martedì 30 aprile 2013

Islanda, vince il partito anti euro. I Pirati per la prima volta in un Parlamento


In Islanda vincono gli anti-euro di centrodestra che spodestano la coalizione di sinistra al potere dal 2009 sullo slogan “basta austerità e moneta unica”. Dopo soli quattro anni di opposizione, coincisi con il rigore per sanare i conti in rosso dell’isola, il Partito dell’Indipendenza conquista il 26,7% dei voti, mentre al Partito del Progresso (centristi) va il 24,3%. “Siamo pronti a guidare il governo” le prime parole del 43enne leader della destra contraria all’euro Bjarni Benediktsson (nella foto), che nonostante non sia ancora chiaro se tenterà la strada più ovvia della grande coalizione in virtù dei diciannove seggi conquistati al pari degli avversari, fa ben sperare i “colleghi” berlinesi di Alternativa per la Germania, il partito anti euro che sta scaldando i motori in vista delle elezioni tedesche di settembre.

Il risultato di Reykjavík penalizza la coalizione di sinistra, fautrice del rigore tout court che ha convinto gli elettori a votare gli anti euro, con la prima conseguenza di vedere ridotte le possibilità dell’isola di aderire alla moneta unica. Deludenti i numeri dei due partiti del governo uscente, Alleanza democratica a cui apparteneva il primo ministro Johanna Sigurdardottir, 70 anni e Verdi-sinistra (si sono visti dimezzati i parlamentari): pagano lo scotto di aver gestito il post nazionalizzazione delle banche in l’Islanda quando si tentò di uscire dal vortice finanziario del 2008. Ma nonostante pil in salita e disoccupazione in calo gli islandesi hanno segnato un solco con l’Ue. Altro dato significativo la buona performance del Partito dei Pirati, che la prima volta fa ingresso in un Parlamento nazionale.

Più a sud brindano al risultato islandese anche gli euroscettici tedeschi di “Alternativa per la Germania”, il movimento in contrasto con la moneta unica chiamato il prossimo primo maggio al congresso nazionale che si terrà all’Università di Lüneburg. Il suo leader, Bernd Lucke, docente di economia ad Amburgo, punta a convincere banchieri ed opinione pubblica che la soluzione alla crisi non è nel salvataggio sic et simpliciter dell’euro, bensì in un’altra strada che sia l’ideazione di una moneta che non aumenti gli squilibri dell’euro. Aprendo anche ad un conio in cui un gruppo di paesi in difficoltà trovi il proprio punto di equilibrio, quindi con palese riferimento ad un euro di serie A ed uno di serie B, di cui già si discuteva all’inizio della crisi greca. E lo ha spiegato ieri al grande pubblico tedesco in un acceso dibattito televisivo. In cui ha gettato sul tavolo le due ipotesi praticabili per evitare un fallimento continentale: il ritiro volontario degli Stati del sud dalla moneta unica (il suo “obiettivo primario”) e la possibilità di una o più unioni monetarie più piccole (il “target secondario”) che impedisca gli attuali squilibri economico-finanziari.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 30/4/13
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venerdì 26 aprile 2013

Grecia, braccianti del Bangladesh chiedono lo stipendio: presi a fucilate


Nella Grecia devastata da memorandum e corruzione, accade che una trentina di braccianti agricoli extracomunitari dediti alla raccolta di fragole si rivolga al capo per chiedere lo stipendio (non un aumento). Sei mesi di arretrati non sono poca roba. E in cambio ricevano fucilate. Il bilancio è di ventinove feriti, con il proprietario del campo di fragole in manette e con il video dei corpi straziati sul terreno e di quelli al pronto soccorso che ha fatto il giro del mondo, con un tam tam in rete grazie all’hastag di Twitter #bloodstrawberries. Ma i giorni da quel 17 aprile sono trascorsi con l’angoscia dei feriti e con la straordinaria solidarietà dei cittadini greci. Uniti in un vero e proprio anelito di comunità, che non hanno più toccato nei mercati rionali quelle fragole che, seppur preziose in virtù di una zona molto fertile come è quella del Peloponneso, sono scese da tre euro a 75 centesimi. E che quindi visti i tempi di magra potevano essere commercialmente appetibili. E invece no, quella frutta è rimasta sui banchi invenduta perché, come ripetono moltissimi cittadini nelle migliaia di mail di protesta che hanno scritto in questi giorni ai quotidiani del paese, sono fragole da cui scorre del sangue. Lo scontro è avvenuto nei campi di fragole di Vouprasia, detta Nea Manolada, alla periferia di Patrasso. I tre assalitori prima hanno sparato in aria per intimidire i braccianti, ma in seguito hanno colpito indiscriminatamente il gruppo di lavoratori, come dimostrano le immagini strazianti con pozze di sangue nel terreno. I feriti sono stati trasportati al pronto soccorso dell’Ospedale Universitario di Rio. Secondo alcuni dei feriti l’importo totale dovuto dai proprietari aveva superato i 150mila euro e riguardava gli stipendi di sei mesi di lavoro. 

Qualcuno ha inizialmente puntato il dito contro i neonazisti di Alba dorata. Ma Ilias Kassiriadis, il focoso deputato portavoce del movimento xenofobo, smentisce un coinvolgimento in episodi simili, anzi accusa apertamente chi ha aperto il fuoco contro quegli immigrati del Bangladesh di appartenere ai socialisti del Pasok. I “crisìavghites” in campagna non vanno, preferiscono l’azione in città come dimostra l’incredibile occupazione di un’ora che ieri hanno inscenato, con tanto di caschi e manganelli, nel General Hospital di Nikea ad Atene, tra lo stupore di medici e degenti che sono stati letteralmente circondati. Il motivo? Chiedere con insistenza a tutti coloro che si trovavano nel nosocomio, medicine, cibo, lenzuola e abiti da distribuire ai cittadini (greci) indigenti. Quando la polizia è arrivata sul posto i commandos di Alba dorata si erano già dileguati. Con un ricco bottino.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 25/4/13
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Anniversari, nel giorno della memoria del golpe greci nostalgici dei colonnelli


Si stava meglio quando si stava peggio? L’assioma torna, prepotente, nei momenti di massima crisi. Secondo un sondaggio “Metron barometro” effettuato per il quotidiano Eleftherotypia effettuato nel giorno del quarantaseiesimo anniversario del golpe militare dei colonnelli, in Grecia, una vistosa percentuale degli intervistati pensa che “la dittatura è cosa migliore di quello che sono oggi i partiti in Grecia”. I risultati indicano che la scossa economica al Paese, ha i suoi principali responsabili nei partiti che hanno provocato una crisi non solo economica ma anche democratica. Per questo il giorno della pubblicazione il quotidiano ha titolato a carattere cubitali in prima pagina “Skatà” (che significa merda), con il conseguente caos polemico nel Paese e la maggior parte dei giornalisti che ha chiesto di cambiarlo. Per il 59% degli intervistati la situazione della Grecia sotto la giunta dei colonnelli era migliore di quella di oggi, il 46% pensa che c’era una qualità della vita più dignitosa e il 24% ritiene che il Paese aveva anche una migliore immagine internazionale.

Il sondaggio mostra una significativa percentuale dei votanti che hanno risposto positivamente a questa domanda: “Oggi 21 aprile è l’anniversario del Golpe militare dei colonnelli, la dittatura era migliore dello stato attuale?”. La valanga di “sì” per quanto scioccante è figlia della situazione di assoluto caos che regna nel Paese, stremato da tre memorandum, con tasse e tagli in ogni settore e con il ministro dell’economia Stournaras che non esclude altre mannaie nei prossimi mesi, al pari della “tela di Penelope” dei 25mila dipendenti pubblici che la troika vorrebbe licenziare in tronco. Mentre nelle stesse ore in cui il quotidiano era distribuito nei periptera del Paese, ad Atene andava in scena il processo all’ex ministro dell’Interno Akis Tzogatzopulos, in carcere da dieci mesi e vero deus ex machina della politica greca degli ultimi trent’anni che promette di chiamare a testimoniare nomi illustri della politica ellenica, come gli ex primi ministri Simitis e Papandreou. Con l’assurdo della mancanza di sedie per imputati e legali in un’aula gremita di taccuini e telecamere.

