lunedì 25 maggio 2015

Stavolta il destino vince a dadi: John Nash muore in uno scontro


«Matematica è una parola greca che all'inizio includeva i concetti di musica e astronomia. Solo nell'accezione contemporanea è diventata una materia a sé. Ma secondo me continua a essere intrinsecamente collegata a innumerevoli altre discipline». Così una delle più celebri citazioni dell'ottantaseienne John Nash, il matematico ed economista premio Nobel nel 1994 morto ieri a bordo di un taxi, nel New Jersey, insieme a sua moglie. Sono stati sbalzati fuori dal veicolo che si è schiantato su un guard rail. Non portavano la cintura di sicurezza.

Noto al grande pubblico per aver ispirato il pluripremiato film, anche con quattro Oscar, A Beautiful Minds diretto da Ron Howard e interpretato da Russel Crowe («Scioccato, il mio cuore è vicino a John, Alicia e famiglia, una partnership straordinaria, belle menti, bei cuori», ha twittato l'attore), Nash aveva sofferto di una grave forma di schizofrenia. La matematica, il calcolo e i computer, diceva Nesh, sono stati la medicina che «mi ha riportato a un'idea più razionale e logica, aiutandomi a rifiutare il pensiero e l'orientamento allucinatori». La matematica è curativa e in America viene usata nella terapia occupazionale al posto dei farmaci con ottimi risultati.

Solitario e introverso, Nash è stato un geniale e raffinato matematico puro, con una straordinaria capacità di affrontare i problemi connessi con nuovi occhi e nuove frontiere. Una delle sue scoperte riguarda l'immersione delle varietà algebriche, le equazioni differenziali paraboliche, le derivate parziali e la meccanica quantistica. Amava ripetere che l'economia e il business non erano in cima ai suoi pensieri, mentre adorava la musica, anche se con un approccio selettivo. «Trovo il rock e il pop sgradevoli e non amo compositori contemporanei quali Luciano Berio, al quale preferisco Vivaldi, Frescobaldi e Donizetti».

La prima delusione arrivò da una vittoria mancata alla« William Lowell Putnam Mathematical Competition», un premio molto ambito, ma da quel momento furono solo successi: la laurea in Matematica nel 1948, le offerte da università di prestigio come Harvard, Princeton (che scelse), Chicago e Michigan per un dottorato, la conoscenza personale con Albert Einstein e John von Neumann e il cameo di una lettera di presentazione che portò a Princeton con solo una frase vergata dal rettore: «Quest'uomo è un genio».

Un anno dopo eccolo impegnato a comporre il saggio che, poi, gli sarebbe valso il Nobel per l'Economia, stabilendo i principi matematici della teoria dei giochi. Un suo collega, Peter Ordeshook, scrisse che il concetto di equilibrio di Nash è forse «l'idea più importante nella teoria dei giochi non cooperativi», applicabile alle strategie di elezione dei candidati, alle cause della guerra, alla manipolazione degli ordini del giorno nelle legislature, o alle azioni delle lobby. Il sunto era che le previsioni circa gli eventi si riducono a una ricerca o a una descrizione degli equilibri.

Nato in West Virginia, aveva vinto il premio Nobel nel 1994 e lo scorso 19 maggio si era aggiudicato l'«Abel Prize», un altro riconoscimento matematico, a Oslo, conferitogli dal Presidente dell'Accademia norvegese di Scienze e Lettere Kirsti Strøm Bull e da Sua Maestà il Re Harald «per i contributi alla teoria delle equazioni differenziali non lineari e delle sue applicazioni all'analisi geometrica». Se ne va, per colpa del fato, chi era riuscito a domare lo stesso fato grazie alla teoria dei giochi, rivoluzionando un modo di pensare e di agire.

Nel mezzo, ben trent'anni di convivenza con la schizofrenia tra ricoveri in ospedali psichiatrici, il ritorno alla matematica e quella scelta di aver interrotto volontariamente l'uso di farmaci antipsicotici a partire dal 1970, contrariamente a quanto riportato nella pellicola A Beautiful Mind . Ma nonostante la paura di far passare il messaggio di un genio affetto da schizofrenia in grado di stoppare la terapia anche senza una regressione sintomatica, Nash volle dimostrare di saper gestire i sintomi, guadagnando la guarigione. Una scommessa, degna di quel fato e di quei giochi che riuscì, così mirabilmente, a decrittare con la sua teoria.

