mercoledì 25 novembre 2015

Grecia, Israele e la cooperazione energetica nel Mediterraneo

Sono trascorsi cinque anni dall'inizio della nuova fase di dialogo tra Grecia e Israele nata nel 2010. Erano i giorni in cui si incrinavano, in maniera significativa, i rapporti tra Israele e la Turchia, e Atene assumeva il ruolo di interlocutore numero uno di Tel Aviv nell'intera area. Nel frattempo si è acuita la fase di stallo con Ankara, complice anche l'accordo sul gas raggiunto tra Tel Aviv e Nicosia nell'ottobre del 2013. E oggi, alla vigilia di una serie di decisioni strategiche nel comparto energetico come quelle relative ai gasdotti, ecco che l'asse fra i due paesi potrebbe essere nuovamente determinante.

A un bivio

Grecia e Israele sono a un bivio: è arrivato il momento in cui entrambe le parti devono decidere se ampliare la loro cooperazione anche in campo energetico, al di là degli stretti legami nel settore della difesa resi ancora più saldi da due lustri di contratti. In questo contesto la visita di Alexis Tsipras in Israele il 25 novembre acquisisce un peso specifico chirurgico. Ma Atene non sembra sapere esattamente quello che cerca e soprattutto con quale metodo ottenerlo, in un momento in cui non può disattendere i diktat di Bruxelles e Berlino, anche perché la nuova classe dirigente al governo non ha una lunghissima esperienza nel settore. La parte israeliana per molto tempo ha tentato un approccio diretto con Tsipras, ma la contingenza delle trattative con la troika e la continua emergenza del dossier migranti non hanno concesso occasioni utili.
Secondo fonti diplomatiche, nonostante le rassicurazioni fornite agli israeliani prima della salita di Syriza al potere, Tel Aviv nutre ancora seri dubbi sulla continuazione della cooperazione. Il tifo per le vicende palestinesi che la stragrande maggioranza della classe dirigente di Syriza non ha mai nascosto e l'accordo sul nucleare iraniano sono stati, fino a questo momento, due precisi deterrenti. Ma l'esigenza di creare nuove partnership in campo energetico, senza incrinare rapporti che potrebbero essere decisivi per il futuro dei due paesi, è il primo punto nell'agenda di Atene e Tel Aviv.

Obiettivi

Gli israeliani puntano alla costruzione di un gasdotto che parta dal deposito "Leviathan" a Cipro, dove ci sarà il gas liquefatto che sarà in seguito trasportato da navi "eccezionali" in Grecia al fine di alimentare condotte future, come TAP e IGB soprattutto in vista della costruzione di un secondo terminale GNL ad Alexandroupolis. Tuttavia vi è un nuovo elemento che potrebbe complicare questo scenario: le intenzioni degli americani di vendere shale gas in Grecia, alimentando in futuro Bulgaria e altri paesi balcanici attraverso la IGB in collaborazione con il gruppo Copelouzos che opererà sulla stazione GNL a Alexandroupolis. Come si fa a fare sponda con Tel Aviv se gli Usa entrano così a gamba tesa nel Mediterraneo?
Facciamo un passo indietro: il gruppo Copelouzos, attraverso Prometheus Gas SA, detiene una posizione di leadership nel mercato greco del gas naturale. Prometheus Gas SA è una società greco-russa fondata nel 1991 ad Atene assieme a Gazprom, nata con l'obiettivo di importare e commercializzare gas naturale russo nel mercato greco. Un piccolo grande risultato Prometheus lo ha già ottenuto, assicurandosi grandi quantità di gas naturale in eccesso rispetto ai quantitativi contrattuali dal Public Gas Corporation (DEPA). Queste quantità sono pari a 3,1 miliardi di metri cubi all'anno fino al 2016 e di 7 miliardi di metri cubi all'anno dal 2016 in poi.

Tempo di vertici

Il 16 dicembre si terrà a Gerusalemme il vertice dei segretari generali di Israele, Grecia, Cipro per preparare il vertice di gennaio e anche la riunione dei ministri dell'Energia. Inoltre sempre a dicembre ad Atene si terrà il Trilaterale Grecia, Cipro, Egitto con Mosca attentissima ai possibili sviluppi, mentre il presidente russo Putin ha incontrato proprio in questi giorni i leader supremi della Repubblica Islamica dell'Iran, Ali Khamenei, e il presidente Hassan Rouhani nel quadro della visita a Teheran programmata per partecipare al Forum dei paesi esportatori di gas Gecf.
È un fatto che il mancato accordo sulla questione cipriota rappresenti, ad oggi, un po' la cartina di tornasole per orientarsi su scelte e dinamiche in quella macro area. Se da un lato Washington non sembra interessata a richiamare “all'ordine” Ankara su molteplici questioni (come la libertà di stampa, il ruolo obliquo del presidente Erdoğan nel primo approccio all'Isis a Kobane, le intransigenze su Cipro), dall'altro Tel Aviv sente che è arrivato il tempo delle decisioni. Anche per via della scoperta del nuovo giacimento “Zor” in Egitto, che cambia sia l'impostazione dei tanti ragionamenti fin qui costruiti che i ruoli giocati dai singoli attori. Il nuovo gas, per assurdo, potrebbe essere liquefatto nei due terminali egiziani e quindi in nave prendere la direzione dell'Europa ma anche dell'Asia sfruttando il recentissimo raddoppio del Canale di Suez.

Scenari

Vale la pena, però, di rimarcare il ruolo per così dire "border line" che Tsipras si è ritagliato in questi dieci mesi di governo, come le estenuanti trattative primaverili con i creditori internazionali dimostrano. Il premier greco, per abitudine, non dispensa integralismo o dogmi preconfezionati. Non lo ha fatto al delicatissimo tavolo economico di Bruxelles, né di fronte a incrinature strategiche e possibili defezioni, come le dimissioni chieste all'ex ministro Yanis Varoufakis nel post referendum del 4 luglio e qualche giorno fa al suo ex portavoce, Gavriel Sakellaridis, che non intendeva votare il ddl della troika approvato dal parlamento di Atene per sbloccare la tranche da 10 miliardi di prestiti.
Tsipras non strappa perché non fa fughe in avanti. Ma più di tutto il resto, le ore successive alla vittoria elettorale del gennaio scorso rappresentano il peso specifico del Tsipras-pensiero. Da abilissimo negoziatore quella notte, prima di scendere in piazza per festeggiare con i suoi elettori, fece due cose da vero equilibrista circense: un tweet di risposta ai complimenti di Doctor House e un incontro lampo con Andrej Maslov, ambasciatore di Mosca ad Atene.

twitter: @FDepalo

giovedì 12 novembre 2015

Frodi sull’olio extravergine, Burdo (Dogane): “Il ministero delle politiche agricole? Non ci ha più convocati”

