mercoledì 31 ottobre 2012

I guru di Davos a lezione da Monti? Più importante di dieci elezioni vinte

Qui villa Madama, i guru della finanza a lezione da Mario Monti. Non è un caso che nomi grossi della finanza mondiale targati “Davos” (World Economic Forum) siano stati ad ascoltare le analisi del premier italiano. Perché di fatto, come molti osservatori dicono non più in camera caritatis, in Europa sono due le personalità di rilievo: il professore bocconiano come interprete di uno spirito riformatore e Angela Merkel come garante del rigore finanziario.

E Monti non ha deluso le aspettative, tutt’altro. Quando ha sottolineato che gli è spiaciuto mettere in pratica i provvedimenti dolorosi che hanno impedito l’effetto Grecia, ha richiamato non solo i cittadini a un senso di comprensione, ma soprattutto la politica. Quella che fino a ieri ha mancato clamorosamente gli obiettivi e che è giustamente stata bypassata dal tecnico che ha fatto ciò che andava fatto. Una lezione tanto semplice quanto epocale per un paese pigro e abulico. Ma il fatto stesso che i testoni di Davos siano stati in silenzio ad ascoltare quelle parole, ha più significato di dieci elezioni vinte. Chapeau.

Fonte: Italiani quotidiano del 31/10/12
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martedì 30 ottobre 2012

Grecia, tranche di aiuti in cambio di tagli. La decisione in Parlamento

Troika-Atene, il premier Antonis Samaras annuncia l’accordo per i tagli da 13 miliardi (ma Venizelos risponde "annuncio sconsiderato") che sbloccheranno l’ennesima tranche di prestiti da 31 miliardi utili alle casse dello stato che hanno liquidità solo fino al 14 novembre. E anche se persistesse il “no” parlamentare al piano dal partito del Dimar, la sinistra democratica guidato da Fotis Kouvellis, il quorum del 151 voti potrebbe ugualmente essere raggiunto dai conservatori di Nea Dimokratia e dai socialisti del Pasok, anche se un attimo dopo si aprirebbe una minicrisi nella maggioranza. Ma il leader dei socialisti Venizelos ha giudicato l’annuncio sul raggiunto accordo “un atto sconsiderato”, perché le trattative con la troika continueranno sino al 12 novembre, giorno dell’Eurogruppo”. Si tratta di una giornata molto concitata ad Atene, nell’attesa che il giornalista Kostas Vaxevanis venga processato per aver diffuso i nomi della Lista Lagarde e col fiato sospeso per un default che nei fatti c’è già. Senza dimenticare il risvolto sociale della crisi economica, oggi responsabile del suicidio numero 2001. Nella regione della Fthiotida, L.R., un commerciante 42enne di Lamia sommerso dai debiti con le banche, si è impiccato con le corde usate per stendere il bucato sulla terrazza al quarto piano del palazzo dove abitava.

In una nota ufficiale il premier conservatore dice: “C’è l’accordo per la negoziazione delle misure di bilancio e abbiamo fatto tutto il possibile per ottenere miglioramenti significativi, anche all’ultimo minuto. Dal momento che l’accordo sarà stato approvato e il bilancio votato, la Grecia resterà nell’euro. Ed emergerà dalla crisi”. Spiega inoltre che quei denari che dovrebbero arrivare a breve dovranno avere “un effetto significativo sull’economia reale”. Per cui il problema d’ora in poi non è “nella misura di questo o di quello ma è l’opposto: che cosa potrebbe accadere se non ci fosse l’accordo e il Paese finisse nel caos”. E definisce quell’ipotesi come la nota più dolorosa che potrebbe accadere all’intero popolo greco, “economicamente e peggio ancora politicamente”. Continua con una sorta di invito ai partner politici: “Questi rischi devono essere evitati. È giunta l’ora della responsabilità da parte di tutte le parti politiche”.

Aprire alla possibilità di adattamento del memorandum alla recessione greca è l’opzione che poche ore prima aveva lasciato trapelare la cancelliera Angela Merkel: “Se la crescita economica è più piccola delle previsioni nonostante il fatto che le riforme siano attuate, allora dovremmo essere in grado di rispondere alle nuove condizioni”. Allo stesso tempo ha chiarito che i partner europei hanno il diritto di chiedere la piena attuazione del concordato, ma se si applicheranno le 89 misure di riforma imposte alla parte greca. A proposito del futuro e delle prospettive continentali ha aggiunto che serve una maggiore integrazione politica e la concessione di maggiori poteri da parte degli Stati membri a Bruxelles. Non può mancare il consueto ritornello delle cancellerie europee. “È nostra convinzione condivisa che la Grecia deve restare nella zona euro, che dovrebbe attuare le riforme necessarie per garantire l’integrità dell’euro attraverso questi sforzi”, ha detto, parlando con i giornalisti, il ministro delle Finanze francese Pierre Moscovici. Un attimo dopo il suo omologo tedesco Schaeuble aggiunge: “Continuiamo a augurare una risposta nel mese di novembre per porre fine all’incertezza e faremo di tutto, insieme, per raggiungere una soluzione”.

Ma tornando alle modalità di voto delle misure della troika il leader del Pasok Venizelos, al termine di un vertice fiume nella sede dei socialisti ellenici, rileva che il pacchetto di misure deve essere votato per “far cambiare il clima nel paese e considerato nel suo insieme”. Il riferimento è alla questione delle privatizzazioni e del lavoro. Sferrando una feroce critica a quei funzionari che “minano” l’impegno di ricostruzione del partito, ha raccomandato l’adozione del pacchetto, facendo notare che la prospettiva del Pasok è una sola: “Al fine di completare la strategia che abbiamo sviluppato serve votare sì, per iniziare a vederne i frutti. Il pacchetto sarà giudicato nel suo complesso (quindi con un solo maxiarticolo di legge) e deve essere adottato e attuato per cambiare il clima”. Sottolineando che riserve e obiezioni per le singole misure sono concentrate proprio nel pacchetto finale che è figlio di un compromesso e della negoziazione.

L’obiettivo ora è la “promulgazione della legge di esecuzione in Parlamento, al termine della riunione dell’Eurogruppo”, (che si concluderà la mattina del 13 novembre). Ma lo scoglio si chiama Dimar, che dichiara pubblicamente la propria contrarietà alla parte del piano che concerne i licenziamenti dei dipendenti pubblici, cinquemila a trimestre per un totale di 45mila entro il 2015. L’esecutivo del Dimar in una nota ufficiale ritiene che sia un errore “spingerci così avanti in nome della salvezza del paese”. E chiede “miglioramenti concreti per i lavoratori per la definizione del salario minimo, dal riconoscimento di tre anni per i nuovi entranti sul mercato del lavoro, tenendo conto dei benefici del matrimonio”. La chiusura del Dimar in sede parlamentare potrebbe però non avere riflessi sul memorandum, a cui sarebbero sufficienti i voti di Nea Dimokratia e Pasok per essere approvato. Anche se un minuto dopo proprio in seno all’anomala maggioranza si aprirebbe una seria crisi politica. Ma al momento la data da cerchiare di rosso sul calendario è un’altra: Eurogruppo straordinario sulla Grecia l’8 novembre, mentre le decisioni finali saranno prese il 12 novembre nella riunione “regolare”. Tutto il resto viene dopo.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 30/10/12
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“Effetto Merkel” per l’ambiente in Grecia: pronte quattro discariche

Effetto green per la Grecia in quasi default. La visita della cancelliera tedesca Angela Merkel ad Atene, se da un lato ha certificato un’emergenza assoluta con una presenza fisica nell’occhio del ciclone della crisi, dall’altro ha avviato una serie di iniziative imprenditoriali sul territorio. Sono infatti state avviate le procedure accelerate per quattro unità di gestione, al fine di risolvere l’emergenza spazzaturanella regione dell’Attica, come denunciato qualche settimana fa da queste colonne.

Un accordo formale è stato trovato dai ministri degli Interni dello Sviluppo, Hatzidakis e Stylianidis, dal vice ministro dell’Ambiente Kalafatis, dal Segretario per lo Sviluppo Mytarakis dopo la riunione del Comitato ministeriale, a cui ha preso parte il presidente della Regione dell’Attica. Dal prossimo gennaio partiranno i lavori per quattro nuove unità di stoccaggio dei rifiuti nelle località di Grammatiko, Keratea, Race e Ano Liosia. Con una capacità massima di gestire fino a 1,3 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno. Le gare di appalto per la loro costruzione dovrebbe essere annunciate entro la fine dell’anno.

Per non perdere 350 milioni di euro - La decisione è anche figlia del meeting tra imprenditori tedeschi e greci che ha seguito di poche ore la vista della cancelliera nella capitale greca dello scorso mese, quando all’hotel Hilton si sono confrontati su come implementare i settori carenti nel paese anche grazie al sostegno oggettivo del know how teutonico in una serie di ambiti, primo fra tutti proprio l’ambiente. Il governo punta a completare i lavori tra i dodici e i quindici mesi,ovvero fino al 2015. «Non ho mai detto che il settore pubblico ha bisogno del settore privato, e questo a sua volta del governo. Ma il nostro obiettivo è quello di completare le infrastrutture ed evitare di perdere 350 milioni di euro di contributi europei per la gestione dei rifiuti solidi e liquidi», conferma il presidente della regione Attica, Ioannis Sgouros. Il plafond degli investimenti nella regione è stimato per quanto riguarda il valore totale dei contratti (tra infrastrutture, gestione e manutenzione) in 1,2 miliardi di euro.

Per accelerare i progetti intrapresi, conferma il ministro Stylianidis, occorrerà una “traccia procedurale veloce”. In particolare il ministro si è soffermato sul fatto che un’accelerazione burocratica andrebbe cercata nella giustizia amministrativa dal momento che la complessità procedurale del processo crea spesso inutili ritardi: »Il fatto che molti giudici diversi hanno rallentato questo tema complica questo tipo di investimento e minaccia di sconvolgere il nostro calendario di attuazione. Abbiamo bisogno di integrare il percorso istituzionale con quello procedurale e accelerare l’iter nelle varie sedi, come la Corte d’appello, il Consiglio di Stato. L’obiettivo – conclude – è di essere rapidi per non perdere i soldi».

Per risolvere l’emergenza ambientale - È stato stimato che almeno nelle prime due fasi attuative il maxi progetto dei quattro siti creerà più di 1.000 posti di lavoro permanenti e più di 1.200 durante la costruzione. Ma fonti ministeriali ammettono che questo investimento sarà seguito da altre sei iniziative simili, per risolvere definitivamente l’emergenza ambientale nel Paese. Le aree attualmente monitorate sono: Macedonia Centrale, completata l’analisi dei candidati e le offerte sono attese per la fine del 2012; Peloponneso, completata la qualificazione delle aziende partecipanti, ma in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato dopo il ricorso dei residenti; Ilia, Serres, Atene: la prima fase dei concorsi e in attesa della decisione del Consiglio di Stato sui ricorsi presentati; Achaia è in attesa della decisione del Patrono Consiglio Comunale per preparare la prima fase del concorso.

