sabato 22 febbraio 2014

Perché l’eroe d’Europa è greco

Eroe d’Europa o errore d’Europa? Il simpatico teatrino semantico ha accompagnato un ragionamento ad ampio raggio tra il crac di Lehman nel 2008 e il primo riverbero nel vecchio continente con il quasi default ellenico, che in uno scenario altamente indicativo come il Centro Studi Americani di Roma è stato affrontato da vari “punti cardinali”. La visione nord europea, con la difficoltà di quei cittadini di serie A nel comprendere perché prestare denaro a chi non è e non sarà in grado di restituirlo; la versione mediterranea, con la massiccia consapevolezza che proprio per non avere più né somari né primi della classe che schiacciano gli altri, occorre un nuovo euro-rinascimento che parta dalle intellighenzie; e la visione di chi immagina un punto di rottura nelle prossime elezioni europee di maggio, quando i partiti anti euro e anti Ue potrebbero ottenere un risultato clamoroso, costringendo l’intero sistema ad evolversi.

Greco-eroe d’Europa (Albeggi edizioni) non è solo il titolo del mio libro che è stato presentato ieri nel prestigioso istituto americano a Roma, ma è un auspicio, con tanto di prove date dalla storia, recente e lontana. Ha scritto Zygmunt Bauman che «L’Europa non è un tesoro che va scoperto ma una statua che deve essere scolpita». I greci sono un popolo assolutamente peculiare. Non amano essere comandati, non possono subire inquadramenti rigidi, non hanno un ordine mentale prestabilito. Vivono di impulsi, di slanci, di attriti, di faide, di campanilismi, così come la storia ci ricorda. Guardare ai fatti di ieri per decifrare quelli di oggi può risultare un esercizio utile per snocciolare cosa si nasconde effettivamente nell’animo greco.

Lì dove per un momento sembra che regni solo il caos di problematiche o la confusione di soluzioni si possono scorgere invece i contorni della chiave per aprire il libro delle risposte. Gli esempi di eroismi, del passato lontano e più recente, servono per radiografare la mentalità ellenica che fin qui nessuno ha analizzato, fermandosi solo a trattare Pil, spread o quantificazioni dei debiti. Invece non è solo con dati alfanumerici o previsioni di bilancio che si può spiegare questa grande crisi che non è meramente ellenica. Sbagliato e controproducente non capire come dall’Egeo sia partito il segnale di allarme per un’intera visione che semplicemente oggi non si sposa più con i parametri di questo mondo. Giorgio La Pira, politico italiano, sindaco di Firenze, terziario domenicano, ebbe a dire: «Nel destino del Mediterraneo, la tenda della pace» quasi a voler intendere che la risposta è nel mare nostrum, non per una volontà romantica o per un tentativo meridionalistico di risolvere i nodi, bensì perché fisiologicamente non può che essere quello il baricentro di un continente che per la smania di dati e trend ha perso la meta più preziosa: una visione.

E allora quali le nuove lenti da inforcare per “leggere” le pagine che fin qui in moltissimi hanno scelto di ignorare? Le storie di coraggio degli eroi ellenici, da Leonida a Glenzos, da Vaxevanis a Markaris, possono essere un’occasione per scardinare silenzi e cecità, per mettere un po’ di sale lì dove la ferita brucia di più: per prendere coscienza di come siano gli uomini, e non i numeri, a contenere al proprio interno la meta agognata che nessuno ha ancora raggiunto.

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lunedì 17 febbraio 2014

Alexis Tsipras: fate largo allo scompaginatore euromediterraneo

Quando nella primavera del 2012 seguivo alla radio greca ERT (quella che la troika ha chiuso) gli exit poll per le elezioni che si erano tenute in quelle ore drammatiche, per la Grecia e l’intera eurozona, nell’aria c’era un forte profumo di gelsomino. Mi trovavo nella Piana delle Termopili e una ventata di aria fresca spirava ogni qual volta un ragazzo pallido, ma con la faccia comune e pulita, teneva i suoi comizi: dal Peloponneso alla Calcidica, passando dalle infuocate piazze di Atene, che di lì a pochi mesi avrebbero visto persino il grande compositore Mikis Teodorakis impegnato nel lancio di yogurt contro il Parlamento piegato alla troika.