Ma la Grecia che fa i conti con il quasi default, con fotografie di ragazzini che rovistano nei cassonetti della spazzatura, è anche questo, con sacche di isterismo e schizofrenia sociale a livelli di guardia. In questo senso va letto quel sondaggio, ovvero il culmine di un lungo viaggio durante il quale il sistema politico è stato immerso nella corruzione, che ha screditato le istituzioni statali, a scapito del merito. Dove gli intrecci di economia e politica sono stati il dogma che ha condotto all’oggi. Con una povertà galoppante, con i suicidi da crisi, con episodi di razzismo da un lato e di insurrezionalismi rivoluzionari dall’altro, si veda l’ennesimo allarme bomba alla sede della Consulta di Atene. L’indagine conferma inoltre una tempistica fatale del quotidiano Eleftherotypia, forse dipendente dalle mire del nuovo editore, l’avvocato Haris Economopoulos che ora vorrebbe cambiare management e direzione in un settore, quello dell’editoria, dove la crisi ha falciato 15mila giornalisti, con un crollo delle vendite nelle edicole del 70 per cento.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 25/4/13
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Pronto soccorso Mosca dopo la cilecca con Cipro si attiva con la Serbia


Mosca in soccorso delle economie europee in apnea? Dopo il “no, grazie” pronunciato dall’Eurotower ai rubli di Putin per chiudere la voragine delle banche di Nicosia, un altro fronte caldo potrebbe presto aprirsi sempre sulla direttrice Mosca-Bruxelles. Con la capitale russa pronta a spedire una vagonata di soldi in Serbia: non solo per coprire le esigenze economiche di Belgrado, ma anche per finanziarne lo sviluppo infrastrutturale. E’ attesa in questi giorni, durante la visita del primo ministro serbo Ivica Dacic a Mosca, la firma dell’accordo sulla concessione del prestito russo di 500 milioni di dollari per sostenere il bilancio della Serbia.

Lo ha annunciato nei giorni scorsi il ministro delle Risorse naturali, miniere e progettazione della Serbia, Basevits. Quest’ultimo, che è copresidente della commissione di cooperazione serborussa per i problemi economici e il commercio, ha incontrato a Mosca  il ministro russo dell’Energia Alexander Novak, come recita l’annuncio del governo serbo. Inoltre è stato previsto un altro accordo di approvazione russa per il prestito di 800 milioni di dollari, destinati alla modernizzazione delle Ferrovie della Serbia.

Ma come nasce questa collaborazione finanziaria con Mosca proprio quando l’Ue è indaffarata con l’adesione della Serbia al club europeo? Già da qualche mese premier serbo Ivica Dačić si era più volte proclamato non entusiasta all’idea di stringere rapporti con Bruxelles, preferendo la sponda orientale di Mosca come interlocutore privilegiato. Come ha ribadito in occasione della visita dell’inviato europeo Jelko Kacin, che ha commentato con parole che non lasciano spazio ad interpretazioni: “Sono allergico al fatto che ci sia sempre qualcuno che viene a Belgrado a tenere lezioni”.

Ma gli scogli “europei” in Serbia non sono solo di carattere politico o di rapporti personali, bensì sono stati individuati in due criticità specifiche: il Kosovo e la corruzione. Sul fronte “Pristina vs Belgrado”, Maja Kocijancic, portavoce dell’alto rappresentante per la politica estera Ue Catherine Ashton, sprizza ottimismo dopo le iniziali difficoltà. All’indomani della maratona di quasi dodici ore a Bruxelles con le delegazione guidata dal primo ministro serbo Ivica Dacic e da quello kosovaro Hashim Thaci, la Kocijancic si è lasciata andare: “E’ chiaro che c’è stato un dialogo intenso negli ultimi sei mesi – ha detto in una nota ufficiale – sono state discusse per lunghe ore una serie di problemi e gli elementi per le possibili soluzioni ci sono. Le due parti ora si consulteranno nelle loro capitali e poi comunicheranno le loro decisioni”. Ma la scadenza del 16 aprile (quando sarà ultimato il report dei progressi compiuti da Serbia e Kosovo) si avvicina, come anche il Consiglio esteri Ue del 23 aprile. Due passaggi determinanti per far sì che il Bundestag tedesco decida sull’apertura dei negoziati di adesione della Serbia.

Il secondo scoglio invece fa rima con lo scandalo dell’Agrobanka, che risale allo sorso agosto, ma i cui riverberi non cesseranno tanto rapidamente. In quell’occasione vennero arrestati diversi funzionari dell’istituto bancario serbo, a seguito di indagini approfondite che abbracciano l’intero sistema economico e politico del paese. Il buco di 300 milioni di euro di Agrobanka pare essere solo la punta dell’iceberg, dal momento che l’istituto sosteneva con iniezioni di liquidità alcune aziende praticamente fallite. E senza chiedere l’ombra di una garanzia che fosse una, ma potendo contare sull’input che qualche alto papavero forniva alla banca. A carico del premier inoltre vi sono precise accuse di contiguità con la criminalità, che ha sempre respinto. Nonostante egli stesso abbia ammesso pubblicamente di aver avuto più di una frequentazione con tale Rodoljub Radulović, soprannominato Miša Banana: stretto collaboratore di Darko Sarić a capo della più temibile organizzazione di narcotrafficanti serba. Con l’ombra di elezioni anticipate a Belgrado a togliere il sonno al premier.

Fonte: Il Fatto Quotidiano dell'11/4/13 
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mercoledì 24 aprile 2013

Pensatoi, centri studi, associazioni. Nomi e curiosità del club Letta


“Se la politica tende a frantumarsi, non c’è altra risposta che dimostrare che essa possiede ancora in sé la dedizione, la volontà d’impegno, le risorse per concentrasi sui doveri che si hanno verso il Paese di cui si è figli”. Queste parole di Nino Andreatta campeggiano, come un mantra, sul network TrecentoSessanta, ideato da Enrico Letta per dare continuità all’esperienza di “mobilitazione delle prime primarie del Pd”. Un contenitore che, assieme al think thank veDrò, rappresenta braccia e gambe della concezione lettiana della politica. Lontana da trasversalismi tout court e fine a se stessi, ma espressione del più articolato concetto del riformismo applicato alle macro aree di criticità, come dicono i lettiani.

Chi sono i lettiani di stretta osservanza
E’ la ragione per cui TrecentoSessanta, dal 2007, si è ramificata in tutto il Paese con presenze diversificate su territori, ma coordinate da uno zoccolo duro di stretta matrice lettiana. Marco Meloni, neo deputato, dal 2001 all’Arel (l’Agenzia di Ricerche e Legislazione, fondata nel 1976 da Nino Andreatta assieme a un gruppo di personalità di primo piano del mondo dell’università e dell’industria) e tra i fondatori di veDrò; Alessia Mosca, un passato nell’Aspen Junior Fellow e nella stessa Arel, rieletta per la seconda volta alla Camera; Francesco Russo, transitato dall’Area Science Park e segretario del Pd triestino, e Guglielmo Vaccaro, cresciuto nella Margherita e rieletto alla Camera nel Pd.

Che cos’è veDrò
Ma l’azione di 360 si fonde e/o affianca a quella di un’altra intuizione lettiana, ovvero un contenitore ampio e vasto dove mettere a frutto le declinazioni dell’Italia di domani, delineando, perché no, anche scenari provocatori ma realistici. In questa direzione di marcia nasce veDrò, una vera e propria rete per scambiare know how, competenze e idee composta da quattromila fra docenti universitari, imprenditori, scienziati, liberi professionisti, politici, artisti, giornalisti, scrittori, registi, esponenti dell’associazionismo.

