche la rappresentanza consolare italiana a Nicosia intese commentarla, ma comunque fu il segnale di una situazione di potenziale tensione nell’intera zona.

Zona che, per la sponda greca, è stata interessata da un’altra grande opera come il Tap, il gasdotto che porterà in Europa il gas azero proveniente dall’importante giacimento di Shah Deniz II, le cui dimensioni lo rendono molto significativo in quanto bypassa la dipendenza energetica dalla Russia. Ma taglia fuori i giacimenti presenti in Grecia che, a causa degli atavici ritardi e degli scandali di presunta corruzione del Taiped, l’ente nazionale per la privatizzazione, non ha ancora progettato lo sfruttamento dei giacimenti minerari in Calcidica e a Creta e del gas presente nell’Egeo “greco”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 14/9/13
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Turchia, premier Erdogan vorrebbe trasformare Santa Sofia in moschea

Nuova sfida degli “amici” turchi ai vicini di casa greci. Sono sempre più insistenti le voci che vogliono il primo ministro Recep Tayyip Erdogan intenzionato a trasformare la cattedrale di Santa Sofia in moschea. L’indiscrezione è rafforzata da due fatti: la notizia che già due templi dedicati a Santa Sofia, a Nicea (Iznik), sede del primo concilio ecumenico, e a Trabzon, sono stati recentemente convertiti da musei in moschee; e la campagna di stampa partita dalla rivista Skylife, molto diffusa nel paese e distribuita gratuitamente sugli aerei della compagnia di bandiera Turkish Airlines. In cui in un lungo articolo vergato in doppia lingua (turca e inglese) si dà conto di tale progetto, con la copertina dedicata alla cattedrale di Santa Sofia su cui troneggia il titolo: “La Moschea dei Sultani”. Non proprio un ramoscello di ulivo nei confronti dei vicini ellenici. Nel 1453 a seguito della caduta di Costantinopoli tutti gli edifici adibiti a culto religioso vennero tramutati in moschee, ma nel 1923 in concomitanza con la nascita della Repubblica Turca i monumenti maggiormente significativi furono trasformati in musei. Se le voci fossero confermate sarebbero un ulteriore segnale di quale direzione abbia preso, ormai da tempo, la politica di Erdogan ovvero il tentativo di polarizzare la società turca, impregnandola di quel passato ottomano anche per celare i venti di crisi che cominciano a farsi sentire. Per dirne una, la lira turca accusa un crollo nei confronti dell’euro e i riverberi di Gezi Park non sono del tutto sopiti.

Nel reportage in questione, che tanto sconcerto stanno sollevando tra gli alti prelati della Chiesa Ortodossa, spicca la voce del professor Semavi Eyice che illustra come sia stata conservata la Chiesa nel corso degli anni. E racconta che l’unico merito per la sopravvivenza di Santa Sofia va attribuito all’architetto Sinan, vissuto nel XVI secolo: cristiano di origine ma in seguito convertito all‘Islam. Inoltre secondo un altro esperto interpellato, il professor Ahmet Akgunduz, Santa Sofia è “il ricordo vivo di Mehmet il conquistatore e pertanto dovrà essere restaurata al più presto e tornare alla sua spiritualità, quella della moschea”. Secca la replica del patriarca ecumenico Bartolomeo I: a una domanda rivoltagli da un giornalista del quotidiano turco Milliyet sulla possibile trasformazione di Santa Sofia in moschea, ha risposto che Santa Sofia potrà certamente riaprire come sito religioso, ma solo in quanto chiesa cristiana. Altrimenti resti un museo. La querelle è solo all’inizio.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 10/9/13
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Crisi greca, ora la Troika licenzia anche i medagliati olimpici

Una medaglia val bene un licenziamento. Ad Atene la troika manda a casa anche gli olimpici che lavoravano nel pubblico impiego: sono circa 900 i medagliati assunti dallo Stato per meriti sportivi le cui sorti seguiranno quelle dei 12mila già tagliati dai creditori internazionali della Grecia. Il loro destino si chiama mobilità: prima finiranno in cassa integrazione e nei successivi sei mesi saranno licenziati.

