giovedì 28 febbraio 2013

Grecia ‘spolpata’ ancora dalla casta: Fondazione Camera costa 2,5 milioni

La Grecia letteralmente in ginocchio, anche per il nubifragio record sull’Attica (il peggiore dal ’61 a oggi, che ha fatto una vittima di 23 anni), attende la nuova “visita” della troika che dica sì alla prima tranche dell’anno da 2,3 miliardi di euro. E intanto la “casta” ellenica continua ancora a sprecare il denaro pubblico. E’ il caso della Fondazione della Camera dei Deputati, istituita nel 2003 per offrire un vettore di comunicazione tra il parlamento ellenico e i cittadini attraverso la produzione e fornitura di progetti di alta qualità in campo culturale, storico e istituzionale, ma con costi fino a oggi proibitivi. Il bilancio dello scorso anno è stato di 2.508.900 euro, in zona Cesarini ridotto a 1.988.853 euro, utilizzati per progetti preventivati ​​con le scuole (480mila euro), stipendi del personale, pubblicazioni (347mila euro), 415mila euro per programmi educativi, 170mila euro per le spese amministrative. Per l’anno appena iniziato si pensava che l’istituzione fosse tra quelle soppresse e invece la casta ha pensato bene di limarne solo il budget, scendendo a 1.856.000 euro. E con un programma niente affatto sobrio, tra cui spiccano l’omaggio a Manos Hadjidakis, con progetti e proposte culturali del compositore e in primavera il cinquantesimo anniversario dell’assassinio di Gregoris Lambrakis, l’atleta e uomo politico fondatore del “Comitato greco per la pace internazionale” assassinato a Salonicco nel 1963.

Alla voce “uscite” vanno poi aggiunti i costi esorbitanti per gli immobili del parlamento. Venti giorni fa al presidente della Camera, Evangelos Meimarakis, è stato sottoposto un report da parte di emissari della troika in cui si evidenziavano in rosso le spese macroscopiche evitabili. Il riferimento è ai canoni di locazione per gli uffici del Parlamento nella centralissima piazza Syntagma ad Atene, che per il solo 2012 sono stati di 4 milioni e rotti. I numeri sono scoraggianti: nonostante la crisi, negli ultimi tre anni a carico dell’erario ellenico ci sono stati 406mila euro al mese per gli edifici in affitto, per un totale consolidato di 4.340.000 euro nel 2012. Emblematico è il caso dell’edificio governativo situato in Odòs Amalìa con un affitto di 96.500 euro che ospita l’Ufficio dei programmi europei e gli studi televisivi della Camera, un canale digitale dove sono impiegati venticinque tra giornalisti e operatori dotati delle tecnologie all’ultimo grido, ma che in tempi di magra come questi sembrano uno sproposito. Altra nota dolente è l’edificio situato in Vasilissis Sofias con vista sul Parco nazionale, dove è allocato il cuore del meccanismo amministrativo e finanziario del parlamento, che pesa per un canone mensile di 140mila euro.

Il tutto mentre accade una cosa alquanto singolare: nonostante lo Stato abbia in cassa 4 miliardi di euro e il vice ministro all’economia Staikouras abbia firmato mandati di pagamento per arretrati vari (contratti con la pubblica amministrazione, forniture, debiti dello Stato verso ordini professionali e imprenditori) per quasi un miliardo di euro, sono stati pagati solo 140 milioni.

Intanto anche la Commissione europea “si accorge” che l’anno che si è aperto è stato drammatico per l’occupazione in Grecia con prospettive ancora meno incoraggianti per il 2014: in particolare il tasso di disoccupazione in questi primi due mesi è schizzato al 27% (è del 61% fra i trentenni), ovvero di tre punti percentuali pieni (circa 150.000 persone) rispetto al mese di novembre. Solo pochi mesi fa la stessa Commissione aveva previsto che la disoccupazione sarebbe scesa almeno di un paio di punti. L’istituzione comunitaria si è detta preoccupata per il calo della domanda, che influenzerà investimenti e occupazione. In parallelo, stima che gli investimenti continueranno a diminuire in Grecia nel corso del 2013, e le imprese avranno da affrontare un problema ancora maggiore di liquidità. Infine, l’inflazione, negativa non solo quest’anno, ma anche nelle previsioni per il 2014.

Una possibile soluzione? Potrebbe essere lo sfruttamento degli idrocarburi di cui è ricco il mar Egeo, ma proprio in questi giorni riemergono vecchie ruggini con la Turchia per la zona di sfruttamento esclusivo. Tema sul quale ieri sera è intervenuto il compositore Mikis Teodorakis con una frase sibillina: “Siamo a mezzo metro dalla sorgente, ma non riusciamo a bere l’acqua”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 27/2/13
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lunedì 25 febbraio 2013

Rischio Grecia per l’Italia? L’esperienza di Atene


Esiste un rischio Grecia per l’Italia con la piena ingovernabilità post elettorale che porti a nuove elezioni? L’unica legge elettorale peggiore del Porcellum italico, infatti, è proprio quella in vigore in Grecia che ha prodotto quattro tornate elettorali con altrettanti governi instabili in soli otto anni, ultimo quello nato già zoppo nel maggio scorso a causa di un sistema farraginoso che sacrifica la governabilità. In quanto si attribuisce il premio di maggioranza al primo partito e non alla coalizione vincente, per cui sono stati varati esecutivi fragili che non hanno portato a termine né il programma di governo né le riforme di cui oggi l’Europa chiede conto.

La legge elettorale greca infatti prevede una sorta di proporzionale “rinforzato”. In tutto ci sono cinquantasei circoscrizioni elettorali dipendenti dal numero delle prefetture. E quella più popolosa, nella capitale, dispone di più circoscrizioni. Ognuna delle circoscrizioni elettorali elegge un numero di deputati proporzionato al numero dei residenti. Ma mentre 288 dei 300 seggi sono dati dal voto nelle circoscrizioni, (con la possibilità per gli elettori di esprimere una o più preferenze per i singoli candidati), i restanti dodici seggi vengono assegnati con una lista nazionale. 
All’interno della quale i seggi sono assegnati in proporzione ai voti di ciascun partito e con una soglia nazionale del 3%. Il premio di maggioranza che consiste in quaranta seggi è assegnato al partito che a livello nazionale raccoglie più voti.In occasione delle politiche del 2012 in Grecia si è andato a votare due volte in un mese, dal momento che il primo partito, i conservatori di Nea Dimokratia, pur avendo più voti e quindi più seggi in virtù del premio di maggioranza (108 seggi su 300), non erano in grado da soli di “coprire” la maggioranza della Camera dei Deputati (erano necessari 151 su 300 seggi come minimo).

 Per cui il primo passo fu quello di tentare alleanze trasversali con tutti i partiti tranne che con i “nemici” secondi classificati, ovvero la coalizione radicale guidata dal giovane Alexis Tsipras contraria al memorandum della troika (che aveva raccolto 52 seggi su 300).Ma neanche un’alleanza con soli socialisti avrebbe consentito all’attuale premier di raggiungere quota 151, per cui in occasione della seconda chiamata alle urne nel giugno scorso e su forti pressioni da parte della troika, Nea Dimokratia giunse sì ad un accordo per varare un governo di salvezza nazionale ma non con il secondo partito, appunto il Syriza, bensì con il terzo e addirittura con il quarto classificato, rispettivamente i socialisti del Pasok e la sinistra democratica del Dimar. Componendo l’attuale anomalo esecutivo a “tre gambe”, con divergenze strutturali che ne hanno condizionato l’attuazione programmatica. Un ritardo che, con la crisi che morde imprese e cittadini, può essere letale.