Il board
Non solo il board composto da Benedetta Rizzo, Lucio Palazzo, Ernesto Carbone, Angelo Argento, Barbara Carfagna, Alberto Castelvecchi, Nunzia De Girolamo, ma una serie di personalità che gravitano attorno ad essa.Giornalisti come Abbate, Calabresi, Feltri, Giannino, Paragone, Polito.Esponenti della politica, come tra gli altri, Alfano, Boccia, Bongiorno, Lupi, Ravetto, Renzi, Tosi.Manager quali Arcuri, Campo dall’Orto, Dal Fabbro, Katia Da Ros, De Siervo, Del Piano, Delzio, Moretti. Imprenditori: Artoni, Cellini, Del Rio, Josi, Lo Bello, Merloni, Preve, Procacci, Rana, Todini. Accademici come Andreatta, Bini Smaghi, Giulio Napolitano, Quattrone, Sacco.Magistrati come Bianco, Raffaele Cantone, Dambruoso.Rappresentanti del mondo della cultura, delle arti, e dello sport come Bertolino, Calopresti, Curreri, Degli Esposti, Ghini, Lo Verso, Scurati, Terzani, Paparesta. E anche uno chef, Filippo La Mantia.

Si definiscono vedroidi, e hanno il minimo comun denominatore in un apprendimento costante, che li porta a scartavetrare tematiche e soluzioni senza freni ideologici. Che entrino nel merito delle questioni, lontano da fazioni e provenienze. Come richiamava lo stesso Andreatta nel ’93, quando chiedeva, vista la situazione che l’Italia si trova a vivere, “una capacità di concentrazione, questo senso di responsabilità, questa volontà di servizio”. Ieri come oggi.

Fonte: Formiche del 24/4/13
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martedì 23 aprile 2013

Grecia, in cella chi ha debiti con lo stato


Mille euro di cartella esattoriale non pagata allo Stato e si va dritti in carcere. Il disegno di legge, appendice dei tre memorandum della troika per concedere alla Grecia il maxiprestito miliardario, arriva nel Parlamento di Atene e minaccia di sollevare un polverone. Il governo, al fine di introdurre restrizioni e rigore tout court a un Paese sempre più in ginocchio, decide di spostare i termini della questione sulla libertà personale e propone la pena detentiva per chi non ha pagato le tasse.

Sarà sufficiente un debito con l'erario anche di soli mille euro per essere arrestati e condotti nelle caserme militari che il sottosegretario alla Giustizia Kostas Karagounis ha individuato come nuove prigioni ad hoc. Si chiameranno centri di detenzione debitori e ospiteranno solo i morosi. Ed è per questo che, nel corso di un'audizione in commissione Giustizia della Camera sulla congestione delle carceri greche, ha osservato che il governo è alla ricerca di aree alternative per i condannati di reati economici e che il Dipartimento della Giustizia si è già attivato, in quanto «i luoghi cercati sono quelli rurali e fino al completamento delle nuove strutture si cercheranno soluzioni temporanee». Un passaggio su cui si era espresso una settimana fa anche il ministro della Giustizia Antonis Roupakiotis, segnalando che le nuove aree saranno adibite a reati di minori intensità, di natura finanziaria.

A chi gli ha fatto notare che si tratterebbe di veri e propri «campi di concentramento per evasori», il ministro ha risposto che ciò rientra nella strategia di decongestionamento delle carceri, spostando chi ha commesso reati finanziari in aree esclusive. Ma il provvedimento rischia di amplificare la protesta sociale nel Paese, dove a fronte di mancate entrate per l'erario di due miliardi da nuove tasse, si registra un impoverimento di massa, con lo sgretolamento del tessuto imprenditoriale e di conseguenza anche di lavoratori e famiglie. Si prenda il settore dell'editoria, con un crollo verticale delle vendite del 70% che ha significato quindicimila giornalisti licenziati, dieci testate chiuse, oltre a poligrafici e lavoratori dello stesso indotto. Inoltre dall'inizio del biennio maledetto della crisi, in Grecia si sono tolte la vita circa duemila persone, il caso più eclatante è quello di un farmacista che si è sparato con una doppietta nei giardini di piazza Syntagma, proprio dinanzi al Parlamento dove si stava votando sì al piano lacrime sangue imposto dalla Merkel. Mentre la troika continua a chiedere la testa di 20mila dipendenti pubblici.

Il decreto giunge nelle stesse ore in cui ad Atene si sta celebrando il processo più importante della storia recente del Paese, con alla sbarra degli imputati il potentissimo ex ministro dell'Interno Akis Tzogatzopoulos, 73enne braccio destro del padre padrone socialista Andreas Papandreou, accusato di evasione fiscale e tangenti milionarie per la fornitura di armi. «Siamo vittime di violenza di stato, sia io che mia moglie e mia figlia», ha detto l'ex ministro al termine di un'udienza surreale, in un'aula dove mancavano addirittura le sedie per i legali. Ma secondo l'accusa avrebbe costruito una serie di società off-shore per riciclare ameno 160 milioni di euro frutto di commissioni illegali e fondi neri quando, da titolare della Difesa, avallò l'acquisto di sommergibili tedeschi e sistemi missilistici russi. E ha minacciato di chiamare come testimoni gli ex premier socialisti Simitis e Papandreou.

Fonte: Il Giornale del 23/4/13
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venerdì 19 aprile 2013

Prodi, Moro e quella seduta spiritica sul covo delle Br


C’è una data nella vita italiana e di Romano Prodi che non può passare inosservata: il 3 aprile di trentacinque anni fa, quello che da lì a poco sarebbe salito sul ponte di comando della corazzata Iri, prende parte a una seduta spiritica. Sono giorni complessi per il Paese, stretto nella morsa della guerra fredda e dei ricatti. Le Brigate Rosse annunciano che il loro processo ad Aldo Moro si è concluso con la condanna a morte dell’imputato, papa Paolo VI si rivolge alle Br chiedendo loro la liberazione dello statista. Mentre Ezio Riondato, docente di filosofia a Padova e a capo della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, viene gambizzato.
Prodi annuncia che un’entità, che da verbale ufficiale pare si riferisse a La Pira e Don Sturzo, indica Gradoli come luogo di prigionia dello statista pugliese rapito dalle Br. Ma mentre la moglie di Moro suggerisce subito che dovrebbe logicamente trattarsi della romana via Gradoli, gli investigatori “virano” sull’omonimo paesino nella Tuscia. Ma la segnalazione Prodi la trasmette solo due giorni dopo a Umberto Cavina, portavoce di Benigno Zaccagnini. Confusione, e tanta. Ma Gradoli non spunta per la prima volta nell’inchiesta Moro, un mese prima del contatto spirituale di Prodi con i maestri democristiani, una soffiata ai servizi indica via Gradoli a Roma (al civico numero 96) come possibile rifugio dei terroristi. Si procede ad una perquisizione, ma all’interno 11 nessuna risposta. Apre la porta invece tale Lucia Mokbel, la vicina, che dichiara di aver percepito strani rumori simili a quelli prodotti dall’alfabeto Morse. 

La legge imporrebbe agli agenti di approfondire, quantomeno di segnalare la cosa e suonare una seconda volta a quel famigerato interno 11, per una serie di ragioni. Perché l’Italia è in guerra, per il clima di terrore che c’è nel paese, perché è stato rapito Aldo Moro. Gli agenti invece si allontanano. Poi Prodi incrocia i suoi destini con la commissione parlamentare di inchiesta che indaga sul rapimento Moro nel giugno del 1981 e nel 1998 quando il caso viene riaperto. In questa occasione non si dice disponibile ad essere ascoltato. Non altrettanto fanno Mario Baldassarri, poi viceministro dell’Economia del governo Berlusconi, e Alberto Clò, ministro dell’Industria nel governo Dini, tutti e due presenti a quella seduta spiritica.
Ma c’è un’altra data che resta scolpita sul caso Moro e nella storia dell’ex presidente della Commissione Europea. Nel 2004 (sempre ad aprile) è sentito come testimone dalla Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il dossier Mitrokhin, in cui il presidente Paolo Guzzanti sostiene che Prodi non ha avuto “il coraggio di pronunciare le parole seduta spiritica, piattino o tazzina”.  

