lunedì 28 luglio 2014

Chi uscirà ammaccato dalle sanzioni europee contro Mosca


Chi uscirà ammaccato dalle sanzioni europee contro Mosca
Nello scontro tra Usa e Russia, l’Unione Europea ha imposto un ulteriore pacchetto di sanzioni contro Mosca, aggiungendo alla prima lista nera i nomi di 18 aziende. Il passo successivo potrebbe essere l’introduzione di una “terza ondata di sanzioni”, che interesserà l’intero settore dell’economia russa. Tuttavia, come notato dal Guardian, l’adozione di tali misure avrà l’effetto opposto.
CHI C’E’
Non solo 15 rappresentanti delle forze dell’ordine della Russia, o un certo numero di imprese situate in Crimea. Il passo successivo da parte dei rappresentanti dell’UE potrebbe essere la cosiddetta “terza ondata di sanzioni”, che coprirà l’intero settore dell’economia russa, così come lo ha apostrofato il primo ministro britannico David Cameron. I nomi: BP, Boeing, Raiffeisen Bank, Unilever.
GUARDIAN
Secondo il quotidiano britannico l’adozione di queste misure causerà un danno grave non solo all’economia russa, ma anche a molte aziende occidentali che con essa intrattengono rapporti commerciali significativi. Non è tutto, perché nell’editoriale della domenica il quotidiano inglese mette l’accento su altre sanzioni possibili, come quella proposta da Nick Clegg (“sarebbe giusto che la Russia perdesse l’organizzazione della Coppa del Mondo 2018)”.
MONDIALI
Il vice primo ministro inglese ha detto che la minaccia di ritirare la Coppa del Mondo sarebbe “una potente sanzione politica e simbolica”. E ancora:  ”Se c’è una cosa di cui Vladimir Putin si preoccupa, per quanto posso vedere, è il senso dello Stato. Forse dovremmo ricordargli che non è possibile mantenere lo stesso status nel mondo se si ignora il resto del mondo”. E non ha escluso che il Regno Unito possa essere un’alternativa alla candidatura russa.
“Abbiamo gli stadi, abbiamo le infrastrutture, e abbiamo il sostegno pubblico e l’entusiasmo di ospitare”.

BOEING
Una strada che la Russia potrebbe seguire per esercitare ritorsioni contro le sanzioni occidentali potrebbe essere quella di fermare la vendita di metalli, ampiamente utilizzati dalle case automobilistiche e aerospaziali. Il colosso aerospaziale statunitense Boeing, che acquista oltre un terzo del suo titanio dalla Russia, sarebbe costretto a trovare un altro fornitore: con gravi conseguenze a breve e medio termine sulla produzione.
FLOTTA
Altro effetto potrebbe essere la mancata partecipazione ad un affare rilevantissimo, come la costruzione della flotta aerea russa del futuro: un affare da 80 miliardi di euro che si svilupperà nei prossimi vent’anni.
BP
BP detiene una partecipazione del 20% nel colosso energetico russo Rosneft, un’alleanza che è entrata nel mirino da quando Igor Sechin, presidente di Rosneft e stretto alleato del presidente Vladimir Putin, è stato inserito all’interno della lista nera all’inizio di quest’anno. Un divieto di esportazione di tecnologia energetica avrebbe come effetto il blocco alla trivellazione di petrolio nell’Artico, e quindi farebbe naufragare le speranze della Russia di agganciare la cosiddetta “rivoluzione fracking”.
EXXON
Da parte sua la Exxon Mobil sta affiancando Rosneft nelle trivellazioni in Siberia, mentre la Shell sta lavorando con Gazprom a progetti di petrolio e gas in Estremo Oriente. Finora queste aziende hanno spazzato via la minaccia di eventuali blocchi da parte di Mosca, ma esponenti politici russi parlano di un grosso rischio per l’Europa derivante dal congelamento dei beni.
UNILEVER
La società anglo-olandese ha ammesso le difficoltà che potrebbe riscontrare nel florido mercato russo se continuasse la strada delle sanzioni. Più della metà del suo fatturato arriva dal bacino moscovita, mentre nella vecchia Europa i numeri arrancano. Nei documenti aziendali, la società definisce cruciale la Russia per il proprio futuro. Le sanzioni avrebbero come conseguenza ilcongelamento di nuovi business.
RAIFFEISEN BANK
La City di Londra quindi è vista come il perdente numero uno se il tentativo di spingere Mosca fuori dal sistema finanziario e commerciale avesse successo. Dopo la Raifeisen Bank, a ruota seguirebbe la francese Société Générale.
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venerdì 25 luglio 2014

Ucraina, la guerra del gas dietro il passo indietro del premier Yatsenyuk?