Fonte: Ambienti e Ambienti del 30/10/12
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Grecia, se la crisi supera la fiction: in carcere il giornalista anti-evasori

Kalinicta dimokratia. Nel giorno in cui la nuova saga di James Bond esce nelle sale cinematografiche italiane, c’è un luogo in Europa dove le lancette del tempo sono ferme al 1989, a un secondo prima che il muro di Berlino cadesse sotto i colpi della libertà e del modernismo. La Grecia tecnicamente fallita è scossa da un (ultimo?) sussulto di guerra fredda, con un giornalista che viene arrestato perché pubblica una lista con nomi di illustri evasori (a cui mancano però i pezzi grossi della politica), dopo reiterate minacce fisiche.  Con due ex ministri delle finanze (destinatari ufficiali di quell’elenco) che la danno per smarrita, con un cd tramutato in chiavetta usb che nessuno ha protocollato, con fiumi di denaro giunti in Grecia e da lì “spostati” al calduccio di qualche cantone svizzero. Con sullo sfondo il “ring” dove confluiscono gli interesse di due blocchi, armamenti in abbondanza, ma anche le Olimpiadi del 2004, costate tre volte il preventivato, con lavori pubblici, con l’illusione della rinascita e dello sperpero che si tramuta in crollo verticale.

Ma un bel giorno ecco la crisi economica, lo spettro di un default praticamente a un passo, a rompere quell’equilibrio di poteri corrotti e di appalti pubblici, di finanziamenti europei a go-go e di tangenti per forniture di sommergibili e fregate, e clientele internazionali diffuse. E l’indignazione della stampa libera per come questa crisi è stata gestita, con i soliti noti a portare tutto il peso di tagli draconiani e misure proibitive, senza che anche la classe politica e i “Paperoni” dell’Arcopoli fossero chiamati a contribuire in egual misura. Per intenderci la Grecia di oggi ha il record dei paesi Ocse dei bambini sottopeso, il numero dei senzatetto raddoppiati in dodici mesi ad Atene, dove un cittadino su quattro vive con 700 euro al mese, con sacche di disagio sociale che si stanno allargando a macchia d’olio grazie alla disoccupazione record che sfonda quota 25%, con la casta che continua a ingrassare la voce “uscite” per una pubblica amministrazione devastata, con il servizio sanitario nazionale che non può più far fronte ai malati di cancro e ai dializzati.
Ma facciamo un passo indietro. Nel 2010 l’allora ministro delle finanze francese, Christine Lagarde, attuale numero uno del Fondo Monetario Internazionale invia ad Atene per corriere diplomatico un elenco di quasi duemila grossi evasori, con nomi che scottano, (ma anche a Italia e Spagna). Due giorni fa Kostas Vaxevanis, direttore del periodico Hot Doc, ha un sussulto di coraggio e pubblica la lista, salvo soccombere alle manette dopo poche ore.
L’udienza davanti ai pm, il processo il prossimo primo novembre, Anonymus che attacca il sito delle finanze di Atene per mettere in rete i numeri “reali” di questa crisi, la stampa internazionale che si mobilita con appelli su twitter, finanche scomodando il New York Times. Ma lo shock, vero e inquietante lo offre la politica. Quella stessa che con un trentennio di scempi decisionali e ruberie di ogni tipo, ha prodotto la voragine finanziaria che lascia l’eurozona col fiato sospeso, la stessa politica che proprio in quel lembo di Mediterraneo tremila anni fa ha avuto origine ma che oggi sta dando il peggior spettacolo della storia. Con da un lato chi si affaccia alla crisi ellenica col piglio dello spettatore, come se nessuna responsabilità abbia tra clientele e ammiccamenti a oriente come a occidente. E dall’altro chi di fatto ha svenduto, il paese che ha dato i natali alla civiltà, alla speculazione e ai mercanti internazionali che lì hanno fatto affari. E che affari.

Il caso di Kostas Vaxevanis è esemplare, e potrebbe essere paragonato alle battaglie di libertà della cubana Yoani Sanchez. Perché al di là di come finirà questa crisi greca, che di fatto è crisi sistemica di un occidente sul baratro socioculturale, in quanto pigro e abulico, al di là di chi e come alla fine della fiera pagherà i debiti, o se altri cronisti si vedranno recapitare un paio di manette sull’uscio di casa, o se i cittadini saranno i veri fautori della ricapitalizzazione delle banche, una consapevolezza è ormai maturata: non erano questi “i patti” e gli stimoli dei padri fondatori De Gasperi, Adenauer e Spinelli. Non era questo il filo logico e politico dell’elaborazione rivoluzionaria dell’Unione. E il fatto che quel bacillo di lucida follia sia entrato in crisi proprio al centro dell’Egeo è un macabro segno del destino, e non fosse altro che per questo, non andrebbe affatto sottovalutato.

«Il giornalismo è quando si rivela la verità che gli altri vogliono nascondere. Tutto il resto sono solo pubbliche relazioni», ha detto Vaxevanis, uscendo dal tribunale dopo il suo interrogatorio in cui ha chiesto ai pm di mostrare «la stessa sensibilità anche in altre direzioni».
Qualche blogger arriva a scrivere che la Grecia è niente altro che il film che andrà in scena anche in Italia fra non molto tempo. L’auspicio è ovviamente che ciò non accada. Ma intanto, con un giornalista arrestato e un gruppo di politici che spruzzano nebbia, non si può che dire: Kalinicta dimokratia.

Fonte: Italiani quotidiano del 30/10/12
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domenica 28 ottobre 2012

Grecia, rilasciato il cronista che aveva pubblicato la lista degli evasori

Nel giorno del “no” di Metaxas alla guerra datato 28 ottobre 1940, nel paese di Socrate e Artistotele il giornalista Kostas Vaxevanis finisce in carcere per avere pubblicato una lista di evasori, mentre gli evasori sono ancora a piede libero nello stesso paese che sta fallendo, e la notizia fa il giro del mondo. Dopo poche ore il cronista viene rilasciato e domani lo attende l’interrogatorio. Accade in Grecia, dove la democrazia è nata e dove l’Europa sta morendo. Dove una classe dirigente, noncurante di trent’anni di politiche miopi e dissennate, sta tentando di far passare il messaggio che la cura della troika vada assunta a tutti i costi, ma senza che la stessa classe dirigente paghi fio. Dove due ex ministri delle finanze, Papaconstantinou e Venizelos, fanno spallucce sulla Lista Lagarde, (anticipata da ilfattoquotidiano.it) ufficialmente inviata dal ministero delle Finanze francese ad Atene e mai protocollata, con i nomi, i cognomi, istituti finanziari di partenza di chi ha portato fiumi di euro fuori dai confini greci.

La Grecia è il paese dove chi ha scritto le prime righe nel 2010 sulla commistione pericolosa tra politica, affari e denaro, molto denaro, Sokratis Giolias, è stato freddato da quindici colpi di pistola. Dando poi la colpa a un famigerato gruppo rivoluzionario che si è dissolto un attimo dopo. E dove la pena sta per precise responsabilità, politiche ed economiche, puntualmente disattese. Questa non è una spy story, ma ciò che accade a ottanta chilometri dalle nostre coste, nell’epicentro del sisma finanziario continentale del secolo, dove tutto è terribilmente intrecciato da un sottile filo rosso, anzi viola, che ha le sembianze di banconote da 500 euro. Il settimanale Hot Doc, dopo il sito Zougla e Fimes, pubblica i duemila nomi della lista Lagarde: gente nota, giornalisti, editori, manager e grosse famiglie greche. C’è Bobola, che controlla periodici e canali TV, Marinopoulos della catena di supermarket (come la Coop in Italia per intenderci), oltre a professionisti di ogni tipo e grossi commercianti e armatori.

Ma non un nome della politica attiva, come nell’elenco che ha fatto il giro delle redazioni, compresa quella del fattoquotidiano.it: qualcuno si spinge a dire che la lista sia niente altro che un avvertimento, della politica, a tutti, stampa ellenica e industriali, cioè lasciate perdere altrimenti ci arrabbiamo, tanto dentro ci sono tutti. In molti sospettano che in quell’elenco siano confluiti, ad esempio, anche i proventi per la maxitangente Siemens, un po’come è stata la maxitangente Enimont per l’immaginario collettivo italiano. Quando in occasione delle Olimpiadi del 2004 (costate tre volte una normale Olimpiade) c’è stato un anomalo e ingente flusso di denaro per assicurarsi commesse e appalti. La stessa azienda tedesca ha alla fine ammesso pagamenti in nero per 1,3 miliardi con la conseguente mini rivoluzione all’interno del proprio management. Infatti alcuni dei top manager più prestigiosi furono costretti a dimettersi, come il presidente Heinrich von Pierer e l’amministratore delegato Klaus Kleinfeld. Ma senza andare fino in fondo su chi in Grecia quel fiume denaro ha ricevuto e poi, si sospetta, portato all’estero.

Una lista da cui vanno sottratti tre nomi: l’ex ministro Leonidas Tzanis, trovato in casa impiccato due settimane fa; l’ex ministro della Difesa e braccio destro di Andreas Papandreou, Akis Tsochatzopulos, arrestato lo scorso maggio per tangenti sulle forniture militari (un suo compagno di affari, Vlassis Karambouloglu, è stato trovato morto a Jakarta in una stanza d’albergo, era un mercante d’armi internazionale “inviato” speciale a Mosca); e l’ex numero uno della polizia tributaria, Yannis Sbokos. Dei sopravvissuti, quelli che ancora rivestono incarichi di rilievo interpellati in merito dal fattoquotidiano.it non commentano (tranne l’ex commissaria europea Anna Diamantopoulou) se non minacciando querele. Ed ecco che la prima testa cade, arrestano il giornalista che ha diffuso la lista, con gli occhi del mondo ora puntati (più a fuoco) su Atene e su chi sta svendendo un bagaglio culturale immenso per trenta denari. Ma nessuno interpella ad esempio l’attuale direttrice del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde che da ministro dell’economia, sotto Sarkozy premier, fece recapitare per via diplomatica quella lista ad Atene, ma anche a Madrid e a Roma, dettaglio su cui sarebbe interessante approfondire la materia.

