lunedì 23 febbraio 2009

MA NOI RISPETTEREMO IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE

Da FF web magazine del 23/02/09

Medici spie? No, grazie. Alla base di Alleanza Nazionale non convince l’emendamento proposto dalla Lega al decreto sicurezza approvato dal Senato lo scorso 5 febbraio, ed in attesa di essere calendarizzato dalla Camera. Sopprimendo il comma 5 dell’art. 35 del decreto legislativo 25/07/1998 n.286, l’emendamento in questione prevede la possibilità per un medico di denunciare l’immigrato irregolare presentatosi per essere curato, contravvenendo in questo modo al giuramento di Ippocrate e rischiando di diffondere un allarmismo del quale, di questi tempi, una politica sull’immigrazione lungimirante e ragionata farebbe volentieri a meno.
Abbiamo presentato il quesito ad alcuni medici di An di varie regioni italiane che ricoprono anche ruoli attivi all’interno delle amministrazioni locali, e le sorprese non sono mancate. Non solo alcuni degli intervistati hanno manifestato perplessità circa il merito e il metodo del decreto, ma hanno avanzato anche interessanti correttivi che potrebbero in futuro concorrere a migliorare il provvedimento.
“Perché non segnalare solo quei casi che possano derivare dal compimento di un reato? Penso a ferite da taglio o da arma da fuoco che farebbero pensare ad un tentato omicidio”. Lo propone la dott.ssa Teresa Baione, responsabile sanità della Federazione provinciale di Salerno, secondo la quale “si consentirebbe in questo modo alle forze dell’ordine di contare su un valido contributo. Senza dimenticare che il decreto in questione demanda all’atto medico non considerando il rispetto del giuramento di Ippocrate. Il rischio vero è che sulle politiche socio-sanitarie si smarrisca il vero obiettivo, ovvero lo screening di una serie di patologie nuove o più forti rispetto agli standard italiani, mi riferisco alla tubercolosi che nei casi di provenienza extraeuropea manifestano alcuni ceppi maggiormente resistenti alle cure classiche. Circa la prevenzione, che spesso al sud manca, credo vada fatta all’interno delle strutture territoriali come gli ambulatori che potrebbero addirittura ospitare gli extracomunitari senza intaccare gli ospedali già oberati di lavoro”.
Dal punto di vista deontologico l’emendamento della Lega è una “bestialità”, sostiene il dott. Antonio Angelo Liori, cardiologo e consigliere regionale della Sardegna, in quanto “avrei preferito che lo Stato avesse deciso di non curare affatto gli immigrati clandestini e non che prevedesse questa opzione che produrrà solo confusione. Quanti non si sottoporranno a cure per il timore di essere denunciati? Bisogna chiederselo, dal momento che vi sono già malattie che hanno l’obbligo di denuncia, obbligo che però non investe la persona”.
Sull’inopportunità del decreto non ha dubbi il prof. Fernando Aiuti, immunologo e presidente della commissione sanità del Comune di Roma, quando sostiene di condividere “in toto la tesi del Presidente della Camera Gianfranco Fini circa il rischio di spaventare i clandestini inducendoli a non curarsi. Penso che il Governo non ne beneficerà dal punto di vista dell’immagine, dal momento che scientificamente il decreto è sbagliato, in quanto comporterebbe una vera e propria fuga dagli ospedali di immigrati che potrebbero diffondere gravi patologie. Piuttosto, oltre a provvedere alla cancellazione dell’emendamento in questione dal decreto sicurezza, proporrei di rafforzare il monitoraggio da parte delle forze dell’ordine non negli ospedali, ma all’interno dei campi rom e in altri ambiti dove l’illegalità è diffusa”. Inoltre, come ha avuto modo di scrivere in una mozione firmata trasversalmente anche da altri consiglieri comunali, il prof. Aiuti sostiene che “i medici assumerebbero il ruolo non di persone che devono fare diagnosi e curare gli ammalati ma di spie al servizio delle autorità di Pubblica Sicurezza facendosi carico di una attività non prevista dal loro contratto di lavoro con il SSN, né da norme contenute nel codice deontologico degli ordini professionali, né da alcuna normativa internazionale vigente nei Paesi democratici configurandosi quindi il provvedimento contro la deontologia medica e l’interesse della collettività.”
Andrea Paolo Floris, sindaco di Cagliari e medico di base, da 5 anni fa parte della commissione speciale della Asl territoriale: “In questo lustro non mi sono ancora imbattuto in un solo caso di immigrato irregolare che si fosse presentato in una struttura pubblica”. Come dire che il decreto non risolverà il problema, anzi.
Si richiama invece alle regole esistenti il dott. Luigi Fera, medico di base e consigliere provinciale a Bari quando rileva che “siamo già tenuti a denunciare all’ufficio di igiene tutto ciò che di straordinario accade, come le malattie infettive. A maggior ragione se vi è una qualche forma di illegalità, ma è chiaro che qui in coscienza il medico può scegliere di tutelare la privacy del paziente, come impone il giuramento di Ippocrate, e mi riferisco in special modo al medico che ricopre un ruolo pubblico e che per questo ha una massiccia dose di responsabilità sulle proprie spalle”.
Perplesso il dott. Antonio Dambrosio, consigliere regionale del Piemonte, medico di base specializzato in odontostomatologia, che “non se la sentirebbe” di denunciare l’immigrato clandestino bisognoso di cure, e che predica prudenza nel legiferare quando le tematiche risultano così delicate, come il caso Englaro insegna.