Ma c’è di più. Agli atti della seduta è messo un articolo pubblicato sul settimanale Avvenimenti, in cui Giuliana Conforto, figlia di Giorgio, agente del Kgb, avrebbe dato riparo ai brigatisti Morucci e Faranda. Un’amica della Conforto avrebbe affittato il noto appartamento di via Gradoli al commando delle Br. La tesi sostenuta in quell’audizione era che fu il Kgb a rendere noto il covo di via Gradoli, mentre il “teatro” della seduta spiritica sarebbe stato inscenato per coprire la vera fonte. Ma Prodi, a quell’ipotesi, scelse di non replicare.

Fonte: Formiche del 19/4/13
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Cipro tenta la carta della vendita delle riserve d’oro: sul mercato 400 milioni


La Banca Centrale di Cipro smentisce, ma la notizia diffusa dalla Reuters sta pian piano trovando conferme nei corridoi dei ministero di Nicosia e tra gli addetti ai lavori lontano dall’isola. L’Isola starebbe progettando di vendere le proprie riserve d’oro, stimate nel valore di oltre 400 milioni di euro, per finanziare una parte dei prestiti e salvare l’economia, all’interno del progetto di valutazione delle esigenze di finanziamento istituito dalla Commissione Europea. Il memorandum della troika prevede che, se da un lato Bruxelles si impegna a pompare nell’isola liquidità per 10 miliardi di euro, dall’altro chiede a Nicosia di reperirne per 13. Di qui la decisione dell’haircut sui conti correnti superiori a centomila euro che ha provocato il terremoto continentale, seguito dalla proposta (prima fatta e poi ritrattata) del numero uno dell’Eurogruppo, Jereon Dijsselboem, sul prelievo forzoso nei conti correnti di privati cittadini come modello applicabile anche altrove.

Ma ecco entrare nella partita le riserve auree. Il portavoce della Banca centrale di Cipro, Aliki Stylianou, ha affermato che tale decisione spetterebbe (eventualmente) esclusivamente al Consiglio di Amministrazione della Banca. Una possibilità, ha aggiunto, che non è stata discussa e dibattuta in questo momento, pur sottolineando che non vi sono problema in materia di finanza-credito, nonostante i riverberi delle misure siano già visibili tra i settecentomila residenti. Con immobili di proprietà ipotecati che prendono la via delle banche, con investitori preoccupati per imprese e liquidità andate in fumo. Nella scorsa settimana il prezzo dell’oro ha registrato il calo più sensibile dal mese di novembre. Secondo Bloomberg, lo stato del metallo sarebbe pesantemente influenzato dalle notizie che vogliono Cipro pronta a vendere il suo oro per rastrellare il più possibile denaro contante.

Intanto uno dei primi effetti del memorandum è il crollo delle abitazioni di proprietà, che ben presto potrebbero passare alle banche o agli istituti di credito. Numerose sono le famiglie che hanno ipotecato la casa per ottenere un finanziamento, personale o alla propria impresa, e che oggi rischiano di dover trascorrere la notte all’addiaccio. Secondo i dati forniti dall’Agenzia del credito, la percentuale di rate in ritardo è pari al 16,35%. Inoltre il ritardo di oltre sei mesi sulle rate è dell’11,99%. 

Un’altra stoccata a Bruxelles è stata scoccata dal Capo della Chiesa di Cipro, l’Archipiscopos Makarios III, che intervenendo al IV Meeting economico cipriorusso ha sottolineato che “gli errori interni e le principali decisioni dei nostri partner dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale hanno gravemente ferito il modello economico di Cipro”, evidenziando come la decisione dell’Eurogruppo è stata completamente sbagliata e potrebbe potenzialmente influenzare l’intera struttura della zona euro. Una mossa definita “senza precedenti e ingiusta” ma, aggiunge, “più grande è la difficoltà, maggiore dovrebbe essere la testardaggine e la nostra convinzione nel riavviare il sistema. Nulla è impossibile, tutto può essere invertito e corretto”.

Al momento, di possibile e corretto, c’è solo l’ottavo decreto del governo approvato dal Ministero delle Finanze di Nicosia, che regola i movimenti commerciali, con il limite di 300 euro al giorno per privati cittadini a rappresentare una linea Maginot oggettiva. 

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 19/4/13
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mercoledì 17 aprile 2013

A Berlino nasce l’Alternativa del partito anti euro. Uomini e programmi


Qualcosa in più di semplici “grillini ai crauti”, non fosse altro che per il board: economisti, docenti universitari, industriali, giornalisti. Appena un mese fa la notizia del nuovo movimento politico “Alternativa per la Germania” (AFD), oggi la fondazione ufficiale che preclude a un impegno diretto alle elezioni del prossimo settembre. Tra i fondatori non conosciuti della politica ma l’economista Bernd Lucke, il giornalista ed ex redattore FAZ Konrad Adam e Alexander Gauland, già capo della Cancelleria dello Stato dell’Assia. E ancora, conservatori, liberali ma anche liberi professionisti privi di un “curriculum” strettamente politico come Stefan Homburg e Charles Blankart, professori di finanza pubblica ad Hannover e Berlino. Oltre a Joachim Starbatty, Wilhelm Hankel, Karl Albrecht Schachtschneider, Dieter Spethmann, e l’ex presidente della Federazione delle industrie tedesche, Hans-Olaf Henkel.

Chi è il capo partito
Guidati dal 33enne Bernd Lucke, professore di macroeconomia ad Amburgo e dimessosi dalla CDU proprio a causa della politica di salvataggio dell’euro. Anche se, come annunciato da tempo, l’uscita dalla moneta unica è il principale obiettivo del partito, lo scorso fine settimana è servito per veicolare al grande pubblico i tratti salienti della proposta alternativa.

L’euro come un errore storico
E’ il loro mantra. L’introduzione dell’euro, sostengono, è stato un errore storico che deve essere corretto con la reintroduzione delle monete nazionali, o creando unioni monetarie più piccole e più stabili. La nuova moneta faciliterebbe la regolazione dei prezzi, con vecchi contratti, beni e proprietà che rimarrebbero denominati in euro, ma solo per un breve periodo di transizione. Ciò consentirebbe un nuovo inizio, dal momento che oggi i Paesi membri appaiono “intrappolati in una spirale di recessione e di programmi di tagli”. E chiedono alla Germania di imporre il diritto di recedere dall’euro, bloccando gli aiuti contenuti nel meccanismo salvastati.

Il manifesto alternativo
All’interno del loro vademecum gli alternativi chiedono che il costo della cosiddetta politica di salvataggio non sia sostenuto dai contribuenti in quanto banche, hedge fund e grandi investitori privati sono i beneficiari di questa politica. Innanzitutto è necessario “stare in piedi”, poi per i Paesi maggiormente indebitati prevedere un haircut, dove le banche sostengano le proprie perdite o vengano stabilizzate a spese dei principali creditori privati. Prevedendo inoltre un divieto per la Bce di acquistare titoli spazzatura.L’Europa degli Stati sovraniL’AFD si difende contro l’accusa di essere antieuropea, sottolineando di perseguire un’Europa di Stati sovrani con un mercato interno comune. “Vogliamo vivere insieme in amicizia e in buon vicinato”, tuttavia sono contrari alla crescente centralizzazione in quanto “il diritto illimitato dei parlamenti nazionali deve essere rispettato”.