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giovedì 21 maggio 2015

Grecia, il punto sul meltèmi della crisi


A cento giorni dall'elezione di Alexis Tsipras, Grecia e creditori internazionali restano all'impasse. Passi in avanti si accompagnano a incomprensioni e diffidenza. E ora la geopolitica, con lo scontro energetico tra Occidente e Russia, rischia di complicare il quadro
Un nome nuovo (Bruxelles group), la volontà (almeno a parole) di cambiare direzione e tanta paura su un futuro che resta ancora a tinte fosche. Il meltèmi [vento secco che soffia sull'Egeo, in grado di dar vita a burrasche in mare N.d.R] della crisi economica non cessa di soffiare sulla Grecia e su ciò che resta del tessuto imprenditoriale e sociale del Paese, schiacciato dalle scadenze di rimborsi ai creditori – per la verità sino ad oggi sempre rispettate da Atene - e da un conto alla rovescia che questa volta potrebbe davvero scrivere la parola fine sul caso ellenico, in un verso o nell'altro.
Sullo sfondo, un mercato drammaticamente fermo, la disoccupazione che non cala, la fuga dei cervelli e dei nuclei familiari che non si arresta, i riverberi geopolitici in chiave eurasiatica di una crisi che si fa sempre più complessa.

Gli attori in campo

I creditori internazionali dell'ex troika (Fmi, Ue e Bce) premono perché sia rispettato l'accordo dell'Eurogruppo siglato lo scorso febbraio: il governo Tsipras, è la tesi di Bruxelles, deve continuare nei prossimi quattro mesi sulla strada della spending review e delle riforme per poter avere accesso ad altri prestiti, imprescindibili per ovviare a casse dello Stato che sono ad un passo dal profondo rosso.
Dall'altra parte, la volontà del neo premier di Syriza è quella di cambiare direzione, nella consapevolezza che il memorandum non è sostenibile da una Grecia già azzoppata da tre anni di tagli draconiani, con la richiesta di riutilizzare quel denaro non per pagare gli interessi sul debito, ma per stimolare la ripresa. Una sorta di grande piano Marshall per l'area euro-mediterrenea, così come nelle intenzioni è stato il “Quantitative Easing” lanciato dal numero uno della Bce Mario Draghi ma che, di fatto, ha escluso proprio chi ne avrebbe avuto più bisogno: la Grecia.

Le scadenze

Dall'elezione a premier di Alexis Tsipras ad oggi sono trascorsi appena cento giorni, ma la rottura delle trattative è stata più volte sfiorata in questo lasso di tempo. Merito, sostengono i detrattori di Atene, del carattere di Yanis Varoufakis, l'estroso ministro delle Finanze che non è riuscito ad instaurare un canale di dialogo con i due soggetti che, più di altri, hanno in mano le chiavi dell'Eurogruppo: il presidente Jeroen Dijsselbloem e il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble.
Sorrisi di troppo, dichiarazioni incendiarie sui media, fughe in avanti e poche smentite: sin dalle prime battute dell'Eurogruppo del 18 febbraio si è avvertita nell'aria una tensione mai respirata prima, nemmeno nei giorni di crisi acuta del 2012, quando dopo le seconde elezioni consecutive, in Grecia tutti erano pronti al peggio. Lo spartiacque verso un diverso approccio alle trattative è stato segnato tre settimane fa, quando è stato lo stesso premier greco a comprendere come, senza una partecipazione costruttiva al tavolo europeo, la Grecia avrebbe continuato a pagare i maggiori danni da questa impasse. Un passaggio certificato anche dalla Confederazione dei commercianti greci, secondo cui ogni giorno che passa senza un accordo sul debito il paese perde 22 milioni di euro.

