martedì 31 luglio 2012

Grecia, la nuova manovra nasce a tavola

Altro che patto della crostata, ad Atene due sere fa è andato in scena l‘accordo del carpaccio, dal menù che il premier Samaras e il ministro dell’economia Stournaras hanno offerto al presidente della Commissione europea Manuel Barroso (e poche ore dopo una mini crisi nella maggioranza su come procedere con i tagli). Con la differenza che se accordo c’è stato, condito da tonno ellenico, verdure e vino del Peloponneso, è stato siglato senza l’assenso del protagonista principale, quello che ci metterà la faccia e la sostanza: ovvero il popolo greco. Gli emissari della troika ad Atene stanno certificando la non onorabilità dei prestiti da parte della Grecia, come testimonia il miliardo e mezzo di euro che manca all’erario ellenico rispetto al programma originario. E come da tempo segnalano report e analisi di economisti ed esperti: di quattro euro che da Bruxelles arrivano nell’Egeo, ben tre vengono restituiti sotto forma di interessi, si comprende bene come, con tali premesse, non possa esserci la benché minima speranza di una ripresa. Anzi, stando così le cose, tutti gli indicatori danno il paese in caduta libera, con il default tecnicamente già avvenuto, con ampie possibilità di uscire dall’eurozona e con una sorta di sondino artificiale (made in Bundesbank) che alimenta ancora forzatamente un paese morto.

Ma la tranche da 11,5 miliardi di euro, quella che consentirebbe alla Grecia di andare avanti ancora per un po’, aumentando la mole di debito che ha contratto con Bce, Ue e Fmi (oltre che con le banche francesi e tedesche) è vincolata al rispetto dei parametri imposti dal memorandum della troika, la cura che i rappresentanti europei hanno scelto di disporre per il malato grave ellenico. Con la conseguenza, però, che la malattia non regredisce, né di arresta. Anzi, dopo due anni peggiora vistosamente di mese in mese, e di report in report come certificano i tre emissari della troika ribattezzati i cavalieri dell’apocalisse europea. Ma anziché provare a cambiare cura o addirittura medico, paziente e specialista scelgono di raddoppiare la dose: e far pagare ai cittadini i mancati introiti dello stato. Un meccanismo perverso e ingiusto, che non fa altro che avvicinare quella macelleria sociale già realtà definita, come dimostrano i 255 suicidi da crisi nel solo 2012.

In questo senso va letta la nuova manovra che i tre partiti che sostengono il governo Samaras (conservatori di Nea Dimokratia, Socialisti del Pasok e Sinistra democratica del Dimar) dovrebbero concordare per dare alla troika quel miliardo e mezzo di euro che manca all’appello e che non è stato riscosso per deficienze strutturali dell’agenzia delle entrate, per le mancate privatizzazioni e per il semplice fatto di aver ritardato di dieci mesi l’attuazione del piano causa doppia tornata elettorale. Dove trovarli? Nel luogo più semplice: pensioni, salari, indennità. A cui fa da grottesca cornice la dichiarazione congiunta dei tre leader secondo cui, all’interno di questa manovra-bis, non vorrebbero indebolire le fasce deboli, quelle categorie che nel paese sono scomparse semplicemente perché sono state sostituite dal termine povertà: senza tetto raddoppiati ad Atene nel giro di sei mesi, record dei paesi Ocse per bambini sottopeso nella capitale, ricomparsa di fenomeni d’annata come bambini abbandonati in chiese e monasteri da genitori indigenti e bimbi che si “accasciano” a scuola per mancanza di un’alimentazione corretta.

Ecco la fotografia sociale della crisi greca, a cui la politica sta rispondendo con i sorrisi di circostanza negli incontri con la troika, o in quel pranzo offerto a Barroso dove pare si sia anche scherzato e con il sarcasmo del titolare delle finanze, Stournaras. Che, sollecitato da Barroso sul fatto che avrebbe preferito il socialista Venizelos in quel delicatissimo incarico, ha replicato di avere sulla propria testa addirittura due troike: una normale e una di tre teste, facendo esplicito riferimento ai tre partiti della coalizione di governo.

Proprio dall’esecutivo però iniziano a giungere primi spifferi di instabilità e soprattutto tra i socialisti del Pasok, i cui dirigenti si dice non siano soddisfatti nel merito delle misure adottate da Samaras. Durante un incontro notturno tra Samaras, Venizelos e Kouvellis sarebbero emerse difformità di vedute su come attuare l’ennesimo prelievo dalle tasche dei cittadini. I provvedimenti sarebbero troppo incentrati sui tagli tout-court, con la cronica assenza di ammortizzatori sociali per disoccupati e cassintegrati, oltre ai ritardi in seno alle privatizzazioni. Tutti elementi che non solo fanno perdere consenso ulteriore ai partiti, ma che mettono in ginocchio un paese allo stremo. In molti sono infatti pronti a scommettere che il primo settembre ci saranno nuovi e più imponenti scioperi, guidati dal radicale Alexis Tsipras magari in accoppiata con qualche fuoriuscito della coalizione governativa (si fanno giài nomi di almeno tre deputati socialisti che di dissocerebbero dall’appoggio al governissimo) che potrebbero pregiudicare la sopravvivenza stessa dell’esecutivo. Qualche commentatore si spinge anche a pronosticare un Pasok a rischio implosione interna, circostanza che potrebbe essere anticamera di una crisi di governo pericolosissima già in autunno.

Una situazione che potrebbe portare non solo a ripercussioni interne legate a un’ennesimo rischio-elezioni, ma con precisi riverberi in seno all’eurozona. A cui fanno da sfondo le note che la cronaca offre in questi giorni, come la proposta tedesca di far circolare all’interno della Grecia un doppio sistema valutario, per evitare gli effetti negativi di un ritorno improvviso alla dracma. Con un sistema che recepirebbe euro e la nuova dracma, come dal rapporto pubblicato dal quotidiano finanziario Handelsblatt. E al fine di migliorare la competitività del paese, scrivono gli economisti berlinesi (tra cui l’ex Deutsche Bank Thomas Mayer, pil docente di economia alla Mannheim University Roland Faoumpel e il presidente dell’Associazione federale delle medie imprese Mario Ochoven) pagando gli stipendi e le pensioni in dracme, il cui tasso di cambio contro l’euro è fluttuante, con la valuta nazionale ovviamente svalutata.

O come l’emergenza ambientale nella regione dell’Attica, la più popolosa del paese con il 50% dei cittadini ellenici che vi risiedono. Dove i comuni non pagano più i fornitori per il ritiro della spazzatura e il rischio “Napoli” si fa drammaticamente concreto. O come l’agitazione nella nota fabbrica Kalivurgia, dopo che erano state piazzate addirittura le teste di cuoio dell’esercito per far fronte a una situazione incandescente: con posti di lavoro a rischio e tanta agitazione, finanche nei meandri più intimi di un paese sempre più allo stremo.

Fonte: Il Fatto quotidiano del 31/7/12
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sabato 28 luglio 2012

Ilva, chi "sigilla" la cattiva politica?

Un limbo limaccioso e instabile, dove le vie di uscita non conducono da nessuna parte, se non di fronte a nuovi labirinti. Indefiniti e dal peso specifico sconosciuto. Il dramma dell’Ilva di Taranto (perché di dramma, nudo e crudo, si tratta) è figlio di decenni di pressapochismo e disinteresse (o mero interesse elettorale) della politica. Dove, dopo centinaia di operai e cittadini che all’alba di un brutto giorno hanno scoperto di essere solo carne da macello per via di veleni sparsi nel proprio organismo un po’dovunque, oggi va in scena l’atto (finale?) di una tragedia dell’assurdo all’italiana. In questa storia c’è chi ha fatto correttamente il proprio lavoro e chi no. Confermata la protesta degli operai dello stabilimento e assemblea fiume convocata dai sindacati dopo la notizia del sequestro, disposto dalla magistratura, dell'intera area a caldo dello stabilimento jonico che mette a rischio l'attività di migliaia di lavoratori.

Tra l’altro la Puglia in questa vicenda mostra un filo rosso con la Liguria, dove l'Ilva di Genova ha solo 5 giorni di autonomia dopo la chiusura dello stabilimento pugliese, (che di fatto è l'unico in grado di produrre acciaio dalla materia prima). Si chiama “paura di restare senza lavoro anche se il lavoro uccide”. Ed è una peculiarità di un sud alla canna del gas, dove la crisi sta mordendo anche la dignità stessa di chi ha subìto negli anni la condanna di ammalarsi pur di lavorare come la Costituzione prevede. Al pari delle morti silenziose da amianto, dal triangolo della morte in Sicilia alla Fibronit di Bari, dagli stabilimenti toscani alla vergogna nazionale degli addetti sulle navi che quella polvere bianca e mortale hanno inalato anche per un solo attimo. Ecco l’altro killer che serpeggia nel silenzio imbarazzante delle istituzioni. Che se ne ricordano solo in occasione di commemorazioni o tagli di nastro.


La magistratura deve andare avanti, ripeteva a squarciagola ieri il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno e non potrebbe essere altrimenti. Il nodo, però, non è questo: in quanto non si può pretendere che il potere giudiziario sia calibrato sulle conseguenze di sentenze o disposizioni, dal momento che deve rispondere solo e soltanto al dettato della legge. Quello che invece è mancato nel corso dei decenni e che ha causato il corto circuito socio-economico attuale è la buona politica. Quella che non ha controllato chi e come ha prodotto posti di lavoro, con quali ricadute ambientali sul territorio, con quali e quante tasse non pagate (si veda la storia dell’ici non corrisposta a un comune che pochi anni fa ha dichiarato bancarotta), preoccupandosi esclusivamente del ritorno elettorale di un polo siderurgico. Chiudendo gli occhi sui numeri della diossina, su famiglie intere sterminate dai veleni di un’acciaieria che ha fatto salire in maniera vertiginosa le patologie in quel fazzoletto di terra nello stivale di Italia. A pochi chilometri dalla movida salentina, dai cotillon del Premio Barocco e dai trulli patrimonio dell’Unesco dove hanno acquistato un “cono” vip e pseudo tali. Due facce, diverse ma molto simili, di un paese dove si muore ancora di lavoro, nel silenzio imbarazzante di chi fa affari. E solo quelli.