La linea di Lucke
Come ha ribadito pubblicamente lo stesso leader, esiste un piano per la Germania e per l’euro alternativo. In primis porre fine a politiche che mascherano il rischio fiscale, graziando le banche dai rischi a scapito dei contribuenti. Ciò in ragione del fatto che nel resto d’Europa, in cui la Germania rimane dominante, l’euro si sta complessivamente dissolvendo. Sostiene che la divisione economica tra nord e sud creata dall’euro è certamente la causa di un sentimento non positivo dei paesi dell’Europa meridionale. Per queste ragioni Alternative für Deutschland teme che le tensioni possano compromettere i principi di un mercato comune che rendono l’Unione europea così appetibile per il commercio tedesco. Lucke suggerisce, ad esempio, che le nazioni periferiche impongano dazi doganali se non riuscissero a trovare altri modi per diventare competitivi.“Usiamo gli incentivi sbagliati per i paesi in crisi” dice Lucke. “Noi non li stiamo aiutando a risolvere i loro problemi, ma accumuliamo più debito per loro e li costringiamo in una fase di recessione, il che rende la situazione semplicemente insostenibile”.Quindi, è la linea del partito, si tratta di sacrificare l’euro per salvare il progetto europeo.

Fonte: Formiche del 16/4/13
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Svendesi Grecia post-memorandum: ecco chi compra


Si apre un mese cruciale per le maxi privatizzazioni in Grecia, conseguenti al memorandum lacrime e sangue imposto dalla troika che, oltre ad aver coperto la montagna di debiti con altri debiti, ha imposto una privatizzazione di massa per fare cassa. E non senza difficoltà, dal momento che l’azienda di stato (la Taiped) incaricata di vendere “i gioielli di famiglia” ellenici ha già cambiato tre presidenti in un anno. Oltre ai colossi tedeschi e francesi, in fila ci sono cinesi, russi e gli italiani con Terna. Vediamo dunque chi è pronto a prendersi interi pezzi di Ellade, con la prospettiva di fare buoni affari.

I gruppi in vendita
All’interno del pacchetto di offerte che dovranno essere presentate entro il prossimo 17 maggio al Fondo di privatizzazione, vi sono le aziende di stato che controllano il totocalcio, il gas, venti aeroporti regionali e anche il monopolio sulle scommesse ippiche. Se non si riuscirà a raggiungere l’obiettivo di 2,6 miliardi di entrate nel 2013, il governo dovrebbe introdurre automaticamente nuove misure e altri tagli. In gara non solo il gotha dell’imprenditoria ellenica, (Latsis, Melissanidis, Kokkalis, Bobola), ma anche gruppi russi come Gazprom e Sintez; cinesi come Fosun Internazionale e Avic; turchi come Koc e Dogus; e giganti europei come le francese Vinci, Suez, Pmu. I bocconi più grossi sono Opap e Depa, ovvero le scommesse e il gas: a cui sono connesse, ad esempio, anche altre piccole aree ma dall’alto significato imprenditoriale. É il caso di cinque appezzamenti situati vicino Odos che potrebbero rivelarsi interessanti, ad esempio, per i cinesi di Avic International, che vorrebbero secondo alcuni rumors, trasformarli in centri di logistica, in quanto sono situati nelle vicinanze della principale arteria autostradale del Paese.

Gli aeroporti regionali
Intensa è l’attività crescente intorno ai candidati per gli aeroporti regionali, con particolare attenzione al gruppo francese Vinci, ai gruppi edili Ellaktor, GEK Terna, J & P Avax, alla tedesca Fraport, e ai fortissimi gruppi cinesi come Shenzen Airport, che gestisce il quinto aeroporto più grande in Cina e che si è guadagnato il ruolo di favorito dai bookmakers.Il doppio affare madreLe due grandi battaglie, tuttavia, fanno capo ai due monopoli: quello del gioco d’azzardo (OPAP) e del gas (DEPA / DESFA), per un serie di ragioni che esulano dall’affare in sé, ma che coinvolgono i circuiti che gravitano attorno al candidato che se le aggiudicherà. Una contrattazione che, allo stato delle cose, proprio per la sensibilità del caso, è complessa e articolata. Anche perché potrebbe legarsi a doppia mandata ai giacimenti di oro presenti nel nord del Paese, con il mercato interessato a strizzare l’occhio ai gruppi che sostengono la filiera aurifera. È sicuramente considerata in prima fila Emma Delta (interessi del greco George Melissanidis e del ceco Jiri Smejc), seguita dalla cinese Fosun internazionale, mentre un’azione di disturbo è stata fatta dalla Intralot di Socratis Kokkalis, già presidente della squadra di calcio dell’Olympiacos Pireo e armatore plurimilionario.

L’Opap
In gioco restano, con meno chanches, le imprese di investimento BC Partners (UK) e Terzo Point (USA). Alcuni ritengono che il loro ruolo potrebbe essere limitato per via di uno stallo possibile soprattutto sull’Opap. D’altra parte coloro che seguono da vicino la competizione, sostengono che gli investitori non hanno alcun motivo di affrettarsi, dato che il valore di Opap è basso: il suo volume di affari era stimato in 150 milioni di euro annui e più o meno a tanto corrisponderà il prezzo di vendita di questo vero e proprio affare o regalo di stato, a seconda di come la si voglia inquadrare.

Il settore del gas
Gas fa rima con Russia e gli oligarchi non potevano certo mancare: su Depa e Desfa la Gazprom dovrebbe avere il sopravvento. Ma la Sintez Leonid Lebedev, attraverso la sua controllata Negusneft, aveva offerto per entrambe 1,9 miliardi anche se il prezzo potrebbe essere ridotto per i debiti di Depa. Non è noto se intende arrivare alla fine, o se presenterà offerta finanziaria vincolante il 29 aprile, la Socar dall’Azerbaijan, il consorzio di gruppi di Vardinogiannis (altra dinastia di armatori e presidente della squadra di calcio del Pananthinaikos) e il consorzio di GEK Terna con il fondo ceco PPF.

Fonte: Formiche del 15/4/13
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lunedì 15 aprile 2013

La vendetta greca contro Berlino


“I greci si occupino delle riforme, non delle favole sui risarcimenti” ha tuonato da Berlino il potente ministro delle finanze tedesco Schaeuble. Ma il dado ormai è tratto. Perché Atene tenta di prendersi la rivincita con la Germania, mettendo insieme il caso Siemens e quello dei danni di guerra. Due dossier non proprio di secondo piano, che potrebbero ribaltare il tavolo della trattativa con la vera regia della troika e della Cancelliera: il rude Schaeuble.
Siemens in Grecia fa rima con scandali. In occasione delle Olimpiadi del 2004 e del caso OTE (il gestore telefonico nazionale ellenico) ci sono stati anomali e ingenti flussi di denaro per assicurarsi commesse e appalti. La stessa azienda tedesca ha alla fine ammesso pagamenti in nero per un miliardo e trecentomila euro, con la conseguente rivoluzione all’interno del proprio management. Alcuni dei top manager più prestigiosi furono infatti costretti a dimettersi dalle cariche rivestite, come il presidente Heinrich von Pierer e l’amministratore delegato Klaus Kleinfeld. Ma senza approfondire su chi in Grecia quel fiume denaro abbia poi effettivamente ricevuto. Otto anni dopo l'inizio delle ricerche sull'aspetto greco del mega scandalo internazionale legato alle tangenti del colosso Siemens, in Grecia sono stati ufficialmente accusati tredici top manager del gruppo, chiamati per gli interrogatori ad Atene dal prossimo 1 luglio. Tra loro il potente capo della società, per dodici anni chief executive, von Pirer, politicamente influentissimo, ex consigliere e per di più caro amico della cancelliera Angela Merkel. Mai accusato della giustizia tedesca, fu rimosso dalla società dopo lo scoppio dello scandalo nel 2007, e ha pagato una multa di diversi milioni di euro. In Grecia, tuttavia, sia lui, sia gli altri coimputati dovranno adesso affrontare le accuse di corruzione e riciclaggio di denaro in merito agli appalti per le Olimpiadi del 2004, e per le tangenti OTE per cui ballano 160 miliardi e altri 40 finiti in Svizzera. Accusati anche il numero due della multinazionale e il numero tre, Zikaktsek Reinhardt e Michael Koutsenroiter.