Ma c’è di più: ieri i due pm che indagano sulla lista hanno chiesto ufficialmente che sia presentata in Parlamento. Dopo che l’ex ministro Papaconstantinou in occasione di un’udienza ufficiale presso la commissione parlamentare delle finanze ha ammesso di aver ricevuto la usb con i nomi ma di non sapere ora dove sia, suscitando l’incredulità dei deputati della commissione stessa che gli chiedevano lumi (come risulta dagli atti ufficiali della Camera). E ha aggiunto che i servizi francesi l’hanno passata a quelli greci, nella persona dell’ex numero uno Bika. “Invece di arrestare gli evasori e i ministri che hanno avuto in mano la lista, cercano di arrestare la verità e la libertà di stampa”, ha detto Vaxevanis. 
E lo ha fatto nel giorno in cui il paese porta in piazza cortei storici, reduci militari e giovani studenti con il tradizionale costume nazionale da tzollià, per ricordare il “no” al nazismo, quando in Grecia c’erano ancora eroi. Ha proprio ragione il ministro delle finanze tedesco Schaeuble: la colpa è solo dei politici greci.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 28/10/12
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venerdì 26 ottobre 2012

Rossi vs neri a Roma: il ‘900 è finito e non torna. Che qualcuno lo ricordi a certi giovani nostalgici

Che qualcuno suoni la sveglia a quei giovani che chiedono il cambiamento. Ma che, un attimo dopo, si impelagano in noiose diatribe ideologiche. Al Giulio Cesare di Roma gli studenti del liceo schierati contro la presenza dei partigiani per contestare l’iniziativa antifascista della Federazione degli studenti e dell'Anpi, per protestare contro i blitz dell'estrema destra. Ovviamente scoppia il caso, la polemica viene intinta nel fiele dell’odio e dell’antagonismo ideale, come se ci trovassimo ancora in piena guerra fredda.

Blocco studentesco, movimento anti qualcosa o pro qualcos’altro. Basta. Se chi deve incarnare il nuovo, anche generazionalmente parlando, finisce poi per rintanarsi nel (comodo?) vicolo cieco della contrapposizione fra rossi e neri, allora significa che nulla ha compreso dell’ultimo decennio. Di quando si sono gettate finalmente le basi per la chiusura di un secolo, per l’abbandono definitivo di pregiudizi e dati da affidare semplicemente agli annali e ai manuali storici.

E non da riprendere puerilmente nei momenti di crisi, come questo è.  A meno che, è poi il pensiero che immediatamente viene alla mente, non si abbia nulla di nuovo da dire. Il che sarebbe ancora più grave.

Fonte: Italiani quotidiano del 26/10/12
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giovedì 25 ottobre 2012

«Infibulazione, reato contro l’umanità. E adesso attenti all’alibi religioso»

Infibulazione reato contro l'umanità: proposta una risoluzione per bandire nel mondo le mutilazioni genitali femminili dal Gruppo dei Paesi Africani all'Onu. Una conquista di civiltà, scandisce Emma Bonino, vicepresidente del Senato e da anni in prima fila per combattere le mutilazioni genitali femminili.
Un successo anche per chi, come la sua Non c'è Pace senza Giustizia, da anni combatte questa battaglia?
Per chiarezza va detto che la bozza di risoluzione non parla di crimini contro l'umanità bensì di violazione dei diritti umani, che in diritto internazionale sono due cose diverse. Si tratta di un risultato senza precedenti, da riconoscere anzitutto alle centinaia di attiviste arabe e africane che negli ultimi dieci anni hanno dedicato anima e corpo a questa campagna, ma anche ai governi, quello italiano in primis, e alle organizzazioni non-governative che le hanno sostenute e aiutate perché si arrivasse a questa risoluzione. Insomma, è una conquista di civiltà di cui dobbiamo essere tutti orgogliosi.
Nel nostro paese 40mila sono le bambine vittime di infibulazione: da dove iniziare un'operazione, a questo punto anche culturale, prima che civile e politica, per stanare questo male?
Questi numeri sono stati resi noti da un rapporto del 2009 commissionato all'istituto Piepoli dal Dipartimento Pari Opportunità, e si tratta di una stima molto approssimativa perché le mutilazioni genitali sono spesso praticate in clandestinità. Una delle proposte che avevo avanzato nel 2006, in occasione dell'adozione della legge ad hoc che ha introdotto nel nostro codice penale il reato di mutilazione genitale femminile, era la creazione di un osservatorio in grado di fornire una stima accurata sull'estensione della pratica nel nostro Paese. Per concepire politiche adeguate è infatti indispensabile conoscere l'entità del fenomeno. Non c'è dubbio che anche i programmi di informazione e sensibilizzazione presso le comunità immigrate, hanno la loro importanza ed efficacia per chiarire quelli che sono gli effetti, sul corpo e sulla mente, nel breve e lungo periodo, della mutilazione genitale.
Come la comunità internazionale dovrà dare seguito a questo primo e storico inizio?
Continuando ad assistere, anche finanziariamente, e a sostenere politicamente le militanti anti-mutilazione di quei sette paesi che ancora non si sono dotati di una legge nazionale che punisca le mutilazioni genitali come reato contro la persona. Allo stesso modo, ritengo fondamentale non abbandonare le attiviste di quei paesi in cui le mutilazioni sono vietate per legge e che nei prossimi anni si impegneranno per fare in modo che la risoluzione delle Nazioni Unite venga effettivamente implementata. È da valutare molto positivamente, inoltre, il fatto che la risoluzione preveda un rapporto annuale del Segretario Generale dell'Onu su questa materia, perché questo aiuta a mantenere alta l'attenzione su questo dossier.
Molti paesi europei hanno già una legge nazionale che punisce le Mgf: come ovviare alle resistenze delle comunità immigrate?
La legislazione dei paesi Ue in questa materia è piuttosto armonica e la legge va applicata e fatta rispettare. Vero è che, normalmente, le comunità immigrate sono più restie ad abbandonare le tradizioni del paese d'origine rispetto a chi vi risiede. Per loro si tratta di un dato identitario importante. Per questo credo sia cruciale l'informazione. E' fondamentale mettere le famiglie immigrate in condizione di sapere che a livello di comunità internazionale le mutilazioni genitali sono considerate come una violazione dei diritti umani, che nel loro Paese sono vietate per legge, o che nel loro villaggio non vengono più praticate perché c'è stata una presa di coscienza degli effetti nefasti che producono sul corpo e sulla mente di donne e bambine. Dato che l'alibi religioso ha ancora una certa diffusione come giustificazione della pratica, è molto importante veicolare e far conoscere il messaggio di quegli imam che non perdono occasione per ribadire che le mutilazioni genitali femminili non hanno niente a che vedere con i precetti della legge islamica.
Con quale formula non smarrire il contributo del Tavolo nazionale di coordinamento, soppresso dalla spending review?
Di iniziative a livello locale, da replicare su scala nazionale, se ne possono inventare tante. Certamente il contributo delle Regioni e degli enti locali nella lotta alle mutilazioni genitali è prezioso e può avere una notevole incidenza, quindi non va assolutamente dismesso, ma al contrario occorre pensare al modo più efficace per portare avanti questa esperienza a costo zero.

Fonte: Italiani quotidiano del 26/10/12
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«Solo i terroni potranno redimere i terroni. In fuga dal sud, ora si rischia ospizio virtuale»

Il sud? Si sta svuotando pericolosamente, se le cose non cambieranno presto «nell’arco di pochi decenni quel pezzo del paese diventerà, nell’arco del suo complesso, una sorta di ospizio virtuale popolato prevalentemente da ultra ottuagenari». È l’analisi del pugliese Giovanni Valentini, editorialista di Repubblica ed ex direttore dell’Espresso, che conversando con Italiani a proposito del suo ultimo pamphlet, Brutti, sporchi e cattivi (ed. Longanesi), ragiona sulle prospettive del meridione. Se l'Europa non può fare a meno dell'Italia, ad esempio, può l'Italia fare a meno del suo Sud? I meridionali sono davvero brutti, sporchi e cattivi?
Scriveva Francesco Saverio Nitti che «il problema della libertà e l’avvenire dell’unità, sono nella soluzione del problema meridionale». Oggi quanto ancora c’è di Antistato a sud?
La profezia dei grandi meridionalisti come Nitti è oggi più che mai attuale. La ripresa dell’Italia passa necessariamente attraverso il sud, la cosiddetta questione meridionale è sempre più nazionale e soprattutto cruciale per uscire dalla crisi. L’Antistato esiste nella memoria collettiva, oltre che nella cultura di una larga fetta del Mezzogiorno. Deriva da ragioni storiche, si veda quella che venne chiamata la piemontizzazione: con la conseguenza di un atteggiamento ostile verso lo stato centrale, visto come distante e quasi un nemico. Si vedano le false pensioni di invalidità, le truffe ai danni dell’Ue, l’evasione fiscale massiccia, il sommerso. Fino all’estremo della criminalità organizzata che lì ha costruito quattro multinazionali: mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita.
La famosa frase di Jfk che inserisce alla fine del pamphlet, «non chiedetevi quello che il vostro Paese può fare per voi, ma quello che voi potete fare per il vostro Paese», è un richiamo affinché muti l’antropologia del cittadino meridionale?
Sì. Recentemente il premier Monti, inaugurando a Bari la Fiera del Levante, ha invitato i meridionali a cambiare mentalità. Nonostante sia presente una parte del sud dinamica e moderna, ve ne è un’altra ancora affetta da un cronico assistenzialismo e vittimismo, per cui c’è sempre qualcuno che deve fare qualcosa per il sud.  Nei quarant’anni dell’intervento straordinario, che vanno grossomodo dal 1950 al 1990, è stato calcolato che il sud ha ricevuto 213 miliardi di euro. Denaro utilizzato, in parte per ammodernare il sud, in gran parte disperso, se non sprecato. Senza dimenticare lo scandalo attualissimo dei fondi continentali 2007-2013: Bruxelles ha destinato all’Italia 59,4 miliardi di cui 47 al sud. Ma alla fine del 2010 solo un quinto risultava già impegnato. Ecco perché, da meridionale, penso che il sud non debba più aspettarsi molto da nessuno. Come scrivo nel libro, soltanto i terroni possono redimere i terroni, naturalmente senza rinunciare (e questo va sottolineato per onestà intellettuale) ad avere condizioni di partenza il meno disuguali possibili.
Come le grandi infrastrutture?
Cito il dato dell’attuale rete ferroviaria del paese al alta velocità, o ad alta capacità, di complessivi 1.032 chilometri di cui solo 107 si trovano nel Mezzogiorno.
Nel Novecento sud era sinonimo di nomi del calibro di Croce, Laterza, Moro. Oggi Cosentino, Scilipoti, Previti. Anche una questione di interpreti?
Certamente è una questione che investe la classe dirigente nel complesso, con riguardo alle imprese, alle economie e agli intelletti. Il sud è stato svuotato di energie e risorse intellettuali, e purtroppo non possiamo non certificare che in politica vi sia una rappresentanza meridionale che non è top. Nel frattempo le generazioni più giovani nonostante abbiano incrementato il proprio livello di formazione, paradossalmente non trovano sbocchi occupazionali adeguati. Più cresce la preparazione, meno opportunità di lavoro si trovano.
Quanto influisce quella tendenza, italica e meridionale, all’autocommiserazione dei 30enni di oggi? In fondo i nostri nonni e i nostri padri hanno affrontato guerre e attraversato ricostruzioni…
I giovani di oggi reagiscono spostandosi, andando al nord Italia o al nord Europa. Il dato più inquietante è che pochi, o pochissimi di loro hanno poi voglia di tornare al sud. Nell’ultimo rapporto Svimez è stato utilizzato il termine “tsunami demografico”, ovvero un’immagine che meglio di altre rende l’idea di uno svuotamento o di un depauperamento anagrafico del meridione. Che, se continuerà con queste proporzioni, e in assenza di una forte inversione di tendenza, nell’arco di pochi decenni quel pezzo del paese diventerà, nell’arco del suo complesso, una sorta di ospizio virtuale popolato prevalentemente da ultra ottuagenari.
 