Fonte: Formiche del 25/2/13
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La lezione greca serva a Cipro: questa volta niente euro errori


La vittoria alle presidenziali cipriote del merkeliano Anastasiadis ha una priorità su tutte: evitare gli errori commessi in Grecia con le storture di un memorandum che è stato rateizzato in tre tornate di tagli, che non hanno risolto a monte il buco strutturale di Atene. Perché non è sufficiente combattere una montagna di debiti con un’altra montagna di debiti, ma oltre all’imprescindibile austerità della spesa pubblica e dei costi della casta occorre uno stimolo alla ripresa economica. L’esposizione delle banche cipriote nel default greco è impressionante. Si calcola che nel 2011 fosse quantificato in 29 miliardi, ovvero il 160% del pil. Inoltre, in virtù della nota e sofferta ristrutturazione del debito ellenico, alle banche cipriote sono stati “sottratti” altri quattro miliardi. Numeri pesanti che si sommano alla contingenza della crisi avvertita fuori dai palazzi del potere, con aziende che chiudono e riforme che tardano ad arrivare.

Per questo il neo presidente ha già dichiarato di voler impedire distorsioni nel memorandum che colpisce le classi più deboli. Sul tavolo vi sarebbe già una sua proposta per un esecutivo di salvezza nazionale aperto a tutte le forze politiche e sociali che condividono una visione riformatrice.Punto di partenza, ha detto ai cronisti ieri sera, è “tenersi per mano per combattere la battaglia della crisi”. Il primo a complimentarsi con il neo eletto è stato il premio nobel per l’economia Christopher Pissarides (un caso?) che proprio all’inizio della crisi greca si era detto favorevole ad una sorta di default controllato per Atene al fine di attutirne i riverberi, ma al contempo evitare un memorandum suicida. Poi le cose, come è noto, andarono diversamente.  Per il cipriota, che è docente alla London School of Economics, si vocifera di un possibile incarico al dicastero delle Finanze.

Ma il difficile, come molti analisti concordano nel dire, spetta alla capacità del neo presidente di spuntare condizioni non troppo gravose con i creditori circa il maxi prestito, e gestire un attimo dopo le conseguenze di quell’immissione di denaro esterno. I numeri, al momento, sono drammatici: la Commissione europea prevede per l’anno in corso una diminuzione del pil dell’1,7% oltre a un aumento del deficit di bilancio, che può raggiungere il 6% del pil. Allo scorso dicembre il “rosso” era pari a quindici miliardi di euro. Per una ricapitalizzazione del sistema bancario, sulla base delle stime di Pimco, servirebbero 8,8 miliardi di euro. Oltre a 1,2 miliardi di euro per le banche di credito cooperativo. Inoltre sarebbero necessari altri 1,5 miliardi per coprire i deficit di bilancio e 6 miliardi per rifinanziare il debito.

Ma, al netto di indici e previsioni, il passo che si può auspicare per chi dovrà affrontare il dossier Cipro, è che non si commettano errori di valutazione, proiezioni reali di crescita e di impatto delle misure, per evitare il rischio Grecia, dove è andato in scena non uno ma un triplice memorandum con tre diversi tagli, con ritardi nelle privatizzazioni e nelle liberalizzazioni. E con popolazione e aziende in estrema sofferenza, non propriamente convinti che ne sia valsa la pena.

Fonte: Formiche del 25/2/13
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sabato 23 febbraio 2013

L'amara cicuta che tocca all'Ellade



“Non è un sogno la vita - cantava l'inventore del rebetiko, Vassilis Tsitsanis, nel 1968 - né una festa. Stasera che ci siamo separati è solo un calice amaro”. Quarantacinque anni dopo quelle parole e quelle serate trascorse, tra sogni e arti, nell'incantevole Plaka ai piedi dell'Acropoli assieme a Melina Mercouri, Sotiria Bellou e anche il nostro Tognazzi, ben altro è il calice che tocca all'Ellade, ancora più amaro. Ieri il dopoguerra e la ricerca del benessere, i totalitarismi in terra di Grecia, l'avanzata del regime dei colonnelli. Oggi la cicuta del memorandum, da mandare giù il più rapidamente possibile, pena il default nel default, che già si è impossessato di un Paese intero e dei suoi cittadini, oppure da respingere (ma come?). Non sono ancora troppe le occasioni in cui si racconta cosa significhi esattamente crisi nella Grecia colonizzata, dalla troika da un lato e da una classe dirigente irresponsabile dall'altro. Perché i denari che Bce, Fmi e Ue hanno prestato ad Atene per l'85% vanno alle banche sotto forma di ricapitalizzazione e solo le briciole agli enti locali per pagare stipendi, pensioni e bollette della luce. E soprattutto non solo tutti sanno che non potranno essere restituiti, ma non mutano di una virgola il panorama attuale: disoccupazione record al 27% con un trend annuale che la porterà al 30%, aziende che chiudono come funghi, scioperi a tappeto da parte di tutte le categorie, università abbandonate da un numero sempre maggiore di studenti, impoverimento progressivo del ceto medio in virtù di tre tagli consecutivi a stipendi, pensioni e indennità, ong che agiscono già sul territorio per supplire alle deficienze “sociali” di uno Stato e del suo Parlamento, malati terminali che non trovano facilmente i farmaci salvavita di cui necessitano, cento farmacie chiuse in un anno per via dei debiti che lo stato ha con la categoria.

Ed ecco che, a fronte di una contingenza simile che fisiologicamente può soltanto peggiorare, a fare notizia sono i riverberi sociali di rapporto debito/pil e timori di nuove misure come tra l'altro non ha escluso il titolare dell'economia, presentando in Parlamento il maxiemendamento fiscale a medio termine 2013-2016. Sono i movimenti tellurici della società, i progressivi passi indietro che gli undici milioni di greci sono costretti a fare. Tornando a vivere in provincia dove il costo complessivo è inferiore rispetto alle grandi città, o scegliendo la dolorosa vita dell'emigrazione in Svezia o Germania, o chiedendo asilo ad anziani genitori per “abbattere” le spese fisse di luce e gas. Con una scena che dà la cifra di quale mutazione stia avvenendo nel paese, dove in alcuni giardini spuntano nuovi pollai appena costruiti, sintomo di una precisa volontà “casalinga” e di involuzione economica. Quando il costo della vita si eleva a target milanesi e, al contempo, i salari diventano irrimediabilmente bulgari, i cittadini si organizzano come possono.