Da Il Fatto Quotidiano del 12/11/15
“Il ministero delle Politiche agricole? Non ci ha più convocato”. CosìRocco Antonio Burdo, direttore dell’intelligence antifrode dell’agenzia delle dogane, racconta a ilfattoquotidiano.it come icontrolli effettuati in Italia sull’olio dal 2009 ad oggi si siano fermati, anche a causa di uno stop da parte del dicastero. “Non c’è stata più occasione di riunirsi nel comitato di coordinamentopresso il ministero che, almeno per ciò che riguarda noi, si è interrotto. In sostanza, non ci ha convocato più nessuno”. Ma cosa aveva scoperto il pool anti frode di Burdo? Interventi presso società della miscelazione in Italia che potevano avere rilevanza investigativa, e che sono alla base del report che ha realizzato e consegnato non solo al dicastero guidato da Maurizio Martinama anche alla Commissione parlamentare di inchiesta sullacontraffazione, il cui vicepresidenteFrancesco Cariello (M5S) l’ha visionato e pochi giorni fa ne ha raccontato i contenuti ailfatto.it. In sostanza con solo il 16% di olive italiane alcuni marchi ottenevano per l’olio che vendevano il prestigioso riconoscimento dimade in Italy anche grazie a un presunto cartello italospagnolo.
Burdo dice di aver iniziato questa indagine nel 2009 “quando abbiamo individuato le prime distorsioni di flusso e le prime relazioni intersoggettive che riguardavano società italiane e spagnole, e abbiamo realizzato report di cadenza quasi annuale (2009, 2010, 2012) destinati al ministero”. In seguito è subentrata una “diversità di opinione tra Ministero delle politiche agricole ed Agenzia delle dogane, con l’interruzione delle attività di analisi partecipate che sono continuate solo dal punto di vista interno con segnalazioni alle nostre strutture territoriali per fare dei controlli mirati, ma i report destinati all’esterno dell’agenzia (ministero e Parlamento, ndr) sono fermi al 2013. Certamente il ministero a oggi ha in mano tre report almeno: del 2009, 2010, 2012”.
Ma chi e perché ha stoppato le indagini dell’intelligence anti frode? Burdo la definisce una “diversità di opinione e di indicazione tattica concretizzatasi nelle indicazioni date dal Ministero alle sue strutture e poi in quelle date dalla Dogana alle proprie”. In sostanza prima vi era “un comitato presso il Ministero che stabiliva un punto sinergico tra le istituzioni e noi realizzavamo le analisi per tutte le forze di Polizia e in presenza di elementi di rischio poi avremmofermato la spedizione sino all’esito del prelevamento campione”. Un passaggio che però ha “suscitato delle proteste da parte delle aziende e il Ministero ha lasciato intendere che si potesse procedere subito allo svincolo e attendere l’esito del prelievo campioni con la merce già partita, ma ciò ha comportato una stagione in cui 30 su 35 notizie di reato sono state fatte senza più il sequestro”. La conclusione è che “non c’è stata più occasione di riunirsi nel comitato di coordinamento presso il ministero che, almeno per ciò che riguarda noi, si è interrotto. In sostanza, non ci ha convocato più nessuno”.
Al danno di controlli interrotti si somma la beffa di una legge che sembrerebbe fatta ad hoc. Nel 2014, continua Burdo, “come effetto di una cultura che premia la scorrevolezza dei traffici a svantaggio dellacorrettezza, è intervenuta una legge promossa dall’onorevole Roberta Oliaro di Scelta Civica che ha vincolato l’amministrazione doganale a concludere il prelievo campione e l’analisi di laboratorio entro tre giorni”. Ma sull’olio in tre giorni non è possibile effettuare quei controlli “perché ciò che fa individuare l’irregolarità della dichiarazione di extraverginità è lavalutazione organolettico-sensoriale che si conclude proprio in minimo tre giorni”. Inoltre la legge prescrive indica “che del mancato rispetto dei quel termine di 72 ore ne risponde il funzionario doganale che ha disposto i controlli, per questo c’è un crollo delle attività di controllo, perché al quarto giorno il tutto avrebbe comportato una causa contro il controllore. E le aziende avrebbero potuto rifiutarsi di pagare le spese di stazionamento dei container dal quarto giorno in poi. Ciò ha così creato criticità valutate anche come un modo di disattendere la leggeitaliana. Nonostante una media di positività dei prelievi del 30% non ci è possibile fare il sequestro in quanto la spedizione è già partita”. E conclude: “Il nostro lavoro? Sta diventando impossibile. Rischia di diventare difficile farlo con decoro”.
La replica del ministero sostiene che “la nota delle Dogane di cui si parla è stata inviata al dipartimento competente del Ministero delle politiche agricole a febbraio 2012 nell’ambito del comitato previsto da un decreto ministeriale del 2003. Il comitato è stato però soppresso a seguito della soppressione generale di tutti i comitati decretata dal Governo Monti con la legge 7 agosto 2012”. E aggiunge che “la nota conteneva dati relativi all’import export di olio che l’Ispettorato repressione frodi del Ministero ha utilizzato in tutte le maggiori operazioni svolte nel 2014 a tutela del made in Italy (FuenteAliud per Olio,Olio di Carta) in cui sono stati usati anche quei dati, tra i molti altri, per mirare al meglio i controlli. La parte riguardante il mercato spagnolo, per presunte posizioni dominanti, afferiva invece all’ambito antitrust non di competenza del Ministero”. L’ultima comunicazione inviata al MIPAAF dall’agenzia delle dogane risale a giugno 2015.
twitter @FDepalo

Grecia, ecco perché scioperare oggi è sbagliato

Da Il Fatto Quotidiano del 12/11/15
Ha scritto Confucio che “per una parola un uomo viene spesso giudicato saggio, e per una parola viene spesso giudicato stupido. Dunque dobbiamo stare molto attenti a quello che diciamo”. E che facciamo.
Mille e più volte ho raccontato quali e quante distorsioni siano contenute nella gestione della crisi greca da parte della Troika, con prestiti scaduti, affari poco trasparenti, scelte discutibili. Tre anni dopo il mancato default, però, la parola d’ordine da utilizzare credo sia responsabilità. Lo sciopero generale che sta andando in scena in tutta la Grecia è sbagliato. Sindacati, ordini professionali, trasporti cittadini, aerei e navi si fermano per protestare contro il governo Tsipras, ma viene da chiedersi perché lo abbiano rivotato meno di due mesi fa. Forse non avevano letto il programma di Syriza che prevedeva al primo posto l’attuazione del terzo memorandum siglato nell’agosto scorso? Forse nessuno sapeva che senza compiti a casa non sarebbero stati assicurati altri prestiti miliardari (che non chiudono i conti, ma li peggiorano)? Forse chi in queste ore scende in piazza si aspettava come per magia che tutto potesse tornare come nell’anno delle faraoniche Olimpiadi, costare tre volte rispetto a quanto pattuito, dove non esistevano gare di appalti?
In Grecia, al netto delle storture politiche dell’Unione che non cessano come sul caso migranti, si continuano a non pagare le tasse: sino al giugno scorso si contavano sei miliardi di mancate entrate per l’erario. Si continua a importare l’85% dei prodotti di cui il paese necessita e non si investe in ambiti nuovi e diversi. Si gigioneggia attribuendo la colpa dello status quo solo a Bruxelles, a Berlino, agli americani, ai servizi, alla geopolitica, quando invece bisognerebbe allestire un tavolo dove condividere responsabilità e atteggiamenti.
E’ come se chi manifesta oggi sia in qualche modo colluso con un intero sistema che ha prodotto, assieme alla complicità secondaria dell’Ue, il danno a cui si assiste oggi. E’ lo schema seguito dalla penna di Nicola Mariuccini in “La prigione di cristallo” (Futura Edizioni) in una coinvolgente narrazione dove l’esperienza dellaviolenza domestica vissuta si fa “collusione” con l’aggressore. Mariuccini in un lunghissimo dialogo decide di accendere un focus sulla soggettività dei protagonisti che urlano tutta la loro voglia di libertà e autodeterminazione. Un racconto ambientato nella Grecia dei colonnelli, in un momento storico in cui i diritti umani erano solo sulla carta. Un po’come oggi quando il contesto socio politico legittima tutti i tipi di reazioni, anche uno sciopero inutile e mediaticamente deleterio contro quel governo che si è appena votato a tamburo battente.
La piazza dunque come lavatrice di coscienze e comportamenti, dove il mancato cambio di passo di una mentalità datata e assistenzialista è il principale freno ad un futuro che non sembra stagliarsi all’orizzonte: dove restano solo cirri sconfortanti e prestiti sempre più scaduti.
Twitter: @FDepalo