Fonte: il futurista del 28/7/12
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mercoledì 25 luglio 2012

Grecia, il cartellino rosso della troika? Colpa della politica

Aveva assicurato che la tornata elettorale avrebbe favorito l’attuazione del Memorandum, come se il tecnico Loukas Papademos stesse facendo altro. A cavallo delle due urne, poi, il leader conservatore di Nea Dimokratia Antonis Samaras, aveva fatto un passo indietro, annunciando che avrebbe battuto i pugni sul tavolo di Bruxelles (dove non si è mai seduto per l’intervento all’occhio effettuato proprio in quei delicatissimi giorni) per chiedere e ottenere la rinegoziazione del piano, che un minuto dopo la formazione del suo governo la cancelliera Merkel si era affrettata a definire come “non all’ordine del giorno”. Senza nel frattempo fare i cosiddetti compiti a casa che la politica ellenica avrebbe dovuto fare.

Nella Grecia tecnicamente già fallita ma attaccata forzatamente al sondino delle banche tedesche e francesi (che se chiudesse per bancarotta dovrebbero dire addio agli interessi e ai prestiti maturati) sta andando in scena la tragedia dell’assurdo. Con l’attuale premier che ha prima “costretto” il tecnico Papademos a restare in carica solo per sei mesi, annunciando che le elezioni sarebbero state la panacea per la crisi, salvo poi ritardare di dieci mesi netti l’attuazione delle riforme utili al paese per evitare il crac.

La Grecia ha regolarmente onorato i propri impegni solo a metà e lo hanno fatto solo i cittadini. Che si sono visti diminuire stipendi, pensioni e indennità del 20%, introdurre nuove tasse come l’Imu (che prende il nome di karadzi), aumentare l’iva al 23% con la benzina verde che ha sfondato la soglia dei due euro e con alcuni fondi pensione impegnati dallo Stato per poter ottenere altri prestiti ponte, che non serviranno a impedire il fallimento. Mentre la burocrazia, la partitocrazia e la classe politica meriterebbero un insufficiente (come la troika attesterà nel prossimo report di settembre) per via dei ritardi con cui non ha fatto ciò che doveva. In primis e subito dopo la votazione da parte del parlamento ellenico del piano di Bce, Fmi e Ue, era stata approntata una società ad hoc che avrebbe dovuto provvedere in tempi rapidi e in maniera efficace alla massiccia privatizzazione dei gioielli di famiglia dello stato.

Ma i tre manager posti al vertice si sono dimessi in successione, in un Paese dove nessuno fa un passo indietro come dimostrano i numerosi scandali di cui le cronache sono piene. Inoltre il programma di dimagrimento del settore pubblico già indicato lo scorso inverno dalla troika è ancora in una fase embrionale. Il riferimento è alle fusioni di 213 enti, tra società e commissioni, e all’abolizione di 21 agenzie. Il tutto raggruppato in nove macro dipartimenti costituiti da 34 soggetti giuridici e con un totale di 5.256 dipendenti. A cui il bilancio dello Stato fino a ieri ha dedicato 40 milioni di euro. Secondo il decreto attuativo diffuso dal ministero della funzione pubblica di Atene il procedimento riformatore inizierà con una prima fase di fusioni e di eliminazioni, che guideranno la ristrutturazione più ampia del settore intervenendo su soggetti che saranno in grado di fornire gli stessi servizi ai cittadini a basso costo per il bilancio dello Stato e con una maggiore efficienza. Ma al contempo nessuno spiega perché si annunciano oggi misure che sarebbero dovute essere attuate sette mesi fa, per impedire l’aggravamento attuale della crisi e lo scetticismo galoppante di mercati e di investitori stranieri.

Stando alle valutazioni del governo si tratta di interventi che dovrebbero partire solo nel mese di agosto e curati dall’apposito dicastero della riforma amministrativa che ha affidato a uno speciale gruppo di consulenti (tanto per non far mancare una commissione ad hoc) la ristrutturazione dei bilancio dello stato che addirittura solo entro la fine del mese produrrà le prime conclusioni preliminari. Con altri ritardi per giungere alla fase attuativa pura.

Per questo ieri il quotidiano Ta Nea titolava: “Cartellini rossi della troika ad Atene”, non fosse altro per certificare un’ovvietà. L’erogazione della successiva tranche da 31 miliardi di euro, che i rappresentanti di Bce, Ue e Fmi giustamente condizionano allo svolgimento degli impegni contenuti nel piano, potrebbe non essere assicurata. Con sullo sfondo la data cerchiata in rosso del 20 agosto, quando scadranno obbligazioni per 3,2 miliardi di euro che le casse dello Stato non sono e non saranno in grado di rimborsare. Gli emissari della troika ad Atene, Thomsen, Morse e Mazouch (già ribattezzati i tre cavalieri dell’apocalisse europea) non potranno fare altro che prendere atto della tabella di marcia non rispettata dal governo, nel cui computo mancano ben 11,5 miliardi di euro di misure non attuate.

E a nulla servono gli annunci del ministro delle finanze Stournaras su altri tagli alla spesa per otto miliardi oltre al tetto massimo per le pensioni di 2.400 euro in un paese dove alcuni ospedali non possono più garantire i pasti ai degenti, dove i cittadini hanno atteso tre mesi per ricevere i farmaci da farmacie in credito con lo stato per milioni di euro, dove chi va in pensione oggi oltre a non avere certezze sulla liquidazione potrebbe attendere anche due anni per ricevere in banca la prima pensione. E dove il presidente della banca centrale della Grecia Provopoulos (che ha uno stipendio superiore a quello di Barack Obama) ha detto ufficialmente che cinquanta miliardi di euro non saranno sufficienti a ricapitalizzare le banche elleniche.

Fonte: il fatto quotidiano del 25/7/12
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Se tutto intorno crolla e i cento campanili italiani si dannano per i tagli...

Quando il ministro della funzione pubblica Patroni Griffi dice di non aver deciso in base ad esigenze elettorali, ma perché «dovevamo individuare dei criteri ragionevoli e lo abbiano fatto», richiama all’ordine un paese che non ha ancora compreso il reale stato delle cose, dei suoi conti e dello tsunami finanziario globale che al centro del Mediterraneo si è abbattuto da un biennio. Sulla scuola scatta l’allarme delle province, secondo cui con i tagli potrebbero saltare le riaperture. Ma se da un lato l’Upi lamenta oltre trecento milioni di euro di finanziamenti spariti in un batter di ciglia, dall’altro dovrebbe interrogarsi su quanti di quei denari sono invece stati fagocitati in anni di “vacche grasse” proprio dagli enti provinciali.

Con consiglieri, assessori, commissioni, presidenti e vicepresidenti, consulenti semplici e super consulenti esterni (tanto per non deludere il bacino elettorale di riferimento) perfettamente inutili, e anzi deleteri per i conti pubblici a maggior ragione da quando il legislatore italiano ha sancito la nascita delle regioni. Non comprenderlo oggi significa peccare di ingenuità o di malafede. Il debito pubblico italiano è alle stelle: nei primi tre mesi dell’anno è al 123% del pil, siamo secondi in questa degradante classifica europea solo alla Grecia tecnicamente già fallita. Inoltre la Banca d’Italia, nel report contenuto all’interno dell’ultimo Bollettino, ha individuato in circa un punto la minor crescita causata dallo spread. È chiaro che la direttrice rimane, giocoforza, sempre quella tracciata dal “fiscal compact”, che preclude al vero nodo italiano: quel pareggio di bilancio che andrebbe costituzionalizzato per evitare che la cattiva politica possa produrre altri buchi e altre emergenze.

Ciò non significa non rendersi conto delle criticità che si presenteranno nei prossimi mesi, in quei servizi che subiranno un taglio quantitativo e qualitativo. Ma realisticamente comprendere come il paese e il continente intero vivano una vera e propria guerra totale, con attacchi continui da parte dei mercati e degli speculatori. Per cui se c’è da dolersene con qualcuno dello status attuale beh sarebbe il caso di guardare a chi ha governato in maniera scellerata fino a ieri e non con chi, con modalità certamente migliorabili e scelte dialetticamente pur contestabili, sta quantomeno tentando di rinforzare gli argini del paese per evitare che venga inondato definitivamente dalla piena della crisi.
Ragione in più per spingere con convinzione marcata sulla strada della spending review, e non più come misura una tantum da attuare quando il gabinetto di guerra lo consiglia (anzi, lo impone per impedire il crack), quanto come buone prassi da far metabolizzare a cittadini e amministratori. Lo spreco produce un segno meno, sia che lo si effettui quando il grasso cola sia quando di soldi in cassa non ve ne sono. Ma ciò che conta maggiormente è il cambio di mentalità che dovrà per forza di cose essere compreso da tutti, politica in primis: non fosse altro perché di alternative realmente praticabili non ne esistono.

Fonte: il futurista del 25/7/12
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martedì 24 luglio 2012

Grecia, il memorandum non funziona

Il memorandum per la Grecia non funziona. E le parole del vicecancelliere tedesco (“Un’uscita della Grecia dall’eurozona non sarebbe un dramma, e io sono sempre più scettico sulle possibilità di Atene di riuscire a restarvi” dice da Berlino Philipp Roesler), sono la logica conseguenza del report negativo che in queste ore gli emissari della troika stanno redigendo ad Atene. Dove, oltre a una diagnosi da malato terminale all’ultimo stadio ormai appurata da tempo (individuata anche da chi medico non è), si registra la classica goccia che farà traboccare definitivamente un vaso pieno di falle.