Alexis Tsipras, che l’Italia ha favorevolmente scoperto da qualche mese, la sua rivoluzione già l’ha fatta due anni fa, patendo dal 3% di consensi e arrivando a far tremare lo storico partito socialista del Pasok, giunto oggi al minimo di tutti i tempi: 6%. Chissà cosa direbbe il vecchio Andreas Papandreou senior, padre-padrone della Grecia per quattro lustri, equilibrista al di qua e di là degli oceani, e compagno di partito di Kostas Simitis, il professore che ha traghettato la Grecia dalla dracma all’euro, con i risultati che sappiamo. E contando, in quel pool di super esperti, anche sulla preziosa collaborazione dell’allora giovanissimo Ioannis Stournaras, nel frattempo diventato ministro dell’Economia sotto la troika che governa oggi Atene e in procinto di occupare la poltrona più alta della Banca di Grecia.

I detrattori dell’operazione Tsipras asseriscono che comunque in quel caos che è oggi l’Ellade qualsiasi agitatore di piazza avrebbe avuto il proprio palco, ben illuminato di luci e di flash. Errore. Perché anche altri, con mezzi differenti e poco democratici, hanno tentato la strada del populismo pubblicitario, con un epilogo differente. Nessuno sa al momento quante reali chanches ha Tsipras di vincere la sua corsa “euro mediterranea” di maggio, né si può scommettere una dracma (sì, in questo caso meglio il vecchio conio del classico cents. di euro) su come finirà la nuova battaglia delle Termopili 2.0 che la Grecia tutta sta combattendo: da sola, senza armi e scudi, fronteggiando il nuovo esercito di Serse che prende il nome di troika. Una cosa però è acclarata: i cittadini europei, anche quelli di serie A che risiedono sopra le Alpi, stanno iniziando a preoccuparsi e a riflettere in quale diavolo di girone infernale siano finiti. Anche chi presta denaro è dubbioso sulla capacità di averlo indietro. Era questa la casa comune continentale immaginata da Spinelli, Adenauer, De Gasperi? No, tutt’altra.

Come ha scritto Jean Starobinski, critici sono quei giorni in cui una patologia evolve verso la guarigione o la degenerazione. La Grecia è idratata e alimentata forzatamente da Bruxelles e Berlino, nonostante sia un vegetale, condannata a pagare in eterno un debito che tutti sanno non sarà in grado di onorare. E’come se, tornando al 480 aC, Serse non solo avesse vinto facilmente contro Leonida, ma poi fosse passato indenne a Salamina e Platea, condannando Ellade ed Europa ad un giogo millenario. Alla fine della fiera forse non ci avrebbe poi guadagnato granché.

La luce in fondo al tunnel? Al netto di nomi e sigle, un concetto: urge un rinascimento euro mediterraneo che parta dalle intellighenzie, che si sviluppi attraversi i canali civici e culturali, e prenda il bastone di comando strappandolo con vigore a chi sta affossando carni e volti. Anziché maledire il buio, recita un detto cinese, accendere una candela. La prima fiammella l’ha piazzata un ragazzo nato ad Atene il 28 luglio di un caldissimo 1974. Il tempo dirà se resisterà alle folate di vento teutonico.