Non è demagogia o populismo scagliare la prima pietra contro chi amministra, dal momento che gli squilibri appaiono enormi a fronte di sacrifici indicibili per cittadini e cittadine. Il pensiero corre a quei 35 deputati che hanno appena chiesto un prestito a condizioni favorevolissime alla banca della Camera, mentre molti imprenditori, fra i duemila suicidi da crisi registrati nell'ultimo biennio, non riuscivano ad ottenere neanche un centesimo in più dal proprio istituto di credito, o altro tempo per rientrare del “rosso”. O a coloro che affollano la Lista Lagarde degli illustri evasori, compresi quegli ex ministri che l'hanno occultata o manipolata mentre non pochi sono i greci che, non riuscendo a pagare l'Imu, sono costretti a svendere la propria abitazione. O a ministro e viceministro delle finanze che hanno sì varato una legge contro il cumulo delle pensioni da parte della casta ma con validità a partire dal 2013 salvando, di fatto, se stessi e tutta l'allegra brigata che dalle Olimpiadi del 2004 ad oggi ha speso ciò che non aveva, mentre i fondi pensione di alcuni ordini professionali sono a secco, prosciugati da qualche malsana operazione in stile Monte dei Paschi di Siena. Il tutto mentre solo ora il commissario Ue alla Salute Borg si accorge dei disservizi sanitari e va in missione nel paese per discutere di temi legati alla sicurezza della catena alimentare, dopo anni di oggettivo disinteresse; con milioni di euro scialacquati senza un ritorno effettivo per i territori; senza un regime di controlli severi da parte dell'euroburocrazia; dopo un'esagerato ricorso ai parchi eolici su cui ora la magistratura inizia ad indagare; con il rischio di un'agenda nascosta da parte del governo che non scopre le carte circa la modalità di investimenti internazionali che già ci sono, ma a fronte di un costo del lavoro irrisorio che fa fatturare solo i grandi nomi. Uno scenario sul quale si avventano, come felini affamati, le violenze estremiste: con i neonazisti di Alba dorata che sfondano quota 11% e si posizionano in pianta stabile come terzo partito del paese, e con nuovi episodi legati all'eversione che sono sfociati in conflitti con le forze dell'ordine e sgomberi forzati nei giorni successivi agli attacchi molotov contro la sede del partito di governo e contro un centro commerciale ateniese.
E mentre alcuni docenti spagnoli nel protestare contro una riforma che sacrifica proprio gli studi classici avviano una campagna pro Grecia. Perché, scrivono in un lungo appello destinato ai social network, “greche sono le nostre radici, greci sono gli antichi testi che hanno aperto i nostri orizzonti. Eliminare quel bagaglio sarebbe come dire ai nostri studenti di non pensare”.

Racconta Esopo, nella favola del pescatore, che questi batteva l'acqua dopo aver teso le reti e sbarrato la corrente dall'una all'altra riva. E lo faceva con una pietra legata a una funicella, perché i pesci, fuggendo all'impazzata, andassero ad impigliarsi proprio tra le maglie. Ma uno degli abitanti del luogo lo richiamò perché in quel modo insudiciava il fiume e rendeva loro impossibile bere acqua limpida. L'altro replicò: “Ma se non intorbido così l'acqua, a me non resta che morir di fame”. Così anche negli Stati, per i demagoghi gli affari vanno bene specialmente quando riescono a seminare il disordine nel loro paese.
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Fonte: Gli Altri settimanale del 22/02/13
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mercoledì 20 febbraio 2013

“Drizza le antenne” cara Italia, la Grecia non è su Marte…



Il fatto che non faccia più notizia, almeno in Italia, non significa che vada ignorato. Il primo sciopero generale dell’anno in Grecia sta passando inosservato, “coperto” da noiosi dibattiti pre elettorali e polemiche ad hoc che, come la panna, si smontano dopo qualche ora. Oggi quarantamila persone hanno sfilato per le piazze della capitale ellenica per dire che, semplicemente, non ne hanno più. Agricoltori a cui non conviene più raccogliere prodotti che non venderanno, studenti universitari costretti a interrompere il percorso di laurea per costi elevati di frequenza, dipendenti pubblici che dal primo marzo (in 25mila) saranno licenziati, pensionati che hanno subito tre tagli in due anni, giornalisti disillusi, medici, avvocati, ingegneri, insegnanti, commercianti, imprenditori: tutti con sul proprio corpo i graffi della crisi. Con qualche scontro con le forze dell’ordine sfociato in lancio di gas lacrimogeni.E a tre giorni dal nuovo viaggio della troika che sarà ad Atene per la prima tranche di denari del 2013 (2,3 miliardi di euro) da avallare previo taglio dei suddetti dipendenti pubblici. Anche il presidente francese Hollande, lasciando Atene ieri dopo un bilaterale, lo ha sottolineato: non si vive di solo rigore. 

Perché dopo il massacro dei tre memorandum, con stipendi bulgari da 500 euro e prezzi “milanesi”, in Grecia non resta un briciolo di energia produttiva per rimettere in moto un’economia morta e sepolta, per liberalizzare un mercato intrecciato alla vecchia politica delle tre dinastie che da sette lustri comandano il Paese, per internazionalizzare con ricadute reali sul territorio, per non ridurre la solidarietà ad uno sforzo solo delle ong.Ma a stridere ancora di più è il silenzio dei cugini italiani. Che non dipende solo dalla campagna elettorale, sarebbe da ingenui pensarlo. Forse la Grecia “specchio” della crisi sistemica, economica e sociale, di un continente a un passo dal default, non è un’immagine che aggrada il perbenismo di chi non si mette in discussione. Di chi non si interroga sugli errori commessi, sulle migliaia di occasioni sciupate da amministratori che non hanno liberalizzato salvaguardando rendite di posizione e una spesa pubblica che non ha eguali a nessuna latitudine, con manager regionali e presidenti di provincia che guadagnano quanto Barack Obama. 

I 40mila greci in piazza oggi, come anche i centomila che la notte del voto della Camera per le ultime misure nell’ottobre scorso hanno manifestato sotto una pioggia incessante, sono scomodi perché potrebbero rappresentare una sorta di ritorno al futuro. In quanto offrono lo start per accendere i motori di una macchina del tempo, con direzione domani. Ma che, proprio per questo e per la concomitanza di indici industriali e di vita reale che assomigliano sempre di più a quelli della Grecia pre crisi, non dovrebbero essere ignorati dall’Italia. Anzi, scrupolosamente attenzionati. E non relegati a scomoda cornice.

Fonte: Formiche del 20/2/13
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martedì 19 febbraio 2013

Grecia, le banche concedono prestiti ai parlamentari ma non ai cittadini



La Grecia collassa e la politica si mette un passo “avanti”. La metafora è quantomai indicata per raccontare un altro capitolo del teatro dell’assurdo che sta andando in scena a ottanta chilometri dalle coste italiane. Secondo il quotidiano Parapolitika più di 35 parlamentari hanno chiesto alla Banca della Camera un prestito per “eccezionali necessità finanziarie” e ciascuno di loro ha già ricevuto la somma di 10.000 euro, mentre altre quindici domande sono in attesa di essere valutate. Così mentre da un lato troika e euroburocrati chiedono sacrifici occupazionali, dall’altro la casta ellenica non pare scalfita da spending review né da privazioni di alcun genere. Infatti le banche nazionali non concedono più prestiti ai cittadini “comuni mortali” per via di garanzie che scarseggiano sempre più, con il risultato di un mercato ancora fermo e con aziende che chiudono. Con conseguenze anche sociali, si veda un altro suicidio da crisi (siamo a quota 2100 dal 2010): un 57enne vicino Volos che si è impiccato ieri perché travolto dai debiti.

Maledetta povertà. In un solo mese (gennaio 2013) secondo i dati dell’Agenzia nazionale dell’occupazione, sono stati persi 32.209 posti di lavoro. Raggiungendo un numero totale di disoccupati pari a 829.787 persone (4,04% di aumento). Numeri che si abbattono in giorni drammatici per il paese, dove la disoccupazione sta facendo segnare record su record (27%, con il 61% tra i giovani), dove gli agricoltori protestano ininterrottamente, con le sacche di violenza ideologica che tornano a riempirsi di odio e intolleranza. Ma a quei numeri occorre aggiungere i 25mila dipendenti di istituti bancari che entro il prossimo biennio saranno licenziati, dal momento che tra fusioni e acquisizioni chiuderanno circa 1400 sedi in tutta la Grecia. Ragione in più per indignarsi, anche in considerazione del fatto che la politica si dice dalla parte dei cittadini ma solo a parole.  