Fonte: Italiani quotidiano del 25/10/12
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lunedì 22 ottobre 2012

Grecia, non solo troika. La politica e l’euro tremano anche per la lista degli evasori


C’è un giudice ad Atene che indaga sullo strano caso di un documento da cui dipende il destino della Grecia e dell’Europa tutta. Mentre pensionati e lavoratori fanno i conti con salari ridotti del 20%, e gli impiegati pubblici si preparano al licenziamento per andare incontro ai desiderata della troika dei creditori internazionali, infatti, c’è un gruppo di politici greci che affolla una lista. Scomoda, perché elenca chi, quanto e per quali strade ha portato via dalle banche greche fior di migliaia di euro: leader di partiti, ministri, deputati. Gli stessi, cioè, che stanno cercando di dare nuova credibilità al Paese che, travolto dagli scandali e dalla crisi, ha trascinato l’euro sull’orlo del baratro. E che ora chiede altri sacrifici al suo popolo, ma anche altro tempo e altro denaro ai creditori.

Un documento prezioso e allo stesso tempo molto pericoloso, quindi. Non a caso, da quando è arrivato in Grecia per le vie ufficiali, ha intrapreso un viaggio piuttosto misterioso: nessun protocollo gli ha dato un’identità che ora possa renderlo confrontabile con la copia che sta circolando per le redazioni dei giornali, incluso Ilfattoquotidiano.it. E mentre i magistrati chiedono lumi a chi avrebbe dovuto dare una veste ufficiale a quel documento e non l’ha fatto, chi non può non conoscere l’originale e, allo stesso tempo, ha un ruolo cruciale per le sorti della Grecia e, a catena, dell’euro, tace.  

La Lista, infatti, si chiama Lagarde, dal nome dell’attuale direttrice di uno dei tre membri della troika, il Fondo Monetario Internazionale. E’ stato proprio l’ex ministro del governo francese prima di passare alla guida dell’Fmi, diciotto mesi fa, a consegnarla al governo greco oltre a quelli italiano, spagnolo e tedesco, per via diplomatica. Sul documento, poi, è calata una fitta nebbia che oggi si sta diradando facendo tremare i palazzi del potere sotto l’Acropoli. Proprio in un momento delicatissimo per il Paese. E non solo per il fatto che in cassa ci sono soldi solo fino al 13 novembre e non è scontato che i creditori si muovano a pietà per la Grecia. Sul fronte interno, infatti, la politica sta per annunciare un doppio passo.

Da un lato è vicino il rimpasto di governo, con Venizelos e Kouvellis (leader di socialisti e sinistra democratica) che potrebbero diventare vicepremier; dall’altro una rivoluzione dei partiti in terra ellenica, con una vera e propria Tangentopoli a fare da grimaldello per l’archiviazione dell’attuale partitocrazia (si legga alla voce del nuovo movimento socialdemocratico guidato da Loverdos per rottamare il Pasok di Venizelos e il nuovo partito conservatore che dovrebbe raccogliere l’eredità del premier Samaras). Al centro la piazza stremata dai tagli e dall’esasperazione.

Ed ecco che sullo sfondo di elaborazioni politiche e di mosse future, piomba un presente piuttosto scomodo. Perché la Lista Lagarde elenca un gruppo di 1.991 nomi di rappresentanti molto in vista della politica greca che, negli anni della crisi che ha messo il Paese in ginocchio, hanno portato i loro capitali fuori dal Paese. Ma per quanto incredibile possa sembrare, gli ex ministri delle finanze Papaconstantinou e Venizelos (attuale capo del Pasok), a suo tempo entrambi destinatari della lista, non hanno fornito documenti ufficiali per la sua registrazione.

Quindi, non essendo protocollata, chiunque ne potrebbe contestare il contenuto. Situazione che, sul fronte dell’informazione, ne rende impossibile la pubblicazione. Tuttavia l’elenco controverso era stato consegnato proprio su un cd al ministero delle Finanze greco, con un documento ufficiale e numerato dal ministero delle Finanze francese. Questo, almeno, risulta dalle prove che fino ad ora hanno raccolto i pubblici ministeri che indagano sul caso.

La lista, quindi, solo in Grecia non esiste, ma dal cd è stata trasferita in una pennetta usb. Il tutto è stato chiarito domenica da una lettera del ministro delle finanze Yannis Stournaras agli stessi inquirenti: non vi è l’inclusione della lista Lagarde in alcun protocollo del Paese, ha detto. Nella sua lettera Stournaras indica ai due titolari dell’inchiesta che, dopo aver esaminato il protocollo riservato del ministro, non ci sono prove per l’inclusione di questo cd.

La lettera del ministro delle Finanze è giunta in risposta alla richiesta dei pubblici ministeri inviata nuovamente per ottenere delucidazioni sulle sorti della Lista Lagarde assieme al numero di file e documenti esplicativi. Tuttavia, dopo la posizione ufficiale del ministro Stournaras, gli interrogativi si decuplicano. Come mai ad esempio la lista ha raggiunto l’ex ministro delle Finanze George Papaconstantinou, che non ha mai registrato i documenti arrivati al ministero? Nemmeno una registrazione, si chiedono i pm, è stata fatta dal suo successore alle finanze, Evangelos Venizelos, attuale presidente del Pasok?

Eppure la lista esiste e include tutti i nomi, gli importi e le banche utilizzate. Dei 1.991 nomi presenti tre sono per così dire venuti meno: il primo, l’ex ministro, Leonidas Tzanis, è stato trovato in casa impiccato una settimana fa. Il secondo, l’ex ministro della Difesa e braccio destro di Andreas Papandreou, Akis Tsochatzopulos, è stato arrestato lo scorso maggio per tangenti sulle forniture militari. Tra l’altro un suo compagno di affari, Vlassis Karambouloglu, è stato trovato morto a Jakarta in una stanza d’albergo. Il terzo, l’ex ministro Yannis Sbokos, è stato arrestato dallo SDOE, il compartimento greco per gli affari finanziari. Dei sopravvissuti, quelli che ancora rivestono incarichi di rilievo interpellati in merito non commentano se non minacciando querele. 

L’unica certezza al momento è che ad Atene c’è un giudice con le sorti dell’Europa tra le mani.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 22/10/12
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domenica 21 ottobre 2012

Mughini: «La democrazia nell’Italia di oggi? Lesa nella sua colonna vertebrale»


«La democrazia italiana è lesa nella sua colonna vertebrale», certifica Giampiero Mughini scrittore, e opinionista, come affrescato nel suo Addio gran secolo dei nostri vent'anni (Ed. Bompiani), per radiografare il l’Italia di oggi. Con sullo sfondo «la recita grottesca dei partitini, l’uno contro, l’altro armati in nome del nulla».
Nel suo ultimo lavoro offre al lettore un viaggio tra città, eroi e bad girls del Novecento. Cosa rimane di quel “secondo Rinascimento”?
Il Novecento resta nelle nostre arterie e nella circolazione del nostro sangue e anche se questo cambia da generazione a generazione. La mia è stata tatuata dal Novecento, un 25enne di oggi lo è in parte, mentre un 15enne non sa neanche che cosa sia stato il Novecento. È stato un secolo terribile, quello che ha creato l’intero iconografico e tecnologico di cui ci siamo nutriti; che ha prodotto i più grandi stermini di massa, il comunismo e il nazismo. E laddove i problemi e i disastri del terzo millennio sono completamente diversi. Il disastro primo e assoluto del nostro tempo, è quello della cosiddetta politica dei partiti. Il Novecento è stato un secolo, nel bene e nel male, modellato dalla politica dei partiti, l’Italia di oggi tempo è offuscata da partiti la cui classe dirigente e il cui sistema di pensiero è robetta da quattro soldi.  
A proposito di partiti, quello degli astenuti dimostra che in Italia le etichette non contano più molto, mentre aziende chiudono e imprenditori si danno fuoco: occorre un crollo totale per iniziare finalmente una ricostruzione, anche e soprattutto culturale?
Sono un membro del partito degli astenuti. Nel mio caso dire astenuto è dire poco, sono uno che decide ostinatamente di non recarsi alle urne, di non conferire il mio obolo ad una recita grottesca di partitini l’uno contro l’altro armati in nome del nulla. Che non si rendono conto di come in questo momento per il paese il punto è non precipitare nel baratro, non acchiappare per la coda la Grecia e magari batterla sulla strada verso il disastro. Le parole di un tempo, destra e sinistra, non significano più nulla. Del resto il cosiddetto bipartitismo, nato nella seconda repubblica da Tangentopoli, non esiste più. Del centrodestra non vi sono più notizie, se il prossimo leader come leggo dovesse essere Briatore, allora veramente siamo alla farsa, con tutto rispetto per l’imprenditore torinese che è un simpatico e intelligente ragazzone. A sinistra non va meglio: si pensi che la coalizione Bersani-Vendola-Nencini convoglia perfettamente opposte l’una all’altra, da una parte chi dice che l’attuale premier è stato bravo e va incoraggiato, e dall’altra chi vuole rottamare l’agenda Monti come candidamente ammesso dal responsabile economico del Pd, Stefano Fassina. “Rottare” l’agenda Monti detto da un esponente del Pd che lo ha sostenuto? O non conosce la lingua italiana o la usa per andare a finire sui giornali, dove più le spari grosse e meglio è.
Il sistema italico sembra incapace di evolversi autonomamente: siamo condannati a dover attendere l’ennesima tangentopoli per ovviare allo status quo?
La democrazia italiana è sulla sedia a rotelle perché lesa nella sua colonna vertebrale. Di inchieste giudiziarie ne nascono una ogni quarto d’ora. Dico solo che per interessarsi alla politica attuale occorre essere un esperto di cronaca nera, di intercettazioni, verbali e interrogatori. Per intenderci, quando ero ragazzo leggevamo Gramsci, Giorgio Amendola, Bobbio, Ugo La Malfa. Oggi leggiamo di Fiorito, Lusi, Minetti, la nuotata di Grillo nello stretto di Messina. Sulla performance del comico genovese non ho parole.
Pensa sia giunto il momento per le cosiddette intellighenzie di “sporcarsi le mani” con la politica e di farsi avanti?
Quelle che lei definisce intellighenzie oggi non contano nulla. Come ricordano i capi della Mondadori-libri, i libri che si vendono oggi sono le autobiografie degli attori. Nella civiltà massmediatica contano solo il numero dei follower sui social network.
Pur considerando le note difficoltà del terzo millennio, vede una tendenza all’autocommiserazione da parte dei trentenni italiani? In fondo i nostri nonni e i nostri padri hanno affrontato rispettivamente una o più guerre e anni di dura ricostruzione…
I nostri nonni hanno combattuto ad El Alamein o altrove come se fosse la cosa più naturale al mondo. E del resto i loro padri si erano inerpicati sull’Isonzo in battaglie spaventose. È comprensibile il disagio dei ragazzi di oggi che, allevati nella società del possibile e del “tutto e subito”, e dove tutte le libertà e le fantasie sembravano dispiegarsi alla grande, si vedono costretti a lavorare in un call center per seicento euro al mese quando va bene. Troppo alto il dislivello tra quella che era apparsa la promessa di una società industrialmente possente, e la realtà di una nazione che oggi è fanalino di coda in tutte le classifiche economiche o sociologiche dell’Occidente.