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domenica 16 febbraio 2014

Quando Atene comprava carri armati inutili con le tangenti tedesche

Da un lato Berlino impone alla Grecia memorandum lacrime e sangue e tagli praticamente a tutti i settori, dall'altro «caldeggia» l'acquisto miliardario di tank e sommergibili.
È quanto emerge dalle ricostruzioni che l'ex direttore della Difesa ellenica, Antonis Kantas, sta fornendo ai magistrati che indagano su un vorticoso giro di tangenti sull'asse Berlino-Atene, che gli avrebbero fruttato svariate mazzette per l'acquisto di carri armati tedeschi nel 2001.
Nel «Pentagono ellenico» un funzionario come Kantas avrebbe accumulato circa 19 milioni di dollari in un lustro, secondo quanto riportato dal New York Times. Ecco che dopo lo scandalo Siemens, un altro fronte tangentizio si apre in Grecia con sullo sfondo anche 170 carri armati Leopard, per i quali Kantas avrebbe ricevuto un totale di 1,7 milioni di euro da un intermediario greco ma di cui poi il Paese non avrebbe neanche acquistato i proiettili, in un trionfo di corruzione improduttiva di proporzioni macroscopiche. Il tutto emerge nelle stesse ore in cui i dati dell'Ue si soffermano sui 60 miliardi della corruzione italiana senza che quei numeri siano però confermati dalla Corte dei Conti e non menzionando incredibilmente il sistema ellenico che Kantas sta svelando agli inquirenti.
Il funzionario dovrà rispondere di riciclaggio di denaro, condotta fraudolenta ai danni dello stato greco, corruzione e falso ideologico. È la prima volta che, dall'interno del sistema, un ingranaggio decide di collaborare, a quasi due anni dall'arresto di Akis Tzogatzopulos, ex ministro della Difesa e braccio destro di Andreas Papandreou, padre padrone socialista della Grecia per vent'anni. Dal maggio 2012 è agli arresti accusato di tangenti per la fornitura di armi, che avrebbe riversato in società off-shore per almeno 100 milioni di euro. E contribuendo ad allargare a macchia d'olio il buco strutturale nelle finanze elleniche che ha causato l'intervento della troika.
Ma è il racconto di quelle tangenti a colpire per esosità di risorse e facilità con cui i funzionari greci dicevano sì ai commercianti tedeschi. Come quando Kantas ha ammesso dinanzi ai magistrati di aver incassato talmente tante tangenti da non ricordarne più dettagli e importi precisi. O come quando, in occasione di quei tank, di fronte alle iniziali perplessità di Kantas, il suo interlocutore gli avrebbe lasciato sul divano dello studio una borsa con 600mila euro in contanti, su un acquisto complessivo di 2,3 miliardi.
Dalle deposizioni emerge, oltre al reato in sé, l'oltraggio con cui i corruttori esercitavano pressioni per corrompere il funzionario di un Paese che acquistava armi contraendo prestiti che in seguito, così come si è visto, non sarebbe stato in grado di onorare. Svariati erano gli emissari che bussavano alla sua porta: tedeschi, francesi, svedesi, olandesi che negli ultimi dieci anni hanno venduto alla Grecia armi per la folle cifra di 68 miliardi dollari. Vi sarebbero anche caccia bombardieri senza sistema di guida elettronico e pagati più di 4 miliardi di euro, oltre a sottomarini rumorosi che non sono ancora ultimati e riposano nei cantieri Skaramangas fuori dal Pireo, il porto ateniese. Senza dimenticare un altro sommergibile con un gravissimo difetto al timone (pendeva a destra) che il governo ordinò da Berlino. Inoltre al culmine della crisi, quando non era chiaro se la Grecia sarebbe uscita dall'eurozona, il Parlamento approvò irresponsabilmente il pagamento di 407 milioni di dollari per i sommergibili tedeschi.
Ma come si è giunti a Kantas? Punto di partenza è la Lista Lagarde, l'elenco di illustri evasori ellenici da cui venne fuori che due impiegati di una grande banca tedesca e altrettanti di una francese avevano il compito di «ricevere» fondi neri dalla Grecia, che giungevano in loco in enormi valige zeppe di denaro contante. Da quella lista, dove ci sono svariati ministri, politici, imprenditori e giornalisti, vanno depennati quattro nomi: l'ex ministro Leonidas Tzanis, trovato nella sua casa di Volos impiccato nell'ottobre del 2012; l'ex ministro della Difesa Tzogatzopulos, arrestato e sotto processo; il mercante d'armi e suo sodale, Vlassis Karambouloglu, trovato morto a Jakarta in una stanza d'albergo lo scorso anno; e l'ex numero uno della polizia tributaria, Yannis Sbokos, coinvolto proprio nel processo a Tzogatzopulos. Due in manette e due passati a miglior vita. Almeno per ora.