Parlano i numeri

Su un punto a Bruxelles hanno sicuramente ragione: l'evasione dell'Iva in Grecia ogni anno ammonta ad almeno 9,5 miliardi di euro. Un "tesoretto" che - se adeguatamente recuperato potrebbe concedere più di una boccata di ossigeno. In questa direzione si registra la buona volontà del governo di Atene che, dopo aver affiancato a Varoufakis due figure più diplomatiche (il vicepremier Ioannis Dragasakis e il responsabile economico di Syriza Euclides Tsakalos), ha inviato al “Bruxelles Group” una proposta di riforma dell'Iva, compresa una serie di misure (di cui alcune piuttosto discutibili) per incassarla, come studenti e casalinghe a fare le veci della polizia finanziaria.
Sul punto si sono tenute nell'ultima settimana due teleconferenze tra le parti, per smussare gli angoli del primo grande scoglio nelle trattative tra Atene ed Unione Europea: ecco fare capolino la possibilità di due aliquote invece delle attuali tre, con la più alta al 18% per tutti i servizi e prodotti ad eccezione degli alimentari e dei medicinali, a cui si applicherebbe uno sconto per gli acquisti con carta di credito del 3%. E quella più bassa al 9,5%. A ciò si aggiunga la seconda iniziativa per stanare il nero in Grecia, ovvero limitare l'uso del contante a 70 euro nelle isole con più di tremila abitanti, al fine di incentivare le transazioni con le carte bancomat. Ma mentre nel “Bruxelles Group” c'è totale consenso rispetto a questa misura, da parte greca fanno notare come colpire il turismo, l'unico settore che produce ricchezza nel paese, sarebbe una mossa controproducente.
Oltre al dossier Iva e nuove tasse, è alla voce privatizzazioni che si assiste all'ennesimo duro scontro tra Atene e Berlino. La Federazione russa sarebbe pronta ad assimilare alcune utilities greche, come le ferrovie Treinose e il porto di Salonicco anche in chiave di un futuro hub energetico, ma i paesi occidentali, Stati Uniti in testa, non sono affatto d'accordo.

"Disturbo" geopolitico

E proprio nelle ultime ore, si registrano una serie di mosse “di disturbo” da parte degli USA verso il progetto “Turkish stream”, il nuovo gasdotto turco russo ideato per sostituire il “South Stream” che passerà dalla Grecia dopo essere approdato in Turchia via mar Nero, e per cui il presidente russo Vladimir Putin avrebbe già promesso un anticipo di cinque miliardi di euro a Tsipras.
Gli Stati Uniti invece vedrebbero di buon occhio una Grecia più legata al Tap (Trans-Adriatic Pipeline, progetto che dovrebbe far approdare in Italia il gas azero attraverso Grecia e Albania) e non al progetto targato Gazprom. Per questo motivo l'inviato speciale per gli affari energetici del dipartimento di stato americano, Amos Hochstein, ha dichiarato al New York Times che gli USA appoggeranno la Grecia per costruire il gasdotto Tap, motivando questa presa di posizione con il fatto che questo è in fase più avanzata rispetto al “Turkish stream”, il cui varo è stato lanciato solo lo scorso dicembre, quando il presidente russo ha rivelato apertamente di voler abbandonare l'idea di "South Stream".
La Grecia, quindi, si rivela oggi come campo di "battaglia" ideale tra Stati Uniti e Russia: in ballo ci potrebbero essere anche i destini degli aiuti finanziari ad Atene, da una parte o dall'altra. Ma mentre la geopolitica crea nuovi scenari, e pone le basi che probabilmente definiranno il destino energetico europeo, nuova bussola per scelte e alleanze, la Grecia resta ad un passo dal baratro, come dimostra una lettera inviata pochi giorni fa dal ministero degli Esteri greco a tutte le ambasciate elleniche nel mondo. Nella missiva, il governo centrale chiedeva alle sedi all'estero di restituire quanto avanzato della dotazione finanziaria dell'anno scorso. E annunciava il rischio reale di non poter pagare stipendi e pensioni il prossimo 30 maggio

venerdì 15 maggio 2015

Il partito repubblicano? Prima nasca un think tank


Da più parti, politiche e analitiche, sembra farsi largo nel Paese l'idea di un contenitore repubblicano in stile americano da contrapporre al Pd di Matteo Renzi. Troppo forte la corazzata piddì, si dice, per poter essere affrontata solo dalle urla populiste padane o dalle frattaglie dell'ex casa delle libertà. Un primo punto fisso, in questo viaggio ideale verso la Terza Repubblica, potrebbe invece essere relativo al contenuto rispetto al contenitore. Ovvero, se proprio è il modello a stelle e strisce quello di riferimento, allora che si parta dalle idee prima che da un titolo. 

Il sedicesimo Presidente degli Stati Uniti d'America e il primo ad appartenere al Partito Repubblicano, Abraham Lincoln, ebbe il suo alfa in occasione del Discorso di Gettysburg, il più significativo della sua esperienza che fu ricordato come la pietra miliare della storia politica americana.  Era il novembre del 1863, il Paese si trovava in piena guerra di secessione e le parole di Lincoln, pronunciate inaugurando il cimitero militare di Gettysburg, arrivavano quattro mesi dopo la battaglia di Gettysburg. Il concetto di Nazione, i momenti del post guerra civile, i numerosissimi sacrifici delle truppe, la macro idea di nuova comunità: questi i tratti somatici di quel discorso. 

