mercoledì 25 marzo 2009

LA CARICA DEI 101

Dunque vediamo: prima le associazioni sindacali dei medici, poi l’organizzazione internazionale Medici Senza Frontiere, ora anche un gruppo di deputati del Pdl, circa un terzo dell’intera assise. Tutti con il dito alzato, chiedono al Governo di fermarsi e riflettere con serenità su quel decreto che riguarda non solo la sicurezza, ma anche la dignità degli immigrati stessi. Se attorno a questo tema si è sviluppata una dinamica così intensa, significa che, oltre a non esserci condivisione con le norme in questione, vi è l’esigenza di parlarne, in poche parole c’è voglia di dialettica, come ha dichiarato Fiamma Nirenstein, “perché un partito forte su questi temi deve discutere”.
La lettera con la quale 101 deputati chiedono al premier di non porre la fiducia sul ddl sicurezza, all’interno del quale figurano le due note dolenti (la possibilità per i medici di denunciare gli immigrati irregolari, e il rischio di non poter iscrivere i figli degli immigrati all’anagrafe), rappresenta l’esigenza forte di dialogo su questioni che investono anche la maturazione di un partito che aspira a rappresentare la maggioranza del Paese. Il fatto che qualcuno consideri quella lettera “figlia di manovre interne in vista del congresso del Pdl” evidenzia una mancata consapevolezza delle aspettative di una classe dirigente che punta non alla delegittimazione o alla confusione normativa dettata da questa o quell’altra esigenza, ma alla condivisione dei percorsi attraverso i quali si giunge ad un risultato. Non si tratta tanto di ammorbidire il testo o di fare passi indietro, il punto è di riflettere attentamente sulle reali portate di quel provvedimento, tenendo conto dei malumori fino ad oggi provocati e prevedendo le conseguenze sociali e politiche di una sua eventuale approvazione anche alla Camera.
Certo, un Governo è chiamato a votare e a fare leggi, ma senza perdere di vista la contingenza quotidiana, senza farsi avvolgere da retroscena assurdi, senza necessariamente vederci chissà quale disegno dietro la semplice volontà di analizzare il terreno prima e legiferare, con lungimiranza ed efficacia, poi. Sarebbe il caso di valutare che lo strumento legislativo, originariamente strutturato per definire una mappatura dell’immigrazione clandestina, al contrario rischia di perdere di vista gli obiettivi prefigurati. I medici curano, non segnalano. E voler invertire l’ordine delle cose, beh non promuove certo la crescita del senso delle istituzioni che ogni cittadino ( ed anche ogni suo rappresentante in Parlamento) dovrebbe avere. Analizzare con cognizione di causa il problema dell’immigrazione clandestina prevede che lo si faccia con attenzione ed intelligenza, snocciolando scrupolosamente cause ed effetti, producendo norme che impongano sì il rispetto della legge ma anche della persona e della dignità umana. Non rendendosi promotori di azioni che hanno il rischio concreto di innescare caotiche reazioni e quindi ulteriori danni alla collettività.
Deve essere chiaro che i medici curano, non segnalano. E voler invertire l’ordine delle cose non promuove certo la crescita del senso delle istituzioni che ogni cittadino, oltre che ogni suo rappresentante in Parlamento, dovrebbe avere e custodire gelosamente.

martedì 24 marzo 2009

La salute degli immigrati, interesse collettivo

da FFwebmagazine del 24/03/09

Aveva timore di essere segnalata alle forze dell’ordine? Il passo successivo sarebbe stata l’espulsione dal territorio italiano. Joy Johnson, 24enne prostituta nigeriana, è morta a Bari per tubercolosi. Il suo arrivo nel Cara (Centro di accoglienza richiedenti asilo) di Palese, da Lampedusa, risale al novembre scorso: era risultata positiva durante un controllo poche settimane prima del decesso, ma la sua fuga ha impedito di approfondire la diagnosi e quindi di procedere alle cure. Il medico legale ha parlato di morte per tubercolosi bilaterale cavernosa, una forma molto avanzata della malattia con altissime percentuali di contagio.