In secondo luogo è terminato da pochissimi giorni ad Atene il lavoro di un pool di esperti tra cui dirigenti del ministero delle finanze e dell’archivio generale di Stato. Che hanno scansionato più di centonovantamila pagine e settecento volumi di materiale riguardante i danni provocati alla Grecia durante il nazismo dalla Germania, ritrovati nei sottoscala dei ministeri in vari quartieri ateniesi. E che, con l'ausilio di richieste degli eredi dei trecentomila greci uccisi e delle perizie dei danni ad aziende e città, ammonterebbero a 160 miliardi di euro, circa il 70% del debito ellenico nei confronti di Bce, Ue e Fmi. Ma da Berlino sempre Schaeuble alza “un muro”, a cui il ministro degli esteri greco, Dimitris Avramopoulos, replica con un “abbiamo diritto ad avanzare pretese, vedremo in seguito come e quando”. Un dato certo è che il premier Samaras non vede di buon occhio il dossier sui risarcimenti, perché non vorrebbe compromettere il rapporto personale creato con la Cancelliera. Ma in Grecia il limite di sopportazione del memorandum è stato abbondantemente superato, con all'ordine del giorno i suicidi da crisi sottaciuti dai media e famiglie intere che restano senza luce, dal momento che lo stato ha pensato bene di inserire il pagamento dell'Imu (che si chiama karatzi) direttamente in bolletta. E ai morosi i comuni hanno semplicemente tagliato la fornitura, lasciandoli al buio.
I numeri del maxi risarcimento sono stati pubblicati dal quotidiano ellenico To Vima e ripresi dallo Spiegel. Ed è la prima volta in assoluto che il dossier, non solo vede la luce, ma varca i confini nazionali, dal momento che è giunto a Berlino. Come l'avrà presa frau Angela?

Fonte: Il Giornale del 15/4/13
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venerdì 12 aprile 2013

Ecco chi è l’oligarca russo che ha comprato Skorpios


Russo, miliardario, filantropo, possessore di un squadra di calcio. E da oggi anche di Skorpios, che non è solo l’isola di Aristotele Onassis nelle incantevoli acque dello Jonio, ma per i greci è un vero e proprio santuario. Dopo una trattativa lampo condotta in parallelo in due studi legali, uno di Ginevra e l’altro di Atene, Dmitry Evgenevich Rybolovlev classificato da Forbes nella lista degli 80 uomini più ricchi del pianeta, succede a Onassis nell’isola che dagli anni Sessanta in poi ha visto soggiornare il gotha dell’economia e il jet set mondiale. Da Winston Churchill a Jacqueline Kennedy, che proprio sull’isola celebrò le sue nozze con l’armatore greco.

INTERESSI ANCHE A CIPRO?
Ma il nuovo proprietario, prima di sborsare una cifra oscillante fra i 100 e i 200 milioni di euro, lo scorso mese è stato affaccendato in una questione delicata come l’haircut della Troika dei depositi presenti a Cipro, dove il magnate – come tanti russi – custodiva alcuni conti. Il 47enne oligarca russo pare possedesse il 10% della Banca di Cipro e, logicamente, una parte consistente dei suoi risparmi erano custoditi sull’isola.Ma chi è Dmitry Evgenevich Rybolovlev? Proprietario dell’industria di fertilizzanti Uralkali e della squadra di calcio del Principato di Monaco. Per lui il denaro non è un problema, come dimostra il recente divorzio record costatogli cinque miliardi di dollari e il fatto che sua figlia 24enne Giekatrina ha da poco acquistato un appartamento a Manhattan per oltre 88 milioni dollari, in cui precedentemente aveva soggiornato l’ex presidente di Citigroup, Sanford Weill.

GLI AFFARI DELL’OLIGARCA
Nel 2005, secondo la Reuters, le società Uralkali e Belaruskali hanno combinato la loro flussi commerciali tramite un unico operatore, la Belarusian Potash Company (BPC), di cui Rybolovlev divenne amministratore delegato. Nel corso dei successivi tre anni i prezzi del cloruro di potassio aumentarono di oltre cinque volte: il tutto con un impatto trasformativo sulla Uralkali. Passata in pochi anni da piccola società con una capitalizzazione di mercato di meno di cento milioni di dollari a (dati del 2008) a società internazionale quotata alla Borsa di Londra con una capitalizzazione di mercato di circa 35 miliardi di dollari. Nel dicembre 2010 l’Uralkali ha annunciato l’intenzione di acquistare un altro produttore di potassio, Silvinit, formando così uno dei maggiori produttori di cloruro di potassio a livello mondiale. Lo scorso anno è stato il più grande produttore mondiale di sali di potassio e uno dei leader di imprese industriali globali della Russia. Nel settembre 2010 Rybolovlev divenne un importante azionista della più grande banca di Cipro dopo l’acquisto di una quota del 9,7%. Un investimento che ha seguito un lungo lavoro e di associazione personale con il paese, che ha incluso anche la sua decisione di sostenere la costruzione della St. Nicholas Russian Orthodox Church a Limassol.

LE RIPERCUSSIONI SOCIETARIE
I primi segni della vendita di Skorpios, dunque, risiedono nei cambiamenti all’interno dei consigli di amministrazione delle società “Aristotele” e “Aristide” che controllano “Micene” e “Agamennone“, alle quali sono riconducibili la gestione dell’isola. Il tutto è stato curato dal noto studio legale ateniese George Kostakopoulos and Associates assieme allo studio di Andreas Neocleous, ai quali si sarebbe affiancato un noto consulente legale cipriota. Pare che Nocleous sia un avvocato che di recente ha fatto parlare di sé accusando gli olandesi per il collasso dell’economia. Ha anche una sede a Bruxelles nello stesso edificio con Kostakopoulos.

Fonte: Formiche del 12/4/13
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Seconda guerra mondiale, Atene chiede i danni a Berlino: 162 miliardi di euro


Centosessantadue miliardi di euro. A tanto ammonterebbe, secondo un rapporto confidenziale giunto sulla scrivania del premier greco Antonis Samaras, il risarcimento che Berlino dovrebbe corrispondere ad Atene per i danni della Seconda guerra mondiale. I numeri vengono pubblicati dal quotidiano ellenico To Vima e si riferiscono a un lungo lavoro di analisi e classificazione di quasi 750 volumi effettuato da parte di un pool di esperti tra cui dirigenti del ministero e dell’archivio generale di Stato. Che hanno scansionato più di 190mila pagine di materiale ritrovato nei sottoscala di ministeri e in camere seminterrate: erano stati messi nei sacchi per l’immondizia, mai catalogati. Il report è arrivato anche in Germania: una nota è stata infatti ripresa dallo Spiegel.

Solo la Banca Centrale della Grecia, però, conosce il totale dei pagamenti ai vincitori durante il periodo di occupazione. Ma la prima valutazione subito dopo la guerra, da parte della Banca della Grecia, dimostra che l’importo da restituire ad Atene corrisponderebbe a 4,5 milioni di libbre d’oro. E secondo indiscrezioni del ministero delle Finanze l’importo sarebbe di 162 miliardi di euro. É la prima volta non solo che la notizia viene diffusa con numeri specifici, ma che viene pubblicata anche in Germania. Quindi, secondo il report, mai la Grecia ha in passato ricevuto un risarcimento, né il prestito occupazione, né l’ammontare dei disagi subiti durante l’occupazione nazista.

La relazione del team greco si basa su volumi di materiale d’archivio, compresi gli accordi, la legislazione e le precedenti decisioni giudiziarie. Come affermato dal capo del comitato, Panaghiotis Karakousis, sono state scandagliate 190mila pagine rinvenute in vari archivi, molti dei quali sono stati trovati nei sotterranei di edifici pubblici. L’importo complessivo di 162 miliardi di euro corrisponde all’80 per cento del Pil corrente e se questo fosse pagato coprirebbe la maggior parte del debito del Paese con la Troika. Il governo tedesco ritiene che non vi sono al momento gli estremi per una compensazione e considera la materia estremamente sensibile, temendo che possa danneggiare i rapporti con il creditore più importante d’Europa.