Ieri il leader del socialisti, Evangelos Venizelos, ex ministro delle finanze che al pari del suo collega Papacostantinou evitò di protocollare la lista Lagarde degli evasori, ha detto che “nessun paese con dignità potrebbe tollerare soluzioni imposte da terzi, è importante passare dal memorandum a un piano di ricostruzione nazionale”, come se il suo partito non avesse avallato le misure lacrime e sangue della troika. Che, a fronte ad esempio della prima tranches di prestiti del 2013 da 2,3 miliardi di euro, chiede l’immediato licenziamento di 25mila dipendenti pubblici in uscita già dal prossimo 1 marzo. A fronte dell’immobilismo politico la scuola serale di Heraklion ha pensato di creare un’agenzia di reclutamento per studenti disoccupati, in collaborazione con l’Associazione di Commercio e Associazione Albergatori e hanno anche attivato un salvadanaio per gli studenti bisognosi. A ciò si aggiunga un atteggiamento piuttosto sui generis nel comparto difesa: dove la troika ha di fatto bloccato fino al 2015 le iscrizioni alle Accademie ma non ha eccepito a fronte delle nuove commesse militari per diedi miliardi di euro, tra fregate, fornitore di missili e nuovissimi sistemi radar che la Grecia “alla fame” ha ordinato. Non a caso secondo una ricerca dell’ “Analisi Metron” pubblicata dal quotidiano Eleftherotypia l’87% dei cittadini ritiene tutta la classe dirigente responsabile del disastro attuale. E solo uno su quattro ritiene che attualmente il paese si stia muovendo nella giusta direzione.

Qualcosa di più l’ha detta ieri il grande compositore Mikis Teodorakis, che all’età di 88 anni non ha intenzione di rimanere con le mani in mano nella Grecia diretta al default e, rivolgendosi agli studenti ateniesi, offre la sua diagnosi della crisi: “Il Paese è sottomesso da spettacoli degradanti, elezioni parlamentari e fuochi d’artificio, vere ragnatele modernizzate, in cui sono caduti finora tutti i partiti e anche la sinistra storica”. E ricorda che dal dicembre 2010 “abbiamo fondato il Movimento Indipendente Cittadini (PAC), per illuminare il popolo con queste verità. In molti sono scesi in piazza contro i dominatori stranieri e locali”. Cosa manca allora oggi alla Grecia per uscire dal tunnel? Semplice, conclude, la “scintilla per accendere il fuoco del purgatorio che porterebbe al percorso di liberazione”. E mentre il leader delle opposizioni, Alexis Tsipras, è già in clima elettorale e ingaggia un manager che stenda un mini piano Marshall per la Grecia, da approntare nei primi cento giorni del nuovo governo. Convinto che il trumvirato Samaras-Venizelos-Kouvellis sia alla fine dei suoi giorni.  

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 19/2/13
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lunedì 18 febbraio 2013

Cipro sceglie l'Europa di Angela e del rigore. Ma sarà ballottaggio con l'incognita Lillikas



Un voto per l'Europa e per il rigore merkeliano quello che domenica scorsa i cittadini ciprioti hanno consegnato alle urne, anche se sarà necessario attendere il ballottaggio tra cinque giorni per conoscere chi la spunterà tra il conservatore filo berlinese Nikos Anastasiadis e Stavros Malas candidato della sinistra. Che al primo turno hanno guadagnato rispettivamente il 45,46% e il 27%. Con ben il 25% dei consensi incassati dal candidato indipendente Lillikas, vero ago della bilancia per il risultato finale. Cipro chiude l'era dell'ultimo presidente comunista, il rosso Dimitri Chriostofias bersaglio di un fallito attentato poco prima di Natale, con un'affluenza dell'82% (6,5% in meno rispetto alla gara 2008, ma superiore a quella parlamentare 2011) ma soprattutto con numeri da brividi: troika già all'opera per il memorandum in stile Grecia, disoccupati record, a dicembre 41.625 rispetto ai 39.522 di novembre e ai 32.895 del dicembre 2011. Con le lacrime del premier nella conferenza stampa che ha chiuso il suo mandato e, pare, la sua carriera politica lo scorso 7 dicembre, per poi affermare di essere amareggiato per l’odio ideologico di cui è stato vittima: qualcuno infatti si è addirittura spinto a definirlo un assassino. Sono gli stessi – ha osservato – che hanno anche parlato con disprezzo della sua famiglia, del presidente figlio di una lavandaia asceso al gotha della politica cipriota. «Le mie origini – disse in quell'occasione – sono il mio onore e il mio orgoglio». Per chiudere, infine, con un preciso atto di accusa: «I veri colpevoli della crisi finanziaria dell’isola sono le banche, le grandi aziende e l'autorità di vigilanza competente, la direzione precedente della Banca centrale di Cipro».

Ma cosa attende il nuovo presidente? In primis la negoziazione di un piano di austherity dal momento che già le tre principali banche dell'isola (ancora occupata da 50mila militari turchi dal 1974) sono in apnea. La gestione di giacimenti di gas naturale al largo dell'isola, i profitti attesi che ammontano a decine di miliardi di euro in virtù di un accordo di massima già siglato con Israele, ma con le consuete intromissioni di Ankara che si è addirittura spinta a minacciare grandi aziende internazionali se dovessero collaborare con l'asse Nicosia-Tel Aviv, senza che l'Ue abbia mosso un dito. E l'atavica questione della divisione dell'isola, con lo stato cipriota membro dell'Ue contrastato dalla parte turco-cipriota autoproclamatasi e riconosciuta solo da Ankara su cui gli sforzi sin qui compiuti non hanno prodotto risultati, eccezion fatta per il piano Annan bocciato dal referendum in quanto estremamente vantaggioso solo per i turchi.

Dunque sarà ballottaggio. Da un lato Nikos Anastasiadis, membro fondatore della Gioventù democratica, deputato dal 1981, leader politico del partito conservatore. Una delle sue proposte riguarda la trasformazione della Guardia nazionale in un'organizzazione semi-professionale dell'esercito: in tal modo, solo una percentuale minima del Pil verrebbe investita nella Difesa, in favore di istruzione e agricoltura. Circa il problema dell'invasione turca è stato il più fervente sostenitore del piano Annan, anche se la grande maggioranza (61%) del suo partito votò contro. È sostenuto anche dal Partito democratico cipriota e dagli ambientalisti. E dall'altro Stavros Malas, figlio di Dennis, combattente e stretto collaboratore dell'arcivescovo Makarios, laureato a Londra in Genetica, già ministro della Salute: oggi candidato indipendente con l'appoggio di Akel, il Partito progressista del popolo lavoratore. Propone la riunificazione dei territori ciprioti, mentre in tema di lavoro si oppone ad austerità e prescrizioni neoliberali per difendere invece il settore pubblico, le cooperative, i diritti e le conquiste sindacali. Nel mezzo il 25% di Iorgos Lillikas, fondatore assieme alla moglie Barbara della società Marketway (che ha lasciato nel 2003 quando è stato nominato ministro degli Esteri sotto il "democristiano" Papadopulos), oggi propone la salvaguardia del settore sanitario pubblico, il miglioramento della qualità dei servizi sanitari, riducendo i costi, e la creazione di un’agenzia assicurativa centrale. Per quanto riguarda la corruzione si è distinto per una proposta interessante che farà discutere: l'estensione della responsabilità a chiunque gestisca il denaro pubblico. 