Lo Stato greco ha incassato meno di quanto previsto, nell’ordine di un miliardo e mezzo di euro. Circostanza che, sommata alle criticità strutturali, alla scarsa stabilità politica (c’è chi giura che il governo andrà in crisi in autunno), ai ritardi – causa doppie elezioni – su privatizzazioni, lotta all’evasione, e privilegi rimasti praticamente intatti, oltre agli euro greci ancora al sicuro in Svizzera, porta dritto a quell’eurocrisi scongiurata da tutti ma che nel buio dei palazzi del potere tutti temono: non fosse altro perché drammaticamente vicina e reale.

Iniziamo dai conti ellenici, non solo disastrati da anni di ruberie e politiche deleterie, ma oggi anche sotto i colpi dei mancati risultati circa il piano della troika. Che se da un lato si è abbattuto come un odisseico meltèmi su statali, famiglie e ceti meno abbienti, dall’altro non ha raggiunto tutti gli obiettivi. Nei primi sei mesi dell’anno, rileva il ministero dell’economia di Atene, ci sono state meno entrate per un miliardo e mezzo rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno. Inoltre il disavanzo di bilancio totale tra metà gennaio e giugno 2012 è pari a 12.477 milioni di euro, mentre il disavanzo primario per lo stesso periodo è pari a 3,32 miliardi di euro. Numeri inquietanti che non possono non essere tenuti in considerazione da chi stila memorandum e da chi dovrebbe osservarli. L’importo delle entrate nette per il bilancio dello Stato è stato pari a 23.191 milioni con una diminuzione rispetto al target di 24.754.000 nell’ordine di 1.563 milioni di euro.

Un altro buco nero di mancati introiti dopo quello segnalato due settimane fa circa dichiarazioni dei redditi non presentate da un milione e 800mila cittadini ellenici oltre a tasse non riscosse. A cui si aggiungono i dati di oggi: nello specifico l’ammontare dei proventi netti di bilancio ordinario pari a 21.688 milioni nel gennaio-giugno 2012, indica che la falla ellenica non è solo in debiti accumulati, ma è nel manico oltre che nel merito. L’obiettivo del bilancio suppletivo per il 2012 (22.841 miliardi di euro) è stato mancato clamorosamente.

Dagli uffici del ministero sostengono che la discrepanza è dovuta principalmente alla carenza di riscossione delle entrate (meno 909 milioni di euro) con riferimento alla possibilità data alle persone fisiche e giuridiche di dilazionare l’imposta sul reddito in due rate (31 luglio 2012 e 8 giugno 2012) oltre alle minori entrate provenienti dalle imposte sul commercio (meno 527 milioni). Ciò in conseguenza della riduzione della domanda interna e con la perdita di gettito delle imposte dirette su esercizi precedenti. Avrebbero influito sul nuovo buco anche i mancati proventi delle tasse di immatricolazione dei veicoli, quelli sulle imposte di proprietà (l’Imu greca, che si chiama karadzi) e la riscossione delle imposte indirette in mora attraverso l’intensificazione dei controlli, che non sono stati efficaci come dimostrano i risultati.

Capitolo investimenti pubblici: sono entrati solo 1,5 miliardi contro una stima di 1,9. Le spese di bilancio per il primo semestre del 2012 ammontano a 35,668 milioni e sono inferiori di 3,964 milioni rispetto alle previsioni, ciò riflette sia la riduzione dei costi del bilancio ordinario (meno 2,338 milioni di euro) sia i minori investimenti pubblici i cui vertici (una società di stato appositamente creata) sono stati sostituiti per ben tre volte in soli sei mesi, con altrettanti manager che hanno fatto un passo indietro dimettendosi.

Uno scenario francamente prevedibile figlio di una cura sbagliata che non ha calibrato né interventi nè complicazioni. La Grecia è in coma irreversibile, da tempo, e oggi Angela Merkel annuncia di non voler promuovere il terzo pacchetto di aiuti, respingendo la possibilità di proroga. Un funzionario del governo tedesco ha detto alla Sueddeutsche Zeitung che “è inconcepibile che il cancelliere tedesco compaia di nuovo in Parlamento tedesco per ottenere il sì agli aiuti”.
E così mentre Berlino non staccherà quell’assegno da 50 miliardi di euro direzione Egeo (che non servirebbe a sanare alcunché, in quanto produrrebbe altri debiti), e mentre come scrivono ormai chiaramente in Germania adesso è più probabile la possibilità di un fallimento per Atene, forse qualcuno a Bruxelles e anche oltreoceano si sta pian piano rendendo conto che quel sondino che alimenta forzatamente un paese e un continente va semplicemente staccato.

Intanto il rappresentante del Fondo Monetario Internazionale ad Atene ha negato il tanto discusso articolo apparso sullo Spiegel: “Il Fmi sostiene la Grecia, nel suo sforzo di superare le proprie difficoltà economiche. Una missione del Fmi avvierà un dibattito con le autorità il 24 luglio su come il programma economico della Grecia, che è sostenuto finanziariamente dal Fondo monetario internazionale, tornerà alla sua orbita corretta”. In precedenza, anche un portavoce della Commissione europea aveva definito quell’articolo “una pubblicazione della stampa che non è commentare, per la Commissione, la posizione del Fmi non è cambiata”. Inoltre in vista dell’arrivo della troika in Grecia, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble ha invitato Atene a raddoppiare gli sforzi per rispettare i termini del piano di salvataggio. Aggiungendo che non ci sono parallelismi tra la situazione in Grecia e in Spagna in quanto “le cause delle crisi in entrambi i paesi sono completamente differenti, l’economia spagnola è molto più competitiva e ha una struttura diversa”.

Fonte: ilfattoquotidiano del 23/7/12
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Ma adesso serve una “regia” unica contro il contagio

All’indomani dello storico trionfo in Germania di un’auto italiana, con pilota spagnolo e ingegnere greco, la domanda da porsi è: la resa dei conti nell’Unione è iniziata? Stando ai primi dati negativi che la settimana offre sembra proprio non esserci il minimo dubbio. Nell’ordine ci sono: il grido di allarme della Spagna senza più liquidità, lo spettro dell’uscita dell’euro da parte della Grecia, il “no” di frau Angela ad altre tranche di aiuti (ma solo oggi ci si accorge che serve chiudere la falla ellenica prima di immettere altra acqua?), lo spread che non smette di mordere alle caviglie di quei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, l’incertezza dei mercati anche a fronte di chi ha bene svolto i compiti a casa. E ancora: le banche che affondano Piazza Affari (-5%), l’euro che va sotto i 95 yen (per la prima volta in 11 anni e sotto la soglia psicologica di 1,21 $), oltre ai trader che vanno nel panico. Senza contare che sale il debito pubblico dell’Eurozona, con l’Italia a 123,3% seconda solo alla Grecia (nel primo trimestre ha raggiunto l’88,2% del Pil contro l’87,3% di fine 2011). Che fare dunque? Volendo semplificare con una metafora si può dire che la Grecia di oggi appare come una gigantesca damigiana che perde acqua in abbondanza per via di una falla, ma anziché chiudere quel “fiume in piena” si cura il male versando nella damigiana altra acqua: che però irrimediabilmente uscirà da un buco che quotidianamente si allarga ancora. Una criticità strutturale che, se non metabolizzata adeguatamente, non potrà essere risolta. Ragion per cui, accanto a misure di austerità imprescindibili, sull’onda del principio “governi e cittadini hanno vissuto non solo al di sopra delle proprie possibilità, ma soprattutto al di sopra delle proprie necessità”, sarebbe auspicabile che l’interventismo della troika prevedesse anche altre misure altrettanto necessarie, che impediscano la distruzione completa di un tessuto sociale già in avanzato stato comatoso. Il riferimento è ad una tassazione non ideologica ma ragionevole delle rendite finanziarie, a un pubblico registro degli appalti pubblici, alla totale trasparenza bancaria, alla strutturazione di un settore industriale di prodotti greci per impedire la massiccia importazione che politiche industriali scellerate hanno avallato nel corso degli ultimi sei lustri.
In una parola sola: controllo sovranazionale del debito e dei meccanismi amministrativi correnti, per evitare fallimenti in serie e ri-costruire un’Unione che, di fatto, oggi non è tale. In questa direzione tra l’altro va letto il tour che il premier italiano Mario Monti effettuerà da qui ad agosto per svolgere un ruolo di negoziatore del continente: utile non solo a ripulire ulteriormente l’immagine dell’Italia, per molto tempo ancorata solo a rapporti di tipo personale che alimentavano la politica estera biancarossaeverde, quanto a tessere un filo di marca europeo, per stimolare gli investitori a “fidarsi” della vecchia Europa, per non darla vinta agli speculatori internazionali. Insomma, per non lasciare affondare una barca acciaccata e sinistrata, ma che proprio per questo non può che rinnovarsi se intende riprendere la sua navigazione. Ma se deciderà di farlo, lontano da populismi di piazza e minacce di urne (si veda cosa hanno risolto Grecia e Spagna andando a votare), bisognerà decidere una volta per tutte modalità e attori: strutturando senza indugi quella cabina di regia unica e unitaria che avrà il compito di vegliare sui conti dei membri. Auspicando che la politica sia di sostegno e non di intralcio.
 
Fonte: il futurista quotidiano del 24/7/12
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lunedì 23 luglio 2012

Se il piano della troika produce solo "buchi"...