Ucraina, la guerra del gas dietro il passo indietro del premier Yatsenyuk?
In Ucraina le dimissioni del premier Arsenij Yatsenyuk, che era considerato una delle figure chiave delle nuove autorità di Kiev e godeva del sostegno quasi incondizionato da parte dell’Occidente, ha provocato una crisi politica acuta. L’alleanza tra il premier e il presidente PietroPoroshenko a questo punto si è irreversibilmente incrinata. Secondo alcuni analisti di Kievl’iniziativa di Mr. Yatsenyuk significa che è ancora il gas la causa dell’instabilita’ politica nel Paese. Elezioni fra trenta giorni?
PASSO INDIETRO
L’iniziativa potrebbe essere letta come la volontà dello stesso ex premier di essere l’antagonista a Poroshenko. Secondo alcuni analisti con questa mossa avrebbe colpito l’unità del paese in un momento cruciale, con la crisi russa tutt’altro che risolta. Un’altra scuola di pensiero valuta il passo indietro del premier come un attacco diretto al presidente Poroshenko con alle porte il crollo della maggioranza parlamentare.

SCENARI
L’analista Dmitry Ponamarchuk dalle colonne del quotidiano russo Kommersant osserva che non c’è da essere sorpresi se alle prossime elezioni Yatsenyuk sarà a capo della lista del partito “Solidarietà“, fondata dallo stesso Petro Poroshenko. Ma le dimissioni di Yatsenyuk potrebbero essere riferite non solo alla volontà politica di scalvalcare l’attuale presidente, bensì anche al fallimento dei piani per riformare il sistema di trasporto del gas ucraino (GTS).

GAS
I documenti relativi al nuovo piano sono stati presentati alla speciale commissione lo scorso giugno, con l’obiettivo di “preparare” l’economia ucraina al fine di ridurre gli acquisti di gas da “Gazprom”. Ma ieri il Parlamento ha votato contro. Uno degli emendamenti sosteneva l’introduzione di un “periodo speciale” per la cessazione o la limitazione delle forniture energetiche in Ucraina. Di contro lo Stato ha ottenuto la possibilità di intervenire nel lavoro delle società di distribuzione per interrompere il flusso di gas ai consumatori, fatta eccezione per le famiglie e per i produttori. Le imprese private quindi si sono impegnate a vendere il gas al fine di creare riserve, per cui il governo avrebbe il diritto di ritirare il loro gas dai depositi sotterranei.

CONSORZIO
Il secondo disegno di legge consente di far passare a Kiev il controllo del consorzio di gestione del sistema di trasporto del gas con le imprese americane ed europee (sul punto la teoria di un’Ucraina in attesa di mosse da arte di Bruxelles). Il punto principale è che tutti i negoziati con la “Gazprom” siano conclusi con l’intervento dei rappresentanti delle società estere. Se investitori statunitensi o europei dovessero partecipare alla modernizzazione della GTS, (stimata in 3/5 miliardi di dollari) ecco che potrebbe aprirsi un altro fronte di tensione, anche perché non pochi sono i consumatori industriali che temono uno stop della produzione a causa dell’interruzione delle forniture di gas. La stima delle potenziali perdite è di centinaia di milioni di dollari.

SHOCK POLITICO
Il passo indietro del premier rappresenta comunque un forte shock per la politica ucraina. La presidente della Verkhovna Rada Oleksandr Turchynov ha osservato che il Governo potrebbe decidere su un nuovo esecutivo ma dovrebbe prima dimettersi. “Unico responsabile è rimasto il presidente Poroshenko e ora non ha nessuno su cui addossare la colpa di quanto sta accadendo nel paese” ha osservato l’analista politico Konstantin Bondarenko. “Tutto ciò che sta accadendo nel paese mette in dubbio la possibilità che Poroshenko sia in grado di rimanere in carica per l’intero periodo di cinque anni”.