Fonte: Italiani quotidino del 20/10/12
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Carceri, crolla il sistema Italia. Servono amnistia e indulto


«Siamo l’unico paese continentale condannato anche dalle istituzioni europee – attacca la deputata radicale Rita Bernardini – sulla giustizia e sul dramma carcerario non servono nuove trasmissioni o promesse, in Italia manca un dibattito serio sulla giustizia, quello che dovrebbe condurre a una stagione di riforme.».
Il carcere di Parma ha una capienza di 380 unità, ma ve ne sono quasi il doppio: è arrivato il momento, dopo spread e crisi, di occuparsi seriamente anche di un grande tema come le carceri?
Per lo stato di diritto e per la legalità, quel momento è giunto da tempo. Mi auguro che lo Stato italiano la smetta di comportarsi come un “delinquente” qualsiasi. Posso capire che in un periodo circoscritto uno Stato si possa trovare in difficoltà, e con le opportune segnalazioni, rientrare nella legalità nel breve termine. Ma quando l’illegalità carceraria va di decennio in decennio, si entra in una sfera che di legale non ha proprio nulla e che tra l’altro è anche contro il dettato costituzionale. Noi abbiamo chiesto al Capo dello Stato un messaggio alle Camere, per richiamare le istituzioni. Ricordo come tutto ciò che è accaduto sino ad oggi sia non solo inadeguato, ma anche indegno: e lo dimostrano le morti nelle carceri che non purtroppo cessano.
In Sardegna proseguono le proteste per l’arrivo nell’isola di detenuti pericolosi: come evitare il corto circuito sociale?
Sono contraria a queste vere e proprie deportazioni, perché la pena per il detenuto è il carcere, ovvero la privazione della libertà. Dopo di che l’ordinamento penitenziario prevede che i detenuti vivano vicini alla famiglia, in quanto se perdessero quel contatto, diventerebbe difficile qualsiasi tipo di reinserimento sociale. Gli affetti non spariscono solo con la commissione di un reato, sia chiaro. Anzi, devono essere coltivati, altrimenti quella persona non sarà mai rieducata e non avrà gli strumenti per essere reinserita nel tessuto sociale del paese. Invece dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria proseguono in questa direttrice: con un aggravio notevole di spese per le casse dello stato, tra spostamenti in aereo e scorte. Il sistema sta precipitando e nessuno riesce più a reggerlo, dal momento che un ragionamento del genere non si esaurisce solo con il problema del carcere in sé. Ricordo che siamo stati più volte condannati in sede europea anche per l’irragionevole durata dei processi: l’unico paese del continente a versare in queste condizioni. Come ricorda spesso Marco Pannella, in televisione siamo abituati ad ascoltare, in occasione di incidenti stradali o tragedie di vario tipo, le impressioni o le testimonianze di parenti e amici delle vittime. Ciò non accade quando qualcuno muore in un carcere. In Italia manca un dibattito serio sulla giustizia, quello che dovrebbe condurre a una stagione di riforme.
Sembra che presto in Rai potrebbe andare in onda una striscia informativa sul mondo carcerario, con un certo gradimento anche da parte del Colle: una piccola soddisfazione per il vostro impegno?
No, perché noi chiediamo riforme. Nell’immaginario collettivo si dice che i cittadini italiani siano contrari all’amnistia,  ma se potessero toccare con mano le condizione in cui i detenuti scontano le loro pene, beh forse più di qualcuno si ricrederebbe. Servono dibattiti seri e approfonditi, non i brevi servizi sulle statistiche mandati in onda durante i tg. Quante persone sanno che nel nostro paese dei cinque milioni di procedimenti penali in atto ne cadono in prescrizione duecentomila all’anno? E in quel caso, poi, è finito tutto: nè vi è risarcimento alla vittima. Di fatto un’amnistia “sotterranea”, che non viene pubblicizzata.
Se fosse ministro della Giustizia quali i primi provvedimenti che assumerebbe?
Amnistia e indulto per far tornare il nostro paese nella legalità, il che comporterebbe anche liberare molte risorse. Eviterei inoltre il cosiddetto “appellicidio”, ovvero aver elevato i costi da sostenere per una causa civile e scoraggiando di fatto il cittadino intenzionato ad andare fino in fondo. Certo, poi ci sono i cittadini più ricchi che se lo potranno permettere, ma è il principio che contesto.
Da Bari si fa notare il progetto “Reinclusione”, un laboratorio lavorativo per i detenuti a stipendio ridotto: pensare a simili casi come l’evoluzione del sistema è solo utopia?
Parliamoci chiaro, se non faremo rientrare la popolazione penitenziaria in quella che è la capienza regolamentare, a nulla serviranno in un secondo momento pur lodevoli progetti. È chiaro che il lavoro e la scuola sono la base di partenza e il nodo centrale di un qualsiasi programma di riabilitazione. Ma qui manca l’indispensabile.

Fonte: Italiani quotidiano del 19/10/12
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venerdì 19 ottobre 2012

La Grecia in rivolta

Il sindaco di Zacinto, Stelios Bozikas, lo dice a chiare lettere: il sistema resta marcio. Perché non è ammissibile che vengano conferite pensioni di invalidità, ben 107 su 350 residenti complessivi, a un numero così elevato di cittadini (che proprio non vedenti del tutto non erano), così come è accaduto nell’incantevole isola ionica tanto cara a Ugo Foscolo. Uno, dieci, cento, mille esempi presi a campione dalla quotidianità ellenica, per raccontare una crisi che si muove in lungo e in largo per il Paese, non più sotterranea né silenziosa, bensì assordante e con riverberi sociali pericolosi. Una crisi che ne ha devastato le fasce più deboli e indifese, ne ha messo a nudo le criticità e gli sprechi, che sta destabilizzando un continente intero e che, è l’auspicio, potrebbe rappresentare proprio l’inizio di una rinascita europea (ma solo se anticamera di un cambiamento totale).

Settembre e ottobre 2012, in Grecia, fanno rima con scioperi. Numerosi, toccano tutte le categorie a cui si rivolge la terza misura imposta dalla Troika, con il sostegno del premier Samaras, per tagliare altri 11,5 miliardi di euro tra stipendi, pensioni, indennità e Welfare. Incrociano le braccia i docenti delle scuole superiori e delle università, insieme ai rettori, i medici ospedalieri (garantendo solo le emergenze da codice rosso), i trasporti della capitale e i farmacisti, che vantano crediti con l’erario per 70 milioni di euro. Tutti accomunati dal “no” a un’altra riduzione, che si concentra, per la terza volta in due anni, solo sul pubblico impiego, già oggetto di una decurtazione media del 20%. C’è poi l’esile comparto industriale che manifesta ulteriori criticità su più fronti, a causa di politiche mirate (tali solo sulla carta), praticamente dall’avvento del governo socialista di Andreas Papandreou, negli anni Ottanta, a oggi.

Si prenda il trasporto marittimo, vero fiore all’occhiello della Grecia, che trainava quasi il 20% degli incassi complessivi del Paese alla voce “turismo”: oggi si stima che a causa di gravi perdite potrebbero addirittura non essere rinnovate le flotte. Significativo è anche il dato circa la spesa per l’olio combustibile per navi convenzionali, che nel 2012 è stata pari a 500 milioni di euro, quando invece era di 480 milioni nel 2011 e di 380 nel 2010. Numerose, poi, sono le navi ritirate dal servizio, come dimostrano i numeri delle quattro grandi aziende greche Anek lines, Nel, Minoan e Attica. Si valuta che abbiano perso, nel loro fatturato del primo semestre del 2012, più di 55 milioni di euro, mentre le perdite totali sono stimate a 94 milioni. Nel suo report annuale, la società di navigazione Xrtc rileva che “la probabilità di un fallimento delle imprese è ancora forte, ed è anche a causa della mancanza di liquidità che si rischia di non adempiere agli obblighi di debito”. L’industria greca sconta decenni di mancati investimenti, che avrebbero potuto convogliare i prodotti disponibili sul territorio, forte di una predominanza agricola, all’interno di un circuito produttivo degno di questo nome. Invece si è preferito rafforzare in massa l’importazione.

Ancora sul versante occupazione, dall’inizio della crisi a oggi sono stati licenziati circa 15mila giornalisti, anche in virtù di un crollo del 70% delle vendite dei quotidiani. Al contempo, però, si scopre che il canale televisivo della Camera dei deputati rappresenta una specie di riserva dorata, con sessanta dipendenti e tecnologie avanzatissime che costano tre milioni al disastrato erario ellenico. C’è poi la lista dei 54mila cittadini greci che avrebbero portato fuori dal Paese capitali per circa 22 miliardi di euro. Una notizia, questa, che è stata ufficializzata di recente, ma che circola ufficiosamente ormai da anni, con dettagli sulla “composizione” di quell’elenco in cui pare ci sarebbero anche deputati e alti prelati. Una politica coraggiosa e responsabile avrebbe dovuto, al contrario, tentare di chiudere un accordo con la Svizzera, come ad esempio è stato fatto lo scorso anno dalla cancelliera tedesca Merkel, ma ben prima di annunciarlo sui media, così da evitare di offrire la possibilità a qualcuno di trasferirsi da un paradiso fiscale all’altro.

Ecco dunque che ritornano le parole del primo cittadino di Zacinto. Quando mette l’accento su un sistema “marcio fino in fondo”, vuol dire che a nulla serve scoprire la frode, se non vi è al contempo una pena severa anche per il medico che certifica la cecità di chi ne ha beneficiato senza averne diritto e, in termini di restituzione coatta, di quanto frodato. Passaggio, questo, che serve a educare l’intero sistema, attorno al quale gravitano le condotte dei singoli cittadini e degli amministratori, oltre agli organi preposti al controllo. E ammette amaro: “È come se qualcuno lanciasse migliaia di palline ma lo Stato avesse solo un piccolo vaso per raccoglierle tutte”.