C´è un qualcosa di perverso e anomalo in questa eurocrisi. Come se il destino si accanisse contro meccanismi rodati, ma oggi inefficaci, e condotte approssimative. Con una marcata irriverenza verso numeri e griglie matematiche. La Grecia contro cui il vicecancelliere tedesco si è appena scagliato ("Un'uscita della Grecia dall'eurozona non sarebbe un dramma, e io sono sempre più scettico sulle possibilità di Atene di riuscire a restarvi" dice a Berlino Philipp Roesler) accusa un altro "buco". Si tratta di un miliardo e mezzo di euro che non è entrato nel bilancio statale nel primo semestre del 2012 rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno.

Inoltre il disavanzo di bilancio totale in metà gennaio - giugno 2012 è pari a 12.477 milioni di euro, e il disavanzo primario per lo stesso periodo a 3,32 miliardi di euro. È come se nella damigiana ellenica, che perde acqua da più parti, si continuasse a versare acqua anziché tappare le falle. Il ministero dell´economia di Atene diffonde dati allarmanti: l'importo delle entrate nette per il bilancio dello Stato è stato pari a 23.191 milioni, ma rispetto al target di 24.754.000 si sconta un meno 1.563 milioni di euro. Di chi le responsabilità dunque? Un sistema fiscale deficitario, controllori e controllati intrecciati pericolosamente, oltre a una contraddizione di fondo di stampo politico: i debiti non si possono strutturalmente curare con altri debiti.

Intanto commentando un articolo della rivista Spiegel secondo cui sarebbe stato suggerito ai leader europei a Bruxelles che l´Fmi non è più disposto a partecipare a ulteriori aiuti alla Grecia, la portavoce della Commissione Europea Frederic Vincent ha detto alla AFP che "non abbiamo informazioni su tali intenzioni da parte del Fmi, ma in ogni caso quel contributo del Fmi circa il secondo pacchetto di stimolo in Grecia è relativamente piccolo". Un modo diplomatico per aprire un altro "dossier" sulla Grecia, in cui in molti sono pronti a scommettere che i report che la troika sta redigendo da ieri ad Atene non contengono buone notizie. Nello specifico e con il secondo "buco" per l´erario greco in meno di venti giorni, gli inviati di Ue, Fmi e Bce non potranno che certificare (qualora ve ne fosse ancora bisogno) l´impossibilità della Grecia di indebitarsi ulteriormente in quanto non avrebbe più nulla da offrire in termini di garanzie.

Non dimentichiamo che il paese ha già impegnato alcuni fondi pensione per ottenere tranche di aiuti che sono sufficienti per pochi mesi. Ma non risolvono a monte il problema, che nei fatti si presenta come una voragine immensa nei conti pubblici (e a breve anche in quelli privati) a cui l´immissione secca di denaro senza stravolgimenti sociali e riforme politiche non serve a nulla. Se non a innescare la miccia della macelleria sociale, della speculazione internazionale che da tempo ormai, e indisturbata, sta sgretolando a colpi di titoli spazzatura e prestiti scaduti ciò che resta del paese.
Fonte: Formiche del 23/7/12
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venerdì 20 luglio 2012

L’accantonamento della politica è pericoloso? No, quando serve a rimediare agli errori commessi


Chi è chiamato a spegnere un incendio, per quanto appassionato e volenteroso, non è che sia proprio felicissimo di rischiare in prima persona. Un passaggio che talvolta andrebbe ricordato con un pizzico di veemenza in più e guardando in faccia la realtà delle cose: con ottimismo ma anche con fermo realismo e senza illusioni. All’orizzonte dell’Italia c’è non solo da scongiurare altri declassamenti o altri borbottii di spread e agenzie di rating, ma la consapevolezza che l’emergenza, per quanto anomala e indesiderata, esiste e non smetterà presto di mordere alle caviglie produttive e sociali di un paese intero. Ha ragione Gustavo Zagrebelsky quando in un fondo su Repubblica osserva che l’emergenza del governo tecnico ha rappresentato un’alternativa stabilmente valida «alla democrazia dei partiti, quantomeno a quella di fatto realizzatasi in Italia, sotto la vigente formula costituzionale parlamentare». Non sbaglia quando aggiunge che molto sarebbe dipeso dalle capacità dei partiti di «rinnovare se stessi e il sistema delle relazioni politiche in maniera tale da poter fronteggiare l’emergenza economico-finanziaria-sociale che è stata la ragione originaria di quell’anomalo governo». L’accantonamento della politica è dunque pericoloso? Teoricamente sì, per chi crede in quello strumento e per le società che attorno a esso si sono costruite o che ne hanno subìto gli errori. Detto questo, non c’è nulla di cui scandalizzarsi, (o per lo meno non è all’ordine del giorno con 218 miliardi di titoli di stato da piazzare entro l’autunno), se si assiste a una sorta di intervento “ponte” quando la politica è paralizzata e, oltre a non fare ciò che serve, produce i buchi neri sotto gli occhi di tutti, Sicilia in primis. 
Il gabinetto di guerra Napolitano-Monti sta tentando di impedire il naufragio di un paese e con un doppio fronte, interno ed esterno. Dentro le “frontiere” nazionali ecco l’azione della spending review e il richiamo scritto al governatore siciliano Lombardo, al di fuori l’azione di velata moral suasion che il premier sta attuando in seno all’Eurogruppo. Che se da un lato ha fruttato il cambio di immagine per la nave Italia, dall’altro necessita di un altro sforzo (questa volta strutturale) per sortire gli effetti desiderati. Come suggeriscono gli economisti Natasha Xingyuan e Antonio Spilimbergo una delle maggiori cause dell’eurocrisi risiede nella differenza di reddito e produttività fra i paesi, con il ritardo di quelli più periferici. Da cui si deduce che le riforme strutturali sono un validissimo strumento per stimolare lo sviluppo delle regioni più arretrate di un paese, ragion per cui potrebbero tornare utili al fine di velocizzare la convergenza nel macro habitat di un'unione monetaria. Uno dei maggiori meriti dell’attuale governo è stato (ed è) quello di essersi affacciato a Bruxelles non come semplice spettatore o barzellettiere improponibile. Ma come attore protagonista ben consapevole della diagnosi e della terapia da attuare quanto prima. 
Certamente ci sarà tempo per discutere nel merito di provvedimenti governativi da smussare, di valutazioni da migliorare nel merito e nel metodo (liberalizzazioni e crescita su tutti). Ma non si potrà pretendere di contestare il vulnus stesso che ha causato quell’unità di crisi. Perché fino ad oggi gli altri o non hanno fatto nulla o hanno fatto peggio.

Fonte: il futurista quotidiano del 20/7/12
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giovedì 19 luglio 2012

Senza stabilità politica l’Italia tornerà nel buio di B.

Non c’è molto da trastullarsi con analisi e pseudo sondaggi a pochi mesi dalla campagna elettorale: per tranquillizzare i mercati, evitare che all’estero la credibilità del paese torni ai livelli di guardia del governo Berlusconi e il rischio della speculazione si trasformi in aspra certezza, la strada maestra si chiama stabilità. Politica in primis, e che fa da battistrada a una linea economica e finanziaria che dica addio alle tentazioni populiste del passato, quando grazie all’eliminazione “elettorale” dell’Ici oggi il paese è stato costretto all’Imu. Ma che impugni la spending review come strumento quotidiano. Non solo tagli, rigore e virtuosismi finanziari, ma soprattutto una “navigazione” politica in acque calme e con un timoniere freddo e deciso. La ricetta salva Italia sta tutta in questa formula, tanto semplice quanto complicata da far metabolizzare ad alcuni degli interpreti. Il nostro paese ha ben fatto i propri compiti a casa, ma ciononostante Mooody’s borbotta e lo spread non scende (figurarsi se dovesse rivincere il pdl, che solo oggi dopo due lustri si accorge del fallimento del tremontismo). Come evitare dunque nuovi aumenti di tasse e un’instabilità finanziaria che potrebbe precludere alla macelleria sociale vera e propria? Dall’asse Monti-Grilli, passando per il gabinetto di crisi che si è consumato due giorni fa, emerge la consapevolezza che una nuova polemos attende il paese: la guerra di agosto. Ovvero quel passaggio delicatissimo tra l’Eurogruppo di venerdì prossimo, il vertice dei Capi di stato e di governo del 25 luglio e il primo Eurogruppo di settembre a Cipro. Con in mezzo un mese decisivo per proseguire con il “lavaggio a secco” che il governo ha fatto dell’immagine finanziaria dell’Italia agli occhi degli investitori. Con all’orizzonte l’obiettivo dell’anno: ovvero la collocazione il prossimo autunno di ben 218 miliardi di titoli di stato, il vero banco di prova per tutti. È quello l’appuntamento in vista del quale il numero uno di viale XX settembre e il premier si stanno preparando ormai da mesi, da quando è maturata la consapevolezza che la messa in sicurezza dell’Italia passa da una doppia strategia: l’austerità imprescindibile che curi il paziente senza ucciderlo, come annota Massimo Giannini su Repubblica, e la stabilità politica in assenza della quale i sacrifici fatti, dall’Imu alla lotta agli evasori, potrebbero essere vanificati. In questa direzione va letta la valenza macroscopica dello strumento “spending review”, non misura una tantum ma buona abitudine amministrativa generalizzata, eliminando gli sprechi strutturali. E tentando di espanderla ai buchi neri italiani, dalle regioni a statuto speciale alle comunità montane, dai costi esagerati delle amministrazioni regionali agli stipendi dei manager di stato, dalle commissioni negli enti locali ai nuovi aeroporti che qualche deputato si è messo in testa di far costruire nel proprio collegio elettorale. Certo, si attende un segnale incoraggiante dall’Europa, ma l’Italia almeno per restare a posto con la propria coscienza dovrebbe poter disporre di una linea di continuità con la mini rivoluzione politica (certamente migliorabile, si vedano le voci crescita e liberalizzazioni), che da qualche mese si sta realizzando.