Il ministro della Riforma Amministrativa, Mitsotakis, erede della nota dinastia politica, ha incontrato una delegazione dell’Associazione dei medagliati olimpici e ha dato loro la notizia. “Non posso fare un’eccezione per voi”, ha detto agli atleti increduli. Una situazione figlia del memorandum siglato dalla Grecia con la troika lo scorso luglio e di cui solo oggi si è avuto il dettaglio analitico. In particolare Atene ha accettato tra gli altri la mobilità “come azione preventiva”, di 4.200 dipendenti entro luglio, di 12.500 entro la fine di settembre e almeno altri 12.500 fino alla fine di dicembre 2013. Le retribuzioni dei lavoratori che aderiranno al programma di mobilità saranno ridotte al 75 per cento. Il rapporto annuale sull’economia greca presentato giovedì a Salonicco è impietoso: i dati sull’occupazione ricalcano quelli registrati nel 1961 e la disoccupazione secondo le previsioni dovrebbe salire ancora entro la fine dell’anno toccando il record del 30%, mentre il prossimo anno raggiungerà il 31,5 per cento.

Il direttore scientifico dell’Istituto, Savvas Robolo, sostiene che i risultati misurabili delle politiche di austerità in Grecia dal 2010 al 2013 hanno creato una situazione di “piena svalutazione del lavoro, di compromissione selettiva del business e di riduzione della spesa pubblica e sociale, trasformando rapidamente lo stato sociale in stato di carità“. Il rapporto ha registrato che i dipendenti negli ultimi tre anni di tagli salariali perso 37 miliardi di dollari, contribuendo a ridurre la domanda interna del 31,3% fino ai dati del 1994. Il potere d’acquisto dei loro stipendi nello stesso periodo 2010-2013 è diminuito del 37,2%, tornando ai livelli del 2000. Secondo i dati del rapporto la spesa sociale nel 2013 ha avuto un decremento del 26,99%, simile al calo del Pil nel periodo 2009-2013. Il livello di vita si è deteriorato almeno del 50% rispetto a quello del 2008 a causa di salari più bassi. Il salario minimo mensile in Grecia ora è pari al 46% del salario minimo europeo.

Intanto il sindacato degli insegnanti Elme ha proclamato cinque giorni di sciopero continuato dal 16 settembre, pochi giorni dopo l’inizio dell’anno scolastico: scuole e università del paese saranno chiuse fino al 20 settembre.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 7/9/13
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Crisi Grecia, ora Atene rischia di perdere anche la Difesa

Chiudete le tre società che si occupano della difesa nazionale e licenziate tutti i dipendenti. E’ questa l’ultima richiesta della troika alla Grecia. I rappresentanti dei creditori internazionali hanno infatti bocciato il piano di Atene per riformare Eas, Elvo e Larco, le tre realtà nazionali di difesa nazionale e di industria militare. E così, dopo la richiesta di far transitare l’ente nazionale preposto alle privatizzazioni, il Taiped, su un fondo lussemburghese ad hoc, adesso un ulteriore pezzo della ormai sottile sovranità nazionale ellenica rischia di passare in altre mani o di scomparire del tutto. Nel caso di Eas il ministero della Difesa aveva proposto la continuazione delle attività della società ad un costo annuo di circa 30 milioni di euro. Secondo il piano presentato ai finanziatori, le esigenze di hardware militare ammontano a 20 milioni, per far fronte alle quali il denaro necessario potrebbe venire dal bilancio dello Stato per almeno cinque anni, mentre i restanti 10 milioni verrebbero dai fondi di Eas provenienti dal mercato internazionale con i contratti di vendita.

La troika non intende però avallare un piano la cui spesa gravi sul bilancio dello Stato,  in quanto ritiene che i numeri reali saranno alla fine superiori alle stime greche, considerate troppo ottimistiche alla voce “esportazione di materiale militare”. Le prossime 24 ore saranno quindi cruciali per il futuro delle industrie statali e per preservare i relativi posti di lavoro. E,  visti i venti di guerra a poche miglia di distanza, non è ancora chiaro se la troika vorrà o meno riprendere il dialogo e ragionare sugli scenari possibili per lavoratori e sicurezza nazionale. L’unica certezza è che il viceministro della Difesa, Fofi Genimata, ha ricevuto la comunicazione dei creditori internazionali in una mail in cui si bollano le proposte greche di ristrutturazione delle tre società come “irrealistiche e insostenibili”, per cui l’unica via percorribile è la liquidazione immediata senza alcun indennizzo per i lavoratori. Immediatamente il viceministro ha informato il premier Samaras, dicendosi senza parole vista la delicatissima crisi in Siria.

Immediata la protesta delle opposizioni. Panos Kammenos, leader degli Indipendenti greci ha attaccato il governo: “Con il mandato della troika, dopo aver consegnato loro la proprietà pubblica e privata, adesso vuole abrogare anche la difesa nazionale: vergogna”. Sulla stessa lunghezza d’onda i democratici di Fotis Kouvellis, fino a due mesi fa alleati di Samaras nell’esecutivo delle larghe intese, che hanno reagito con sdegno all’ipotesi di ulteriori licenziamenti, dopo che la lista dei 12mila dipendenti pubblici da tagliare è ormai divenuta definitiva: “Il Dimar propone di fermare questa situazione, in quanto non si può ignorare che l’industria della difesa greca è un fattore critico per il Paese”.