Negli anni, l'evoluzione repubblicana è stata accompagnata dalla produzione di progetti, teorie, spunti e dibattiti all'interno dei think tank: luoghi dove albergano neuroni, luoghi di scontri e confronti, luoghi dove sperimentare idee e strategie, dove incrociare esperienze e dove aprire al nuovo. Luoghi che in Italia, con pochissime eccezioni, non hanno attecchito in pieno, se si guarda all'elaborazione politica degli ultimi trent'anni. 

Uno dei traini della Presidenza Reagan è stata la Heritage Foundation, fondata nel 1973 da Paul Weyrich, Edwin Feulner e Joseph Coors, producendo tra le altre cose una relazione intitolata "Mandato per la leadership" (era il 1981): un paper di linee guida con circa duemila proposte in chiave conservatrice, il 60% delle quali furono prese in oggettiva considerazione dalla Casa Bianca. Al di là della deriva italiana di eleggere un modello straniero come proprio faro nei momenti maggiormente critici (non dimentichiamo l’innamoramento per Tsipras e Podemos, o quello passato per Zapatero, o più recentemente per Tony Blair o Sarkozy), ciò che conta è non scimmiottare ma prendere il buono di quella che si considera un’esperienza vincente. 

Per cui, in attesa di capire come si riorganizzerà il mondo politico italiano che si pone in antitesi tanto a Renzi quanto a Salvini, il consiglio per loro è che partano da un nucleo di idee e spunti, tarati su una postmodernità con sfide epocali come la globalizzazione, la nuova emigrazione, il concetto di Eurasia che sovrasta l’Euromediterraneo. Nomi, sigle e simboli verranno, da sé, dopo le idee. Sempre ammesso che siano buone.

Fonte: Formiche del 15/5/15
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martedì 12 maggio 2015

Povero Altiero Spinelli: tradito proprio da tutti

Va bene che “l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”, così come si legge in quella pietra miliare che è stato il Manifesto di Ventotene, vergato da Altiero Spinelli, padre dell’Europa. Ma la cosiddetta libertà di trovare rifugio nel gruppo misto, così come fatto anche da Barbara Spinelli che ha mollato la Lista Tsipras, sa di presa in giro. Proprio nel momento in cui al premier ellenico servirebbero consigli, appoggi, proposte e sponde, ecco che la lista che porta il suo nome naufraga. E chi non ha contribuito a cementare idee, spunti, valori e strategie punta il dito contro un’atomizzazione che nei fatti è anche conseguenza di quegli strappi e quelle litigiosità elevate al cubo. Il tutto mentre Atene è questa volta sì a un passo dal default.

Non è stato un bell’esempio il comportamento di Barbara Spinelli. Con tutto il rispetto per l’intellettuale, l’editorialista e per il cognome che porta – ma forse proprio per questo – ci si sarebbe attesa altra direzione di marcia. Prima la promessa di lasciare il seggio, poi lostrappo con la Lista Tsipras ma prima un vuoto valoriale. Non c’è bisogno di indossare una casacca politica o cromatica per lavorare affinché l’Europa aggiusti il tiro di politiche e direttrici di marcia. Ilpatriottismo euromediterraneo dovrebbe essere un timbro ben presente nella carta di identità tanto degli italiani quanto dei tedeschi.

Gli spunti dei padri fondatori dell’Unione, Spinelli, Adenauer, De Gasperi, Schuman sono stati traditi da una classe dirigente inetta e irresponsabile che ha prodotto regole uguali per Paesi ancora diversi, un’unione monetaria prima che politica, la farsa di commissari ad hoc che non si occupano delle materie per le quali sono stati nominati (non dimentichiamo l’assenza di Mogherini al vertice Merkel-Hollande-Putin a Mosca: un pugno in faccia all’Ue).