Secondo la ricostruzione di Karakousis questo materiale storico è stato disperso nel corso degli anni, gettato in sacchi polverosi e mai attenzionato. Molti fascicoli sono stati ritrovati in alcuni sottoscala di vari quartieri ateniesi: “Il nostro primo lavoro è stato quello di recuperare tutte le cartelle con i documenti e salvarli. Una volta riunificati nella sede del Tesoro, abbiamo chiesto l’aiuto di specialisti dell’Archivio Generale dello Stato per la manutenzione e la classificazione condotta con metodologia specifica”.

Il contenuto di ciascuna cartella, con circa 240-300 pagine di dati e documenti, continua il responsabile della task force, “dovrebbe essere messo a disposizione di ricercatori e storici”. Il prossimo passo, conclude, sarà la digitalizzazione dell’intero archivio. Delle 761 cartelle si sa che il 14 per cento risalgono al primo conflitto mondiale, e il restante al secondo. Su 109 file della Prima guerra mondiale il 93 per cento riguarda il risarcimento dei danni causati durante il periodo di neutralità (legge 496/76), mentre relativamente alla Seconda guerra mondiale, il 91 per cento dei casi riguarda proprio le compensazioni (DL 4178/61). Circa il 90 per cento dei documenti si riferisce a casi di individui, come richieste di compensazione da parte degli eredi dei defunti per infortuni o malattie, o per danni a proprietà, immobili, aziende.

I danni perpetrati al Paese dopo l’invasione di Hitler datata aprile 1941 dovrebbero tenere conto di 300mila cittadini greci morti di fame, come risulta da un rapporto ufficiale redatto per l’occasione dalla Croce rossa internazionale. In seguito Germania e Italia non solo pretesero cifre elevatissime per le spese militari, ma ottennero forzatamente dalla Grecia anche quello che venne definito un prestito d’occupazione di 3,5 miliardi di dollari. Lo stesso Fuhrer in quella circostanza ne certificò il valore legale e dispose il risarcimento. Ma alla Conferenza di Parigi nel 1946 alla Grecia vennero riconosciuti solo 7,1 miliardi di dollari come risarcimento, anziché i 14 richiesti. Quindi l’Italia restituì come doveva la propria parte del prestito, mentre la Germania no. Un rapporto redatto nel luglio del 2011 dall’economista francese Jacques Delpla sostiene che Berlino dovrebbe alla Grecia ben 575 miliardi.

Del tema, oltre allo Spiegel, si è occupato anche il giornale tedesco Tassespiegel. E secondo il sito web di Deutsche Welle, nessun altro come la Germania ha distrutto tanto in Grecia: 130.000 civili morti, donne e bambini giustiziati per rappresaglia; 70.000 ebrei ammassati in campi di concentramento, 300.000 subirono congelamenti e morirono di fame perché i tedeschi confiscarono loro cibo; distrutto il 50% delle infrastrutture del paese e il 75% del settore industriale di allora”.  Ma nello stesso articolo si descrive il dilemma del primo ministro greco Samaras. ” Se il governo greco rinuncia alle pretese, poi in Grecia ci sarebbero ondate di indignazione. D’altra parte, Antonis Samaras non vuole gravare il suo rapporto con la Merkel, che tanto faticosamente ha restaurato di recente, chiedendo miliardi”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 12/4/13
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martedì 9 aprile 2013

Leaderini o statisti?


Allo stallo indegno della politica italiana, in cui l'intera classe dirigente non dirige né decide mentre imprese e cittadini sono allo stremo, ha risposto il capo dello Stato Giorgio Napolitano invocando lo spirito del 1976. Quando il paese subiva l'onda della crisi petrolifera di tre anni prima, con inflazione e recessione veri e propri spauracchi nazionali. Emergenze interne erano il terrorismo, la lotta armata, con la guerra fredda nel pieno della sua deflagrazione, i blocchi contrapposti, la cortina di ferro che si intravedeva a est. Insomma un caos, lento e farraginoso con all'orizzonte niente altro che lo stallo. In quel contesto, dunque, con Dc e Pci inchiodate ad una sostanziale parità, Aldo Moro propose la terza fase. A cui le Br replicarono come sappiamo, proprio nel giorno in cui il nuovo governo targato Andreotti veniva presentato alle Camere.

Oggi come allora regnano incertezza e apatia decisionale, rischi geopolitici e sterzate del singolo leader. Per questo il nodo sulle parole giunte dal Colle sta tutto lì: se si riferiva al medesimo procedimento politico di trentasette anni fa o se alla stazza di quei leader, capaci di ergersi a statisti lasciando cadere il bozzo di meri segretari di partito. Semplice, no?

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venerdì 5 aprile 2013

Se anche la Francia entra nei Piigs...

Due Europe: a due velocità, con due economie distinte, tuonavano sino a poche settimane fa i soloni bocconiani e gli eurocrati in smoking e papillon. Che, dall'alto di power point e briefing all'Eurogruppo o nell'Eurotower, titolavano su una certezza di fondo che Schaeuble & Co avevano in tasca: il Mediterraneo come linea maginot per una parte (meridionale) del continente in affanno, travolta da debiti e politiche disgraziate, con voragini finanziarie, ruberie e sistemi non conformi al modello standard, sempre più proiettata verso una moneta di serie B. E la zona settentrionale, che dalle Alpi italiane in su offriva le buone prassi su condotte bancarie e numeri industriali che avrebbe mantenuto un conio di qualità superiore. Un sogno dal quale a Berlino, nolente o dolente, si sta destando in queste ore. Perché quel club esclusivo di paesi dell'eurozona di serie A, oltre alla Germania, vede iscritta la Norvegia, forse l'Austria. E nessun altro. Anzi, una delle colonne d'Ercole dell'Ue sta pian piano manifestando precisi sintomi di una malattia altamente invalidante. É Parigi la nuova “sorella Piigs”, che nei prossimi mesi potrebbe scoppiare proprio come la bolla dei mutui subprime, andando a fare compagnia al folto gruppo che vede isrctitte Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia, Cipro, Slovenia, Malta. Facendo crollare la convinzione teutonica che “tutto va bene madama la marchesa Angela”. Anzi, anche in Baviera si iniziano a percepire i primi scricchiolii di un'economia che sta manifestando i vistosissimi limiti di visioni egoistiche e di politiche “trapezikocentriche”, dove a comandare solo solo i cda delle banche.
Scriveva Mark Twain che “un banchiera è uno che vi presta l'ombrello quando c'è il sole e lo rivuole indietro appena incomincia a piovere”.

Dunque Parigi, dove il presidente della Repubblica François Hollande arranca. Certo non aiutano le sue parole, "abbiamo risolto la crisi dell’euro ma alcuni Paesi, come l’Italia, restano fragili". Il presidente francese è troppo esperto per non comprendere che la crisi è solo all'inizio e più se ne ritarda una certificazione doc più gli ffetti saranno devastanti, come il caso Cipro e gli esperimenti finanziari di “Mengele-Schaeuble” stanno lì a dimostrare. A ciò si aggiungano gli ultimi sondaggi non proprio entusiasmanti per Hollande, anche se la contingenza francese di oggi non può essere figlia dei pochi mesi all'Eliseo del socialista: secondo la metà dei francesi è un “cattivo presidente della Repubblica”, mentre solo il 22% lo giudica un “buon presidente” (astenuti il 27%). Secondo la società Csa Hollande è considerato un buon Presidente della Repubblica dal 48% di coloro che lo hanno scelto solo al secondo turno. Il sondaggio è stato realizzato su internet il 26 e 27 marzo su un campione di 961 persone residenti in Francia.