Fonte: il futurista quotidiano del 19/7/12
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mercoledì 18 luglio 2012

In Grecia si muore ancora per crisi

Da un lato le ansie di cittadini coscienziosi che guardano ad un futuro che semplicemente non c´è, e per questo crollano. Dall´altro un governo che fatica a trovare la quadra per trovare gli undici miliardi da tagliare se vorrà ancora la fiducia e i denari della troika. La Grecia tecnicamente fallita va incontro ad un´estate molto calda, al termine della quale c´è chi giura che ricominceranno scioperi e fibrillazioni di piazza.

Ma andiamo con ordine: per tre ore hanno tentato di convincerlo. Che non sarebbe stato con quel salto dal quinto piano dell´ospedale di Lamia, nella Grecia centrale, che avrebbe risolto i suoi guai pensionistici, che non è facendola finita che i fondi pensione (che lo stato ha impegnato per ottenere i maxi prestiti dalla troika) avrebbero ricominciato a riempirsi di nuovi euro. E invece un radiologo sessantenne ha deciso di farla finita e di entrare nella triste statistica del default ellenico per essere il 254esimo suicidio da crisi. Ma è scorgendo i commenti sui social network che si può avere la cifra di quanto la comunità sia choccata per questo gesto. Un lettore scrive che è mancato "un uomo con un grosso capitale umano, l'unica cosa che posso dire è che l'intera comunità gli era grata".

Era un bravo medico, già primario del reparto, ma forse proprio la sua coscienza gli ha impedito di sopravvivere a questi mesi drammatici. Era intento a compilare i documenti necessari per richiedere il pensionamento. Quando, verosimilmente preoccupato per numeri difficili e conti che non tornano, ha aperto la finestra ed è salito sul balcone al quinto piano del nosocomio. In pochi attimi sono arrivati i vigili del fuoco che hanno disposto il telone proprio sotto il balcone (come in foto tratta da Lamiareport), oltre ad agenti di polizia e al personale medico della struttura. Ma dopo tre ore di trattative, si è fatto il segno di croce e ha compiuto il gesto che aveva in mente forse già da tempo. Lascia due figli. E una scia di ricordi. Era stato consigliere prefettizio, nell´ultima tornata elettorale anche consigliere comunale a Lamia e si dice che curasse molti ammalati senza onorario visti i tempi difficili. La prevista cerimonia annuale in ricordo della battaglia delle Termopili e di Leonida con i 300 spartiati è stata annullata.

Ma mentre una comunità si interroga su un numero, quello dei suicidi da crisi, che potrebbe non fermarsi qui, nella capitale ellenica l´esecutivo targato Samaras procede a tentoni. Già la scorsa settimana era scattato il campanello d´allarme sul buco nero di tre miliardi di euro che, nonostante fosse preventivato dal memorandum della troika, non era stato inspiegabilmente riscosso dalle casse dello stato. Contribuendo a rendere il prossimo vertice ateniese (24 luglio) dei rappresentanti di Bce, Ue e Fmi da incontro di routine a tappa non secondaria per la concessione dell´ulteriore tranche di euro.

La notizia del giorno riguarda anche la tenuta interna del governo greco. Con il mancato accordo su dove reperire gli undici miliardi di euro di tagli da attuare in tempi stretti. Contrariamente la troika nel report che dovrà redigere in vista dell´Eurogruppo di settembre a Cipro potrebbe non dirsi soddisfatta di come procede Samaras e la sua squadra di ministri. Che non hanno ancora dato la necessaria accelerata alle privatizzazioni, alla trasparenza bancaria, al recupero degli euro greci in Svizzera e a forme anche minime di ripresa che impediscano una macelleria sociale già pericolosamente in atto. Per una volta non sarà Bruxelles l´obiettivo di analisti e critici.

Fonte: Formiche del 17/7/12

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Marco Pannella: «Difendiamo i comandamenti dei diritti civili»


«Difendere i comandamenti dei diritti civili», chiede il leader dei Radicali Marco Pannella al futurista. Ma non per un vezzo o per un capriccio, quanto perché sono la via maestra per una politica che sia rispettosa di tutte le libertà individuali e nella speranza che il partito della nazione possa avere uno spazio per idee laiche.
Berlusconi ri-cende in campo: con quale legge elettorale nel 2013?
Mi auguro che si ridoni la libera scelta ai cittadini soprattutto con un sistema alla francese, o con una chiarezza di posizioni all’americana. Purtroppo tutti cercano di prendere in giro il popolo italiano.  Così come il linciaggio dei parlamentari e la propaganda sulla riduzione dell’indennità è solo il modo per impedire all’elettore di esprimere la sua preferenza. Il vero banco di prova è che non sia un gruppo di pochi a scegliere i rappresentanti di molti. Su questo sto con la proposta di Gianfranco Fini, (maggioritario con collegi uninominali, a un turno o a doppio turno, senza listini proporzionali paracadute, ndr) non a caso non raccolta dal cosiddetto ABC.
Il Vaticano tra scandali e dossier: vicina una svolta anche al di là del Tevere?
Vorrei rivolgere tanti auguri al nostro presidente della Repubblica. Ricordo che Moro fece il compromesso storico e la proposta di un governo comune, ma dopo tre mesi venne assassinato. Cosa c’entra questo con la tua domanda? Te lo dico subito: oggi dobbiamo fare i conti sul piano dei contenuti con una posizione che, con l’alibi della crisi economica e sociale, ha ignorato diritti e giustizia, le vere grandi tematiche italiane, quelle per cui siamo indiscutibilmente denunciati da trent’anni dalla giurisdizione europea. Sarebbe lì la vera svolta. A patto che da quella sponda del Tevere venga un contributo inquadrato nella difesa della giustizia e del diritto, che corrisponda ad esempio a una mobilitazione dei cappellani militari, della rivista cattolica di ispirazione Cl, di quei volontari che credono ai diritti come comandamenti.
Quanto Grillo e il suo M5S rischiano di essere come il Cav., senza doppiopetto ma con uguale populismo?
Distinguerei tra grillini e Grillo: i primi sono una marea, il secondo solo uno. Ha magnificamente saputo interpretare la nausea partitocratica, contro cui sta manifestando, sterile, pericolosa e infeconda. Senza proposte e solo con inventiva, non si va da nessuna parte. I grillini possono invece divenire ben presto coloro che vogliono austerità e non solo una semplice alternativa rispetto alla disperata agonia dei partiti.
Si parla tanto di Partito della nazione: sarà un’altra Dc o ci sarà spazio anche per i laici?
Lo scorso 25 aprile, celebrando la Liberazione con la seconda marcia per la giustizia, abbiamo lavorato per un obiettivo profondamente radicato nel paese: mentre marciava con noi, dissi a Benedetto Della Vedova che  sicuramente nel 2012 uscirsene con una dicitura simile poteva dare adito a termini desueti. E invece da Fini e da altri leader ho positivamente riscontrato posizioni diverse rispetto a uno scenario ventilato solo per mezza giornata. La grande lotta quindi sta in uno stato di diritto, che rispetti l’individuo in quanto tale, senza corsie preferenziali religiose, culturali o di altro tipo. L’obiettivo, se così possiamo definirlo, è difendere i comandamenti dei diritti civili, quelli che Cesare dovrebbe servire e che invece chi siede al di là del Tevere spesso ignora. C’è uno spazio costante e laico nel popolo italiano. Potremmo inoltre constatare che ad animare le nostre grandi vittorie civili (divorzio, aborto, obiezione di coscienza), fossero le nonne, soprattutto cattoliche. Magari silenti per tutta la loro vita, ma che a un certo punto hanno compreso. Ecco la forza che, ieri come oggi, risulta determinante per difendere il valore di certe scelte. Siamo franchi: il 65% degli italiani, nonostante le tv facciano il mestiere che fanno, continua a credere nell’eutanasia. Noi Radicali, dunque, non siamo soli.
 
Fonte: il futurista quotidiano del 18/7/12
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martedì 17 luglio 2012

Ma l'economia non è una consulenza affidata a caso


Il serpente che non cambia pelle muore, non c’è ombra di dubbio. Ma quando il metro di valutazione e di assemblamento di una squadra è dato da direttive “elettorali” di gradimento, allora significa che il problema sta nel manico e solo in seguito nel merito delle scelte. Silvio Berlusconi sconfessa in un colpo solo due lustri di politica economica dei suoi governi affidando le chiavi del suo dipartimento economico alla tessera numero due di Forza Italia. Quell’Antonio Martino (scuola Milton Friedman), degnissimo docente, già ministro della Difesa ma soprattutto anello di congiunzione con un certo mondo economico di stampo liberista, che era stato tra i promotori nel 1994 di “quella” svolta liberale (però solo sulla carta). Ma a preoccupare non è la scelta dei nomi che affollano e affolleranno i meetings che si terranno a Villa Gernetto in una sorta di gabinetto economico formativo permanente, quanto la motivazione da cui quella scelta scaturisce. Non la presa di coscienza del fallimento dei convincimenti tremontiani, non la consapevolezza che l’annuncio propagandistico dell’eliminazione dell’ici è stato un boomerang che oggi si ripercuote sul paese sotto forma di Imu, nemmeno la metabolizzazione dei mille e più errori commessi dagli esecutivi targati Cavaliere. Bensì solo i sondaggi che premierebbero quelle forze politiche in grado di “smilitarizzare” la vecchia burocrazia del paese, facendo le riforme che tutti annunciano da vent’anni, aprendo alla concorrenza (grottesco che lo prometta chi invece foraggia il monopolio dell’etere). Ecco l’ennesimo bluff di Berlusconi. Che in una sorta di verve autolesionista (per il paese, mica per le sue aziende) crede che solo tornando a fare ciò che chiede la gente si possa vincere. Questa è la vera tragedia italiana, perché l’economia come insegnano le linee guida adottate a fatica dal governo Monti (ma senza alternative vere) non è come quelle consulenze affidate a caso ad amichette, cricche o vecchi amici di infanzia o di crociera. Ma un ambito maledettamente serio, che non ammette errori. Soprattutto in questa fase.