È questa al momento la maggiore preoccupazione: nello specifico, il caso barese porta con sé strascichi non indifferenti, dal momento che una funzionaria della Prefettura di Bari che in passato era entrata in contatto con la prostituta, sarebbe risultata positiva ai primi test di tbc. Da un vertice in Prefettura sono emersi alcuni numeri: in città vi sono 144 immigrati che “sfuggono” ai test per la tbc, in quanto di giorno si muovono liberamente per le strade del capoluogo pugliese, di sera fanno rientro nel Cara. Al suo interno vi sono quasi mille immigrati, circa l’80% è stato monitorato e la metà è risultato non negativo all’esame “mantoux”. Per loro si profila un approfondimento di analisi ma già due sarebbero stati ricoverati e posti in quarantena. Lecito chiedersi: e quelli sfuggiti? Quali rischi corrono gli operatori sanitari e le forze dell’ordine?

Le perplessità sono state espresse anche dal segretario provinciale del Siulp di Bari, Innocente Carbone, in una missiva indirizzata all’Osservatorio nazionale per la sicurezza dei luoghi di lavoro, oltre che al ministro dell’Interno Maroni, nella quale si chiede quali misure igieniche siano state approntate per prevenire e ridurre l’eventuale propagazione dell’agente biologico, e quali direttive di sicurezza siano state impartite a quei lavoratori impegnati in aree a rischio contagio. Dai medici è stato inoltre lanciato un appello ai clienti della giovane nigeriana: chi fosse entrato in contatto direttamente o indirettamente con lei dovrebbe rivolgersi ad un presidio sanitario e sottoporsi al test.

«Tutelare la salute degli immigrati significa tutelare anche quella della collettività, dei cittadini e delle forze dell’ordine, - riflette l’esponente del Siulp- senza dimenticare un altro fattore di rischio. All’interno del centro polifunzionale di Bari-San Paolo vi è un presidio della commissione che rilascia i visti, adibito all’interno di un locale dove stazionano immigrati dei quali non si conosce ancora nulla, che utilizzano i medesimi servizi igienici. Forse sarebbe il caso di evitare la moltiplicazione del rischio di contagio». E ancora, le prostitute che, una volta accompagnate in Questura per le verifiche del caso, stazionano negli stessi ambienti (stanze e toilette) degli agenti possono essere fonte di contagio? Un’altra soluzione potrebbe essere quella di prevedere uno screening medico prima di un qualsiasi contatto degli immigrati con altre realtà fuori dal centro accoglienza.

Ristrutturare ragionevolmente e a mente lucida la tematica dell’immigrazione clandestina deve essere una priorità, con l’auspicio che la si affronti oltre che con responsabilità ed efficacia, anche alla luce dei numeri: secondo l’Istat (dati del gennaio 2008) i cittadini stranieri residenti nel nostro paese sono quasi tre milioni e mezzo, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente, un risultato mai registrato in Italia.
«Posso anche iniziare a pensare – aggiunge Carbone- che la nigeriana morta a Bari avesse sentore che il ddl sicurezza, all’interno del quale un emendamento prevedeva la possibilità per i medici di segnalare gli immigrati clandestini, fosse già legge. Se così fosse, i casi come quello della giovane nigeriana potrebbero ripetersi, se non si pensasse ad una campagna informativa che tranquillizzi gli immigrati».
Ma indipendentemente dalle vicende burocratiche c’è un fatto che va riportato: gli immigrati hanno paura. Paura di una deriva xenofoba, paura di curarsi, paura di convivere con leggi che innescano caos ed una situazione di oggettiva confusione.