Fonte: Rivista Il Mulino del 19/10/12
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giovedì 18 ottobre 2012

GRECIA, ORA LA CRISI UCCIDE IN PIAZZA NEGLI SCONTRI MUORE UN MANIFESTANTE

Venticinquemila ad Atene, quindicimila a Salonicco per dire “oki”, scontri tra manifestanti e polizia, lacrimogeni e bombe molotov, un morto di infarto, governo Samaras di nuovo a rischio. La Grecia si ferma per la seconda volta in tre settimane nel giorno dell’ennesimo e inutile eurovertice, e grida tutto il suo “no” alle misure per 13 miliardi di euro che la troika vuole imporre al paese in cambio dell’ennesima tranche di aiuti che durerà lo spazio di pochi mesi. I tre maggiori sindacati del paese chiamano a raccolta operai, pensionati dipendenti pubblici. Ma anche medici, giornalisti, controllori di volo. Non c’è una categoria che non sia interessata a questa tregiorni di manifestazioni contro un medico (la troika) e una cura (il memorandum) che stanno ammazzando un paziente già gravissimo. Il ritornello di tutti è: “Se i soldi dell’Europa vanno alle banche, perché il conto lo paghiamo noi con taglio a stipendi e pensioni?”. Tre i cortei nella capitale ellenica confluiti nella centrale piazza Syntagma, teatro di scontri tra manifestanti incappucciati e forze dell’ordine che rispondono con gas lacrimogeni. Forti momenti di tensione in tutte le vie laterali alla Camera dei Deputati, con un operaio portuale 67enne che viene colpito da infarto. E spira un attimo dopo il suo ricovero in ospedale. Poco dopo il leader della Sinistra Democratica Fotis Kouvellis, che assieme ai socialisti del Pasok sostiene l’anomala maggioranza di governo, annuncia che non voterà in Parlamento a favore di queste misure che uccidono il lavoro e i lavoratori.

La troika insiste su licenziamenti nel settore pubblico (almeno 15mila subito), sui tagli per 9,2 miliardi di euro da attuare nel 2013 (il resto nel 2014) e non 7,8 come chiesto dalla parte greca. Infatti, anche in questo caso il saldo primario del 2013 sarà pari a 0% del Pil (rispetto al 1,1% del PIL, nel progetto del nuovo bilancio), mentre il 2014 sarà 1,5% del Pil. “Tagliano tutto” grida un operaio a cui mancano tre anni a una pensione che, forse, potrebbe non arrivare. A rischio tfr, indennità di invalidità, progressi salariali. Oltre alla cesoia su comparti strategici come welfare e sanità.

La Grecia è fallita, ma nessuno lo dice apertamente: né la troika, né il governo Samaras, lo sussurrano solo le agenzie di rating come Moody’s che, attraverso dati e rilievi tecnici, hanno già da tempo maturato tale consapevolezza. Lo sanno, per certo, i cittadini greci in cassa integrazione, gli operai del polo industriale di Scaramangà (uno dei maggiori d’Europa), i portuali del Pireo, i dipendenti delle banche cooperative chiuse dalla sera alla mattina per favorire i grandi istituti finanziari, i pensionati “tagliati” del 20%, quelli che adesso risparmiano sul carrello della spesa, quelli che abbandonano i bambini nei monasteri della provincia di Atene perché non possono più mantenerli, quelli che emigrano in Svezia o in Australia per cercare fortuna.

Ma per la scelta di evitare quel fallimento per il rischio di contagio (pronte già sul tavolo operatorio Portogallo, Spagna e Italia) si affama un Paese e un popolo, senza toccare i grandi patrimoni (quelli che ad esempio hanno fatturato miliardi nel passaggio da dracma a euro) e le rendite di posizione di chi, già da tempo, ha portato danari da Atene in qualche cantone svizzero. E il corto circuito si ritrova nell’ammissione di uno dei rappresentanti della troika, Poul Thomsen che quarantott’ore fa ha candidamente dichiarato: “Abbiamo sbagliato, tagliando solo salari e indennità”. E a nulla servono le parole del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, che continua a dire che se Atene uscisse dall’eurozona, “questo sarebbe un danno per l’area della moneta unica e per la Grecia”. Il danno c’è già. E si chiama Ue: una cosa che oggi non funziona più.


Fonte: Gli Altri on line del 18/10/12
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Grecia, scontri tra polizia e manifestanti ad Atene: un morto

Iorgos fa l’editore e lo Stato è in debito con lui di centinaia di migliaia di euro. Ioannis è un pensionato e deve alle banche alcune rate della sua auto. Due facce, diverse,  della stessa (tragica) medaglia che si sono ritrovate oggi in piazza per protestare insieme contro il memorandum della troika. Lo sciopero generale in Grecia, il secondo in tre settimane, ha mobilitato tutte le categorie: dai dipendenti pubblici ai giornalisti, dai medici alle navi e ai traghetti. Paese bloccato ed ennesimo grido di allarme ellenico lanciato, non solo ai piani alti della finanza mondiale, ma questa volta anche ai cittadini stessi dell’Unione che assistono a ciò che potrebbe verificarsi anche altrove. Momenti di tensione nella centralissima piazza Syntagma che si affaccia sul parlamento, quando alcuni individui incappucciati hanno lanciato molotov contro gli agenti delle forze dell’ordine. Che hanno replicato con i lacrimogeni. Un 67enne è stato colpito da infarto ed è morto dopo il trasporto in ospedale. Piccoli scontri si sono susseguiti nelle strade adiacenti il centro della capitale ellenica, specialmente nella pedonale odòs Ermou, che dalla Camera conduce nella turistica Plaka sin sotto l’Acropoli. Sul lato opposto, nei pressi del boulevard Vassilisa Sofia, un gruppo di manifestanti ha riconosciuto il deputato di Syriza Lafazani, e lo ha insultato: “Non state facendo nulla nemmeno voi, andatevene tutti”.

Le storie di Iorgos e Ioannis sono agli antipodi, ma finiscono per convergere. Il primo attende che lo Stato gli renda i quattrocentomila euro che deve alla sua azienda da tre anni: in caso contrario potrebbe pensare seriamente di licenziare qualcuno dei suoi cinquanta dipendenti. Il secondo era professore ad un liceo industriale e quando è andato in pensione riceveva ogni mese un assegno di 1.700 euro, oggi solo 1.200. Facile capire come in Grecia, a tutti i livelli professionali, le cose siano cambiate in fretta e rischiano di precipitare in un baratro di cui non si vede la fine. Con una consapevolezza del problema che è, di fatto, sempre più trasversale. Ioannis ha sempre votato il partito conservatore di Nea Dimokratia, ma lo scorso dicembre ha partecipato dinanzi al Parlamento al lancio degli yogurth. E oggi, pur aderendo allo sciopero indetto dai maggiori sindacati di sinistra del paese, ammette di non voler dare il proprio voto più a nessuno, “perché sono tutti uguali, nessuno ama veramente la Grecia e l’hanno venduta a chi ci renderà schiavi”.
In piazza dunque i sindacati Pame, Gsee e Adedy: taxi fermi fino al pomeriggio inoltrato, navi e aerei cancellati per l’adesione dei controllori di volo. Oltre a servizi pubblici, scuole, ospedali, enti di previdenza sociale, servizi di pubblica utilità. Con decisione della Confederazione Nazionale del Commercio Greco anche lo shopping è stato interrotto, con la protesta di artigiani, commercianti e piccole e media imprese. Atene è rimasta senza alcun tipo di trasporto nelle prime ore della giornata. E dopo che mercoledì avevano “abbassato le saracinesche” medici, farmacisti e ufficiali giudiziari, per protestare contro le misure del governo che riguardano i loro settori di avanzamento, con relativa marcia verso il Ministero delle Finanze. In totale una tregiorni di astinenza a livello nazionale, che comprende venerdì anche gli avvocati.

Ma la giornata di “aperghia” porta con sé anche numeri inquietanti. Vengono dalla Fondazione Bertelsmann secondo cui un ritiro della Grecia dall'euro porterebbe con sé una deflagrazione europea e addirittura internazionale. Secondo uno studio pubblicato in Germania vi sarebbero danni ingenti per 1.200 miliardi di euro principalmente per i membri dell’Ue e in seguito anche per i 42 paesi più industrializzati del pianeta. Il default ellenico “per l'economia mondiale sarebbe economicamente gestibile”, scrive lo studio ma potrebbe avere un quasi certo effetto contagio per Portogallo, Spagna e Italia. E abbozza anche qualche cifra: per la Grecia lo scenario di un default sovrano, comporterebbe una massiccia svalutazione della nuova moneta greca. Con una ancor più grave disoccupazione. Le 42 economie più importanti del mondo potrebbero affrontare una perdita che andrebbe ben al di là dell’attuale esposizione da 674 miliardi di euro. Ma sarebbero, secondo la Fondazione, gli scenari collegati a creare panico internazionale: se ci fosse, ad esempio, come conseguenza un crack in Portogallo la Germania perderebbe almeno 225 miliardi di euro entro il 2020 e rinuncia al credito richiesto di 99 miliardi di euro. A livello mondiale le perdite cumulate di crescita si sommano: già gli Stati Uniti e la Cina sarebbero interessate con 365 e 275 miliardi di euro. Dopo Atene Madrid: l’uscita della Spagna viene calcolato in almeno 200 miliardi di danno nell’Ue. Uno scenario, quello prospettato dallo studio, che viene però preceduto dalle pulsioni sociali. Che sono sfociate non solo nello sciopero generale con mezzo paese praticamente bloccato, ma negli episodi della quotidianità. Con ronde che prima distribuiscono pasti caldi agli indigenti greci (e solo a loro) e un attimo dopo prendono a catenate in faccia un ragazzo di 21 anni scambiandolo per “negro”, per via del colore scuro della pelle, quando invece era un cittadino greco e di padre egiziano. Ecco il corto circuito sociale, il vero figlio della bancarotta ormai a un passo, ma che nessuno ancora ufficializza.
Sul retro di un autobus oggi troneggia una scritta: “Né destra, né sinistra. Ora Chrisì Avghì”. Altro che troika, questo è il pericolo “waimaeriano” della Grecia post crisi. A cui nessuno sta purtroppo dando credito.