Fonte: il futurista del 17/7/12
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venerdì 13 luglio 2012

Al paese non serve una nuova destra, ma una nuova politica


Un suggerimento agli stucchevoli nostalgici di quadri organizzativi e direttive in vecchio stile Pcus o Forza Italia. A chi ancora si arrovella le cervella nell’ingabbiare aprioristicamente concetti e idee all’interno di contenitori improduttivi e con la data di scadenza passata ormai da un pezzo. Al paese non serve una nuova destra, né tantomeno la si può semplicisticamente individuare in quella che ha mancato tutti gli obiettivi possibili e immaginabili, rivoluzione liberale in primis. All’Italia serve una politica nuova, che faccia volentieri a meno degli apparati che l’hanno appesantita come una balena spiaggiata, che dica “no, grazie” alle ricette farlocche su meno tasse per tutti, che hanno causato i dolorosi provvedimenti attuati oggi dal governo. Che rifiuti uno stato asservito ai desiderata del feudatario di turno, che si indigni quando a dettare l’agenda è la pancia di una piazza di ebeti militanti anziché la logica programmazione di ampio respiro.

Il berlusconismo, sotto le spoglie di quella destra camuffata da polo moderato, si è presentato a cittadini e imprenditori, inducendoli a credere in un cambiamento effimero. Per poi tramutarsi non solo in un nulla di fatto, ma in un danno reale per il paese. Dove sono le riforme promesse, i nuovi sbocchi occupazionali o le liberalizzazioni di chi ha invece monopolizzato l’etere? Né la rivoluzione liberale, né qualcos’altro di buono, dunque. Da destra, da questa destra italiana-berlusconiana non si può oggettivamente aspettarsi uno scatto culturale, politico e attuativo. Semplicemente perché ha fallito a più riprese l’evoluzione contenutistica proposta. E allora la strada deberlusconizzata da seguire non può che essere quella di un modello liberale e solidale di patriottismo costituzionale, che salvi il capitalismo dai capitalisti come osservato da Andrea Romano sul Foglio. Che parli alla gente non alle pance, che rompa il monopolio di contenitori obsoleti a cui una pletora di burocrati ha ammanettato per troppo tempo le sorti di una nazione intera.

Fonte: il futurista del 13/7/12
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Grecia, l'escalation di Alba dorata e i silenzi di Bruxelles


“La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari – si legge nel manifesto di Ventotene - cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unità internazionale”. Un'unità che oltre che economica, politica e amministrativa sarebbe dovuta essere prima di tutto sociale e solidale, non fosse altro per impedire i rigurgiti antidemocratici del nazifascismo. Ma da quell'orecchio forse la politica continentale, quella che si sta occupando solo di spread e null'altro, sembra non sentirci poi molto. Come dimostrano i silenzi di Bruxelles dinanzi a eventi raccapriccianti che si stanno verificando in Grecia e che potrebbero attecchire, come dimostra la piazza madrilena di ieri, anche in altre realtà mediterranee colpite dal mal d'Europa.
Ad Atene è andata in scena una seduta del parlamento surreale, un altro esempio di quella follia a metà strada tra politica e amministrazione della cosa pubblica, dove il partito nazionalista di Chrisì Avghì chiede esplicitamente agli ospedali di riservare le donazioni di sangue solo a cittadini ellenici. Mostrando sia di non conoscere il giuramento di Ippocrate che ogni medico deve rispettare, sia l'alfabeto più elementare della società e della convivenza. Dove, anche ai nemici in guerra, viene concesso l'onore delle armi. Dove il passo indietro è d'obbligo, dove come dimostra la storia della Grecia, il nemico veniva sconfitto ma non umiliato. Ma tant'è. Alcuni deputati di Alba dorata hanno proposto donazioni ematiche solo per cittadini greci. Subito le reazioni indignate, in primis quella del direttore del nosocomio in questione, John Stephens. Che intervistato dal portale iatropedia.gr dice: «Dichiaro categoricamente che il regime di donazione resterà quello di sempre. Nel rispetto degli standard internazionali la donazione è prevista per qualsiasi paziente in stato di bisogno, indipendentemente da razza, colore e partito. Non accettiamo alcun intervento».
Uno choc per un paese già gravato da emergenze quotidiane legate alla trattativa in corso con la troika che, se non si riterrà soddisfatta delle misure adottate da Atene (a proposito, il governo Samaras è in ritardo sulla tabella di marcia di Bce, Ue e Fmi ed è già attraversato da malumori interni), potrebbe dire di no ai 31 miliardi attesi per il primo settembre. Ma il partito guidato da Nikolaos Mikalioliakos noncurante di tutto ciò, prosegue nella sua marcia anti immigrati. Solo una settimana fa aveva destato scalpore la notizia delle ronde nel quartiere di Nikea per intimare agli stranieri di abbassare le saracinesche delle proprie attività o di sgombrare i banchetti adibiti al piccolo commercio, altrimenti sarebbero stati guai. E alcuni sono pronti a scommettere che tenteranno di mettere in pratica quanto scritto nel loro programma elettorale: cacciata di tutti gli stranieri dal territorio greco, presidio delle frontiere con mine anti uomo e ordini dei medici appunto solo per cittadini greci.
No, questo non è solo il vento del razzismo e della xenofobia che spira ormai in tutta Europa. La crisi, che germoglia nella degenerazione della politica e nelle mancate risposte nel merito alle criticità dell'Unione, sta producendo un macro corto circuito che è in primis sociale. A cui Bruxelles dovrebbe rispondere in maniera forte e decisa. Non sarebbe quindi saggio, dopo le ronde e la triste storia delle donazioni, attendere il terzo indizio per annunciare di avere una prova provata di antidemocrazia e di antipolitica civile. Esattamente agli antipodi dello “zoon politikon” aristotelico.

Fonte: Formiche del 13/7/12
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giovedì 12 luglio 2012

Buco nero in Grecia, quasi 3 miliardi di mancati introiti


“Buco nero” in Grecia. Un altro? Secondo i dati del ministero del tesoro ellenico esiste una voragine di 2,5 miliardi di euro di denari preventivati dal memorandum che non sono entrati nelle casse dello stato. Il default tecnicamente c’è già e lo testimonia il disavanzo totale del paese che ammonta a 12,3 miliardi di euro, 3 solo in questi primi sei mesi del 2012. Come dire che proseguire con l’attuazione del piano della troika in questi termini potrebbe non salvare l’Ellade da un destino già scritto dai numeri che la politica semplicemente ignora o fa finta di ignorare.

Una situazione figlia da un lato del fatto che a oggi 1,8 milioni di contribuenti non hanno ancora presentato la dichiarazione dei redditi, e dall’altro dall’oggettività di un piano di indispensabile rigore ma che si sta trasformando in macelleria sociale. Ciò significa essenzialmente che gli investimenti sono stati congelati in Grecia e lo Stato ha compiuto passi significativi nella direzione di un default definito tecnicamente “informale”. Con all’orizzonte forti frizioni tra il nuovo ministro delle finanze Stournaras e il leader del Pasok Venizelos, che assieme ai conservatori di Samaras e al democratico Kouvellis ha avallato un mese fa il governissimo multicolore, che però nei fatti riprende a marciare da dove si era fermato il tecnico Papademos. Contribuendo a ingrossare le file di scettici che continuano a sostenere come le elezioni siano state un passo inutile, quando invece si sarebbe potuto lasciar lavorare l’esecutivo tecnico nato a novembre e durato lo spazio di soli sei mesi: insufficienti per dare una sterzata verso l’austerity. E c’è chi giura che alla ripresa, dopo le vacanze, Atene sarà nuovamente teatro di manifestazioni e scontri di piazza, con una stabilità precaria per Samaras.

Al momento l’unica camera di manovra offerta ai creditori del paese è la sostituzione di alcune misure per un ammontare di 3 miliardi di euro equivalenti ai mancati introiti. Per questo, alla luce dei nuovi numeri sconfortanti, l’Eurogruppo di settembre che si terrà a Cipro potrebbe decidere una nuova tranche di denaro, circa 31 miliardi di euro con la ricapitalizzazione. Che però nel frattempo potrebbe essere anche non autorizzato se la troika non riterrà soddisfacenti i risultati conseguiti dal paese fino ad allora. Uno scenario reso verosimile anche dai report commissionati dalla Bce, che sarebbe anche pronta a dire di sì a una sorta di periodo cuscinetto di 30 giorni (per il vincolo di 3,2 miliardi con scadenza il 20 agosto), anche per consentire agli emissari della troika di proseguire con analisi e dati incrociati dopo la pausa estiva (si parla almeno di 10 giorni). Entrando nello specifico l’emissione di altri buoni del Tesoro (in aggiunta a quelli contenuti nel piano) e i proventi del Fondo per la stabilità finanziaria (3 miliardi) potranno essere utilizzati se richiesti esplicitamente dal governo ellenico ma solo condizionati al nulla osta da parte della troika: e al fine di pagare stipendi e pensioni nella seconda metà di agosto.

Nel dettaglio il governo guidato da Samaras ha pochissime settimane per attuare quanto chiesto da Bce, Fmi e Ue. Ovvero: taglio del 12% per giudici, accademici, sacerdoti e medici dal 1° luglio 2012, con un risparmio di 400 milioni quest’anno e 700 milioni nel 2013. Tagli ai fondi pensione (già impegnati per le prime tranche del prestito) e a sussidi per 300 milioni. Eliminazione del regimi fiscali preferenziali (dagli interessi sul mutuo alle spese mediche, dai premi assicurativi all’affitto della prima casa). Taglio di quindici mila statali da settembre, di agenzie e di autorità governative (chiuse o accorpate).