Come ha ricordato il presidente Fini nel suo discorso alla Fiera di Roma, il Pdl deve essere un partito che mette in cima alle sue priorità la dignità della persona: ne consegue che anche la cura degli immigrati deve essere un compito dello Stato. E lo Stato lo deve fare con politiche mirate alla salvaguardia del diritto e della sicurezza di tutti i cittadini. Proprio tutti.

mercoledì 18 marzo 2009

MEDICI E SICUREZZA: ASCOLTIAMONE LE RAGIONI

Da Ffwebmagazine dell'11/03/09

Si dicono pronti a ricorrere alla Corte di giustizia europea, nella consapevolezza che il ddl in questione è contrario alle più elementari forme di diritto e tradisce il giuramento di Ippocrate. Loro sono alcune delle sigle sindacali dei medici italiani (Anaoo Assomed, Cimo Asmd, Aaroi, Fp Cgil medici, Fvm, Federazione Cisl medici, Fassid, Fesmed e Federazione medici Uil Fpl) e il vulnus riguarda la norma che prevede la possibilità per un medico di denunciare un malato immigrato clandestino. Possiamo permetterci il lusso di non ascoltare queste argomentazioni? Può il Parlamento procedere su una materia specifica tralasciando le istanze di coloro che con quel tema si confrontano quotidianamente?

Il ddl sulla sicurezza, e per la precisione un emendamento avanzato dalla Lega Nord, cassa l’art. 5 del decreto 25 luglio 1998 secondo cui «l'accesso alle strutture sanitarie da parte di uno straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità», introducendo la possibilità di denuncia alle autorità di pubblica sicurezza. È utile ricordare che il suddetto decreto, nella versione antecedente alla proposta di riforma, aveva consentito a molti immigrati affetti da varie patologie di potersi avvicinare con fiducia ai medici, ottenendo cure e benefici secondo i principi contenuti nel codice deontologico. Senza contare le reali azioni di controllo sul territorio di numerose patologie infettive, attraverso un’azione di prevenzione.

Tutto questo potrebbe essere messo in forse da una norma che avrebbe, come conseguenza immediata, il blocco psicologico dei pazienti immigrati, che per timore di essere denunciati non si rivolgerebbero più alle strutture sanitarie, con grande danno alla propria salute e anche a quella della comunità, con un alto rischio di contagio. Inoltre, i singoli medici non sarebbero più solo incaricati a fare diagnosi, ma si trasformerebbero in vere e proprie spie al servizio delle autorità di pubblica sicurezza perché interpreti di un’attività non prevista né dal contratto di lavoro con il Ssn, né da norme contenute nel codice deontologico.

Il decreto, approvato dal Senato, è ora in attesa di essere vagliato dalla Camera dove i medici contano di far sentire le proprie ragioni. Ascoltare le posizioni specifiche e in seguito concertare una soluzione, potrebbe essere una forma di intelligente convivenza tra istanze concrete e pericolosi scenari che potrebbero aprirsi (anzi, che si sono già semi aperti) se il ddl vedesse la luce anche a Montecitorio.