giovedì 5 novembre 2015

Romania, la piazza caccia il premier Ponta

Ieri Gezi Park, oggi Podgorica e Bucarest. Non solo per il rogo in una discoteca della capitale rumena, che ha fatto 32 morti e almeno 180 feriti, si è dimesso ieri il premier socialdemocratico Victor Ponta. Ma anche, o soprattutto, per il vento di protesta dei cittadini scesi in piazza contro corruzione e malaffare. Dopo il devastante incendio nella discoteca Colectiv (tra i feriti anche la 27enne studentessa italiana Tullia Ciotola), in 20mila hanno protestato contro l'esecutivo, accusandolo di incompetenza e corruzione. In molti vedono nell'incidente una vera e propria miccia in grado di far detonare un malessere diffuso contro governo e partito di maggioranza. I tre proprietari del locale infatti sono accusati di omicidio colposo per aver consentito la realizzazione di uno spettacolo di fuochi d'artificio durante il concerto nella discoteca, senza le necessarie cautele di sicurezza: secondo i manifestanti, la plastica raffigurazione del mancato rispetto delle regole da parte di una minuscola oligarchia.
Nonostante sia il più giovane premier della storia rumena, il 43enne Ponta è visto come simbolo di un sistema vecchio e consumato. Esattamente un anno fa si era candidato alla presidenza della Repubblica contro il Klaus Iohannis, membro del Partito nazionale liberale: vinse al primo turno. Ma a fare scalpore furono i presunti brogli sul voto dei rumeni all'estero. Quattro mesi fa è stato incriminato per corruzione. È accusato di falso, frode fiscale e riciclaggio durante gli anni di professione forense oltre a conflitti di interesse nell'esercizio delle funzioni di governo. I pm lo sospettano di aver creato fondi neri sui contratti fittizi per lavori mai svolti dal suo socio e avvocato Dan Sova. Primo ministro dal maggio 2012, è stato al centro di accuse di plagio in occasione della sua tesi di dottorato, copiata da uno studente di Catania. Quando era procuratore generale della Corte di Giustizia fu invischiato nel caso Panait, dal nome del pm deceduto nel 2002 quando fece un volo dalla finestra del terzo piano della sua abitazione.
Ponta lascia la testa del governo e a sostituirlo potrebbe essere il suo ex numero due al partito, Liviu Dragnea, meno compromesso con la giustizia. Secondo la Costituzione il nuovo governo deve essere formato dal partito con più seggi in Parlamento, ovvero i socialdemocratici, con i partner dell'Unpr. Se per due volte non vi dovesse riuscire, allora si andrebbe ad elezioni anticipate ma tutto lascia intendere che si troverà un accordo su un nome di garanzia. Alle urne si andrà l'anno prossimo e già scalda i motori il 48enne liberale Catalin Marian Predoiu, primo ministro ad interim della Romania dal 6 febbraio al 9 febbraio 2012, a seguito delle dimissioni di Emil Boc. Scossi i mercati, con la valuta locale che perde lo 0,3% sull'euro, il livello più basso dallo scorso agosto.

mercoledì 4 novembre 2015

Podgorica come Gezi Park e Bucarest: il caos

C’è un non più sottile filo che lega (presunte) democrazie, piazze in subbuglio e nuove strategie europee guardando a cosa sta accadendo alla dorsale balcanica e alla cosiddetta eurasia. Le piazze montenegrine e rumene, dopo il sangue versato in Turchia a Gezi Park, prendono coraggio e chiedono a gran voce un passo indietro da parte dei loro governanti. Ma al momento ricevono solo violenza e repressione.
In Romania 20mila cittadini in piazza per chiedere la testa del premier Ponta che si dimette, dopo sangue e morti per un incendio. A Podgorica i montenegrini non credono più nel premier Milo Djukanovic, al timone da un quarto di secolo e attenzionato in passato dalle procure di Napoli e Bari per contrabbando internazionale di sigarette: mai condannato perché coperto dall’immunità diplomatica.
Il paese, definito dall’US Foreign Affairs  uno “stato mafioso”, vive la sconvolgente situazione di scontri tra cittadini e forze dell’ordine, accaduti nel silenzio europeo per tutto il mese di ottobre a cui la polizia ha reagito con gas lacrimogeni lanciati contro migliaia di montenegrini.
Lo scorso 18 ottobre gli scontri sono avvenuti dinanzi al Parlamento di Podgorica, quando i manifestanti hanno cercato di sfondare un recinto di fronte alle forze di polizia, che si erano barricate. E mentre si assisteva al lancio di pietre e razzi, alcuni cittadini sono stati anche colpiti alla testa, mentre la piazza gridava “Milo ladro Milo! Ora è finita!”.
Djukanovic tre anni fa è stato rieletto premier per la terza volta ma negli ultimi due lustri le accuse di stampa e opinione pubblica su corruzione e malaffare sono aumentate esponenzialmente. Nel 2011 l’americana Securities and Exchange Commission ha accusato di tangenti Magyar Telekom Plc, il più grande provider di telecomunicazioni in Ungheria e tre dei suoi ex dirigenti: avrebbero pagato mazzette a politici del Montenegro e della Fyrom per impedire la concorrenza nel settore delle telecomunicazioni.
In seguito Magyar Telekom ha accettato di pagare una sanzione penale da 59 milioni di dollari come parte di un accordo raggiunto con il Dipartimento di Giustizia americano. E anche Deutsche Telekom come parte di un accordo di non-azione penale con il Dipartimento di Giustizia pagò una penale di 4,5 milioni di dollari.
A questo punto sembra che Djukanovic sia fermamente convinto e che la sua retorica anti-russa, infarcita da ambizioni pro Ue e pro Nato gli possa garantire un vaucher eterno che in qualche modo gli consenta di evitare i guai giudiziari. Non solo gli ungheresi, ma possibili guai giungono a Djukanovic anche da tre casi praticamente simili: la cipriota Ceac, l’olandese Msnn e l’italiana A2a che in Montenegro hanno perso milioni di euro.
Ma davvero l’Ue sarebbe così sprovveduta da cadere in un tranello del genere? Magari andrebbe ricordato il caso dell’ex primo ministro croato Ivo Sanader, che ha guidato il paese in Europa e nella Nato per poi essere condannato per corruzione a dieci anni di carcere, anche se pochi giorni fa quella pronuncia è stata annullata nello sdegno generale. Lo scorso luglio inoltre la Corte costituzionale croata, aveva annullato la sentenza di secondo grado ad otto anni e mezzo di reclusione per l’ex premier: era stato condannato per aver ricevuto una tangente di 10 milioni di euro dalla compagnia petrolifera ungherese MOL. Il suo scopo secondo l’accusa era far sì che la compagnia, nonostante possedesse meno del 50%  delle azioni dell’Industria petrolifera croata (INA), avesse voce in capitolo per quanto concerne la gestione.
Ma l’ex premier croato non è solo: procedimenti giudiziari sono in corso anche per il sindaco di Zagabria Milan Bandić, e soprattutto per il numero uno del calcio croato, il ceo della NK Dinamo, Zdravko Mamić. Entrambi sono a piede libero in attesa di processo: lo ha deciso il tribunale dopo il pagamento di una grossa cauzione.