Fonte: Il fatto quotidiano del 18/10/12
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mercoledì 17 ottobre 2012

«Altro che crisi, fiducia in noi stessi. Per ritrovare l’orgoglio di essere italiani»

La crisi esiste, ma ciò che manca è la fiducia in noi stessi, osserva Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera e autore di vari pamphlet sull’Italia di oggi. E che, in L’italia s’è ridesta (Mondadori, prefazione di Ferruccio de Bortoli), nelle librerie da domani, stimola i sessanta milioni di cittadini bianchirossieverdi ad avere più coraggio. Per soddisfare la domanda di Italia che c’è nel mondo.
Perché l’Italia di oggi è un paese di cattivo umore?
Perché c’è la crisi e siamo spaventati perfino al di là delle sue reali dimensioni. Il più grande problema dell’Italia di oggi è la mancanza di fiducia. Si possono fare tutte le riforme che si devono attuare, ma se poi manca proprio la fiducia, allora non servono a nulla. Inoltre si deve investire sulla scuola e sull’università, ma se le famiglie non potranno permettersi di mandare i propri figli in qualche facoltà allora anche questo non servirà. Come sulla formazione, ma se poi gli operai non possono usufruire di quei corsi, anche quella sarà una mossa inutile. Si può e si deve rendere più facile per un giovane aprire un’impresa, ma se poi manca l’idea o il coraggio di fare un passo non si va da nessuna parte. Ecco perché penso che oggi manchi la fiducia. Posso aggiungere una cosa? Il libro cosa quindici euro e novanta: molto meno dei precedenti, ma ho insistito con l’editore e rinunciando anche a della pubblicità. Ma l’ho fatto perché volevo dare un piccolissimo segno: rendiamo un po’più facile acquistare i libri, così da veicolare quel messaggio. Fiducia in noi stessi, per ritrovare l’orgoglio di essere italiani.
Quando scrive che il futuro non è nelle mani dei mercati, ma dipende da noi, intende ribadire l’importanza del fattore umano rispetto a spread e mercati?
Siamo a metà strada fra un passato mitizzato e un futuro che sembra non arrivare mai, ma esso dipende da noi e da nessun altro. Sono anche un po’stufo di sentir dire che sta crescendo la prima generazione di giovani che sta peggio dei padri e dei nonni. Ma prima di parlare in questi termini, invito a ragionare su chi sono stati i nostri nonni e i nostri padri. I primi sono morti di guerre civili e mondiali, hanno perso fratelli e amici per delle malattie che oggi si curano con tre pastiglie di antibiotico. I secondi hanno ricostruito un paese fatto a pezzi dai bombardamenti e conteso da eserciti rivali: non hanno trovato tutto facile. So bene che oggi per i giovani non è altrettanto semplice, però pensiamo anche alle cose che possiamo fare. Nel mondo c’è una grande domanda di Italia: è pieno di gente che vorrebbe vestirsi e mangiare come noi. Cerchiamo di essere noi a soddisfare quel bisogno, diventiamo imprenditori di noi stessi e valorizziamo quel tesoro su cui siamo seduti.
Dove abbiamo sbagliato?
Pensiamo al mondo globale come a una fregatura, in quanto si tiene in casa e ci porta via il lavoro. Invece è una grande opportunità per un paese come il nostro.
Paghiamo lo scotto della scarsa consapevolezza del cosiddetto mito italico?
A volte tendiamo un po’troppo all’autodenigrazione, il che non vuol dire che tutto va bene. Vi sono molte criticità ed è giusto denunciarle, come faccio nel libro. Però vi sono anche cose che funzionano. Ma attenzione, non si tratta di fare un catalogo con ciò che va bene in un mare di fango, bensì l’Italia può uscire dalla crisi solo se lo fa tutta insieme. E partendo dal sud. Questa incessante domanda di Italia che c’è all’estero è principalmente domanda di sud: uno straniero che pensa al nostro paese, nel suo immaginario ha il sole, il mare, il buon cibo. Ma anche elementi ancor più importanti come la cultura, la bellezza, la natura, il calore umano, l’ospitalità, il senso dell’umorismo, l’arte del vivere. E poi l’apporto del cinema di Totò, del teatro di Eduardo, della musica popolare napoletana, della letteratura siciliana novecentesca.
Cos’hanno dimostrato i 150 anni?
Che noi italiani siamo più legati all’Italia di quanto amiamo riconoscere: la patria, il tricolore, l’inno erano considerate cose residuali e invece…sono stati un successo. Ora bisogna soltanto imparare a crederci.
L’Italia s’è ridesta, quindi, è un inno alla speranza?
Sicuramente un libro pieno di ottimismo, su chi siamo e su quello che possiamo fare, sulla fiducia e sull’orgoglio, curiosando città per città, dove ho visto segni di ripresa. La mia Torino, negli ultimi anni ha cambiato umore, da chiusa e pessimista ora è aperta e piena di locali. Milano in crisi? Niente affatto, resta centrale con la moda e la finanza. Roma è una città maleducata, volgare con mille difetti, ma è dinamica e soprattutto è la capitale più bella del mondo. Napoli si è ribellata agli scandali, e si è inorgoglita di avere un Capo dello Stato che ne porta il nome in giro per il mondo. Una volta la Puglia non era di moda, Modugno passava per siciliano, Arbore per napoletano.
E invece adesso tutti primeggiano nel rivendicarne l’appartenenza…
Da Carofiglio a Caparezza, e passando per Checco Zalone: ciò non avviene per caso, ma perché in quella regione si è fatto un gran lavoro di recupero dell’identità, della cultura enologica, musicale e civile che produce positività. Turismo è un termine riduttivo e andrebbe cambiato, come spumante: una cosa buonissima ma che detta così non ne rende a sufficienza l’idea. Turismo non significa solo cuochi e camerieri, che per fortuna ci sono ma ve ne dovrebbero essere di più e di italiani. Ma in generale vuol dire mettere un sicurezza il territorio, restaurare i monumenti, investire: perché ha bisogno anche di artisti, musicisti, banchieri. Insomma, di italiani.

Fonte: Italiani quotidiano del 17/10/12
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Grecia, la troika interrompe i negoziati con il Governo

Momento di impasse (o di rottura?) nelle trattative fra la troika e il governo di Atene. Nella sede del ministero del lavoro il rappresentante dell’Fmi Thomsen ha lasciato il tavolo della contrattazione con il ministro Vroutzos per contattare telefonicamente la direttrice del Fondo Christine Lagarde (anche se dopo un’ora è arrivata una nota ufficiale dell’Fmi secondo cui le trattative sarebbero riprese). Uno stop and go che ha reso ufficiale un passaggio che è tale ormai da tempo: c’è una forte divergenza su come ridurre i risarcimenti per i lavoratori, all’interno del pacchetto di misure per portare i giorni lavorativi dagli attuali cinque a sei, come chiede la troika.

Il vertice decisivo, iniziato al mattino, si è improvvisamente fermato poco dopo il break di pranzo. Lo stallo pare sia riconducibile alle misure che ammortizzino le nuove norme. Ieri il ministro aveva avuto un incontro fiume con la troika al fine di individuare possibili alternative. Secondo quanto sostengono alcuni dirigenti ministeriali, la troika pretende “padre e madre”: una metafora nel linguaggio ellenico per chiedere l’impossibile. Al centro dell’animato dibattito, che ha nei sindacati ellenici i principali avversari, ci sono la riduzione orizzontale sull’importo della compensazione, senza contare gli anni di servizio e la rimozione di maturazione, ovvero gli aumenti previsti dal contratto collettivo nazionale di base ogni tre anni.

Il nodo è sulla riduzione del tfr, se a seconda dell’anzianità o meno; sui tre anni di cassaintegrazione per i dipendenti pubblici (15mila) che la troika chiede di licenziare; sulla rimozione dell’indennità di matrimonio progressivamente a partire dal 2015. Di contro la parte greca, se da un lato si dice favorevole al tema della settimana di sei giorni di lavoro, dall’altro chiede che siano mantenute almeno le quaranta ore settimanali di lavoro e la scelta o il rifiuto del nuovo sistema di contrattazione collettiva. La troika, in soldoni, chiede di bypassare le richieste dei sindacati nazionali e di sterzare spediti verso la chiusura dell’accordo, procedendo alla negoziazione diretta con le singole organizzazioni. Il ministro del Lavoro ha escluso ogni possibilità di ulteriore riduzione dello stipendio base nel settore privato, almeno fino a quando i cambiamenti dettati dalle recenti riforme nelle relazioni industriali non potranno essere compensati con degli ammortizzatori sociali.

In tutto ciò c’è da registrare l’allarme “asfissia” lanciato del ministro delle finanze Stournaras, che alla Camera lancia un avvertimento drammatico sulla necessità di pagamento diretto della rata. Senza la tranche da 31 miliardi “siamo pronti a morire di soffocamento”. Per questo ha esortato i membri della commissione finanze ad accendere i propri cellulari in aula e leggere la notizia che la Spagna vuole entrare nel programma di aiuti dell’Unione: “Ciò significa – ha aggiunto – che i fondi che noi chiediamo servirebbero anche ad altri”. Inoltre Stournaras ha sottolineato che senza la proroga di attuazione del memorandum, così come richiesto da tempo dal governo di Atene e caldeggiato dalla stessa Christine Lagarde, il debito vitale da colmare entro il 2014 porterebbe con sé conseguenze drammatiche per i conti del paese.

La parola d’ordine è sempre di più emergenza. L’opposizione reagisce accusando il governo di “imbarazzo e debolezza”, dichiara Markopulos, portavoce dei Greci Indipendenti. Il riferimento è alle privatizzazioni in atto che, secondo i partiti schierati contro Samaras e contro il memorandum, favorirebbero solo alcuni gruppi industriali. E giovedì sarà sciopero generale, a cui aderiranno navi passeggeri, mercantili e traghetti dopo la decisione della Federazione nazionale Lavoratori Marittimi di seguire le scelte dei sindacati Gsee e l’Adedy che rappresentano rispettivamente i lavoratori del settore privato e di quello pubblico.

Una giornata convulsa che si chiude con l’appello del capo dello stato Karolos Papoullias: “Ho detto alla cancelliera Merkel che se si vuole far passare quelle misure, servirà cambiare le persone”. Facendo riferimento alla battaglia per la sopravvivenza che il popolo greco sta combattendo. “È inaccettabile – continua – che qualcuno sfugga ai propri doveri. La coesione sociale si basa sulla valutazione di una equa ripartizione degli oneri. Non dobbiamo caricare di responsabilità solo gli operai e i lavoratori, ci sono altri signori che hanno preso i loro soldi e hanno comprato mezza Londra”.