Sullo sfondo una terra martoriata da trent'anni di razzie, con i militari turchi che hanno distrutto luoghi di culto non musulmani (chiese cristiane, ortodosse, maronite, ebraiche), con resort a cinque stelle e bordelli edificati su i resti di cattedrali e cimiteri dall'inestimabile valore culturale e religioso. E che oggi deve fare i conti anche con il contagio ellenico a cui Vladimir Putin si era offerto di riparare con 2,7 miliardi di euro in contanti. Ma a cui l'Europa ha detto “no, grazie”.

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domenica 17 febbraio 2013

Onde al Tg3 Rai


Si è svolta venerdì 1° febbraio presso l'Aula del Consiglio Regionale la Giornata Tematica "Una città che cresce: immigrazione, inclusione sociale e intercultura. Lettura critica del libro Onde: diario di un immigrato".

Sono intervenuti Francesco De Palo, autore del libro "Onde", Alberto Fornasari, Laboratorio di Pedagogia Intercultura-Università degli Studi di Bari e Roberto Menia, componente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera.
Ha concluso i lavori Rosalba Magistro, Responsabile della Sezione Multiculturale della Biblioteca del Consiglio Regionale. Nel corso dell'incontro è stata distribuita la XXII edizione del Dossier Caritas Migrantes.

Vade retro nuovismo. La politica (italiana) dei passi indietro



Ma quale novità? Questa è una campagna elettorale vecchio stile, osserva uno dei maggiori politologi italiani, Giorgio Galli, docente di Storia delle dottrine politiche presso l'Università degli Studi di Milano. Secondo cui «a fronte dei due elementi innovativi come le piazze di Grillo e le primarie del Pd, la politica stessa abbia scelto di replicare con vecchi cliché, facendo un passo indietro». 

Si rischia concretamente di avere un Senato senza maggioranza: è la conferma del doppio fallimento dei contenitori partitici e dei contenuti politici?

Credo sia più di un rischio. Penso che di fronte ad una situazione difficilissima come quella in cui potremmo trovarci, il prossimo Parlamento avrà molte difficoltà. Il nostro sistema politico sta attraversando una crisi molto grave, nel merito e negli strumenti. La legge elettorale con cui voteremo tra pochi giorni è stata congegnata per la situazione contingente di quando fu ideata. In discussione, quindi, ci sono sia i partiti come luoghi fisici sia le questioni relative alle proposte.

In questa campagna elettorale si registra il ritorno dell'elemento piazza con Beppe Grillo e di quello passionario con le primarie del Pd: due “vecchie” novità?

Non vedo alcun ritorno al passato. Piuttosto è vero, c'è stata una virata verso una nuova e diversa partecipazione, e la si è vista con Grillo e le primarie dei democratici. Ma credo che questa campagna elettorale sia ancora di vecchio modello televisivo. E la piazza non potrà che tornare sulla scena dal giorno dello spoglio in poi.

Libertà, diceva Gaber, è partecipazione: crede sia troppo inflazionata da parte degli schieramenti la proposta del nuovismo? Tutti parlano di liste nuove, programmi nuovi, ma alle criticità poi non si oppongono soluzioni radicali o innovative.

Qualche piccolo elemento di novità lo vedo, penso alla green economy, o alla messa in discussione dei rapporti con l'Europa non nel senso di uscirne e rinunciare all'euro, ma nel senso di dover trattare per non subire più passivamente le decisioni dell'euroburocrazia. Simili tendenze sono presenti, ma il vero guaio è che appaiono ancora al momento troppo marginali all'interno del dibattito complessivo. Ma di contro l'intera campagna è molto tradizionale e centrata sulla tv, in questo senza dubbio vedo poca novità. Di soluzioni, invece, nessuna traccia.

Altro elemento politico che spicca e ritorna ciclicamente è il continuo e smodato uso della promessa, da un versante all'altro di liste o partiti: oggi più di ieri. Può celare precise deficienze programmatiche?

Decisamente sì. Ascoltare Berlusconi che promette quattro milioni di posti di lavoro fa aumentare la consapevolezza di una domanda: come si fa a condurre una serie di comizi o interviste con simili espressioni mirabolanti? É del tutto fuori dalla realtà. Continuo a vedere i soliti temi, l'abolizione delle tasse, il miraggio occupazionale. É come se a fronte dei due elementi innovativi richiamati all'inizio, il Movimento dei grillini e la scelta di condurre le primarie fatta dal Pd, poi la politica stessa abbia scelto di replicare con vecchi cliché, facendo un passo indietro. Esiste un preciso divario tra la passività di questa campagna elettorale e quanto, non di nuovismo ma di sensazione della gravità della situazione, c'è diffusamente nel Paese. 

Se si aggiunge una fetta di responsabilità da parte di alcuni mezzi di informazione che “fanno sponda” con quella politica vecchia, allora il quadro si fa più chiaro. O no?

Bisogna distinguere. La carta stampata offre più notizie, ma quanti cittadini leggono? Diverso il discorso per la televisione, più orientabile e orientata. Anche perché alcune questioni cruciali, come ad esempio quella del Monte dei Paschi, che offrono la cifra della gravità del sistema finanziario delle multinazionali, vengono raccontate con abbondanza di particolari minori del tutto inutili. Che alla fine accrescono la difficoltà nel comprendere il quadro di insieme di questi poteri. 

Come non disperdere i segnali di rinnovata partecipazione che si sono riscontrati in questa vigilia elettorale (si legga alla voce piazze tornate a riempirsi)?

Non so ancora con certezza se il cosiddetto partito degli astenuti scenderà di percentuale rispetto alle precedenti consultazioni, credo che al netto di sondaggi e previsioni gli indecisi o i non votanti siano ancora più di un terzo degli elettori: una percentuale ancora abbastanza elevata. In verità i sintomi di un ritorno almeno “emozionale” ci sono tutti. Dico che chiaramente i segnali si possono cogliere, altro è circoscrivere quale ceto politico sappia interpretarli: per ora non si vede.

Fonte: Gli Altri settimanale del 15/2/13
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venerdì 15 febbraio 2013

Grecia, le multinazionali fanno affari ma tagliano stipendi e indennità



Mentre il mercato greco si restringe per la crisi, (la gente non spende più) i prodotti delle multinazionali si “allargano” e fatturano numeri significativi. La riduzione del costo del lavoro, dopo il memorandum della troika e la diminuzione di fatto dei diritti per i lavoratori, avvantaggia solo i grossi nomi che vanno in Grecia per investire, ma di fatto risparmiando su stipendi e indennità che la troika ha provveduto a tagliare. Quattro i casi più significativi. La Kraft Hellas AE è una filiale della multinazionale Mondelez internazionale (fino a poco tempo denominata Kraft Foods), che domina il mercato europeo per il cibo da spuntini. Ha recentemente annunciato, dopo gli otto milioni complessivi investiti nell’ultimo lustro, una nuova esposizione in Grecia per cinque milioni a partire dal 2013. Proprio quando entreranno in vigore i nuovi contratti di lavoro contenuti nel memorandum lacrime e sangue che il Parlamento ellenico ha approvato in una lunga notte di passione, dove di fatto sono stati falciate indennità di malattia e quantum di stipendi e scatti.