Il cane che si morde la coda quindi: perché se le misure contenute nel memorandum non verranno eseguite alla lettera, la troika non concederà gli euro utili a mandare avanti il paese e la sua quotidianità. Ma di contro sarebbe da chiedersi cosa accadrebbe se quel buco nero di mancati introiti non venisse colmato da misure aggiuntive. Perché a quel punto la troika potrebbe dirsi insoddisfatta e non aprire di nuovo il portafogli. Chissà se l’assenza di Samaras e Rapanos allo scorso appuntamento di Bruxelles (dove fu tardivamente e inutilmente inviato l’anziano presidente della Repubblica Papoulias) non abbia qualche punto di contatto con quell’amletico interrogativo.

Fonte: il fatto quotidiano dell'11/7/12
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Cari partiti, al bando tattiche e ricatti: contro la crisi prima le idee, poi i contenitori


Forse qualcuno non l’ha ancora bene compreso, quasi che fossero necessari altri dati funerei dell’Istat: il paese boccheggia, i settori trainanti dell’economia soffrono non solo la crisi in sé ma una condotta politica e amministrativa che non ha dato i frutti promessi. Già questo basterebbe per imporre un cambio di passo, sia nell’offerta partitica sia nella prosecuzione di un approccio alla cosa pubblica differente.  Quando al richiamo sull’urgenza di dare seguito ai mille buoni propositi sulle riforme strutturali la risposta dei contenitori partitici è a metà strada tra lo stallo e l’imbarazzo di perdere voti, la soluzione non può che risiedere in una via diversa: dare spazio e slancio alle idee. Pure, dure, scomode che scavalchino i contenitori e si pongano come vero fulcro dell’azione politica. 


Soluzione interessante potrebbe essere l’elezione nella prossima legislatura di un'assemblea costituente, una commissione dei 75 dei tempi moderni che agisca con risolutezza e lontana dalle beghe e dai ricatti dei partiti. Con alla base un’agenda condivisa di misure strutturali. Sui tagli, doverosi, si potrebbe iniziare a ragionare sul “buco nero” delle regioni, con sanità e spese per la politica a rappresentare la vera nota dolens. Le macro regioni, magari indicando i parametri tra dipendenti e abitanti e tra dirigenti e dipendenti, potrebbero snellire la voce “uscite” senza mortificare servizi e offerta amministrativa. Sulla materia fiscale prevedere un regime di detrazioni (in base al reddito) sull'Imu, al fine di cassare la criticità di chi non è in grado di presentare la dichiarazione dei redditi ma ha dovuto pagare un Imu elevato. E sulla legge elettorale concentrarsi su un modello che offra stabilità e non balcanizzazione, quindi maggioritario con collegi uninominali, a un turno o a doppio turno, senza listini proporzionali paracadute.

Spunti programmatici che, per produrre efficacia e benefici reali, non potranno che sottendere a una volontà politica rivoluzionaria: con la priorità alle azioni, rispetto alle braccia che le metteranno in pratica. Perché, come annota Antonio Polito sulle colonne del Corriere della Sera, l’illusione che si possa restare in Europa «infischiandosene dell’Europa si è rivelata tale anche in Grecia. Se le forze politiche responsabili non saranno in grado di garantire loro, dopo il 2013, ciò che il governo Monti sta facendo, allora sì che il governo Monti potrebbe dimostrarsi l’unica proposta politica seria rimasta agli italiani».

Fonte: il futurista del 12/7/12
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mercoledì 11 luglio 2012

Ma i falchi dell’Ue non aiutano il sogno europeo


Ha ragione Predrag Matvejevic quando rileva che il Mediterraneo, culla della civiltà e del passato, non riesce oggi a reinventare né quella cultura né un futuro credibile. Una criticità non soltanto figlia di congiunture economiche sfavorevoli o di condotte politiche deprecabili (come i conti truccati, gli sprechi di stato, le dipendenze dalle banche), ma del rifiuto dell’Europa di costruire se stessa attorno a una sorta di comunione liquida mediterranea in puro stile baumaniano. Per puntare senza titubanze verso l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa i proclami e le virate farlocche non servono a nulla, ma andrebbero sostituiti da una presa di coscienza seria e ponderata, da cui far nascere subito una linea programmatica franca e senza interpretazioni gattopardesche.

Se il metro di analisi del vecchio continente viene individuato e circoscritto solo in numeri e cifre, allora dell’Europa e della sua anima non si è compreso nulla, e forse fa comodo ai falchi che picconano l’unione non sforzarsi di capirlo. In questo momento l’Europa appare come una pangea, incapace di gettare ponti anziché erigere mura, insensibile al grido di dolore che non proviene solo dal sud del Mediterraneo (Grecia in primis) ma anche dal nord del continente africano, vicino di casa e partner indispensabile per una rinascita culturale che abbia il suo nocciolo nel Mediterraneo.
Piaccia o no ai governanti teutonici, il punto non è solo il rigore e la lotta allo spread, (sarebbe da folli non convergere su quelle priorità); quanto la consapevolezza che si è dato adito a un’unione monetaria senza l’imprescindibile supporto di quella politica, sociale e culturale.

Dove il termine cultura non risiede, come qualche sprovveduto commentatore ha osservato, nella conoscenza della arti, della storia o dei punti cardinali: bensì nel concetto alto, altissimo di società, nella capacità di abbeverarsi dalla fonte aristotelica e socratica della democrazia per non svilire quella conquista, che qualcuno pensa ancora di poter esportare altrove senza averla a casa propria. Non solo scudo antispread e austerità dunque: la rinascita euromediterranea passa dalla cultura del Mesogheios. Chi non lo capirà, semplicemente non vorrà un’Europa vera.

Fonte: il futurista dell'11/7/12

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Markaris: «Basta con spread e numeri, si ritorni al contatto con l’uomo»