STRATEGIA
Secondo la legge ucraina dopo le dimissioni del premier dovrebbe essere il suo vice a reggere le sorti del Paese, ma l’attuale numero due, Vitaly Yarema, è stato recentemente nominato procuratore generale. L’ufficio è dotato di due vice primi ministri – l’ex sindaco di Vinnitsa Vladimir Groisman rappresentante del partito Impact e il membro del partito “Svoboda” Alexander Sich. Ieri sera, il ministro dell’Interno Arsen Avakov ha detto che pro tempore il nuovo premier sarà Mr. Groisman. Tuttavia, questa decisione non è ancora stata votata dal Parlamento (la Verkhovna Rada), dove saranno necessari almeno 226 voti favorevoli. L’opzione più verosimile al momento è che fra trenta giorni si andrà a votare.

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mercoledì 23 luglio 2014

Chi è il volto nuovo della Georgia che guarda a Washington

Chi è il volto nuovo della Georgia che guarda a Washington
Corsa al congresso americano, le primarie dei repubblicani consacrano un nome che potrebbe essere speso in futuro anche per palcoscenici nazionali.
La vittoria di David Perdue in Georgia ha sconvolto le previsioni elettorali. L’ex ad di Dollar General ha vinto la corsa fra i repubblicani per diventare candidato del suo partito al congresso: era una delle poche occasioni in cui i democratici avevano speranza di vincere.
GEORGIA
Alle urne mister Perdue affronterà Michelle Nunn, una democratica, ex numero uno di Punto di luci (un influente gruppo di volontari) e figlia di Sam Nunn, ex senatore della Georgia. La vittoria di Perdue al ballottaggio è giunta dopo essere finito primo tra sette contendenti in occasione delle primarie repubblicane per il Senato. Una grossa mano potrebbe essergli giunta dall’essere cugino dell’ex governatore della Georgia Sonny Perdue.

CORSA
Sino a pochi istanti prima di conoscere l’esito finale, gli stessi repubblicani erano incerti se mister Perdue sarebbe riuscito a battere il suo rivale, forte di un consenso decennale in Georgia. In occasione della consultazione infatti due erano stati i nomi a turbare i sonni del partito: Paul Broun e Phil Gingrey, esponenti dell’estrema destra che avrebbero potuto togliere qualche consenso nella lotta generale.

PROSPETTIVE
Dalla Georgia ecco che potrebbe spuntare un nuovo ticket di nomi nuovi in prospettiva nazionale, dal momento che sia Perdue che Nunn – da ciò che trapela dai rispettivi staff – avrebbero intenzione di accreditarsi come futuri leader nazionali (possibili “outsider politici” li definisce ilNew York Times).

FONDI
Secondo quanto accertato dalla Commissione Elettorale Federale, il signor Perdue ha iniziato la propria campagna con quasi 800 mila dollari, mentre la signora Nunn quasi 3,7 milioni dollari in contanti alla fine del primo trimestre, e durante la sua campagna ha recentemente annunciato di aver raccolto quasi 3,5 milioni dollari negli ultimi tre mesi.

CRITICHE
I Democratici, forse perché speravano in un risultato non così sfavorevole, attaccano il vincitore e lo paragonano a Mitt Romney, che durante la propria candidatura presidenziale nel 2012 si guadagnò la reputazione di essere un “avvoltoio capitalista”. Così ricordano che mister Perdue è stato ad di Pillowtex, un’azienda tessile finita in bancarotta e, infine, chiusa nel 2003, lasciando 7.500 persone senza lavoro, dopo che il signor Perdue aveva lasciato il proprio posto.

QUI DEMOCRATICI
Cosa faranno ora i democratici? Otto uffici e seimila volontari potrebbero non essere sufficienti al partito del presidente Barack Obama che sperava in un risultato migliore da un punto di vista della forza degli avversari. E‘ chiaro che in prospettiva Congresso potrebbe non essere sufficiente la “volata” che Hillary Clinton dovrebbe poter assicurare ai singoli distretti.