Anche l’Hellas Unilever ha annunciato che intende avviare la produzione in Grecia di trenta nuovi prodotti, e due giorni fa ha presentato il piano commerciale al mercato greco. Ancora: Procter & Gamble ha annunciato la creazione del Centro per la Ricerca e l’Innovazione di Atene, il terzo sistema operativo d’Europa. Pochi giorni fa la Johnson & Johnson ha annunciato che continuerà a investire nel mercato greco. In effetti il noto marchio ha in Grecia uno dei tre poli europei utilizzati quasi esclusivamente per l’esportazione. La società dà lavoro in Attica a duecento dipendenti, anche se non ha ancora specificato la quantità di investimenti. Il caso di Johnson & Johnson è particolarmente rilevante se si considera che il 95% della produzione è esportato in altri paesi europei e ha scelto la Grecia come base di produzione proprio perché oggi al centro dell’Egeo una multinazionale “risparmia” sui diritti dei lavoratori.

Infine il caso della Henkel uno dei più grandi gruppi tedeschi che ha deciso di ripristinare la produzione dei propri prodotti in Grecia. La società è stata “assente” dal mercato greco dal 2011 al 2012 dopo che il marchio Alapis, per via della crisi, aveva spostato la produzione in Italia. Ma dallo scorso mese di settembre i prodotti tedeschi sono stati recuperati dalle società Henkel Hellas SA e Rolco Vianyl Souroulidi. Nello specifico l’accordo di produzione di detersivi e prodotti di pulizia prevede che Henkel Hellas detenga più di 50 marche tra Dixan, Neomat e Bref, con una produzione annua di circa sette milioni di unità, che corrisponde al 75% delle vendite annuali della società nel settore. L’accordo prevede anche la produzione di ulteriori 2,5 milioni di unità degli stessi prodotti per le necessità della Henkel a Cipro e per un totale di trenta milioni di euro.  

Così se da un lato si iniziano a vedere i primi frutti del riservatissimo briefing che la cancelliera Angela Merkel tenne in occasione della sua visita ad Atene lo scorso ottobre con i grandi gruppi tedeschi seduti allo stesso tavolo con banchieri e imprenditori ellenici, dall’altro non si può non osservare come dal memorandum in poi, quegli investimenti delle multinazionali non si traducano in benefici per il territorio, ma esclusivamente per i grandi gruppi che incassano di più perché tagliano alla voce diritti. Il memorandum, prestando dei soldi allo stato, ha aperto delle falle nei diritti, perché oggi le aziende (oltre che il pubblico impiego) possono assumere personale a 500 euro al mese (un insegnante universitario al primo incarico nel prende 650, un dipendente di banca 550) , tagliando tranquillamente le indennità sia di malattia che di straordinari. Quindi chi ci guadagna non è il cittadino greco che se assunto ha uno stipendio misero, ma proprio le multinazionali che investono in Grecia senza ricadute sul territorio. E il tutto col cappello del grande salvataggio greco che non ha salvato un bel niente (se non la ricapitalizzazione bancaria), perché di quei soldi che le aziende straniere fatturano in Grecia, lì non rimane nulla. E quando manca appena un mese dalla prima tranches di licenziamenti, 15mila impiegati pubblici a casa dal primo marzo. Si attraggono investimenti stranieri? Certo, ma perché invogliati dai salari bulgari di gente che poi si confronta sul mercato con “prezzi milanesi”. 

Il tutto accade nei giorni  in cui il maxiemendamento fiscale a medio termine 2013-2016, presentato in Parlamento dal Ministro delle Finanze Stournaras, lascia aperta la possibilità di intervenire con nuove misure, e mentre un nuovo scandalo sembra passare inosservato tra i media ellenici. Il canale televisivo francese France2 documenta la svendita a una società canadese di trecentomila ettari di foresta nella regione settentrionale della Calcidica per la simbolica cifra di un euro: dove in quel sottosuolo abbonderebbero oro e minerali di vario genere. Per questo, ma non solo, Antonis Karakousis, primo editorialista del popolare quotidiano To Vima si chiede : “C’è un rischio Weimar per la Grecia post memorandum? Dove l’instabile equilibrio tra politica ed economia è minacciato dal declino della classe media e dalla miscela di estremismo e populismo”. E dove i neonazisti di Alba dorata, nell’ultimo sondaggio, hanno ufficialmente sfondato per la prima volta quota 11%. 

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 13/02/13
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sabato 9 febbraio 2013

Ma il primo “buco” l'ha fatto proprio la troika...



Nell’agosto del 2010 la giornalista di Bloomberg Finance, Gabi Thesing, chiede di visionare due file sulla crisi greca, contenenti ipotesi e valutazioni da parte dei membri della Bce sull’impatto degli swap negoziati fuori borsa. Dopo sessanta giorni l'Eurotower dice di no: le informazioni sono superate cronologicamente e la loro pubblicazione può essere ingannevole per pubblico e mercati. Ma Bloomberg non ci sta e fa ricorso: il tribunale replica che “la loro divulgazione avrebbe arrecato pregiudizio alla tutela dell’interesse pubblico della politica economica dell’Unione e della Grecia”. In soldoni, le informazioni sono pericolose, forse perché avrebbero potuto fare chiarezza in un mare di debiti e bugie. Restano così coperti da segreto “europeo” due file relativi all’impatto su deficit e debito pubblici degli swap e alla cosiddetta operazione Titlos, una società creata ad hoc dalla Banca nazionale greca, l’istituto che nel biennio di crisi ha regalato 70 miliardi di finanziamento pubblico a giornali e tv del paese, il cui vertice Provopulos guadagna quanto Barack Obama. Cosa centra tutto ciò con lo scandalo derivati dell'Mps?

La “bolla” bancaria dell'intero continente è stata gonfiata a dismisura da un sistema perverso che si è ramificato come un cancro. Ed ora è pronta ad esplodere anche in altri ambiti. Il primo “boom” si è verificato proprio in Grecia, dove nel biennio in cui la troika ha lavorato fianco a fianco nei ministeri ateniesi, semplicemente ha sbagliato i conti. Non quantificando esattamente i danni di numerosi derivati acquistati dai governi greci, non seguendo la linea rossa che da Atene conduceva nella banche tedesche, francesi, lussemburghesi, svizzere. Ignorando i fondi pensione ormai svenduti per coprire i debiti e i mille e più indizi che dal centro dell'Egeo si propagavano sino alla tedesca Siemens, alle operazioni spericolate di primi ministri socialisti e conservatori, a speculatori senza scrupoli: contribuendo a ritardare le misure tampone per un buco ormai abissale e soprattutto ignorando una soluzione che non penalizzasse correntisti e cittadini. E invece no, da quell'orecchio i banchieri dell'Ue proprio non ci hanno sentito, hanno scelto di proseguire tout court il commercio di spazzatura e di sogni irrealizzabili, senza rammentare che alla fine della fiera, prima di uscirvi, bisogna passare alla cassa. Se finanche governi e enti pubblici sono invischiati in derivati che servono per coprire precedenti fallimenti, in totale assenza di un regime di controlli che partano proprio dalla Bce, si comprende bene come l'eurocrisi sia tutt'altro che risolta. Quasi vicina ad una serie di ulteriori scosse sismiche dalle conseguenze gravissime di cui in molti preferiscono tacere. In Grecia è andato in scena un vero e proprio esperimento, come se fosse uno stage (post teoria) per futuri ministri dell'economia e banchieri incalliti. Che, è il vero rischio, potrebbe essere replicato altrove. Chi fa il buco scappa col malloppo; chi resta in loco paga le conseguenze con memorandum e svilimenti assurdi di diritti costituzionalmente garantiti; stati e premier assortiti si autoincoronano salvatori di bilanci e sopravvivenze: ecco lo schema del default.