Intanto, rispondendo ad una domanda sulle relazioni riguardanti le tre società di difesa in questione, Simon O’Connor, portavoce del commissario europeo Olli Rehn, ha osservato: “Il protocollo d’intesa prevedeva come condizione preliminare  l’adozione entro settembre di una decisione definitiva per ristrutturare le società in vista della privatizzazione o la liquidazione delle tre aziende. I colloqui con le autorità greche per l’espletamento di tali obblighi sono in corso”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 4/9/13
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martedì 3 settembre 2013

Ecco perché la Grecia (già fallita) farà default

Un ulteriore pacchetto di stimoli e tagli per la ripresa ad appannaggio di un Paese che non sarebbe dovuto entrare nell’Eurozona, che non riesce a portare a termine le privatizzazioni, ma che nel proprio sottosuolo ha oro, argento e gas. Sulla scia delle dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble (“la Grecia avrà bisogno di un nuovo pacchetto di misure”) e della cancelliera Angela Merkel (“un errore ammetterla nell’Ue”), noti economisti convergono su un punto: la Grecia non “sopravviverà” a lungo se Bruxelles continuerà con la sua politica di austerità e di tagli.

I tre “tenori”
Gli economisti in questione sono Nouriel Roubini, Paul Krugman e Yannis Varoufakis, di cui alcuni scritti apparsi negli ultimi giorni sulla stampa e sui loro blog personali rafforzano una personale convinzione: la Grecia deve tornare alla sua moneta nazionale. E all’orizzonte prevedono il collasso della zona euro.

Roubini
È economista, professore di economia alla New York University e presidente di RGE Monitor, una società economica specializzata in analisi finanziaria. Asserisce che il governo greco cadrà dopo le elezioni tedesche, in quanto “l’attuale politica tedesca per quanto riguarda la crisi nella zona euro non cambierà”. Prevede una rottura del governo italiano oltre che di quello greco. La parola d’ordine che cita sovente è “destruction“.

Krugman
Economista e saggista statunitense, attualmente è professore di Economia e di Relazioni Internazionali all’università di Princeton, ha vinto il Premio Nobel per l’economia nel 2008. Krugman confronta il crollo in Indonesia nel 1997 e quello della Grecia. Atene dopo l’intervento della Troika è “affondata” ancor di più in debiti e recessione. Aggiunge che fino a quando la Grecia sarà nell’Eurozona e continuerà a perseguire politiche di tagli, non tornerà a crescere. E allora com’è che la Grecia si è ridotta in questo stato? “La colpa è dell’euro”, ha scritto sul NYT: “Quindici anni fa la Grecia non era un paradiso ma non era nemmeno in crisi. La disoccupazione era alta ma non a livelli catastrofici. Poi la Grecia è entrata nell’euro, ed è successa una cosa terribile: la gente ha iniziato a credere che si trattasse di un buon posto per investire. Capitali stranieri si sono riversati sulla Grecia, in parte a finanziare il debito pubblico; l’economia è esplosa, l’inflazione è salita e la Grecia è diventata sempre meno competitiva. Certo, i greci hanno scialacquato molto se non quasi tutto il denaro che era rapidamente affluito nel Paese, ma è la stessa cosa che hanno fatto tutti coloro che si sono trovati coinvolti nella bolla dell’euro”.

Varoufakis
È un economista greco-australiano, insegna Teoria Economica presso l’Università di Atene ed è consulente privato per Valve Corporation. Ha scritto: “Merkel aveva ragione, la Grecia non sarebbe dovuta entrare nell’Eurozona”. L’unica soluzione per Varoufakis è ammettere la verità delle cose: “Lo Stato greco non è affidabile, i nuovi pacchetti di stimolo hanno creato un regime trapezocentrico di banche e la crisi quadrupla (società, banche, investimenti e povertà) non può essere affrontata da nuovi prestiti con l’incubo dell’austerità“. Nel suo blog osserva che la Grecia e altri Paesi periferici, fin dall’inizio, sono sopravvissuti nella moneta unica senza avere un surplus. Per cui ritiene che la zona euro dovrebbe essere composta solo da Germania, Paesi Bassi, Austria, Finlandia e Lussemburgo. Perché è stata attaccata la Grecia? In quanto è stata la prima economia che ha rivelato pubblicamente “il grande segreto: che la zona euro ha avuto un cattiva strutturazione. La Grecia – conclude – è solo un capro espiatorio“.

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