QUI REPUBBLICANI
La corsa per occupare il seggio che fu di mister Kingston nel primo ed influente distretto congressuale della Georgia sarà lunga e vedrà gli occhi puntati su altri due distretti della Georgia particolarmente significativi per i repubblicani. Nel 10 ° distretto congressuale, Jody Hice, un ministro battista e conduttore radiofonico, ha sconfitto Mike Collins, proprietario di una società di autotrasporti e figlio dell’ex deputato repubblicano Mac Collins. Nel 11mo distretto BarryLoudermilk, l’ex senatore è stato comodamente sconfitto da Bob Barr, un ex. Barr, che ha lasciato il suo partito per correre nel 2008 come indipendente, era tornato sul versante repubblicano in occasione del nuovo Congresso, ma la sua rimonta non è riuscita.

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giovedì 17 luglio 2014

Progetti e finanziamenti dell’agenda green di Obama


Progetti e finanziamenti dell'agenda green di Obama
Che cosa è e dove vuole arrivare il Climate Change Iniziative, la risposta di Obama ai suoi detrattori. Dagli investimenti sull'alimentazione nei luoghi colpiti da catastrofi climatiche, ai finanziamenti per migliorare le infrastrutture di energia elettrica nelle zone rurali di otto stati.
E’ sul cambiamento climatico che si giocherà la nuova partita politica della Casa Bianca targataObama. Un gruppo di lavoro è da tempo all’opera per offrire un supporto significativo all’agenda “clima” del presidente. L’obiettivo è dare slancio al tema green per controbilanciare deficienze programmatiche ed inciampi politici.
L’AGENDA CLIMA
I singoli progetti appartengono ad una più ampia strategia obamiana per sostenere con forza la sua agenda green. Nello scorso mese di giugno l’Environmental Protection Agency ha diffuso un report in cui si indirizzano gli Stati a presentare piani per ridurre l’inquinamento di carbonio dalle centrali elettriche. La proposta prende di mira le centrali a carbone, ovvero la più grande fonte nazionale di inquinamento. Lo scopo è diminuire la richiesta di carbone anche per favorire un sostegno politico trasversale a questa accelerata verde del Presidente Obama che punta con decisione su altre fonti energetiche.

IL CLIMATE CHANGE
Il presidente Obama annuncerà una serie di iniziative riguardanti il cambiamento climatico, circa la fornitura di energia elettrica, il miglioramento della pianificazione locale per prevenire le inondazioni, l’erosione costiera e mareggiate. Infine grande risalto sarà dato ad una migliore previsione dei rischi di frana, come dimostrano l’innalzamento dei livelli dei mari e l’intensificazione di tempeste e fenomeni di siccità.

LA TASK FORCE
Gli obiettivi che saranno raggiunti, nelle intenzioni, coinvolgendo una serie di agenzie federali sul territorio, sono stati alla base delle raccomandazioni fatte al presidente dai governatori: si tratta di una task force che opererà di concerto con i singoli stati composta da un gruppo di 26 funzionari che dallo scorso novembre hanno lavorato per sviluppare proposte e direttrici di marcia.

I FONDI
Uno dei progetti coinvolge il puntellamento dei distretti alimentari nei luoghi colpiti da catastrofi climatiche, ragion per cui il Dipartimento dell’Agricoltura dovrebbe stanziare 236,3 milioni dollari per migliorare le infrastrutture nelle zone rurali di otto stati. Il Dipartimento dell’Agricoltura dovrebbe anche prevedere altri fondi a sostegno delle zone rurali che sono alle prese con gravi fenomeni di siccità.

IL GEOLOGICAL SURVEY
Il Geological Survey, assieme ad altre agenzie federali, investirà circa 13 milioni di dollari per sviluppare sistemi di raccolta dati e di cartografia tridimensionale, ciò consentirà alle amministrazioni di elaborare strategie e di prevenire danni e disservizi. Inoltre il Bureau of Indian Affairs avvierà un programma da 10 milioni dollari per formare cittadini e addetti ai cambiamenti climatici e il Centers for Disease Control and Prevention pubblicherà una guida dal titolo “Valutazione della vulnerabilità della salute ai cambiamenti climatici”. L’obiettivo è tentare di identificare i rischi per la salute che potrebbero essere causati dai cambiamenti climatici.