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giovedì 13 febbraio 2014

Quando Atene comprava carri armati inutili con le tangenti tedesche

Da un lato Berlino impone alla Grecia memorandum lacrime e sangue e tagli praticamente a tutti i settori, dall'altro «caldeggia» l'acquisto miliardario di tank e sommergibili. È quanto emerge dalle ricostruzioni che l'ex direttore della Difesa ellenica, Antonis Kantas, sta fornendo ai magistrati che indagano su un vorticoso giro di tangenti sull'asse Berlino-Atene, che gli avrebbero fruttato svariate mazzette per l'acquisto di carri armati tedeschi nel 2001.
Nel «Pentagono ellenico» un funzionario come Kantas avrebbe accumulato circa 19 milioni di dollari in un lustro, secondo quanto riportato dal New York Times. Ecco che dopo lo scandalo Siemens, un altro fronte tangentizio si apre in Grecia con sullo sfondo anche 170 carri armati Leopard, per i quali Kantas avrebbe ricevuto un totale di 1,7 milioni di euro da un intermediario greco ma di cui poi il Paese non avrebbe neanche acquistato i proiettili, in un trionfo di corruzione improduttiva di proporzioni macroscopiche. Il tutto emerge nelle stesse ore in cui i dati dell'Ue si soffermano sui 60 miliardi della corruzione italiana senza che quei numeri siano però confermati dalla Corte dei Conti e non menzionando incredibilmente il sistema ellenico che Kantas sta svelando agli inquirenti.

Il funzionario dovrà rispondere di riciclaggio di denaro, condotta fraudolenta ai danni dello stato greco, corruzione e falso ideologico. È la prima volta che, dall'interno del sistema, un ingranaggio decide di collaborare, a quasi due anni dall'arresto di Akis Tzogatzopulos, ex ministro della Difesa e braccio destro di Andreas Papandreou, padre padrone socialista della Grecia per vent'anni. Dal maggio 2012 è agli arresti accusato di tangenti per la fornitura di armi, che avrebbe riversato in società off-shore per almeno 100 milioni di euro. E contribuendo ad allargare a macchia d'olio il buco strutturale nelle finanze elleniche che ha causato l'intervento della troika.
Ma è il racconto di quelle tangenti a colpire per esosità di risorse e facilità con cui i funzionari greci dicevano sì ai commercianti tedeschi. Come quando Kantas ha ammesso dinanzi ai magistrati di aver incassato talmente tante tangenti da non ricordarne più dettagli e importi precisi. O come quando, in occasione di quei tank, di fronte alle iniziali perplessità di Kantas, il suo interlocutore gli avrebbe lasciato sul divano dello studio una borsa con 600mila euro in contanti, su un acquisto complessivo di 2,3 miliardi.

Dalle deposizioni emerge, oltre al reato in sé, l'oltraggio con cui i corruttori esercitavano pressioni per corrompere il funzionario di un Paese che acquistava armi contraendo prestiti che in seguito, così come si è visto, non sarebbe stato in grado di onorare. Svariati erano gli emissari che bussavano alla sua porta: tedeschi, francesi, svedesi, olandesi che negli ultimi dieci anni hanno venduto alla Grecia armi per la folle cifra di 68 miliardi dollari. Vi sarebbero anche caccia bombardieri senza sistema di guida elettronico e pagati più di 4 miliardi di euro, oltre a sottomarini rumorosi che non sono ancora ultimati e riposano nei cantieri Skaramangas fuori dal Pireo, il porto ateniese. Senza dimenticare un altro sommergibile con un gravissimo difetto al timone (pendeva a destra) che il governo ordinò da Berlino. Inoltre al culmine della crisi, quando non era chiaro se la Grecia sarebbe uscita dall'eurozona, il Parlamento approvò irresponsabilmente il pagamento di 407 milioni di dollari per i sommergibili tedeschi.