QUEL CIMITERO PUO’AIUTARE L’INTEGRAZIONE

Da FFwebmagazine del 16/o3/09



Un cimitero islamico in territorio italiano, edificato da un sindaco di An, per dare un segno preciso alla comunità (locale e nazionale): piccoli grandi interventi che hanno l’effetto di allietare rapporti e interscambi, semplicemente favorendo la vita comune, in tutti i sensi.
In provincia di Bari, a Gioia del Colle, il sindaco di An Piero Longo ha da pochi mesi fatto realizzare un cimitero islamico, rispettando i dettami della religione musulmana, con la proiezione della testa del defunto verso sud-est, guardando idealmente verso la Mecca. Un gesto di distensione, che si somma a due altri provvedimenti del Comune: la creazione di uno sportello informativo destinato all’alfabetizzazione e al rinforzo scolastico per immigrati e l’istituzione di una mensa scolastica che tenga conto dei differenti credi religiosi.
“Quando l’imam Jakil mi invitò alla cerimonia di inizio del Ramadan- racconta il sindaco Piero Longo- gli proposi subito di riservare un’area del cimitero cristiano cittadino ad ospitare questa iniziativa, dal momento che integrarsi è più facile di quanto si possa immaginare. In quell’occasione si è attivata un’intensa fase progettuale con la collaborazione dell’assessorato regionale al Mediterraneo, con visite guidate alla moschea ed al cimitero da parte di scolaresche provenienti anche da altre regioni d’Italia”.
Basta poco per strappare un sorriso e un “grazie di cuore” ad una comunità che già da venti anni dispone qui di una moschea, è sufficiente un’azione ragionata e spontanea per dimostrare all’imam di Gioia del Colle, Sacini Abdel Jakil, che la volontà di armonizzare esigenze e attitudini rappresenta la reale intenzione di porre le basi affinché diverse anime trovino un punto di incontro.
“Dal momento che li accogliamo da vivi, non vedo perché non dovremmo farlo una volta passati a miglior vita- scandisce don Nicola Bux, teologo, liturgista e consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede- si tratta di un’occasione, per chi se ne fa promotore, di pensare ad un multiculturalismo che finalmente non sia fine a se stesso, ma figlio di una logica di tolleranza e di rispetto. Se oltre al cimitero per i musulmani iniziassimo anche a prevedere per loro alcune abitazioni, faremmo un altro grande passo in avanti”.
Dare la possibilità ad altri credi religiosi di poter seppellire i defunti secondo i propri canoni è quindi un atto di rispetto verso il prossimo e di intelligenza verso un dato oggettivo: in Italia il numero dei musulmani è in costante crescita, quindi parallelamente sono in aumento anche le rispettive esigenze specifiche. E a nulla serve trincerarsi dietro presunte valutazioni ideologiche strumentali, che non servono ad altro se non ad alimentare polemiche sterili e inutili dietrologie.
“Credo rappresenti una vera innovazione- aggiunge l’eurodeputato pugliese Salvatore Tatarella- perché risolve il problema reale di una comunità, e a farlo è proprio il Comune che deve amministrare per l’intera popolazione”.
La vita in condivisione e le differenti percezioni possono paradossalmente diventare un veicolo di comunione, al pari della cultura, altra occasione per apprendere tradizioni lontane nel tempo, ma nelle quali ritrovare gesti ed origini familiari.
Si pensi al Festival del cous cous di San Vito Lo Capo (Trapani), o a quello interetnico musicale Soul Makossa di Bari, a base di suoni africani (rumba congolese, ziglibiti ivoriano, bikoutsi camerunese, canti betè e canti pigmei), passando per il Festival interculturale di Legnago (Vr) e per quello di musica etnica di Monte Porzio Catone.
Nella Puglia terra di frontiera, in quel molo naturale messo lì nel Mediterraneo, la parola integrazione è parte della storia. Greci, romani, saraceni, svevi, aragonesi, turchi sono transitati da queste coste e su queste terre, lasciando pezzi di culture, integrate fra loro per arrivare ai giorni nostri. Come la tour Eiffel nel 1889 divenne il simbolo del positivismo e del progresso di un Paese, così questo cimitero vuole essere l’inizio di una nuova frontiera nei rapporti con i flussi migratori.
Una goccia in un mare nel quale la navigazione in comune è possibile.

lunedì 2 marzo 2009

Il bipolarismo che non c'è

Da FF Web Magazine del 02/03/2009

Manca meno di un mese alla nascita ufficiale del Pdl, dove tutto sembra pronto tra statuti e mozioni di scioglimento. Dall’altro versante il Pd, tra mille peripezie, ha già sede e gruppi unici, ma il dato nazionale che vede il bipolarismo come funzionale e innovativa strada politica da percorrere, fa fatica ad essere metabolizzato in alcune realtà locali, dove addirittura vi sono gruppi con partiti che non esistono più e dove la galassia di partiti del centrosinistra risulta ancor più frammentata.