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mercoledì 16 luglio 2014

Perché la Libia rischia di essere un nuovo Afghanistan

Perché la Libia rischia di essere un nuovo Afghanistan
Fatti, ricostruzioni e polemiche
Da tre giorni le milizie islamiste in Libia, dopo aver provocato scontri armati, hanno bombardato a colpi di missili l’aeroporto di Tripoli. E mentre la situazione si fa incandescente anche per gli interessi italiani in zona, senza che il nuovo parlamento sia in grado di arginare i pericoli, il Giornale monta una polemica sul mancato intervento da parte del nostro ministero degli Esteri.
QUI TRIPOLI
Il quadro è complesso. Missili contro l’aeroporto sono stati lanciati dalle milizie islamiste: è stato distrutto il 90% della flotta aerea. Per questo il governo locale chiederà un intervento armato internazionale, anche se per il momento non ci sono risposte concrete da parte dei vertici continentali. La città è un vero e proprio campo di battaglia a causa del quale l’ONU ha evacuato il proprio personale dal Paese.
L’ATTACCO ALL’AEROPORTO
Mentre il nuovo governo si sta impegnando per imporre l’ordine, nelle strade ecco aggirarsi i combattenti che si erano sollevati contro Gheddafi e che mai sono stati disarmati. L’intera area aeroportuale è sotto il controllo degli ex combattenti dalla città occidentale di Zintan che hanno tenuto banco dopo la caduta di Tripoli nel 2011. Da mesi il teatro dello scontro si è spostato nei siti dei giacimenti petroliferi, con grossi rischi per l’economia mediterranea.
E L’ITALIA?
“La Libia brucia e l’Italia non c’è” titola oggi Il Giornale in un’analisi firmata da Gian Micalessin, in cui si ragiona sul fatto che mentre Tripoli è in fiamme, il ministro degli Esteri Federica Mogherini“vaga tra Israele ed Egitto dedicandosi ad una questione mediorientale in cui, realisticamente, neppure la presidenza di turno dell’Ue ci consente di giocare un ruolo effettivo”. Ma la colpa più grave del nostro ministro non è di essere in Medio Oriente, aggiunge, né di starci al fianco dell’omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier, sperando di ricavarne benefici europei.
LA COLPA DELLA FARNESINA
“La colpa più grave è di trascurare, nel mentre, quel che succede in una ex colonia asse cardinale dei nostri interessi strategici nel Mediterraneo. Un’ex colonia da cui, se continua di questo passo, rischiamo di non importare più né petrolio, né gas. Un’ex colonia che minaccia, invece, di travolgerci con un’immigrazione fuori controllo e un terrorismo fondamentalista in rapida espansione”.
QUI WASHINGTON
Gli Stati Uniti già dodici mesi fa avevano scommesso sulla capacità italiana di impiegare diplomazia e intelligence proprio al fine di “esercitare una sorta di patronato politico militare sulla nostra ex colonia. Un’occasione non da poco per tornare a giocare un ruolo di primo piano dopo una guerra a Gheddafi che rischiava metterci completamente fuori gioco”, osserva Micalessin.

CHI C’E’ IN LIBIA
Al momento nel Paese l’Italia conta un connazionale rapito, 200 lavoratori, oltre a 700 residenti con passaporto italiano ed una Eni impegnata nel difficile compito di continuare a estrarre gas e petrolio. Senza dimenticare un ruolo militare specifico, con una missione congiunta utile all’addestramento dell’esercito libico.