In una lettera a Vittorio Foa del 26 novembre 1946 Altiero Spinelli scriveva: “Che ne diresti di riprendere l'iniziativa del movimento federalista come l'avevamo concepito a Milano nel 1943? Se le cose prendessero, alla lunga, una buona piega potremmo passare poi alla formazione di un vero movimento politico. Se andassero male avremmo parlato per una generazione successiva, il che non è poi un gran male”. Mentre ieri uno dei padri dell'Unione, all'indomani della fine della guerra e della necessità di creare quella comunione continentale, si mostrava attento a una visione lungimirante, oggi quel male ha fatto capolino sui cocci dell'Ue: e si chiama matematica. Quella disciplina che i grandi burocrati e le grandi cancellerie europee sembrano aver dimenticato in un batter di ciglia. Quando si innesca un meccanismo perverso in base al quale due più due non fa più quattro ma quattrocento, proprio in quell'istante si è schiacciato il pulsante del countdown. E non serve avere in tasca un master alla London School of Economics per comprendere come i controlli non abbiano funzionato, la politica abbia sbagliato clamorosamente e chi in questo biennio ha prodotto tomi su rigore e memorandum ha una buona fetta di responsabilità. Come? Lo scandalo dei derivati del Monte dei Paschi di Siena, l'eurocrisi, la troika e la macelleria sociale che sta andando in scena in Grecia sono fatti marchiati a vita dallo stesso timbro. Un fil rouge niente affatto sottile, ma talmente ingombrante da compromettere la futura sopravvivenza stessa di un continente pigro e folle, dei suoi cittadini imbambolati e passivi, e che sta minando i capisaldi di una democrazia. Il principale corto circuito non è tra stampa e giudici, ma tra banche e politica. E in molti fanno finta di dimenticarlo.

Fonte: Gli Altri settimanale dell'8/2/13
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mercoledì 6 febbraio 2013

Quel silenzio “elettorale” sulla questione meridionale

Nella soluzione del problema meridionale, ammoniva alcuni decenni fa Francesco Saverio Nitti, si trova la soluzione dell’Italia. Fino a quando la classe dirigente non comprenderà come non è ammissibile proseguire con un paese a due velocità, allora non ci potrà essere una definitiva fuoriuscita da logiche provinciali e soprattutto da numeri imbarazzanti, vere e costanti zavorre. Dove il settentrione, al netto della crisi, corre. E il meridione non solo non si muove ma addirittura procede all’inverso. La questione spinosa del mezzogiorno è scomparsa da una campagna elettorale, concentrata solo su Imu e poco altro ancora. Una deriva irresponsabile e deleteria per una parte non solo geografica ma sociale, i cui nodi vanno affrontati. La crisi del Sulcis, il caso Ilva, il manifatturiero del Salento che soffre la concorrenza cinese, il triangolo del salotto tra Puglia e Basilicata che licenzia ancora, la Salerno-Reggio Calabria su cui mettere la parola fine, il terminal containers di Gioia Tauro da sfruttare in chiave europea, il petrolchimico di Gela che inquina e fa ammalare. Sono tutte questioni urgenti, che non possono giacere miseramente al terzo o al quarto posto di comizi e promesse.

Si potrebbe immaginare un doppio binario che raccordi le politiche fiscali ai bisogni delle imprese, pensando all’utilizzo della cosiddetta leva fiscale al fine di attrarre nuovi capitali e nuovi imprenditori. Ma a quel punto sarebbe necessario anche intervenire per abbattere il muro della lentezza giudiziaria, che fa “scappare” il cliente in questione verso luoghi dove la giustizia è meno farraginosa. Il riferimento è alle ben note condizioni di contesto in cui imprese e cittadini meridionali devono operare, con le mafie a fare da frangiflutti a ogni nuova idea, dove le amministrazioni sono spesso preda di convenienze elettorali e non guardano al di là della successiva urna. Dedicare un ministero al Mezzogiorno potrebbe essere una soluzione, ma a patto che sia guidato da un mister spending review, un Enrico Bondi che da un lato tagli il cordone ombelicale con il clientelismo, il familismo, il nepotismo e dall’altro utilizzi quelle risorse per realizzare progetti concreti, non per far ingrassare il bacino elettorale di turno.Inoltre si potrebbe ragionare su una sorta di zona franca, una no tax area che abbracci solo i nuovi investimenti pluriennali, ma che abbiano delle specificità: utilizzino mano d’opera locale contribuendo a stimolare il versante occupazionale; producano precise ricadute sui territori, anche in termini di infrastrutture; vengano affiancati da contratti di lavoro innovativi e interconnessi alla produttività, prevedendo perché no dei bonus legati ai risultati. E soprattutto evitando il pericoloso labirinto dei subappalti che va vincere solo le criminalità.

Sono solo alcuni spunti, ovviamente migliorabili e implementabili, ma che testimoniano come in un momento caratterizzato dalla scarsezza di risorse, da una disoccupazione galoppante specialmente al sud, l’argomento Mezzogiorno non può rimanere ai margini del dibattito politico così come purtroppo sta accadendo.

Fonte: Formiche del 5/2/13
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martedì 5 febbraio 2013

Onde al Consiglio Regionale della Puglia


“Una città che cresce: immigrazione, inclusione sociale, intercultura”. E’ questo il nome della giornata dedicata all’immigrazione e all’integrazione quali valori aggiunti del nostro Paese tenutasi venerdì 1 febbraio presso l’Aula del Consiglio Regionale della Puglia. L’incontro è stato l’occasione per far conoscere ai presenti il libro “Onde” del giornalista barese Francesco De Palo. Libro basato proprio sul tema della diversità e del confronto.

Ai microfoni di Nicholaus.tv l’autore del libro De Palo, Roberto Menia, componente III Commissione Affari Esteri e comunitari della Camera e Rosalba Magistro, responsabile Sezione Multiculturale Biblioteca del CR. (guarda il video)

lunedì 4 febbraio 2013

Cipro, una campagna elettorale tra lacrime e tensioni


Finisce in lacrime di commozione la presidenza cipriota di Demetrios Christofias, l’ultimo comunista dell’Ue, che da tempo ha deciso di non prendere parte alla competizione elettorale che si terrà il prossimo 17 febbraio, bersagliato da feroci critiche (anche personali) e da un mancato attentato. La Cipro “contagiata” dal quasi default ellenico ha già ricevuto la visita della troika, che ha stimato in più di 17 miliardi di euro il fabbisogno per impedire la bancarotta, suscitando le attenzioni di Putin (pronto a soccorrere Nicosia con 2,7 miliardi di euro) ma anche il “no, grazie” dell’Europa. Il Paese che sarà chiamato alle urne, dunque, è una nazione in piena e inaspettata crisi: finanziaria, ma anche di nervi. Troppo alta, fino a ieri, la qualità della vita nell’isola per poter prevedere un epilogo simile, con disoccupazione alle stelle e la questione turca lontana dall’essere risolta, con 50mila militari presenti nella parte occupata e negoziati pro riunificazione che procedono a intermittenza. Oltre a fermenti di violenza che non si registravano da tempo: mezzo chilo di esplosivo collegato a un detonatore è stato infatti scoperto nelle immediate vicinanze della residenze estiva del presidente.