Nel Consiglio Regionale della Puglia accade questo e altro, con Ds e Margherita ancora vivi e vegeti, con ben venti gruppi consiliari all’attivo, ma che potrebbero diventare ventuno se il governatore Niki Vendola decidesse di fondare il gruppo del movimento che ha da poco creato. Alla faccia della modernizzazione e dello snellimento partitico. Ma non finisce qui, perché andando a spulciare tra i dati ufficiali non mancano gli spunti veramente originali. Nonostante tra dodici mesi si svolgeranno le elezioni regionali, i cambi di capogruppo e i rimpastini sono all’ordine del giorno.

Per dirne una, Alberto Tedesco, ex assessore democratico alla Sanità pugliese dimessosi da poco perché iscritto nel registro degli indagati, è diventato capogruppo dei Socialisti autonomisti, anche se proprio il Pd non compare ufficialmente all'interno del portale internet del Consiglio e non è una boutade. Al momento nel centrosinistra permangono i gruppi che esistevano al tempo delle elezioni, con Ds e Margherita su tutti. L’attuale capogruppo dei Ds è candidato dall’Udc alla Provincia di Lecce; Rifondazione ha tre consiglieri ma uno forse è in procinto di passare con il Movimento per la sinistra di Vendola; l’Adc di Pionati non ha un solo rappresentante ed è già in cerca di apparentamenti, ma è il partito dei singoli consiglieri a destare interesse o scalpore. E sì, perché vi sono ben sette gruppi composti da un solo membro (Verdi, Nuovo Psi, Psdi, Idv, Gruppo per le autonomie, Indipendenti Mpa e Sinistra democratica) e cinque gruppi composti da due consiglieri (Udc, Udeur, Socialisti autonomisti, Comunisti italiani, Primavera pugliese). Senza dimenticare i tre componenti di Gruppo misto e Sdi Unità Socialisti Puglia.

Insomma non ci si fa mancare proprio nulla ed il riferimento, come è ovvio, non può essere soltanto a uffici, pc, autisti e quant’altro del genere verrebbe in mente ad un qualsiasi cittadino ma anche, a questo punto, al valzer di alleanze e strategie che di volta in volta si presentano in occasione di leggi, iniziative, delibere.
Certo, non bisogna dimenticare che ad oggi il governatore pugliese è espressione di un partito che non lo ha voluto, nel senso che Rifondazione è guidata da Ferrero il quale ha sottratto la segreteria proprio a Vendola, e quest’ultimo qualche settimana fa ha dato vita al Movimento per la sinistra, altra formazione all’interno di quei partiti che non hanno un seggio in Parlamento.

Ma peggio della Puglia hanno fatto, udite udite il Veneto, con dieci gruppi formati da un solo consigliere regionale, la Lombardia, la Basilicata ed il Molise con otto. Anche in quest’ultima regione permangono Ds e Margherita, nonostante il discorso del Lingotto, le elezioni del 2008 ed il cambio della guardia Veltroni- Franceschini. Una situazione un tantino anacronistica. La regione più virtuosa è la Valle d’Aosta, con nessun gruppo composto da un solo consigliere, al pari di Campania, Sardegna e Sicilia. Ma purtroppo la terra di Sciascia rappresenta un caso a sé, con l’Ars (Assemblea regionale siciliana) che in pratica, per spese ed organizzazione, assomiglia più ad un’assise internazionale che ad altro con sedi a Roma, Bruxelles e Catania. Il quadro d’insieme risulta un po’ complesso agli occhi degli osservatori stranieri che sovente ci guardano con sarcasmo e anche con sdegno. Passi la rappresentanza delle identità, ma allorquando la sintesi diventa un trend nazionale all’avanguardia, in seguito nelle periferie locali i meccanismi organizzativi dovrebbero essere maggiormente sincronizzati.

E qui entrano in gioco i regolamenti che a questo punto meriterebbero di essere più restrittivi, al fine di dotare le assemblee regionali di funzionamenti più snelli ed efficienti, con un cospicuo risparmio di danari pubblici. Insomma, le lancette dell’orologio politico sembrano essersi fermate in alcune realtà locali dove capita, soprattutto a sinistra, che la sovraesposizione sia un vero deterrente alla modernizzazione della partitocrazia in senso bipolare.