giovedì 19 febbraio 2009

TURCHIA IN EUROPA, LE REGOLE DA RISPETTARE

Da Fare Futuro web magazine del 19/02/2009

Il dibattito sollevato in merito all’ingresso della Turchia in Europa, merita approfondimenti e precisazioni. La concezione dell’allargamento ideologico e sociale dell’Unione Europea è un’iniziativa intelligente e proficua, che gioverà al complesso della comunità sotto molti aspetti. La preoccupazione italiana di elaborare una politica di inclusione anche nei confronti di Ankara è giustificata dai progressi che il Paese ha compiuto in questi anni, come le numerose collaborazioni ed iniziative di partenariato testimoniano. Detto questo è imprescindibile comprendere come una qualsiasi teoria abbia esigenza di un riscontro vivo nella pratica, in questo caso il diritto.
Sbaglia chi ritiene che esista una divisione a priori tra pro Turchi e oppositori al loro ingresso nell’Ue, semmai esistono delle leggi che vanno rispettate da chi ha piacere ad entrare nella grande famiglia europea. Un esempio ci aiuterà in una serena valutazione nel merito. Se l’Italia da domani decidesse di non riconoscere la Francia come stato membro, cosa succederebbe? Se il nostro Paese negasse lo spazio aereo a velivoli francesi o vieterebbe il transito di navi transalpine nei nostri mari, che conseguenze susciterebbe? Legittimo chiederselo dal momento che queste eventualità sopra citate accadono realmente nei rapporti tra la Turchia e la Repubblica di Cipro, stato membro dell’Ue a tutti gli effetti. Il punto è questo e verte sul semplice e niente affatto polemico rispetto delle leggi.
Il Trattato di Amsterdam, all’articolo 49, prevede la libera circolazione dei popoli all’interno dell’Ue. E’una disposizione ufficiale, non una presa di posizione soggettiva suscettibile di interpretazioni o sconvolgimenti.
Il 24 giugno del 2008 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso due sentenze storiche, ritenendo la Turchia colpevole di aver violato fondamentali diritti dell’uomo. La prima riguarda i delitti Solomou e Isaak: Solomos Solomou, greco-cipriota di Famagosta, ha perso la vita nel 1996 freddato dal fuoco di cecchini turchi. La sua unica colpa è stata quella di essersi arrampicato su un palo per rimuovere una bandiera turca. Pochi giorni prima suo cugino Tassos Isaac era stato ucciso dai Lupi Grigi mentre partecipava ad una manifestazione contro l’uccisione di due suoi amici. Per l’omicidio, ripreso in diretta da alcune televisioni, vennero fermati Kenan Akin e Erdal Baciali Emanet, quest’ultimo capo delle forze speciali turche, inchiodati da prove fotografiche. Akin nell’ottobre del 2004 ha ammesso di aver fatto fuoco, ma ha accusato l’ex comandante militare turco Halil Sadrazam di averglielo ordinato. Quest’ultimo ovviamente ha negato l’accusa. In seguito Akin, scarcerato, è stato arrestato ad Istanbul non per l’omicidio di Solomou ma per contrabbando. Pur essendo ricercato dall’Interpol è stato a sua volta rilasciato dalle autorità turche suscitando una crisi diplomatica, oltre che l’orrore dell’opinione pubblica. Il video dell’uccisione di Solomou si trova su You Tube.