Fanno da cornice a questa campagna elettorale i dati critici di Cipro. Disoccupati record: a dicembre sono stati 41.625 rispetto ai 39.522 di novembre e ai 32.895 del dicembre 2011. Peggio ancora nei settori del commercio (aumento di 1.960), dei servizi alle imprese e di ristorazione (più 1.506), delle costruzioni (più 440). Le lacrime del presidente uscente, dunque, coincidono con l’accettazione del piano finanziario dei rappresentanti di Ue, Bce e Fmi: Christofias ha spiegato che il governo ha dovuto scegliere tra un doloroso memorandum e il fallimento delle banche, che a sua volta avrebbe portato al crollo dell'economia. “Serve pensare sempre al bene dei lavoratori. E al bene del popolo” ha detto lo scorso 7 dicembre durante la conferenza stampa che è sfociata nel pianto. Ma qualche giorno dopo, intervistato dal quotidiano “Dawn”, ha affermato di essere amareggiato per l’odio ideologico di cui è stato vittima: qualcuno infatti si è addirittura spinto a definirlo un assassino. Sono gli stessi – ha osservato – che hanno anche parlato con disprezzo della sua famiglia, del presidente figlio di una lavandaia asceso al gotha della politica cipriota. “Le mie origini – ha continuato – sono il mio onore e il mio orgoglio”. Per chiudere, infine, con un preciso atto di accusa: “I veri colpevoli della crisi finanziaria dell’isola sono le banche, le grandi aziende e l'autorità di vigilanza competente, la direzione precedente della Banca centrale di Cipro”.

Ma chi sono, allora, i candidati alla presidenza? Tra i favoriti, Nikos Anastasiadis, membro fondatore della Gioventù democratica, deputato dal 1981, leader politico del partito di centrodestra Disy. Una delle sue proposte riguarda la trasformazione della Guardia nazionale in un'organizzazione semi-professionale dell'esercito: in tal modo, solo una percentuale minima del Pil verrebbe investita nella Difesa, in favore di istruzione e agricoltura. Circa il problema dell'invasione turca è stato il più fervente sostenitore del piano Annan, anche se la grande maggioranza (61%) del suo partito votò contro. È sostenuto anche dal Partito democratico cipriota e dagli ambientalisti.
A sinistra Stavros Malas, figlio di Dennis, combattente e stretto collaboratore dell'arcivescovo Makarios, laureato a Londra in Genetica, già ministro della Salute: oggi candidato indipendente con l'appoggio di Akel, il Partito progressista del popolo lavoratore. Propone la riunificazione dei territori ciprioti, mentre in tema di lavoro si oppone ad austerità e prescrizioni neoliberali per difendere invece il settore pubblico, le cooperative, i diritti e le conquiste sindacali.
Iorgos Lillikas, fondatore assieme alla moglie Barbara della società Marketway (che ha lasciato nel 2003 quando è stato nominato ministro degli Esteri sotto il "democristiano" Papadopulos), oggi propone la salvaguardia del settore sanitario pubblico, il miglioramento della qualità dei servizi sanitari, riducendo i costi, e la creazione di un’agenzia assicurativa centrale. Per quanto riguarda la corruzione, propone invece l'estensione della responsabilità a chiunque gestisca il denaro pubblico. È sostenuto dal Movimento per la democrazia sociale Edek, una parte dei Verdi e dall’Evroko, il Partito europeo.

La leader dei Democratici uniti Praxoula Antoniadou, laureata alla London School of Economics, già direttrice della Banca centrale di Cipro, dove ha lavorato per 24 anni, afferma di voler portare il Paese a una rapida crescita economica, attraverso politiche mirate e trasparenti e sotto una stretta vigilanza. Già ministro del Commercio, dell'Industria e del Turismo, è riuscita a portare Cipro alla scoperta di giacimenti di gas.
Si candidano inoltre Makaria Stylianou, membro della Guardia nazionale come sottufficiale volontario, attualmente vicedirettrice della scuola elementare Aglantzia; Kostas Kiriakou, di professione contadino, famoso perché dal 1998 si presenta assiduamente a tutte le elezioni incassando sempre l’1% di preferenze; Andreas Efstratiou, che tenta per la terza volta la scalata alla presidenza; Lakis Ioannou, consulente per i diritti civili della Citizens Advice Bureau di Londra: suo obiettivo è affermare i diritti dei cittadini così come validi in tutta l'Unione europea, tentativo che lo ha portato a scontrarsi più volte con l'establishment.
Elezioni importanti, dunque, quelle che si terranno a Cipro, che travalicano la piccola realtà dell'isola e che avranno riverberi non trascurabili in Europa. Tanto che Angela Merkel l'11 gennaio scorso ha fatto visita, insieme ai vertici del suo partito, al conservatore Anastasiadis, sostenendone la candidatura.

Fonte: Rivista Il Mulino del 30/1/13
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E se affidassimo alle arti la rinascita del pil?


Quando si inneggia alla cultura come cemento di stati e popoli, così come hanno fatto Galli della Loggia ed Esposito nel loro appello per il Ministero della Cultura, non si fa un mero esercizio retorico. Bensì si traccia una strada precisa da seguire: perché la cultura, ovvero le arti, la musica, la letteratura, “aprono” le menti, sviluppano sensibilità e dolcezza di neuroni, forgiano uomini nuovi e disponibili a produrre idee. Il periodico ritornello sull’importanza della cultura potrebbe essere fermato una volta per tutte se si smettessero i panni del perbenismo e dell’ipocrisia su una qualità italiana. La cultura è purtroppo uno stendardo che si agita solo a urne vicine, quando invece dovrebbe essere il comun denominatore per accrescere la qualità dei singoli e produrre pil. Si pensi che il solo indotto della cultura nella Capitale sul bilancio complessivo presenta numeri importanti, ciò che manca è il raccordo istituzionale e la consapevolezza politica. Se Paestum fosse in Francia sarebbe un’industria vera con fatturati interessanti e un circuito di “reti” costruite appositamente.

Scorrendo le agenzie si trovano, abbinati ai candidati premier dei vari schieramenti, pochissimi spunti programmatici sulla cultura. Mostrando di non aver compreso come proprio quel comparto può essere il punto di partenza, ma di contro anche fonte di debacle. Non solo il sito di Sibari sommerso dall’acqua, o i pezzi di Pompei che periodicamente crollano sotto l’incuria colpevole. Il mancato introito di risorse dell’indotto culturale è anch’esso un danno al pil italiano, che alimenta recriminazioni e rimpianti. Strutturare un Ministero ad hoc, formando manager della cultura qualificati, che abbinino con lungimiranza eventi sostenibili a una nuova filantropia che in Italia purtroppo ancora latita, potrebbe essere un’idea da inserire nelle agende e nei programmi. Che, anche questa volta, sembrano indifferenti proprio alla voce “cultura”. Quanti denari e quante energie si perdono per strada per un indotto che potrebbe essere gestito in maniera scientifica e industriale, magari con un forum annuale da tenere in Italia, con un brand della cultura che il belpaese detiene ma che non usa e che invece potrebbe esportare. Il Louvre è il primo museo al mondo per visite, non avrebbe bisogno di altri artifizi per incrementare il numero degli utenti eppure si è inventato i venerdì dedicati agli under 30. Con il risultato che le presenze, anche in tempi di crisi, aumentano. 

Servono progetti alternativi per attrarre nuovi utenti, edificando su questa convinzione una vera e propria impalcatura professionale come nel pamphlet “La Piramide s’abbassa” di Dimitri Coromilas (Armando Siciliano Editore), una sorta di solare ramanzina, a volte forte, a volte sottintesa, che bacchetta tutti coloro che non vogliono comprendere come la salvezza finanziaria dell’Italia si trovi nella sua impareggiabile cultura ed esclusivamente in essa. Le analisi sulla drammaticità della crisi economica si sprecano. Ciò che serve a questo punto del viaggio verso un nuovo rinascimento italico sono soluzioni e proposte.

Fonte: Formiche del 3/2/13
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