Montenegro: i continui errori europei sulla piazza

Un altro silenzio. Dopo l’indifferenza europea nei confronti delleprimavere arabe, prima invocate e poi relegate a scomoda cornice, ecco che il vecchio Continente decide di non interessarsi della più grande protesta di piazza della storia del Montenegro, a due passi da casa nostra. Il paese balcanico, dopo 25 anni di regno targato Djukanovic, che governa più di quanto fatto da Alexander Lukashenko in Bielorussia, chiede con forza un cambio di passo.
Pochi giorni fa la polizia montenegrina su impulso del governo di Milo Djukanovic (in passato mai condannato per contrabbando milionario di sigarette solo perché già premier) ha sparatolacrimogeni sui manifestanti in piazza: chiedevano le suedimissioni e un esecutivo di garanzia che portasse il paese ad elezioni libere. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il possibile ingresso nella Nato e nell’Ue del Montenegro a cui Dukanović replica accusando Mosca della regia delle proteste. Un po’come faceva il presidente turco Erdogan che imputava al suo ex amico, il predicatore Gulen, le proteste di piazza: e solo per avere il potere di premere il pulsante della repressione.
Ma Djukanovic gioca la sua partita sul terreno dellacomunicazione e sa quello Ue e gli Usa vogliono sentirsi dire in questo momento: censurare pericoli di instabilità, incolpare qualcun’altro dei moti di piazza così come fatto da Erdogan a Gezi Park e rafforzarsi in questo modo agli occhi di Bruxelles e Washington. Il problema, però, è che al netto di strategie, simpatie e rapporti personali, il Montenegro è un paese dove i parametri democratici e relativi alla libertà personale e imprenditoriale non sono garantiti.
Le ragioni principali delle manifestazioni anti-governative risiedono nella povertà diffusa e nella corruzione. Quasi tutte le principali imprese industriali sono chiuse. Il tasso di disoccupazione è superiore al 15,5%. Le persone sono in fuga dal paese, nel tentativo di trovare una vita migliore in Ue. E, altra analogia con il governo di Ankara, i giornalisti di opposizione vengono quotidianamente attaccati e anche uccisi, come dimostra l’ex direttore del quotidianoDan, Duško Jovanović freddato da tre killer nel 2004, e definito il Čuruvija montenegrino: infatti Slavko Čuruvija direttore del Dnevni Telegraf e di Evropljanin fu ucciso a Belgrado l’11 aprile del 1999 e del processo poco o nulla si sa.
E ancora, il Foreign Office americano classifica il Montenegro come uno stato mafioso: ciò significa che alti funzionari del governo in realtà diventano veri e propri players in barba a tutte le regole di concorrenza e mercato. Lo stesso Djukanovic è stato indagato dalle Procure di Napoli e Bari per contrabbando internazionale di sigarette ma non ha pagato dazio in quanto aveva l’immunità diplomatica. Mentre nel 2009 l’italiana A2A ha pagato oltre 400 milioni di euro per il 51% della montenegrina Epcg che produce elettricità e oggi dopo sei anni sembra stia perdendo i propri investimenti. Proprio come accaduto alla cipriota Ceac e alla olandese Mnss.
Twitter: @FDepalo

lunedì 2 novembre 2015

Turchia, la straordinaria anomalia di Erdogan


Rigore è quando arbitro fischia, recitava un vecchio saggio del calcio come Vujadin Boskov, indimenticato allenatore della Sampdoria. Nel senso che metteva i puntini sui fatti e sull’oggettività, lasciando ad altri polemiche, recriminazioni e retropensieri. Il dato elettorale fuoriuscito dalle elezioni turche dello scorso fine settimana ha molti fatti dietro le urne, l’ultimo dei quali si chiama lotta all’Isis, ma che mi mescola con una serie di ingarbugliate vicissitudini, come la partita per i gasdotti, la nuova guerra fredda che si combatte in Siria tra Washington e Mosca, gli equilibri territoriali, l’esodo dei migranti e il nuovo ruolo degli Emirati, accanto all‘accordo raggiunto con l’Iran.

Turchia, dunque, centrale guardando al panorama mediorientale. Non bisogna però dimenticare che solo dodici mesi fa il governo di Erdogan fu scosso da un immenso scandalo di corruzione, con tre quarti dell’esecutivo coinvolto, finanche il figlio dell’attuale presidente, che con la sua Ong faceva secondo i Mm affari illeciti. Senza un passaggio parlamentare, Erdogan decise per rimpasto e poi elezioni, arrivando anche a minacciare la Magistratura, la stampa a pochi mesi dal bagno di sangue di Gezi Park.

Un altro fronte, silenzioso, si ritrova nell’aggressione turca al gas di Cipro, anche con minacce ad aziende italiane, e con la contemporanea presenza sino a pochi mesi fa in quello specchio d’acqua di una fregata russa, sei caccia israeliani, due navi oceanografiche turche e un sottomarino greco. In sostanza Ankara rivendica titolarietà sul gas presente nelle acque cipriote, ma senza il conforto della legge dal momento che ha invaso Cipro dal 1975 lasciandovi in loco 50militari nel silenzio di Onu e istituzioni internazionali.

La questione turca però sino a questo momento non è mai stata affrontata sino in fondo, in quanto si tratta di uno di quei rari casi in cui una posizione particolarmente strategica di un Paese, sotto il profilo militare e politico, produce una specie di bonus a vita. Alla Turchia sono stati condonati molti atteggiamenti che ad altri Stati non sarebbero mai ammessi? La risposta è sì. Ankara da un punto di vista strategico ha ricoperto il ruolo di partner basilare per l’Occidente impedendo l’uscita della flotta russa al di fuori dei Dardanelli. Come dire che il fatto di essere il cane da guardia piazzato lì a proteggere la strategia anti russa della Nato, di cui è membro, le ha consentito svarioni e atteggiamenti colonizzatori come accaduto a Cipro.

E incassando una sorta di bonus a vita, grazie al quale la comunità internazionale ha deciso di chiudere un occhio (anzi, due) dinanzi ad atteggiamenti che, altro non sono, se non una palese violazione dei diritti. Come il blitz nelle redazioni dei quotidiani anti Erdogan, la crociata contro i social network, sino alla violenza perpetrata senza ritegno contro curdi, armeni e greci del Ponto, passando per il silenzio sui massacri del passato come accaduto a Smirne nel 1922. Il sospetto è che quel plebiscito elettorale ottenuto ieri sia frutto più della paura di un altro caos in quella macroregione che di effettiva scelta politica.

twitter@FDepalo


domenica 1 novembre 2015

Olio made in Italy solo sulla carta: l’antifrode ipotizza il cartello, Parlamento secreta il dossier.

Un presunto cartello dell’olio italospagnolo che tiene bassi i prezzi, bypassa la qualità del prodotto ed elude le regole sulla concorrenza, ottenendo il marchio made in Italy pur avendo solo il 16% di olio italiano. Lo denuncia il nucleo di intelligence anti frode dell’Agenzia delle Dogane, che dal 2009 al 2013 ha redatto una serie di report che sono stati tutti secretati dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle contraffazioni. 
Il motivo? La presenza di profili giudiziari penalmente rilevanti anche perché coinvolgono stati esteri. Sui documenti in questione il ministero delle Politiche Agricole tace e preferisce non fornire spiegazioni a ilfattoquotidiano.it, che lo ha interpellato più volte. I report, tuttavia, sono stati scansionati dal deputato del M5S Francesco Cariello, che per legge ha diritto di leggerli in quanto vicepresidente della commissione sulle contraffazioni.
In sostanza lo stesso soggetto, che fa capo alla società iberica Deoleo, a sua volta controllata dal fondo di private equity Cvc (che ha acquisito marchi italiani come Carapelli, Bertolli e Sasso) vende e compra olio ottenendo il marchio made in Italy nonostante la provenienza non sia italiana, bensì Ue ed anche extra Ue (greco, spagnolo, tunisino, marocchino). Francesco Cariello ha raccontato a ilfattoquotidiano.it che nei documenti secretati l’intelligence denuncia che “uno stesso soggetto abbia acquistato noti marchi italiani rigorosamente toscani e umbri appartenenti al giro di una sola famiglia, i Fusi. E che “con solo il 16% di prodotto italiano guadagna il marchio made in Italy, mentre il restante 84% è di provenienza straniera”.