La Corte ha ritenuto la Turchia responsabile per aver violato l’art.2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per non aver rispettato la vita dei due cittadini ciprioti e per non aver dato seguito a inchieste credibili sugli assassini. La Turchia è stata in questo caso chiamata in causa dal momento che le “autorità dello stato fantoccio istituito dalla Turchia stessa nella parte occupata dell’isola, sono ritenute dalla Corte amministrazione subalterna al governo turco”.
La seconda sentenza ha ritenuto la Turchia colpevole di aver violato l’art.10 che salvaguarda la libertà di espressione. L’insegnante Eleni Fokà nel gennaio 1995, mentre rientrava a scuola nel villaggio occupato di Agia Triada, venne arrestata e maltrattata da ufficiali turchi che le sequestrarono libri ed appunti. Secondo il tribunale di Strasburgo le autorità di Ankara dovranno risarcire la donna per le violazioni subite.
Il Parlamento europeo nella risoluzione sulle relazioni UE- Turchia del 24 ottobre 2007, rammentava al Governo di Abdullah Gul il decalogo da rispettare, ovvero: sì alle annunciate riforme in Turchia, purchè vengano concentrate nei settori in cui vi è estrema esigenza di ulteriori progressi, considerati vitali dal punto di vista democratico.
Irrinunciabile il rispetto per le minoranze religiose, ferma condanna per l'uccisione di don Santoro, più controlli civili sui militari e maggior autonomia per la libertà d'espressione, senza dimenticare gli impegni su Cipro, curdi e armeni. In quell’occasione il Parlamento europeo rammentò che “l'inadempimento da parte della Turchia degli impegni assunti nel quadro del partenariato per l'adesione continuerà ad influenzare negativamente il processo negoziale. Rammaricandosi che non vi sia stato alcun progresso sostanziale verso una soluzione globale della questione di Cipro, esorta ambedue le parti affinché adottino un atteggiamento costruttivo per trovare, nel quadro dell'ONU, una soluzione globale basata sui principi su cui è fondata l'UE. In proposito, ricorda che il ritiro delle forze turche agevolerebbe la negoziazione di un accordo”.
La presa di posizione oggettiva e non faziosa del Parlamento europeo presta il fianco a due considerazioni: in primis concede una chiara apertura e invita il governo turco ad una riflessione responsabile manifestando piena disponibilità al processo di adesione, dall’altro fa chiaramente capire di non essere affatto pronta a sconti o a concessioni incongruenti, come qualcuno auspicava, vedi quei deputati radicali che nel settembre 2007 avevano accolto a Roma come un eroe il presidente della repubblica turco-cipriota autoproclamata e riconosciuta solo da Ankara (e né dall’Ue né dall’Onu), addirittura con scorta ufficiale dei Carabinieri, senza che alcuna penna ‘nazionale’ versasse inchiostro in proposito.