LE REAZIONI
“Siamo profondamente preoccupati per il livello di violenza in Libia”, ha detto il segretario di Stato americano John Kerry in occasione di una conferenza stampa a Vienna. “E’ pericolosa e deve fermarsi. Stiamo lavorando molto duramente attraverso i nostri inviati speciali per trovare la coesione politica, che può portare il governo della Libia a fare cessare questa violenza”.
IL GOVERNO LIBICO
Il portavoce del governo, Ahmed Lamine, ha annunciato la possibilità che forze internazionali possano intervenire per migliorare la sicurezza interna. Ma non è chiaro se vi sia stata una vera proposta libica formale, tanto meno la volontà internazionale di inviare truppe. Molte cancellerie occidentali temono che quel passo possa portare con sé ulteriore caos con aiuti ai miliziani che potrebbero giungere da altre vie. E trasformando di fatto la Libia in un nuovo Afghanistan, con le due fazioni mondiali impegnate ad affrontarsi.
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venerdì 11 luglio 2014

Non solo Cia. Tutti i dossier che arroventano Washington e Berlino

Non solo Cia. Tutti i dossier che arroventano Washington e Berlino
Che cosa si cela anche dietro l'ultima controversia che oppone la Germania agli Stati Uniti
Le tensioni tra Usa e Germania sul caso Cia sembrano non placarsi. Dietro le iniziali reazioni di natura strettamente politica, a farsi largo sono in verità gli “altri” tavoli pendenti fra le due potenze.
LA SCELTA DELLA MERKEL
La Cancelliera tedesca, assumendo la decisione senza precedenti di espellere il capo della Cia a Berlino, ha scelto una strategia aggressiva. Uno strappo che non sarà facile ricucire rapidamente, dice Paolo Lepri sul Corriere della Sera di oggi. Troppi – secondo il ragionamento di Angela Merkel – i presunti undici anni di intercettazioni continuate sulle sue utenze. Come ha rivelato un report pubblicato dallo Spiegel, i controlli della Cia sarebbero durati dal 2002 al 2013, terminati alla vigilia della visita di Barack Obama a Berlino.
LA DIFESA DEGLI USA
Dallo staff di Obama traspare “stupore” per una mossa che avrebbe spiazzato la stessa Casa Bianca, con Obama che sarebbe stato tenuto all’oscuro di tutto. Jim Hoaglan, premio Pulitzer ed editorialista del Washington Post, dice al quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli che si tratta della cosa “più stupida mai fatta da un’agenzia di intelligence”, dal momento che si tratta di informazioni che si sarebbero potute estrapolare anche da un’attenta lettura dei giornali, senza innescare queste reazioni.
IL NODO DEL TTIP
Ricadute significative potrebbero aversi anche rispetto al TTIP, la partnership per l’apertura dei mercati transatlantici al commercio e agli investimenti. Già a seguito del caso Snowden, in Germania l’opinione pubblica aveva ampliato il solco della propria contrarietà nei confronti della politica economica di Washington. Un passaggio che, come rimarcato anche dal Sole 24 Ore in una analisi di Mario Platero, è estremamente delicato.
ALTRI TAVOLI
Ma l’atteggiamento della Cancelliera (duro e subito reattivo), così come evidenziato in alcuni passaggi da molti analisti e anche da Jonathan Laurence (docente di scienze politiche al Boston College) intervistato da Repubblica, potrebbe essere propedeutico ad altri tavoli che interessano i due Paesi, come la questione relativa alle sanzioni pro Russia sul caso ucraino, senza dimenticare il dossier energetico e il già citato accordo di libero scambio.

CANDIDA ARROGANZA
Di candida arroganza degli Usa parla invece Sergio Romano nel suo fondo sul quotidiano di via Solferino, soffermandosi sulla differenza dell’espulsione decisa dalla Merkel rispetto a quelle (all’ordine del giorno) registrate durante la guerra fredda. Se da un lato l’11 settembre, sottolinea Romano, ha creato un nuovo e inimmaginabile spartiacque nella definizione della lotta al terrorismo, dall’altro ecco proprio la “candida arroganza” degli Usa che sono “usciti male delle ultime guerre, anche se continuano a considerarsi indispensabili”.
I FIVE EYES
La storia della spie Usa in Germania inizia quando la Merkel provò a entrare nell’organizzazione “Five eyes” così come riportò qualche mese fa su Panorama Marco Cobianchi, citando il Financial Times, secondo cui dopo aver saputo dell’esistenza di “Five eyes” e dell’attività spionistica della Nsa, la Merkel ha chiesto alla Nsa che i servizi segreti tedeschi fossero accettati all’interno della organizzazione. In cambio di cosa? Dell’assicurazione che Berlino non venisse più spiata. Ma la richiesta della Merkel fu stata respinta in quanto gli Usa non ammettevano gli ultimi arrivati nella cosiddetta anglosfera.
LO SPIONAGGIO DEI FRIENEMY
L’espulsione del numero uno della Cia a Berlino è considerato ad ogni modo un fatto grave, che per scelta della Cancelliera è stato tale e non ridotto ad un semplice richiamo verbale o ad una segnalazione riservata tra le due capitali. Per Vittorio Zucconi è “un ceffone di poco effetto pratico”, perché la pratica del cosiddetto “spionaggio dei frienemy” continuerà come naturale.