Un autogol in un momento già delicatissimo per via del fenomeno Xylella fastidiosa, che sta causando seri danni alla produzione di olio salentino, ma soprattutto un atto formale da parte di chi previene frodi per tutelare gli interessi nazionali, a cui la politica non presta l’orecchio. “Noi non sappiamo che olio consumiamo – è stata la denuncia del parlamentare 5 Stelle – perché mentre su tutti i prodotti di eccellenza italiana come ad esempio il vino si trova esattamente composizione e provenienza, sull’olio invece c’è solo un generico made in Italy, che non specifica la provenienza delle olive e che non consente all’Italia di ottenere i benefici economici che invece meriterebbe” in virtù delle proprietà organolettiche e polifenoliche uniche al mondo del suo olio.
Nello specifico, i controlli effettuati nell’anno 2014 dal nucleo anti-frode hanno confermato che il settore oleicolo italiano sia tra i più interessati da frodi commerciali. I rilievi penali sono stati già segnalati alle procure per reiterazione dei reati (art. 515 c.p.). Inoltre dall’analisi degli esiti delle indagini sono emerse una serie di incongruenze: si va dalle realizzazione di frodi commerciali compiute da filiere di aziende italo-spagnole alla miscelazione in Italia di olio spagnolo, tunisino, greco ed in minima parte italiano destinato a prodotti esportati come “olio extravergine di oliva”.
Non solo. Sono emerse anche alcune “correlazioni soggettive“, scrive il report, tra aziende italo-spagnole in grado di movimentare il 40% dell’intero interscambio commerciale in uscita dalla Spagna e ad un prezzo inferiore ai tre euro al chilo. Inoltre alcune realtà aziendali italo-spagnole “sono governate dalla stessa persona fisica” e al contempo risultano sia venditori che acquirenti di considerevoli quantitativi di olio d’oliva non italiano, ma importato da Spagna e Tunisia. Lo scorso 5 ottobre, a Expo, l’apposita commissione d’inchiesta sulla contraffazione ha diffuso i risultati del lavoro, tra cui le conclusioni sul cartello italospagnolo. Nella platea non c’era il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, che ha declinato l’invito. E successivamente ha preferito non fornire risposte alle domande de ilfattoquotidiano.it. Identica la decisione di Carapelli che, interpellato sull’argomento, ha preferito per il momento non replicare. “L’Italia – ha sottolineato Cariello – ha 350 cultivar, non poche decine come la Spagna per cui non si capisce perché dovremmo puntare alla quantità mortificando invece la qualità del nostro olio in grado di rappresentare una ricchezza unica per il Mezzogiorno”. Proprio per questo motivo, ha proposto un ordine del giorno in sede di approvazione del Disegno di legge (A.C.1864) intitolato “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013 bis” con cui chiede che venga istituita, presso il Ministero dell’Agricoltura, una banca dati rappresentativa delle diverse produzioni di oli extra vergini di oliva.

twitter@FDepalo

domenica 6 settembre 2015

Grecia, la beffa dei prestiti-truffa BNA. Tra i beneficiari ci sono i maggiori partiti


Si arricchisce l’inchiesta portata avanti dall’ex ministro anticorruzione Panagiotis Nikouloudis, il Cantone greco, che poco prima delle sue dimissioni ha scoperto una truffa ai danni della Banca Nazionale dell’Agricoltura, la ATE. In dodici anni ha elargito tremila prestiti (mai restituiti e senza valide motivazioni) per cinque miliardi di euro, così come riportato dal fattoquotidiano.it pochi giorni fa. Oggi a quello scandalo si aggiunge anche la lista dei beneficiari, pubblicata da Kostas Vaxevanis, il giornalista greco che nel 2012 per aver pubblicato la Lista Lagarde degli illustri evasori ellenici venne arrestato e processato per direttissima.

In quell’elenco figurano anche i due maggiori partiti politici greci, i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Dimokratia, esposti per ben 200 milioni mai restituiti. La banca, secondo la ricostruzione del ministro, è stata utilizzata come un “bancomat” permanente da tutti i governi greci dal 2000 al 2012, anno della crisi, per soddisfare una serie di bisogni, elettorali e di opportunità. Secondo Nikoloudis quei 5 miliardi hanno rappresentato il più grande scandalo pubblico dopo la nascita della democrazia moderna in Grecia. Prestiti con garanzie poggiate sulle spalle di amministrazioni locali e ministeri, mutuatari fittizi, che hanno contribuito al buco dell’istituto finanziario. Al momento emerge che non vi sarebbe alcun segreto bancario in merito, in quanto si tratta di denaro pubblico e di materia di interesse pubblico, per cui secondo fonti giudiziarie il prossimo passo dovrebbe essere quello dello screening bancario sui nomi coinvolti.

Tra i beneficiari dei prestiti anche undici grosse aziende che in Grecia hanno un peso specifico significativo, tanto politico quando comunicativo, per una cifra complessiva di un miliardo di euro. Come dire che un quinto dei prestiti hanno preso la via di note imprese presumibilmente legate, a doppia mandata e in maniera bipartisan, alla politica. Il tutto mentre il capitano della Nazionale di calcio, l’ex milanista Sokratis Papastatopoulos, sul proprio profilo facebook pubblica un endorsement per il leader dei conservatori Meimarakis.

Un panorama sconfortante a cui si aggiungono i dati relativi all’evasione fiscale, che in Grecia ha raggiunto la folle cifra di 37 miliardi nell’ultimo quinquennio. Secondo i dati forniti dalla Commissione Europea e pubblicati in Grecia da sparuti mezzi di informazione, negli ultimi cinque anni di applicazione del memorandum nulla è stato fatto per limitare le perdite per l’Erario ellenico. Il buco del gettito Iva si calcola in oltre il 30%, mentre la media degli altri paesi dell’Unione europea è di poco superiore al 15%. Nel 2009 la perdita di entrate potenziali erano al 34%, mentre nel 2010 il “buco” è stato limitato al 30%.

Tuttavia, nel 2011 ha raggiunto il livello di 38%. E mentre nel 2012 la perdita è stata ridotta a 33%, nel 2013 è aumentata al 34%. Nel 2009 le mancate entrate fiscali sono state di 7,5 miliardi di euro, nel 2010 6,9 miliardi di euro, nel 2011 9,1, nel 2012 altri sei e altrettanti nel 2013. Più di trenta miliardi, senza contare i dati del 2014 e del 2015. Relativamente allo scorso anno, dal consuntivo dello Stato emerge che le mancate entrate sono state di un miliardo di euro al mese, mentre nei primi sei mesi del 2015 il buco ha già raggiunto i sei miliardi di euro.

twitter@FDepalo

giovedì 3 settembre 2015

Grecia, nei sondaggi è testa a testa Syriza-conservatori. Alba dorata terzo partito


È testa a testa nei sondaggi tra Alexis Tsipras e i conservatori di Nea Dimokratia quando mancano 17 giorni alle urne anticipate in Grecia, le seconde in appena otto mesi e con i mercati ancora in fibrillazione: spread a 119 punti e avvio in rialzo per le borse europee nonostante i riverberi della crisi cinese. Non solo il premier uscente deve fare i conti con i 25 deputati che hanno formato un nuovo partito, Unità Popolare, ma anche la sua performance come capo del governo sta subendo dei contraccolpi significativi nell’immaginario collettivo ellenico, a vantaggio del segretario dei Neidemokrates.