sabato 7 febbraio 2009

GRECIA, TUTTE LE SFIDE DEL GOVERNO




da "Fare Futuro web magazine" del 06/02/09

Da patria della filosofia a potenziale laboratorio economico e culturale, passando per alleanze strategiche e nuovi slanci strutturali: la Grecia si specchia con i venti di crisi ad un mese dagli scontri anarchici di Atene e nel pieno delle proteste degli agricoltori, a seguito dei quali tenta di ripartire con un nuovo esecutivo, nella consapevolezza che non è sufficiente un batter di ciglia per rimediare a strumentalizzazioni pretestuose e a problemi reali, ma potendo contare su una nuova fase progettuale.
Il premier di centrodestra Kostas Karamanlis, esponente di punta del partito Nea Demokratia, ha rivoluzionato la sua squadra, confermando tre ministri, tra i quali spicca la tenace Dora Bakoyannis agli Esteri e sostituendone otto, tra cui quello economico, fuori Alogoskoufis per Papathanassiou.
La crisi economica ha colpito l’Ellade in maniera diretta e profonda e le ripercussioni appaiono oggi ancor più insormontabili anche a causa di un tenore di vita che i Greci hanno negli anni conquistato e che oggi difficilmente riescono a modificare. Ma in fondo al tunnel si intravede più di un barlume di luce, dal momento che una serie di fattori potrebbero essere determinanti in positivo.
In primis il gasdotto Edison Italia-Grecia, per il quale la Commissione Europea ha stanziato cento milioni di euro, per consentire al gas turcmeno di giungere nel nostro Paese, anche attraverso una sinergia logistica proprio tra la Grecia e la Turchia. Numerosi sono stati negli ultimi anni i passi in avanti compiuti dai due Paesi che, a seguito di controversie storiche, tentano di riavviare il dialogo attraverso iniziative e progetti. Uno di essi porterà alla costruzione di un’autostrada che collegherà Salonicco a Istanbul.
Dal primo gennaio di quest’anno, inoltre, la Grecia è presidente di turno dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) per la quale ha già avanzato due interessanti proposte: la prima rivolta ad una strategia ad hoc per la regione del Caucaso all’indomani della crisi del gas in Georgia, dove costruire un nuovo sistema di sicurezza geopolitica anche in funzione europea, l’altra giuridica intendendo regolare proprio il quadro legale dell’Osce, nato nel 1994 ma ad oggi ancora privo di personalità giuridica, ovvero dotandolo di un bilancio maggiormente consistente per conferirgli tutti gli strumenti (logistici ed economici) necessari per operare con efficienza nelle aree più a rischio.
Infine la volontà di ripercorrere i passi dell’antica agorà, dove il ragionamento ed il confronto erano punti cardine di una società culturalmente avanzatissima, grazie allo sforzo della fondazione “Istituto di democrazia K. Karamanlis” che, nell’undicesimo anniversario della sua nascita (era il gennaio 1998), intende dare un segnale preciso alla società internazionale, ritenendo che l’appartenenza alla comune famiglia europea non debba tradursi esclusivamente in un semplicistico rispetto di paradigmi e indici di comportamento, ma debba necessariamente connotarsi come una visione elastica e risolutiva verso le problematiche attuali, avendo come bussola il bipolarismo e la strutturazione di uno Stato liberale.
Ma al fine di comprendere analiticamente il quadro dello stato greco è utile fare un passo indietro e ripercorrere i fatti di quaranta giorni fa. Gli indicatori economici concordano nel sostenere che la Grecia oggi sia vicina al collasso, e gli episodi di terrore conseguenti alla morte del giovanissimo studente Alexis Grigoropoulos e al ferimento di un agente di polizia pochi giorni dopo (il 21enne Diamantis Mantzounis), sono solo la punta, sbagliata e cruenta, di un iceberg sul quale è urgente confrontarsi e capire. Senza contare lo stato di agitazione di questi giorni degli agricoltori, in modo particolare di quelli cretesi, i quali giudicano non adeguato il pacchetto di aiuti da 500 milioni di euro approntato dal ministero dell’Agricoltura, e che sono addirittura giunti ad uno scontro fisico con le forze dell’ordine nel porto di Pireo.