Fonte: Il Fatto quotidiano del 16/10/12
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martedì 16 ottobre 2012

«Bene il Nobel, ma ora l’Europa federale. E lo spread si combatte con l’homo faber»

«Nessuno è al timone, ha detto  di recente uno studioso americano, ed è purtroppo vero  -  ragiona  con  Italiani  Quotidiano Valerio  Massimo  Manfredi,  storico, scrittore  e  autore  della  fortunata  serie di reportage su La7 Stargate linea di confine - ma ci sono principi elementari che ci possono permettere non solo di  sopravvivere  ma  di  recuperare  la sovranità», con l’obiettivo alla nostra portata di un continente federale.
Il nobel per la pace all'Europa può essere simbolicamente un invito alla ricostruzione?
 Penso che sia un riconoscimento giusto: l'Ue è l'esperimento politico più importante e rivoluzionario nella storia europea degli ultimi secoli. Non credo che i Norvegesi siano molto interessati ai progressi dell'Unione. Sono un piccolo popolo ricchissimo che non ha nessuna voglia di entrare nei problemi dell’Ue. D'altra parte anche loro furono coinvolti nella seconda guerra mondiale e occupati dai nazisti e il consolidamento di un'Europa democratica, solida economicamente e socialmente può essere per loro abbastanza interessante. Sanno benissimo che un collasso dell’eurozona investirebbe anche loro. In questa epoca nessuno è al riparo dai pericoli. L'attribuzione del Nobel, comunque,  non può che fare piacere a qualunque cittadino europeo dotato di buon senso e intelligenza anche se, come si è fatto notare, in questo momento sarebbe stato forse più opportuno dare il premio alla bambina pakistana che giace in un letto fra la vita e la morte per aver voluto difendere il diritto  suo e delle sue compagne nel suo paese ad avere lo stesso trattamento e istruzione dei loro coetanei maschi.
 Gli spunti dei padri fondatori, Spinelli, Adenauer, De Gasperi, sono stati disattesi: come riparare?
  L'esperimento europeo è di straordinario interesse ma estremamente difficile da realizzare. È dalla caduta dell'Impero Romano che i popoli europei si sono combattuti incessantemente per i più svariati motivi e pretesti. Dal secondo dopoguerra però l'Europa è diventata una delle aree più prospere e più stabili del pianeta, ma ancora sono vivi pregiudizi razziali e culturali  fra i vari popoli, specie da parte di quelli del nord verso quelli del sud, gli egoismi nazionali, le ripicche. Il nazionalismo. Occorre far capire ai popoli d'Europa che nessuno  dei suoi stati nemmeno i più forti sopravvivrebbero da soli competendo contro giganti come  Cina, Usa, Russia, India, o Brasile. Ci vuole più comunicazione e anche recuperare gli ideali dei padri fondatori che hanno perso smalto a causa della globalizzazione e della crisi che ha esasperato gli egoismi e la logica del "si salvi chi può". L'Europa deve prendere lo spunto da questo periodo di grandi sacrifici per il risanamento dei bilanci per poi riprendere il progetto federale con ordinamenti giusti ed equilibrati, unificare le strutture di difesa comune, il sistema fiscale, i mezzi della lotta alla criminalità e rendere più efficienti le politiche di sostegno alel aree più deboli, non con interventi a pioggia ma seguendo con commissioni ad hoc il percorso degli aiuti fino alla loro messa in opera. 
Nella culla della democrazia, la democrazia agonizza: Grecia cavia o corto circuito sistemico?
In parte paga gravi errori e difetti strutturali come la diffusa economia in nero e la massiccia evasione fiscale che hanno gonfiato il debito a livelli insostenibili. In più il suo tessuto economico piuttosto gracile non consente recuperi di produttività in tempi ragionevoli. L'impoverimento di interi ceti sociali certamente spinge molti a perdere la fiducia nelle istituzioni ma  non credo che per questo verrà a mancare la democrazia. La classe politica, in ogni caso, deve diventare più responsabile.
 La macelleria sociale ellenica è ormai avviata:  è possibile essere solidali senza svilire il rigore?
 Penso che l'Europa, dove certi paesi hanno tassi d'interessi bassissimi o addirittura negativi (come la Germania) potrebbero, senza troppi problemi, concedere i prestiti alla Grecia con interessi più "umani" consentendo così al Paese di onorare i suoi impegni senza essere massacrato nei bisogni più elementari. Le banche di certi paesi europei anno lucrato moltissimo prestando soldi ad Atene e poi ne hanno ottenuto altri per ripianare le speculazione sbagliate sugli asset tossici. La solidarietà in ogni caso ha dei costi che in parte si potrebbero finanziare riducendo l'evasione fiscale, razionalizzando le strutture, azzerando gli sprechi, eliminando la corruzione e incoraggiando i risparmi. Ma i costi non verrebbero certo eliminati del tutto. Formule magiche non ne esistono io credo.
Spread e mercati hanno sostituito il fattore umano: come riprendere quel fil rouge?
Quando ero un ragazzo mio padre, un agricoltore con due ettari di terra e quattro figli che volevano studiare, mi diceva sempre «non fate debiti, piuttosto mangiate pane e cipolla». Chi si indebita è alla mercé dei creditori e perde la libertà che è il bene più prezioso. L'andamento dell'economia mondiale e le sue logiche sono  sotto l'effetto di forze in buona parte cieche e caotiche. Inutile aspettarsi da loro alcuna comprensione. «Nessuno è al timone» ha detto  di recente uno studioso americano. Ed è purtroppo vero. ma ci sono principi elementari che ci possono permettere non solo di sopravvivere ma di recuperare la sovranità. Se nessuno, per ipotesi, si presentasse a contrarre nuovi debiti che potere avrebbero i mercati e lo spread?  Le grandi concentrazioni di capitale, invece di speculare con operazioni finanziarie, sarebbero costrette a investire nell'economia vera: nelle aziende manifatturiere, nelle imprese capaci di produrre e creare ricchezza, nelle ricerche avanzate. In altri termini verrebbe premiato chi lavora, cioè il fattore umano, l'homo faber che è quello che ha creato il progresso. Certo non è per domani né per dopodomani ma chi è disposto a fare sacrifici, anche duri, ne riscuoterà prima o poi la ricompensa. Mio padre diceva ancora: «non esistono pasti gratis». Anche per fare l'elemosina a un mendicante ci vuole qualcun altro che quei soldi, siano pure pochissimi, li abbia guadagnati.
 Cosa accade quando i figli sono più poveri dei genitori?
La decadenza, l'arretramento, e poi la riduzione in miseria. Ma come è stato possibile? Quando ero un ragazzo al mio paese (4000 abitanti) c'erano cinque falegnami, quattro sarti, quattro calzolai, tre meccanici. Oggi c'è solo un falegname in tutto, prossimo alla pensione. A Modena la scuola edile  che forma i muratori, su una classe di venti allievi conta un solo italiano. In Sicilia c'è molta disoccupazione ma i camerieri degli alberghi sono tutti immigrati, così gli operai agricoli. Nelle nostre università ci sono un numero di iscritti a Lettere, archeologia, storia sei volte più numerosi dei posti disponibili. Bisogna recuperare il concetto che, qualsiasi lavoro che ci consenta di vivere onestamente, è altrettanto dignitoso come le professioni ritenute prestigiose.

Fonte: Italiani quotidiano del 16/10/12
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lunedì 15 ottobre 2012

Le ronde xenofobe lo prendono per “negro” Picchiato a sangue cittadino greco

Lo hanno scambiato per un extracomunitario, a causa del colore della sua pelle. Scura, come la pece. E per questo lo hanno picchiato con delle catene, senza che nessun passante intervenisse. Un 21enne cittadino greco, ma di origine egiziana, rischia adesso di perdere un occhio: è accaduto nella notte tra venerdì e sabato nel centro della capitale ellenica. Dove l’emergenza sociale di pensioni e stipendi tagliati dal memorandum della troika si mescola pericolosamente a pulsioni xenofobe e rigurgiti di assurda violenza. Con molti quartieri, non solo di Atene ma delle principali città del Paese, presidiati dalle ronde, verosimilmente appartenenti al partito neonazista di Alba dorata.

Come quella che, composta da quattro uomini con il volto coperto da passamontagna e “accompagnati” da cani e mazze ferrate, sorvegliava odòs Attiki, nel centro di Atene e che si è imbattuta in un greco “anomalo”, senza la pelle bianca. E per cinque minuti lo hanno preso a catenate, sul viso e sul corpo. Lì, in quel fermo immagine si è consumata una tragedia sociale senza precedenti, la stessa che sta ammalando di razzismo un paese e una comunità da sempre ospitale e tollerante. Tanto da far intervenire anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che ha annunciato di aver ufficialmente aperto un fascicolo sul caso. Che non è isolato, tutt’altro. Non solo il partito guidato da Nikolaos Michalioliakos dopo quarant’anni di embargo ha fatto il suo ingresso in Parlamento con il 7% delle preferenze, ma gli ultimi sondaggi lo danno in ascesa sino al 15%, accreditandosi come la terza forza politica nel paese.

Il “no” al razzismo e ad azioni violente è stato pronunciato con forza ieri. Quando artisti e attivisti greci hanno promosso una giornata di eventi presso il centro ateniese “Technopolis” nel quartiere di Gazi. L’evento è stato organizzato dal Movimento “Uniti contro il razzismo e la minaccia fascista”, con la partecipazione dell’Unione dei lavoratori migranti. Mostre d’arte, esposizioni di manufatti e simboli di pace, anche un seminario per ricordare le lotte contro il fascismo e il razzismo, e proprio nel sessantottesimo anniversario della liberazione di Atene dai nazifascisti (era il 12 ottobre del 1944). Uno degli autori della mostra, Thanassis Kampagiannis, ha provato a mettere a confronto la Germania degli anni Trenta con la Grecia di oggi. Misurandone le pulsioni sociali, la fortissima crisi occupazionale, le risposte (mancate e sbagliate) delle istituzioni. Arrivando a teorizzare che esiste una correlazione tra la Repubblica di Weimar e l’ascesa del fascismo in epoca attuale, in quanto “la crisi ha dato e continua a dare la possibilità ai fascismi di elevarsi, tuttavia, oggi abbiamo la grande esperienza del nazismo e dei suoi effetti e per questo non abbasseremo la guardia”.

Ma l’aggressione di venerdì scorso porta con sé i detriti morali di una politica, quella che si dice democratica e solidale, e che ha tradito la sua stessa missione: facendo di fatto fallire il paese e pretendendo che, oggi, il prezzo di prestiti inutili lo paghino solo cittadini e pensionati. Quelle classi dirigenti sono riuscite nell’impervia impresa di trasformare un paradiso terrestre in un luogo dove oggi è tornata la tubercolosi, dove un malato di cancro ha speso 7000 euro per sottoporsi a chemioterapia, dove un cardiopatico che è fatto visitare in uno studio privato ha ripagato il medico con due pagnotte perché non aveva più soldi, dove un greco su 4 vive con meno di 600 euro al mese, dove in alcune scuole di Atene i bambini si accasciano sui banchi per la fame. Mentre deputati e ministri affollano la “lista Lagarde”, tra fondi neri, lingotti d’oro in Svizzera e il germe del razzismo che si espande rapidamente.

Fonte: Gli Altri on line del 15/10/12
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