Dalla sede di Koummoundourou, a seguito del tour di Tsipras a Creta, trapelano i primi timori reali, dopo che fino ad un mese fa il partito veleggiava al 36%. E questa sera in occasione del comizio di Tsipras ad Egaleo dovrebbe essere lanciato il nuovo slogan: “Vinciamo domani”, mentre domenica prossima nel tradizionale appuntamento della Fiera di Salonicco il leader in persona dovrebbe approfondire anche il lato economico davanti ad una platea di industriali.

Secondo la rilevazione “Gpo” Syriza è al 25,3% e ND al 25%, divisi da pochissimo. Sorpresa al terzo posto, staccatissimo: Alba dorata al 5,5%. Mentre gli scissionisti di Lafazanis, Laikì Enothita, sono solo al 4% ovvero a un soffio dal minimo. Tra i leader più graditi spicca però il nuovo segretario di Nea Dimokratia, Vaghelis Meimarakis (al 44,3% di gradimento) che supera Tsipras (fermo al 41,9%). Per il 58% degli intervistati ci sarà un governo di larghe intese, visto che nessuno dei partiti avrà la maggioranza assoluta. Nonostante ciò il 68% degli interpellati considera negativo l’accordo concluso dal governo uscente con i creditori internazionali, ovvero il nuovo memorandum da 86 miliardi. Altri due sondaggi (Alco e Pulse) confermano, anche se con numeri diversi di poco, il trend del primo: testa a testa tra Syriza e Nd, con Alba al terzo posto.

Come dire che nel giro di 30 giorni anche fra gli alti dirigenti di Syriza è maturata la consapevolezza che più di qualcosa è cambiato. Intanto mancano almeno 8 punti degli scissionisti, di cui forse 4 andranno certamente al nuovo partito di Lafazanis e altrettanti nel non voto. In più l’elettorato moderato e incerto, che lo scorso gennaio si era tuffato con convinzione nell’avventura di Syriza, è tentato dall’europeismo dei conservatori con qualche punta di dissenso che dovrebbe dirigersi verso Alba dorata, i cui vertici, scarcerati tre mesi fa per decorrenza dei termini, sono ancora in attesa di conoscere se saranno o meno rinviati a giudizio.

Fuori dai radar i socialisti, frammentati ormai in tre contenitori che rischiano di non portare in Aula nemmeno un deputato: il Pasok dato al 3%, il Kinima dell’ex premier Papandreou (ha annunciato che non si ricandiderà) e il Dimar. Chi annusa che le elezioni non si vinceranno con false promesse è il capo dei centristi di Potami, l’ex giornalista Stavros Theodorakis che attacca il memorandum (“non è sufficiente per portare la Grecia fuori del percorso disastroso. Dobbiamo rispettare l’accordo ma procedere a importanti riforme”) e invoca già da ora un governissimo con tutti dentro, “un esecutivo di unità nazionale per risolvere il dramma del popolo greco”.

Twitter @FDepalo

giovedì 27 agosto 2015

Grecia, varato il governo tecnico: primo premier donna, un 87enne agli Esteri


Giurerà questa sera il primo premier donna della storia democratica greca, il presidente della Corte suprema Vassilikì Thanos, chiamata dal capo dello Stato Procopios Pavlopoulos a risolvere l’impasse politica nel Paese. Troppo complessa la matassa degli incarichi ai tre capi dell’opposizione (così come prevede la Costituzione ellenica) dopo le dimissioni di Alexis Tsipras. Nessuno è riuscito a formare un governo con le attuali forze in aula e così il mandato verrà consegnato nelle mani dell’esperto giudice. Il nuovo esecutivo durerà in carica un mese, al solo fine di condurre la Grecia alle urne il prossimo settembre (il 20 o il 27).

Secondo le prime indiscrezioni, i ministri tecnici sarebbero l’80% dei nuovi, come banchieri, tecnocrati e magistrati. Agli Esteri dovrebbe andare l’87enne Petros Molyviatis, uno stretto collaboratore di Kostantino Karamanlis, già ministro degli esteri nel 2012 sotto il governo tecnico Pikrammenos e anche dal 2004 al 2006. Tecnocrate di lungo corso, è diplomatico di carriera, e ha servito nella delegazione permanente della Grecia presso l’Onu a New York, e la Nato a Bruxelles. Ha anche lavorato nelle ambasciate greche di Mosca, Pretoria e Ankara.

Agli Interni il costituzionalista Antonis Manitakis e alle Riforme il professore Antonis Makridimitris. In forte dubbio la permanenza di Euclid Tsakalotos alle finanze, dal momento che si fa strada l’ipotesi che venga sostituito da George Chouliarakis, uno dei principali negoziatori del governo greco nelle consultazioni con i creditori in questa prima metà del 2015: sarebbe il terzo cambio alle finanze in soli otto mesi che certamente non offre sollievo al versante economico, gravato oggi dalla notizia delle mancate entrate fiscali nei primi sei mesi del 2015 per 6 miliardi di euro. Segno che il meccanismo della riscossione delle tasse ancora non funziona a dovere nel Paese.

Intanto l’ex ministro delle finanze Yanis Varoufakis dice apertamente che sta riflettendo sulla possibilità di dare vita ad un movimento paneuropeo di respiro internazionale, che non si presenterà alle prossime elezioni. L’idea è di assembleare un pensatoio come le fondazioni Usa in attesa di capire i tempi politici ellenici. Lo scopo è dare fiato ad una rete europea anti memorandum e anti austerità contando su sponde economiche e sociali. Non ne farà parte l’ex sodale Tsipras che, di contro, esclude di essere premier in un futuro governo di coalizione, se le elezioni dovessero consegnare un quadro di ingovernabilità, così come è probabilissimo. Infatti anche il secondo sondaggio, diffuso in questi giorni dopo quello della Bild, evidenzia una differenza minima tra Syriza e Nea Dimokratia. Secondo le proiezioni di Greek Reporter al momento c’è un testa a testa fra i due partiti, con la sinistra di Tsipras che perde voti a causa della scissione.

“Non esiteremo a tornare alla moneta nazionale spingendo per il Grexit” replica proprio il leader di Unità Popolare, Panagiotis Lafazanis, dalla frequenze della tv americana Cnbs. L’ex ministro fuoriuscito da Syriza non perde occasione per accusare Tsipras: “Ha rinunciato a tutti gli impegni programmatici essenziali e fondamentali di Syriza – attacca – Ha accettato un finanziamento che prevede politiche distruttive, incluse le riduzioni degli stipendi e delle pensioni. È il colpo finale per l’economia greca”. La campagna elettorale è appena all’inizio.

sabato 22 agosto 2015

Grecia, sull’isola di Agathonisi numero di migranti supera quello degli abitanti. Ma mancano acqua e medici


Mentre sulla dorsale balcanica si assiste a continui scontri tra migranti e forze dell’ordine, è nell’Egeo che si concentrano la maggior parte degli arrivi di profughi dalla Siria. Soprattutto in quelle isole più prossime alla Turchia da dove, complici frontiere permeabili e scarsi controlli da parte delle autorità di Ankara, migliaia di disperati si imbarcano alla volta della Grecia.