Quella che dal suo staff hanno epitetato come una "leçon de pedagogie" non è stata una gran trovata. Infatti non è riuscito a spiegare ai francesi perché il tasso di disoccupazione sta "grattando" il record storico nel 1997, perché la crescita è zero, perché il potere di acquisto continua a scendere. E non sono necessari gli stucchevoli e preoccupanti rilievi alfanumerici per intuire cosa sta accadendo al di là delle Alpi, bensì è sufficiente toccare con mano la vita quotidiana dei "galli". Qualche settimana fa era rimbalzata la notizia che alcune patisserie avevano iniziato a mettere in vendita a metà prezzo la baguette del giorno prima. Con la sorpresa del tutto esaurito. La cassetta degli attrezzi è lì, continuano a ripetere i giornalisti a Hollande, come fatto da David Pujadas qualche sera fa. Senza comprendere come il caso Francia non sia imputabile ai suoi pochi mesi di Eliseo. Troppo facile e infantile sbirciare sul progetto non compiuto o sulla presunta sottovalutazione della crisi che molti suoi elettori gli imputano. E'il sistema complessivo europeo a cedere nelle sue infrastrutture più profonde, erette su una sabbia che sta fisiologicamente franando.

Proseguire nell'ostinazione feroce di tenere assieme pezzi di un puzzle ormai ampiamente scomposto e con i vari tasselli che appaiono irrimediabilmente strappati, è sintomo di masochismo puro. O, dicono i malpensanti, di mero calcolo economico per chi ci sta guadagnando (e anche molti denari) da memorandum, misure una tantum e prelievi forzosi. Contingenza che rafforza una convinzione: il modello cipriota che Berlino vuole imporre all'Europa, salva le banche ma affossa i correntisti. Smentendo chi propone due Europe, una a nord delle alpi e una a sud: semplicemente perché in quel convivio di ricchi banchieri ci può stare (ma fino quando?) solo la Germania, mentre gli amici “Piigs” sono pronti ad accogliere il nuovo malato grave: Parigi.

Insomma, il grande club delle sorelle europee sta progressivamente perdendo le sue colonne fondanti e non per decisioni antieuropee o eversive di qualche giovane politico, bensì per i numeri di un euro ormai divenuto insostenibile. Londra ha detto no (e Cameron giorni fa ha rivendicato la bontà di quella scelta polito-finanziaria), Atene è ko (e l'ex premier Papandreou aveva proposto il referendum prima di essere deposto per il tecnico Papademos nel 2011), Lisbona e Madrid pure. Ora c'è il caso di Nicosia ma nessuno parla dei numeri francesi, sia di pil che di quotidianità: è l'anticamera del punto G, ma all'inverso. Dove non gode proprio nessuno.

Fonte: Gli Altri settimanale del 5/4/13
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martedì 2 aprile 2013

La Repubblica di Macedonia stretta tra nuovi business, conflitti e malaffari


C’è un posto, nell’Europa schiacciata da spread e debiti, dove i numeri sorridono. Il governo dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom) otterrà ben 35,5 milioni di euro dai dividendi dell’operatore telefonico Makedonski. A ciò si aggiunga il miliardo e mezzo di investimenti previsti nel quadriennio 2013-2017 nel settore infrastrutturale energetico, annunciati a pochi giorni dalle elezioni amministrative che hanno visto la vittoria del partito di governo Vmro-Dpmne (con il 45,8 per cento dei voti). Lo scorso 24 marzo sono stati eletti al primo round 51 sindaci dei comuni, mentre il ballottaggio ha visto interessati altri 28 comuni e la capitale, Skopje. Nonostante l’assenza di episodi di violenza, ben 428 sono state le segnalazioni presentate alla Commissione elettorale. Qualcuno lascia intendere che vi siano stati dei brogli nel Paese che conta 2 milioni di abitanti ed è composto per il 60 % da slavi, per il 25 % da albanesi e altre etnie. E che è stato ribattezzato come la prossima polveriera d’Europa: dove affari e ideologie si mescolano pericolosamente.

La Fyrom è al centro di due fuochi. Da un lato la disputa relativa al nome “Macedonia” con i vicini ellenici, dal momento che quel nome è parte della storia greca di Alessandro Magno che aveva base non solo a Filippi (nella Grecia settentrionale) ma anche a Dion, ai piedi dell’Olimpo. Tre le obiezioni sollevate dal governo di Atene spicca il nome “Macedonia” che indica anche l’odierna regione greca Macedonia. C’era poi la vecchia questione della bandiera della Repubblica macedone sulla quale troneggiava la Stella di Vergina, simbolo della Dinastia di Filippo il Macedone che venne poi tolta per le recriminazioni greche.

E dall’altro il possibile snodo della giovane repubblica come nuovo porto franco per business, leciti e non. Ma ecco che al di là della bandiera, dei nazionalismi e delle strumentalizzazioni per nomi e sigle, un fatto preciso è che i big europei vorrebbero fare di Skopje la nuova frontiera degli affari, cui seguono purtroppo anche i malaffari, dal momento che la criminalità organizzata kosovara non vede l’ora di mettere le mani su fondi europei di sviluppo e sui mega appalti. All’orizzonte si registra una forte spinta per entrare nell’Ue (richiesta già inviata, al pari della Turchia) sulla traccia dell’allargamento democratico. In quel caso si aprirebbe un portone per: transazioni finanziarie (molte le banche che già operano in loco con conti alla “cipriota”); delocalizzazione delle aziende europee; possibilità per le multinazionali di aggiudicarsi appalti sul modello greco post-memorandum; pericolo della criminalità organizzata, dal momento che sarebbe più facile (così come accade oggi da Bulgaria e Romania) far arrivare in Italia droga, armi e prostituzione.

Intanto periodicamente accadono eventi spiacevoli, come la distruzione di un cimitero militare greco lo scorso 13 marzo, episodi che confermano le conseguenze del nazionalismo e del populismo che si coltivano nella Fyrom. Si prenda il distretto di Skopje, Bazaar, sulla riva del Vardar, con i suoi bar e ristoranti caratteristici che fino a un paio di anni fa pulsava di vita. Poi sono iniziati gli episodi di violenza tra macedoni e albanesi. Più volte il primo ministro Gruevski, allarmato per l’immagine del paese a livello internazionale, è intervenuto invitando alla calma e minimizzando gli attacchi crescenti. Ciò non toglie che esista una ferma rivalità tra le comunità, che rischia di destabilizzare il Paese. Da un lato l’ideologia ufficiale, che alimenta forti nazionalismi in entrambe le comunità. Dall’altro gli albanesi che rifiutano il ruolo di minoranza, ma vorrebbero gli stessi diritti degli slavi macedoni.

Mai, dalla fondazione dello stato di Macedonia nel 1991, macedoni e albanesi si sono sentiti fratelli. Tanto che attualmente tutti evitano di parlare di un nuovo 2001, quando la rivalità tra le due etnie è sfociata in un conflitto armato. Le condizioni non sono identiche, ma la spinta politica divergente di Gruevski verso la società albanese, avviene in un momento in cui le sirene nazionaliste in Kosovo e in Albania fanno saltare le visioni di un consolidamento transfrontaliero della nazione. Qualcuno inizia a lanciare precise accuse alla stampa locale, dal momento che i giornalisti sono coinvolti nell’intreccio di interessi fra imprese, media e politica. Lo conferma il fatto che la stragrande maggioranza dei media è di proprietà di aziende strettamente legate ai partiti, nonostante una recente proposta di legge che vorrebbe separare la proprietà dei media dalla politica.

La fortuna, tra l’altro, non sembra essere dalla parte del premier. E’ di pochi giorni fa infatti la notizia dell’arresto a Londra di Subrata Roy, il miliardario che aveva promesso solidi investimenti al governo di Skopje. Il presidente del gigante indiano Sahara Group, al suo atterraggio con il suo aereo privato a Heathrow, è stato bloccato nientemeno che dagli agenti dell’MI6, i servizi segreti britannici. Dovrà rispondere di riciclaggio di ingenti somme di denaro ed evasione fiscale. E il rischio di una nuova polveriera europea, resa ancor più tale da nuovi business e altissimi livelli di malavita, non contribuisce certo a calmierare un continente martoriato da debiti, default e affari poco limpidi.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 31/3/13
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