Ma come si è giunti a Kantas? Punto di partenza è la Lista Lagarde, l'elenco di illustri evasori ellenici da cui venne fuori che due impiegati di una grande banca tedesca e altrettanti di una francese avevano il compito di «ricevere» fondi neri dalla Grecia, che giungevano in loco in enormi valige zeppe di denaro contante. Da quella lista, dove ci sono svariati ministri, politici, imprenditori e giornalisti, vanno depennati quattro nomi: l'ex ministro Leonidas Tzanis, trovato nella sua casa di Volos impiccato nell'ottobre del 2012; l'ex ministro della Difesa Tzogatzopulos, arrestato e sotto processo; il mercante d'armi e suo sodale, Vlassis Karambouloglu, trovato morto a Jakarta in una stanza d'albergo lo scorso anno; e l'ex numero uno della polizia tributaria, Yannis Sbokos, coinvolto proprio nel processo a Tzogatzopulos. Due in manette e due passati a miglior vita. Almeno per ora.

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Crisi greca, la mossa disperata di Atene: una tassa sui chilometri percorsi in auto

Mentre il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble chiude definitivamente ad un possibile taglio del debito greco, così come era stato ventilato all’inizio dell’anno, il governo di Atene, d’intesa con la troika, s’inventa un altro assurdo balzello: la tassa sui chilometri. A partire dal 2015 uno speciale gps montato su ogni autovettura, quindi con un costo in più tra installazione e manutenzione, rileverà quanti chilometri percorrerà ogni cittadino nell’arco dei dodici mesi, così da corrispondere all’erario il dovuto.

Un’ulteriore partita di giro non risolutiva che si abbatte su cittadini e imprese, con riverberi precisi soprattutto tra i commercianti e tra chi utilizza il trasporto su gomma come attività lavorativa. Ma l’esecutivo di Antonis Samaras ha deciso di non prestare ascolto alle proteste delle categorie produttive e di cittadini stremati da tre memorandum, e prosegue per la sua strada, imitando l’Olanda: per cui da un lato potrà essere ridotta la tassa di circolazione del 30%, ma dall’altro sarà introdotto un nuovo sistema di tassazione che si baserà su un dispositivo di localizzazione satellitare installato su ogni veicolo greco. La tassazione sarà applicata alla circolazione su tutti i tipi di strade, dalle urbane alle autostrade, con un costo chilometrico per l’automobilista che varierà a seconda del tipo, del peso e del livello di emissioni del veicolo.

Di base, secondo le anticipazioni fornite dal ministero dei trasporti greco, la tassa fissa per ogni chilometro percorso da un’auto berlina sarà tre centesimi di euro. Il tutto mentre nel Paese lunedì sono andate in scena le proteste dei forconi ellenici, che hanno bloccato una serie di arterie stradali da Nord a Sud, (Serres, Pella, Egnatia, Atene) per lamentare il nuovo regime fiscale a carico di agricoltori e coltivatori ormai sul lastrico. Trentotto i posti di blocco nel Nord del Paese a Serres dove è stata anche occupata simbolicamente la sede della Bank of Piraeus e il raccordo anulare alle porte di Atene, con disagi al traffico. I forconi dell’Acropoli chiedono l’eliminazione dell’obbligo di contabilità per importi inferiori ai 40mila euro e lo sconto per quegli agricoltori che sono in mora con lo Stato perché non possono pagare tasse in quanto falliti o con debiti superiori agli incassi.

La riforma caldeggiata dalla troika impone invece altri balzelli e non intende fare sconti sul prezzo delle materie prime (come carburante per trattori). La protesta è partita a sole 48 ore da un altro fronte caldo, quello dei medici e dei sanitari statali che hanno incrociato le braccia contro il disegno di legge riguardante la riforma dell’ente nazionale per la Prestazione di servizi sanitari presentato dal ministro della Sanità Adonis Georgiadis. Sciopero di 24 ore con medici e lavoratori degli ospedali pubblici in piazza per una manifestazione convocata davanti al ministero della Sanità. Ma con il rischio che dal governo arrivi un altro muro di gomma, mentre nelle prossime settimane si annunciano nuove rivelazioni sugli scandali legati alle tangenti per la fornitura di armi con il coinvolgimento di esponenti di primissimo piano dell’esecutivo.

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