Prima di invocare gli Stati Uniti d’Europa (oggi più un’utopia che una meta reale), serve interrogarsi su quale sia la sovranità nazionale dei singoli membri del club Ue. O in che misura immaginare di ritagliare uno spazio comunitario per le singole istanze territoriali quando ad esempio il ruolo di porta mediterranea non vale all’Italia un sostegno concreto sul fronte immigrati, con l’apposito ente, il Frontex, situato illogicamente a Varsavia e non, come sarebbe più ragionevole, nel cuore del Mesogheios. Due Europe, due monete, due Stati, due bilanci? Oggi non più un rischio ma una realtà, con il vago comportamento di chi, pur sentendosi investito di galloni, poi finisce per comportarsi come il comandante Schettino abbandonando la nave e tradendo un cognome e tante idee.
Il poeta greco Giorgios Seferis, Nobel per la letteratura nel ’63, nella poesia “Rifiuto” scrisse: “Su di una spiaggia segreta bianca come una colomba morivamo di sete ma l’ acqua era salata. Sulla spiaggia dorata scrivemmo il suo nome; ma venne bella la brezza dal mare e cancellò le parole. Con quale spirito, quale animo, quale desiderio e quale passione afferrammo la nostre vite: un errore! Così cambiammo la nostre vite“.
Ecco, il cambiamento in questa Europa azzoppata non ci sarà a breve se continueranno a non esserci statisti, idee lungimiranti, atteggiamenti esemplari. Perché un buon esempio, quasi sempre, è meglio di mille leggi.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 12/5/15
Twitter: @FDepalo

mercoledì 6 maggio 2015

Grecia, l’eurobarzelletta che non fa più ridere


Delle due l’una: o hanno ragione i complottisti che vedono altre battaglie geopolitiche dietro la crisi greca, oppure i tecnici incaricati di sbrogliare la matassa dei prestiti alla Grecia dovrebbero cambiare mestiere e, così come avviene per le aziende private, pagare in prima persona per i mancati risultati ottenuti.
La marcia di avvicinamento all’ennesimo vertice che potrebbe sbloccare l’ennesimo e infruttuoso prestito della Troika, è caratterizzata da schermaglie degne del vecchio pentapartito italiano degli anni ’80. Annunci, fughe in avanti, retromarce, minacce. Mancano i punti fissi.

Il memorandum della Troika, così come dimostrato dai numeri degli ultimi anni, non solo non ha sortito gli effetti desiderati per la Grecia ma ne ha peggiorato lo stato di salute, perché l’austerità applicata senza l’affiancamento di riforme strutturali è destinata a fare solo danni. Scoprire oggi, con un nuovo governo, con nuovi nomi (il termine Troika sostituito dal Brussels group) che le casse dello Stato sono vuote e che alcuni pensionati non hanno avuto la liquidazione, sa di follia totale. Perché sono stati prestati circa 300 miliardi di euro pur sapendo che Atene non sarebbe stata in grado di restituirli? Perché nessun creditore ha chiamato in causa ex premier o ex ministri dell’economia ellenici, direttamente responsabili di politiche e decisioni che, oggi, tutti concordano nel definire errate? Perché il Qe di Draghi ha di fatto escluso la Grecia da questo gigantesco Piano Marshall per l’euromediterraneo?

Troppo comodo prendersela solo con il denaro sommerso greco, così come è sbagliato colpire il turismo per raggranellare qualche euro: l’unico settore del Paese che produce Pil a cui l’improvvisazione al comando vorrebbe imporre bancomat per le transazioni oltre i settanta euro. Sarebbe un’altra partita di giro. Davvero si pensa che allungando le trattative si possa trovare la quadra ad una falla strutturale macroscopica?
L’errore del memorandum è stato quello di voler chiudere la falla del debito con altri debiti infiniti, senza però tappare il pertugio che si è fatto voragine. I tifosi della Troika hanno sostenuto che il rischio-contagio era talmente elevato che si doveva procedere rapidamente in quella soluzione. I nemici dell’austerità di Bruxelles e Berlino replicano che il monopolio della Troika deve finire.

Oggi però c’è anche una terza via di pensiero che, pur consapevole della irrinunciabile importanza delle riforme, dei conti in ordine, di politiche organiche e non etero dirette da Bruxelles (che ha scelto regole uguali per Paesi ancora diversi), guarda al caso greco come spartiacque di un’Unione che ha scelto di non crescere, di non avere un ruolo nello scacchiere geopolitico accanto ai colossi noti e ai nuovi (i Brics). L’Europa si attarda, si contorce su se stessa e alla fine, come sulla Libia, anche sulla Grecia attende che la mossa venga fatta da altri (come l’Fmi). Mentre a volte un sincero e franco scontro lascia sì morti e feriti sul campo, ma anche decisioni che sanno di svolta e non di mesta sopravvivenza a galla: anticamera all’apnea.

Twitter: @FDepalo