I sentori di crisi in Grecia non risalgono solo agli ultimi anni, perché sarebbe il caso, (e qui bisognerebbe chiamare in causa economisti e dirigenti) di fare un salto a ritroso di dieci anni, quando tutto ebbe inizio con un vero e proprio fulmine a ciel sereno: il crollo della Borsa. E’a quel meccanismo illusorio e non protetto adeguatamente che bisogna far risalire l’inizio della fine, è da quegli errori che bisogna ripartire.
Il popolo ha sì diritto a manifestare il proprio disappunto verso decisioni che investono la collettività, ma non ha diritto di generare tale vandalismo come è accaduto in occasione delle distruzioni perpetrate dai gruppi di anarchici, che sono ammontate a duecento milioni di dollari di danni. Si dice che nelle università ateniesi per la modica cifra di tre euro era in vendita una pietra appuntita, utile allo scontro con le forze dell’ordine. Semplicemente assurdo.
Le conseguenze sono ancor più gravi e i dati dell’Associazione degli albergatori dell’Attica parlano di un drastico calo di presenze turistiche nel periodo natalizio, meno 26%, con forti timori per le prenotazioni pasquali e primaverili.
Ma il Governo Karamanlis ha dimostrato di tenere, investendo ancor di più in alleanze internazionali (è di queste ore l’annuncio dell’apertura di un ufficio per gli affari economico/commerciali in Iraq), impegnandosi a far fronte alla crisi con politiche mirate nei confronti delle fasce sociali maggiormente deboli e con riforme strutturali, risultando più forte di pretestuose strumentalizzazioni e prese di posizione indifendibili.

mercoledì 4 febbraio 2009

CIPRO UNA FERITA ANCORA APERTA

Da Fare Futuro Web Magazine del 03/02/2009

Nella settimana che ci conduce alla commemorazione del dramma delle foibe, una rivelazione sconvolge l’Europa. L’attore turco Attila Olgac ha confessato di aver freddato dieci greco-ciprioti nel 1974, almeno uno dei quali era prigioniero di guerra. L’ammissione, poi smentita con la giustificazione di voler solo sondare le reazioni, si inserisce in un momento molto delicato per le sorti dell’isola all’estremo lembo orientale del Mediterraneo.

Da trentacinque anni è occupata militarmente dalla Turchia, che nel 1974 ne invase il 2% all’indomani di un tentativo di annessione da parte dei Colonnelli greci, salvo poi “ampliarsi” con la presenza in loco di 50mila militari su ben il 38% della superficie dell’isola. Mentre la parte greca di Cipro è a tutti gli effetti uno Stato membro dell’Unione europea, la zona turca si è autoproclamata Repubblica turco-cipriota del nord ma non è riconosciuta né dall’Onu né dall’Ue, solo da Ankara.
La scia di sangue iniziata con l’occupazione militare turca è stata lunga e dolorosa. Ben 200 mila greco-ciprioti di fede cristiana sono stati costretti ad emigrare verso sud, mentre la zona settentrionale dell'isola è stata sottoposta ad un vero e proprio trattamento di islamizzazione forzata. Il riferimento non è solo ad uno sconvolgimento culturale e religioso ma anche morale e materiale: tutto ciò che non era musulmano è stato degradato o raso al suolo (come il cimitero di Termìa); al contrario, è stato dato ampio risalto all’anima nazionalista dei discendenti dell'Impero ottomano, che hanno provveduto anche a scolpire mezzelune sul paesaggio naturale, precisamente sul fianco dei monti Pentadattilos.