venerdì 4 luglio 2014

Grecia, Consulta sfida la troika: “Taglio stipendi dei giudici è incostituzionale”

Il taglio di stipendi e pensioni imposto dalla troika ad alcuni lavoratori greci è incostituzionale. Secondo la Corte ellenica la sforbiciata imposta da Commissione Ue, Fondo monetario internazionale e Bce agli stipendi di pm e militari è contraria alla costituzione. Fa il paio con la decisione del dicembre scorso passata sotto silenzio secondo cui erano incostituzionali anche le riduzioni degli stipendi dei giudici in attività e di quelli in pensione. L’Aero Pagos, ovvero la Corte Costituzionale, ha deciso quindi che magistrati e militari andranno risarciti. E subito ci sono state aspre proteste da parte della gente comune e di altri ordini professionali che sotto il Parlamento hanno esposto striscioni con su scritto: “Perché a militari e giudici si e ad altri no?”.
Adesso la palla passa al Consiglio di Stato che ha tempo da sei mesi a un anno per confermare o meno il pronunciamento della Corte. Secondo i giudici che hanno bocciato il taglio degli stipendi, esso è contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E la decisione, se confermata, sarebbe retroattiva a partire dal 1 agosto 2012. Quindi potrebbe trasformarsi in un precedente anche per i tagli alle pensioni dei diplomatici, dirigenti medici e professori universitari. I giudici hanno ritenuto che la sforbiciata superi i limiti stabiliti dai principi costituzionali di proporzionalità e di parità di trattamento negli oneri pubblici. Ma la riduzione delle pensioni non può essere fatta senza prima valutare il vantaggio finanziario in relazione al suo impatto; se la riduzione verrà valutata come necessaria allora potrà essere compensata da altre misure con effetto equivalente.
Il caso dei giudici segue quello degli altri cittadini a cui il governo, tramite il memorandum imposto dalla troika, ha tagliato stipendi, pensioni e indennità nel pubblico come nel privato. Per cui il ragionamento riguarda il principio della sovranità nazionale degli Stati membri, che è stata intaccata non da provvedimenti interni ma da una legge (il memorandum) imposta da un terzo soggetto (la troika appunto) che è giurisprudenzialmente estraneo allo Stato stesso.
E il governo di Atene che cosa farà? L’intenzione, ha detto pubblicamente il vice ministro dell’economia Christos Staikouras dopo aver incontrato i sindacati dei militari, è quella di attuare le decisioni del Consiglio di Stato in breve tempo. Al vertice era presente anche il presidente della Federazione panellenica di agenti di polizia (Poas) Christos Fotopoulos. Secondo cui, anche se nessuno ha specificato numeri e tempi, in caso di marcia indietro occorre trovare 600 milioni di euro solo per coprire gli arretrati da restituire: 200 milioni ogni anno per gli aumenti salariali, per poi ripristinarli ai livelli del 2012. Per cui la decisione dell’Aero Pagos apre a un possibile colpo di scena nel caso ellenico, con un organo giudicante che potrebbe invalidare una legge come il memorandum. La prima domanda è se il recupero di quei denari potrà portare anche altri lavoratori a fare ricorso contro i tagli della troika. La seconda, se gli stessi giudici siano pronti a prendere decisioni altrettanto forti per altri settori occupazionali.
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