Agathonisi è un atollo abitato da 150 persone nell’Egeo orientale, vicino a Samos: oggi i migranti superano il doppio degli abitanti ed è emergenza totale. Sull’isola non ci sono medici, né acqua, né infrastrutture capaci di fare accoglienza. Non ci sono centri di smistamento né campi per profughi. Addirittura le forze di polizia sono composte da un solo ufficiale che deve tentare di registrare i trecento arrivi. E la comunità locale sta cercando di affrontare il fenomeno con un drammatico appello dal sindaco dell’isola a istituzioni e Ong.

Il tutto mentre ad Atene, dopo i 2.400 arrivi di migranti che cercano fortuna nel centro della capitale, ecco altri 2.172 scaricati al Pireo dal traghetto “Elefterios Venizelos“, noleggiato dal governo ellenico per sopperire alla vera e propria invasione nell’isola di Kos, dove gli arrivi hanno superato le ottomila unità. Nel porto ateniese per scongiurare episodi simili a quelli accaduti a Kos e Lesbos (con tafferugli tra immigrati di diverse religioni e lancio di pietre e bombe carta) le forza dell’ordine hanno creato un cordone di sicurezza assieme alla Guardia Costiera al fine di garantire in modo sicuro lo sbarco dei profughi. Sono anche stati allestiti dei bus per trasportarli sino alle stazioni ferroviarie in periferia. La maggior parte dei rifugiati sono attesi nella Statmòs Larission per salire sul treno diretto a Salonicco. E poi da lì sino a varcare il confine settentrionale. Secondo fonti di sicurezza elleniche la stessa nave tornerà nell’Egeo orientale per prelevare altri profughi siriani dalle isole di Kos, Kalymnos, Leros e Samos.

“Ho una bomba tra le mani e lo stoppino è verso la fine”, ha detto il sindaco di Lesbo Spyros Galeno per attirare l’attenzione su quanto sta accadendo sull’isola. “Oggi siamo arrivati alla grande follia“, con riferimento al numero di migranti che tra arrivi e ripartenze non scende mai al di sotto dei mille, senza contare chi tenta la fuga a nuoto o si nasconde sull’isola stessa. Ieri mattina è annegato un 17enne a bordo di una vecchia barca, che si è rovesciata sugli scogli vicino la spiaggia di Thermi, mentre la Guardia Costiera ha salvato altri due dispersi che rischiavano di annegare. “Molti di questi siriani – aggiunge il sindaco – non hanno mai visto il mare nella loro vita, per non parlare di saper nuotare. Tuttavia i trafficanti delle coste turche promettono una traversata in tutta sicurezza. Ma purtroppo non è così”. E a Lesbo al momento, nonostante la spola del traghetto Venizelos, se ne contano ancora 8500.

Twitter: @FDepalo

mercoledì 29 luglio 2015

Grecia, chi sono i membri della nuova troika in azione ad Atene


La troika è tornata protagonista della crisi greca. Alexis Tsipras è passato in soli duecento giorni dall’addio a un nuovo benvenuto ai rappresentanti di Bce, Fondo monetario internazionale e Commissione Ue, arrivati in queste ore nella capitale ellenica per negoziare il memorandum sul piano di aiuti da 82-86 miliardi di euro. Mentre i colloqui ad alto livello ripartono, dal segretario al Tesoro americano Jack Lew, che nelle scorse settimane si è mosso per conto dell’amministrazione Obama con l’obiettivo di riportare al centro dei negoziati la ristrutturazione del debito, è arrivata la richiesta a tutti i protagonisti di adottare un “approccio pratico”.

Ma chi sono i destinatari dell’appello statunitense, i nuovi interpreti della cosiddetta trimurti? Rasmus Ruffer, Declan Costello e Delia Velculescu, a cui si somma un quarto funzionario: l’italiano Nicola Giammarioli, responsabile del Meccanismo europeo di stabilità (Esm), il nuovo fondo salva Stati d’Europa.

Ruffer, rappresentante della Banca Centrale Europea, è stato membro della troika in Portogallo. Di lui, nel 2012, Arménio Carlos, segretario generale della Confederação Geral dos Trabalhadores Portugueses disse: “Questi signori si comportano come dei robot. Sono venuti qui con una missione e, potete starne certi, la missione non è quella di aiutare il Portogallo. Sono qui per aiutare i mercati”. In quella circostanza Ruffer lavorò su una piattaforma che prevedeva: la cancellazione di ogni vincolo al licenziamento e riduzione degli indennizzi; l’allargamento dei contratti precari e cancellazione della contrattazione collettiva; il taglio dell’indennità per straordinari e per i giorni di riposo; il taglio delle 4 giornate festive; l’allungamento della giornata lavorativa fino a 12 ore al giorno e fino a 60 ore settimanali; il taglio del giorno di riposo compensativo e soprattutto del sussidio di disoccupazione per il 20%. Fu lui insomma a premere il pulsante del Memorandum of Understanding on specific economic policy conditionality nonostante i salari del Paese fossero già tra i più bassi d’Europa.

L’ambasciatore Ue Costello, irlandese classe 1967, è dal 1991 in Commissione Europea. Dal 2012 al 2014 ha diretto il dipartimento della direzione F che comprende le Economie degli Stati membri. Come dire che il dossier crisi, alla voce Paesi Piigs, è stato analizzato e vergato proprio da lui. Si è occupato di redigere le previsioni degli sviluppi economici e delle prospettive finanziarie, per monitorare la conformità con i requisiti del Patto di stabilità e della crescita. Quando lo scorso 19 marzo il Parlamento greco approvò con una straordinaria maggioranza di due terzi, le misure per sostenere le 300mila famiglie in povertà con circa 200 milioni di euro, da Bruxelles Costello si indignò e sentenziò: “Non ci avete chiesto il permesso, è un atto unilaterale”. Le cronache riportano che lo scorso 29 dicembre una squadra di tecnici della troika arrivò ad Atene per controllare il programma di risanamento attuato dall’allora governo Samaras e preparare la strada al ritorno del pool capeggiato proprio da Costello. Già sette mesi fa, quindi, al centro dello scanner dei creditori c’era il buco nel bilancio che, secondo la troika, superava i due miliardi mentre, per il ministero delle Finanze greco di allora (guidato da Ghikas Hardouvelis), non era sopra ai 980 milioni.

A capo della missione 2015 dei creditori c’è una donna, degna interprete del Lagarde pensiero (e stile): il membro del Fondo Monetario Internazionale, già ribattezzata “la donna che sta facendo tremare la Grecia”. Si tratta dell’economista rumena Velkouleskou nata nei Carpazi, madre di tre figli e moglie di un rinomato ricercatore di oncologia. Nel suo recente passato ha curato il caso Cipro dal 2013 a ieri. E’ sua la mano che ha azionato il prelievo forzoso su alcuni conti correnti per ottenere i prerequisiti grazie ai quali, poi, i creditori internazionali hanno concesso il prestito a Nicosia. Deve ora gestire il fil rouge più delicato dei tre, dal momento che paradossalmente oggi il Fondo è sulle stesse posizioni dell’ex ministro Varoufakis  secondo le quali il debito ellenico non è sostenibile, tesi da sempre avversata dal ministro tedesco Wolfgang Schaeuble che ha minacciato anche di dimettersi, piuttosto che cambiare idea.