Il Parlamento europeo faceva il punto sui danni subiti dall’isola all’estremo est del Mediterraneo in questi termini: «Sconsacrate oltre 133 chiese, cappelle e monasteri situati nella parte settentrionale di Cipro, finita sotto il controllo dell'esercito turco dal 1974; convertite in moschee 78 chiese; 28 sono usate come depositi militari e ospedali e 13 sono usate come magazzini, mentre rimane sconosciuto il luogo in cui sono conservati oggi i rispettivi oggetti religiosi, incluse oltre 15.000 icone, che sono state trafugate». Tra i monumenti distrutti dai turchi figurano non solo chiese cristiane cattoliche ed ortodosse, ma anche protestanti, maronite, armene e un cimitero ebraico. La loro unica colpa era di essere di fede diversa da quella musulmana.

Tra razzìe e ogni sorta di dequalificazione civile e morale, vale la pena di citare qualche esempio concreto, che tra l’altro è stato al centro del libro del professor Charalampos G. Chotzakoglu, docente di storia bizantina all’Open Hellenic University di Atene, dal titolo “Religious monuments in Turkish- Occupied Cyprus”, con la prefazione di Nikephoros, Metropolita Arcivescovo di Kykkos e Tillyria. Il volume consiste in una sorta di viaggio itinerante attraverso luoghi che in passato erano destinati al culto e che oggi, tra macerie e animali al pascolo, sono stati degradati quasi fossero contaminati da chissà quale piaga. L’opera è legata a doppia mandata ad una mostra itinerante organizzata dal professor Charalambos Chotzazoglou con quaranta pannelli raffiguranti le chiese come erano in origine e come appaiono oggi e che ha fatto tappa in Italia nell’agosto del 2008 in occasione del meeting di Comunione e Liberazione a Rimini.
L’Onu aveva proposto come extrema ratio una soluzione al problema di Cipro con il cosiddetto “piano Annan”, bocciato in seguito con un referendum dai greco-ciprioti perché manifestamente a vantaggio dei turchi.

Come ho avuto modo riferire in qualità di modesto relatore alla platea di Nicosia in occasione del Quarto Congresso Internazionale di Studi Cipriologici nell’aprile 2008, il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti umani e risoluzioni Onu perchè esso fonda la sua base attuativa sull’articolo 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi, nella veste pratica, escluderne la concreta applicazione, dal momento che i greco-ciprioti non possono far ritorno nelle proprie abitazioni situate nella zona occupata, la Katekomena.
È utile rammentare che ad oggi la Turchia, che non riconosce nemmeno Cipro come Stato membro dell’Ue, mantiene anche l'embargo contro le imbarcazioni battenti bandiera cipriota e quelle provenienti da porti situati nella Repubblica di Cipro, negando loro l'accesso ai porti turchi, nonchè contro gli aerei ciprioti, negando loro la possibilità di sorvolare gli aeroporti turchi o di atterrarvi. Inoltre negli ultimi mesi, complice il rapporto di amicizia esistente tra il presidente della Repubblica di Cipro Christiofas e quello dello Stato turco-cipriota autoproclamato, Talat, si sono intensificati i negoziati e gli incontri bilaterali, visti con ottimismo e speranza dalla comunità internazionale.

La soluzione finale alla problematica cipriota, che in molti considerano lunga e difficile, ma che altri invece ritengono praticabile, potrebbe rappresentare il vessillo di una pace da estendere all’intero Medio Oriente: come sarebbe utile e saggia una vera e propria bandiera di pace e di convivenza civile e fraterna, sventolata proprio in direzione di quei territori distanti poche centinaia di chilometri che purtroppo in questi anni hanno visto solo sangue e morte.
Nessuno dice che sia facile dare seguito a queste speranzose righe, ma il dovere di tutti è di provarci.