«Vuol sapere la verità» chiede Petros Markaris, padre del commissario Charitos e in ospite del Festival Caffeina Cultura a Viterbo per promuovere l’ultima sua fatica? «Abbiamo messo da parte l’uomo e la cultura, sostituendolo con cifre e spread, ecco dove è iniziata la fine dell’Europa».
Il commissario Charitos è ormai un cult in mezza Europa, a settembre uscirà anche in Spagna e in Germania:  nell’ultimo romanzo, “L’esattore”, un serial killer uccide gli evasori fiscali. Posiamo quindi dire che la crisi è permeata in tutti gli strati sociali, anche nella letteratura?
Questa crisi è sin dall’inizio permeata nei miei libri.  Quando nel 2012 abbiamo compreso come la Grecia fosse finita ormai nel baratro, e al contrario di quanto ci raccontava il governo di allora, io ho creduto che la crisi fosse arrivata per restare e che non sarebbe passata facilmente.  Ed è in questo momento che ho avuto l’idea di scrivere una trilogia sulla crisi e per mezzo della crisi. Il mio scopo era, da un lato di scrivere tre libri sui temi all’attenzione del popolo greco (banche ed evasione fiscale), ma al tempo stesso in questi romanzi mi sono anche proposto di descrivere le ricadute sociali della crisi. Chi ha letto i primi due episodi del commissario, può rendersi facilmente conto di quanto si siano aggravate le condizioni di vita in Grecia. Quando ho annunciato il progetto editoriale di una trilogia, una giovane giornalista greca mi chiese: “Ma veramente scriverete tre libri sulla crisi?”. Le risposi che comunque una trilogia era ed è composta comunque da tre libri, ma lei spaventata aggiunse: “Quindi pensa che la crisi durerà così tanto da farle scrivere una trilogia?”. Non aveva torto perché a quell’epoca il governo ci diceva che la criticità sarebbe durata lo spazio di sei mesi, o al massimo un anno. A questo punto ho tre opzioni: o scrivere il terzo capitolo più l’epilogo della crisi, o trasformare la trilogia in tetralogia, o peggio di terminare questa trilogia per iniziarne un’altra. 
Finalmente dopo due tornate elettorali la Grecia ha un governo: ma non è singolare che la stessa classe dirigente che ha prodotto il default oggi sia chiamata a scongiurarlo?
Quando andate dal dentista e vi tira il dente sbagliato, generalmente poi vi rivolgere ad un altro dentista, giusto? Ma in politica le cose non sono così semplici. La nostra classe politica non ci ha tolto solo il dente sbagliato, ma ci ha asportato l’intera mascella. E purtroppo non possiamo fare ricorso ad un altro dentista, questo è il problema. Oggi siamo costretti ad andare dallo stesso dentista, trovare il modo per far essere presenti altri due dentisti che lo sorveglino, e in caso di dolore prolungato non ci resta che prenderci a schiaffi per alleviarlo un po’: non abbiamo alternativa. 
Molti analisti concordano sul fatto che al paese serva una rivoluzione: delle abitudini, culturale, politica, insomma totale. La crede possibile?
Entriamo in un campo, quello della cultura, dove le cosa da dire sono molteplici e non solo riguardanti la Grecia attuale. Mi limiterò a parlare della cultura politica.  Ma dovremmo ampliare questo tema, passando a discutere di cultura e di Europa. Ciò che è stato caratterizzante dell’Europa da parte di coloro che l’hanno istituita non è stato solo il fatto di creare un mercato unico, quanto di costruire un continente partendo da culture diverse ma da unire sotto l’egida di valori comuni. Vorrei a questo punto che qualcuno mi dicesse chi in Europa parla di cultura e di valori politici. L’unica cosa che ormai sento quotidianamente sono i numeri. Abbiamo pensato che il modo di unire i popoli fosse il trattato di Schengen, invece non è così. C’è dell’altro, qualcosa che io faccio presente ai tedeschi quando parlo con loro. Chi viene a visitare il Mediterraneo ne resta affascinato, per bellezza e natura, ma per noi la parola Mesogheios significa anche un modo di vivere, una caratterizzazione che va al di là di belle spiagge o mare incantevole: ecco ciò che non comprendono. Mi spiace molti di dover constatare che da circa due anni e mezzo, e non solamente in Grecia, tutto ciò che sento verte su numeri e cifre: ci siamo dimenticati dell’uomo e di ciò che esso significa. Dietro quei numeri ci sono persone in carne e ossa, con vite vere. Che producono culture differenti: ecco ciò che l’Europa si è dimenticata.
Come uscirne dunque?
Senza dubbio la Grecia ha bisogno di un cambio di passo e di un’altra cultura politica, ma è l’Europa in questo momento a necessitare di una coscienza di matrice culturale, che abbracci quel settore specifico.
Che succede quando i figli sono più poveri, economicamente e culturalmente, dei genitori?
Credo che in Grecia nel corso degli ultimi trent’anni abbiamo creato una serie di generazioni che sono cresciute e maturate nel quadro di un benessere virtuale. In Grecia un giovane su due è disoccupato. Ma questi giovani non sono come quelli che qualcuno di noi ha conosciuto in passato, che emigravano pur di lavorare. Bensì sono diversi: hanno frequentato l’università, con specializzazioni post-laurea, insomma abbiamo dei veri e propri scienziati che se ne vanno all’estero. Ecco la vera tragedia.
Perché dovrebbero tornare indietro stando così le cose?
Invito loro a restare più che possono in patria per lottare, ovviamente e realisticamente fin quando resistono. E non interrompere il rapporto con il proprio paese, in quanto è come un canale che ha due vie. Non è solo il paese che ha bisogno dei giovani, ma il contrario. La dinamica del cambiamento risiede nella dinamica dei giovani. Potrei dire che il dinamismo delle vecchie generazioni è la forza dell’esperienza, però questo mi costringerebbe anche a confessare che la generazione dei genitori di ieri non aveva né conoscenze né esperienze. 
Si è scelto di attuare l’unione monetaria prima di quella politica. Delle due l’una: o il manifesto di Ventotene è stato uno scherzo oppure ci hanno governato degli asini…
Credo che ciò che ha predominato in Europa dal 1989 in poi si ritrova nel peso spropositato attribuito al peso finanziario che ha danneggiato i valori culturali. 
Quale il più grande errore commesso?
Di identificare l’Europa con l’euro, un continente con una moneta. Ma l’Europa non è l’euro, questo è l’errore. Da quando c’è l’euro l’Europa si sta distruggendo, è la cruda e tragica verità, piaccia o meno. I 27 membri passano il tempo a interrogarsi sulla moneta unica, se resisterà, se ne usciremo; ma si dimenticano che l’euro in questi tre lustri non ha unico l’Ue. Viaggiando molto sto notando che nei singoli paesi sta montando una repulsione verso gli altri dello stesso continente. 
La vulgata “una faccia una razza” per Italia e Grecia è purtroppo confortata da dati preoccupanti: secondo l’Istat un italiano su tre a causa della crisi ha mutato le proprie abitudini alimentari consumando meno carne e sta risparmiando su un comparto delicatissimo come la salute. Gli stessi indici registrati in Grecia all’inizio del default…
A rischiare è l’intero Mediterraneo meridionale, orse non tutti con lo stesso coefficiente di criticità. Lo scorso febbraio sono stato a Barcellona, vi sono tornato due mesi dopo negli stessi identici luoghi e ho trovato negozi chiusi e locali sfitti. Un peggioramento verticale. Ieri la gente si lamentava della crisi, oggi ne è terrorizzata. Questa crisi è una malattia infettiva, lo dimostrano i casi di Cipro e Slovenia. Voglio dire con chiarezza che la maggior parte delle responsabilità di quanto accaduto ricade sulle nostre spalle: abbiamo molte colpe in quanto abbiamo commesso molti errori. La terapia però non è nostra, ma ci viene imposta e se la terapia fallisce la colpa non è del malato bensì del medico. In secondo luogo, e sempre continuando con la metafora medica, è come se ci servisse una chemioterapia mentre invece ci viene propinata dell’aspirina perché costa meno: inutile alla malattia e per giunta un prodotto tedesco.
Il vento dell’intolleranza spirato in Francia con Marine Le Pen è giunto fin sotto l’Acropoli con il partito xenofobo e nazionalista di Alba dorata giunto al 7%. È anche questo un fenomeno nato dalla crisi?
È uno degli errori di cui accennavo prima e appartiene a un panorama che oggi in Grecia prende il nome di contraddizioni. Non so dire fino a che punto il memorandum di troika e Germania riuscirà a salvare la Grecia, ma so per certo che sono riusciti a distruggere il sistema politico e sociale ellenico. In questa situazione il pericolo maggiore è proprio la presenza in parlamento del partito di estrema destra di Chrisì Avghì, che è stato votato in città e paesi con una forte presenza di immigrati e qui la macro responsabilità appartiene a tutti i governi che si sono succeduti, indipendentemente dai colori. Hanno visto che il bubbone si ingigantiva ma hanno voltato lo sguardo altrove. 
Quanto manca alla cultura e a lei in prima persona un maestro come Theo Angelopulos, scomparso pochi mesi fa ad Atene?
Molto. Per rispondere devo raccontare chi era. Nacque nel ’35  e maturò nella Grecia post bellica, nel periodo più difficile, un’epoca che lo segnò tantissimo, come dimostrano i suoi film. Quell’Ellade, con povertà e privazioni, aveva profondo il valore della cultura. Ecco la differenza con l’oggi.

Fonte: Mondo Greco del 10/7/12
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giovedì 5 luglio 2012

Grecia, ronde fasciste contro immigrati


Le ronde di Alba dorata e la pulizia “etnica” degli ambulanti di Atene. Un gruppo di quaranta giovani con caschi neri in sella a moto di grossa cilindrata vanno in giro per il quartiere di Nikea intimando agli ambulanti di sgomberare. Da sabato scorso, “armati” di felpe nere e bandiere greche, hanno dato un vero e proprio ultimatum agli immigrati: “Chiudete i negozi e andate via”, strappando anche qualche applauso tra i residenti. A denunciarlo la testimonianza di commercianti vicini che hanno visto le ronde, verosimilmente di Chrisì Avghì, il partito xenofobo di estrema destra che alle scorse elezioni elleniche ha raggiunto il 7% dei voti, facendo ingresso in parlamento per la prima volta dopo 40 anni di embargo.

Secondo il quotidiano Ta Nea, citando testimoni oculari, sabato scorso un “convoglio motorizzato” si è fermato davanti a quattro negozi in piazza Agios Nikolaos e circa 40 giovani hanno gridato agli immigrati pakistani: “Zitti! Avete una settimana”. Per cosa? Subito il panico si è diffuso tra i banchetti e nelle tende attrezzate dagli stranieri in quello, come in altri sobborghi della metropoli greca: innescato il fuggi fuggi generale, anche per via degli episodi di violenza che continuano a verificarsi ad Atene come a Patrasso contro i quali giovedì si svolgerà una grande manifestazione per dire “no” alla xenofobia, al razzismo e alle condotte antidemocratiche che gli esponenti del partito guidato da Nikolaos Mikalioliakaos stanno mettendo in pratica.

Muhammad Ibrahim era dietro il bancone del negozio quando ha sentito delle voci. Racconta che si era formato un capannello di immigrati che chiacchieravano in quella piazza quando si sono avvicinati a loro le ronde dei chrisìavghites (così vengono definite). “Andate via e non tornate più”. Chi c’era ha raccontato che all’istante il gruppo di extracomunitari si è dato alla fuga, raccogliendo le proprie cose in grandi lenzuola nere e correndo a più non posso. Ma le minacce non sono solo state semplici parole, come dimostra l’aggressione avvenuta a urne ancora calde contro un egiziano (picchiato durante la notte nel suo appartamento e ricoverato in fin di vita in ospedale) o la vera e propria guerriglia urbana svoltasi a Patrasso prima delle elezioni, quando la polizia ha tentato di fermare un gruppo di Alba dorata che aveva deciso di attaccare gli immigrati che avevano occupato una vecchia fabbrica abbandonata nella zona industriale della città portuale. La reazione della politica, ma solo di quella, non si è fatta attendere. I democratici del Dimar, che assieme al Pasok hanno dato vita al governo semitecnico guidato dal conservatore Samaras definiscono le “brigate meccanizzate e le minacce contro gli immigrati una vergogna per la democrazia, lo Stato e la legge non possono rimanere indifferenti agli attacchi razzisti contro gli immigrati indifesi”.

Ma ad inquietare è una certa accondiscendenza dei cittadini. Che non sentendosi più tutelati dalle forze dell’ordine e tantomeno dalla stessa politica che ha causato il default chiamata oggi a scongiurarlo, sono tentati di inquadrare questi gruppi senza legge e senza civiltà come nuovi interlocutori. E a dimostrarlo ci sono i cinquecentomila voti che il partito ha raccolto alle elezioni di maggio (confermati a giugno), che gli sono valsi la probabile vicepresidenza della Camera. E mentre il denaro contante sta tornando a scorrere nelle banche greche ad un ritmo costante (pare che almeno cinque miliardi di euro siano rientrati nel sistema creditizio) Alba dorata inscena una sorta di marcia anti immigrato nelle strade immediatamente sotto il Parlamento, quella piazza Syntagma dove da due anni si consumano disagi sociali fortissimi e teatro di uno degli ultimi suicidi da cris. Un farmacista si sparò sotto un albero a pochi metri dalla Voulì.

Fonte: Il Fatto Quotidiano.it del 4/7/12

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