@FDepalo

sabato 11 luglio 2015

Ok del Parlamento a Tsipras. Ma la maggioranza e Syriza sono a pezzi

E’ caos politico in Grecia: il governo è “con le gambe all’aria” scrivono oggi alcuni quotidiani greci. Alexis Tsipras conquista il sì del Parlamento al terzomemorandum della crisi, già molto gradito a Bruxelles, ma di fatto cambia la maggioranza che lo sostiene aprendo a scenari nuovi: 32 deputati - tra destrorsi diAnel alleati al governo e syrizei duri e puri – non lo votano, mentre ben 100 sì giungono dai banchi delle opposizioni. 
Fonti del partito lasciano intendere che ci potrebbero essere anche dimissioni di alcuni ministri contrari all’austerità, prima combattuta nel famoso programma di Salonicco e in campagna elettorale “e ora accettata supinamente nonostante il no al referendum”.
Hanno risposto paròn (presente) 17 deputati di Syriza su 149 alla votazione, ufficialmente astenendosi (in totale sono 32) ma di fatto aprendo una questione politica in seno alla maggioranza di governo. Oltre all’ex ministro Yanis Varoufakis, al sole dell’isola di Egina per un weekend con moglie e figlia, ci sono i fedelissimi come il capo del correntone di Iskra Panagiotis Lafazanis, ministro dell’energia e uomo di raccordo con Mosca, la presidente della Camera Zoì Kostantopoulou (assieme a Dimitris Stratoulis, Costas Lapavitsas, Stathis Leoutsakos) che in questa sorta di voto di fiducia sul governo stanno dalla parte opposta a quella del premier. Il partito è per la prima volta in subbuglio. Il ragionamento che si fa al sesto piano della sede di Koumoundourou è che se il mandato elettorale dello scorso gennaio e ancor più quello del referendum di appena sei giorni fa erano contro nuove forme di austerità, come giustificare oggi un altro piano lacrime e sangue, con aumenti di Iva, Imu sugli immobili e tasse di vario genere?
E’quasi l’alba quando Tsipras dirama una nota in cui sottolinea che il Parlamento ha dato al governo un mandato forte per completare i negoziati e raggiungere un “accordo economicamente sostenibile e socialmente giusto”. Quest’ultimo è il punto controverso, su cui il dibattito interno a Syriza è montato sin dalle settimane precedenti al referendum e sui cui, alla fine, si è poi consumata anche la rottura (politica e umana) con Varoufakis.
Poco prima ecco la bordata di Lafazanis: “Ho espresso la mia opposizione profonda e inequivocabile a una proposta che minaccia di estendere la custodia esterna del mio Paese. Io sostengo il governo, ma sostenere un programma di austerità, neoliberale e deregolamentato non farà altro che aggravare il circolo vizioso di recessione, povertà e miseria”. 
Una dichiarazione di sfiducia piena al piano che invece è stato votato da 100 deputati centristi, socialisti e conservatori dell’opposizione (in totale 251 favorevoli, 32 contrari, 8 astenuti). Prima del voto c’è stato anche un documento siglato da quattro deputati di Syriza (Dimitris Kodela, Vassilis Kiriakakis, Eleni Sotiriou e Claus Chatzilamprou) in cui scrivono che il governo ha chiesto il loro appoggio per “un terzo memorandum preparato su richiesta della Troika”.
Se le critiche al piano appena votato dovessero realmente trasformarsi in passo indietro di alcuni ministri, ecco che Tsipras sarebbe costretto ad un rimpasto di governo, ma aprendo necessariamente a chi gli ha consentito di tornare a trattare con i creditori: i centristi di Potami, i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Dimokratia.
Che, a quel punto, su sponda del presidente della Repubblica, pretenderebbero un nuovo esecutivo di larghe intese con tutti dentro, sognando addirittura un nuovofrontman (il giornalista Stavros Theodorakis, capo del Potami). “Ma se siamo stati eletti per cambiare tutto – si chiedeva ad alta voce un dirigente di Syriza prima dell’ennesimo caffè – come potremo adesso fare un governo con gli amici della troika che hanno governato dal 2011 a ieri?”.

mercoledì 8 luglio 2015

Vita ad Atene dopo il referendum: pochi soldi in tasca e cibo razionato

Senza soldi dai bancomat, con la Borsa ancora chiusa e senza commesse dall'estero. Cittadini e piccoli commercianti in Grecia si svegliano dall'euforia post referendaria, ma subito dopo piombano nell'incubo della quotidianità. Come si fa ad andare avanti con le banche chiuse e senza liquidità?
La maggior parte della gente comune, non quella che guadagna col turismo, è corsa ai ripari e sta razionando cibo in casa e pochi euro in tasca, altri si preparano al peggio.
Eleftherìa confessa di avere in cassaforte qualche migliaio di dollari. Le sono avanzati alcuni anni fa dopo il suo viaggio di nozze a Miami e «oggi potrebbero tornare molto utili se le maledette banche non dovessero riaprire». Babis ha due camion frigo ed è appena partito da Patrasso per la Germania via Italia, ma rischia di non arrivare a destinazione perché non può utilizzare la sua carte di credito per fare gasolio e per pagare le autostrade.
«Vogliono solo contanti da noi greci, - racconta sua madre che ieri ha avuto un malore per lo stress - ma il viaggio di mio figlio fino a Rostock costa 5mila euro e come si fa a mettere tanti soldi in tasca se il bancomat ci dà solo briciole?». Un falso problema, dice invece senza peli sulla lingua Pavlos: «Ma quale emergenza, da Natale abbiamo già ritirato un sacco di soldi dalle banche. Quelli che fanno la fila oggi sono solo i pensionati».
Non la pensa così Sissy, che gestisce una pasticceria con le sue sorelle alla periferia di Atene. Prima della crisi, alle 11 del mattino aveva esaurito quasi tutti i suoi dolci, oggi invece preferisce «fare meno torte e biscotti, perché quasi ogni giorno avanzano invendute, ma più pane e pizze così ciò che resta lo porto a casa e anche ai miei vicini: servono idee originali quando si è nelle nostre condizioni».
Per avere il polso della Grecia serve però spostarsi in provincia. Takis gestisce un fondo di famiglia a Edessa, in Macedonia. Le sue pesche sino allo scorso anno prendevano la via dell'estero, su tutti il redditizio mercato russo. Ma oltre alle sanzioni che gli hanno precluso di guadagnare parecchi rubli, ecco oggi le ristrettezze del fronte interno. «Non le compra nessuno e piuttosto che gettarle vie ne ho regalato qualche cassetta ai bisognosi - dice - ma al di là del bel gesto che ho fatto non vedo alcuna prospettiva. Cosa farò? Qui qualcuno inizia a prestare i terreni per le discariche abusive».
L'atmosfera nel Paese sta cambiando e non solo da domenica sera in poi. Gli indigenti sono in drammatico aumento, così come gli imprenditori in rosso che rappresentano oggi un terzo dei nuovi poveri. Si iniziano persino a rubare le cassette di api che gli apicoltori lasciano da anni, incustodite, sul ciglio delle strade di montagna e che fino a oggi mai nessuno ha osato toccare. Ieri a Stylida, nella Grecia centrale, un agricoltore 45enne si è impiccato nel terreno dove coltivava pochi ulivi. La pressione delle ultime ore, mescolata alla depressione da crisi, lo ha portato al peggio.
A dare ragione alla tesi del Telegraph , secondo cui le banche greche riapriranno solo dopo aver stampato dracme, ci pensa Vassilikì. È proprietaria di alcuni bungalow a Ghìtion, nel Peloponneso, che affitta ai vacanzieri ed è convinta che con una nuova moneta, svalutata e fiscalmente sexy, le cose cambieranno. «Pagare più tasse? E perché? Non credo più all'euro, mi aspetto che la vecchia moneta attiri investitori stranieri e nuove opportunità, leggo tante cose sugli amici russi, sarebbero i benvenuti qui». In questi giorni si fa pagare solo cash e sta raccogliendo dollari, euro, yen e rubli: «Non si sa mai che possano tornarmi utili, tra qualche tempo». O addirittura domani.
Twitter: @FDepalo