lunedì 19 dicembre 2016

Scuola tedesca di Istanbul, vietati i canti di Natale



Mentre in Germania il Bundesrat propone di insegnare l'arabo nelle scuole come materia fissa, dall'altro lato dell'Europa a Istanbul in una scuola tedesca si fa divieto di cantare e diffondere la tradizione del Natale.
Il tragico corto circuito tra politica e libertà individuali sul Bosforo si arricchisce dell'ennesima puntata, ma questa volta in casa d'altri. Per la prima volta in assoluto le autorità turche hanno vietato di insegnare le tradizioni natalizie non in una moschea o in un istituto locale, bensì in una scuola tedesca a Istanbul. La prescrizione è contenuta in una e-mail indirizzata al capo del Dipartimento tedesco del Liceo.
La partecipazione del coro della scuola presso il tradizionale concerto di Natale che si tiene nel Consolato Generale tedesco è stata bloccata dalla direzione della scuola. Attualmente ci sono 80 insegnanti di tedesco nei licei di Istanbul e sono pagati con le tasse nazionali, il che equivale a un sostegno finanziario annuo pari a milioni di euro da parte della Repubblica Federale. La scuola in questione, tradizionalmente di elite, è frequentata esclusivamente da studenti turchi, ed è una scuola tedesca riconosciuta all'estero. Vietare i canti di Natale in istituti come questo è un altro passo che il governo targato Recep Tayyip Erdogan sta compiendo per imporre, tout court, una linea conservatrice islamica anche nelle scuole d'elite della Turchia, dove si forma la futura classe dirigente che invece Erdogan ha paura che possa essere «contaminata».
Troppo forte la tentazione del Presidente di investire nell'ultra proselitismo anche a scuola, ma questa volta c'è stata una palese violazione degli accordi bilaterali culturali, nei quali è espressamente previsto che la Germania fornisca insegnanti tedeschi per le proprie scuole d'élite in Turchia. La promozione della cultura tedesca (Natale incluso), quindi, è la parte più significativa dell'accordo. Ma pare che sorprendentemente a Berlino nessuno intenda dolersene, perché ora la scuola dal proprio sito web con un comunicato nega che il consiglio d'istituto turco abbia prescritto un divieto e sostiene che gli insegnanti tedeschi avrebbero «trattato il Natale e il cristianesimo in un modo che non rientra nel programma di studi concordati». La solita marcia indietro di Merkel spaventata dai ricatti di Erdogan?
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martedì 29 novembre 2016

Si prepara l'invasione turca Scafisti a caccia di barconi


Prima le minacce, mai velate. Poi le prime avvisaglie e adesso le azioni immortalate dai droni dei servizi. 

Secondo un report dell'intelligence greca, in Turchia i trafficanti di migranti stanno facendo incetta di barche, gommoni e motori fuori bordo. Verranno verosimilmente utilizzati, nelle prossime settimane, per far transitare i tre milioni di migranti che Erdogan ha già annunciato di voler rispedire in occidente. Il rischio è che ciò possa avvenire al ritmo di tremila persone al giorno, con conseguenze drammatiche per quei paesi che sul Mediterraneo si affacciano, ovvero Grecia e Italia.
La notizia ha messo in allarme il ministero della Difesa di Atene, già alle prese con i quotidiani sconfinamenti aerei degli F16 di Ankara, anche perché non si tratterebbe di un gesto isolato dei trafficanti che, proprio sulle coste occidentali turche, hanno la base logistica da cui gestiscono le partenze, bensì della «naturale» evoluzione delle intenzioni di Erdogan. I natanti in queste ultime due settimane sarebbero stati allineati sulle coste e pronti a essere attrezzati per i ricchi viaggi.
Giovedì scorso, dopo la risoluzione del Parlamento europeo sul congelamento dei negoziati di adesione della Turchia, era stato il primo ministro Binali Yildirim ad avvertire i 28 che «siamo uno dei fattori che proteggono l'Europa e se i rifugiati attraversano i nostri confini, allora invaderanno l'Europa». Ora il rischio di una «tempesta perfetta» con rubinetti di migranti aperti dalla Turchia verso le isole dell'Egeo orientale, e con la moltiplicazione di altre Idomeni, ha tolto il sonno al governo di Atene, già alle prese con il nodo debito, che ha interpellato addirittura il Pentagono per decifrare i possibili rischi nel breve periodo. 
Le minacce di Erdogan questa volta non si sono limitate ai diritti in patria o ai reiterati annunci di voler trasformare Santa Sofia in moschea, ma hanno toccato anche capisaldi legislativi come il Trattato di Losanna sulla definizione dei confini nel mar Egeo che il presidente turco contesta, suscitando il panico tra gli isolani ellenici, al pari delle aziende legate al gas che speravano in una riunificazione di Cipro, su cui Ankara con pretese assurde ha di fatto messo il veto. La Grecia, è il messaggio che Atene ha inviato a Washington, corre seriamente il rischio di rimanere intrappolata, sia perché il costone balcanico è chiuso già a doppia mandata da Albania e Macedonia, sia perché il governo fatica a gestire i 50mila immigranti presenti oggi, figurarsi un'eventuale ulteriore ondata anomala. E l'Italia sarebbe coinvolta direttamente da questa mossa.
Chi non resta con le mani in mano sono i componenti del consiglio comunale dell'isola di Chios. Per una volta maggioranza e opposizione si sono compattati perché la strategia dell'esecutivo ha già azzoppato l'unica entrata dell'isola, ovvero il turismo. Il governo Tsipras avrebbe voluto creare un hotspot più grande, ma ancora senza interpellare gli amministratori locali. E non si placa la tensione nel paese, con un altro incendio scoppiato all'interno del centro di accoglienza migranti di Nea Kavala, nel comune di Kilkis: nessun ferito ma la consapevolezza che la situazione è davvero ingestibile anche per chi, come Tsipras, sconta dure critiche da chi lo ha rivotato un anno fa. Le elezioni anticipate a febbraio 2017 sono più che un'opzione: non solo i conservatori di Nea Dimokratia dati in testa, ma Alba dorata che sfonda quota 10% e insidia Syriza al secondo posto, crollata al 13%.
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Evasione fiscale, le banche greche propongono una tassa sui prelievi bancomat per disincentivare il contante


Le banche greche chiedono al governo Tsipras di tassare ogni prelievo bancomat con la motivazione di voler così ridurre l’evasione fiscale ancora altissima nel Paese. Nell’auspicio dei proponenti, la misura dovrebbe scoraggiare le compravendite in contanti, che sarebbero direttamente proporzionali all’economia sommersa. Inoltre gli istituti di credito chiedono al governo Syriza-Anel, impegnato in queste ore nei colloqui con il commissario europeo alle Finanze, Pierre Moscovici in visita ad Atene, che introduca l’obbligo di utilizzo di carta di credito per quelle libere professioni finite nell’occhio del ciclone per l’alto tasso di evasione. Sino allo scorso anno le mancate entrate per l’erario ellenico ammontavano a circa un miliardo di euro al mese, motivo che ha fatto traballare più volte l’accordo con i creditori internazionali, su cui ad esempio l’ex ministro Yanis Varoufakis aveva proposto che casalinghe e studenti si trasformassero in agenti in borghese dell’agenzie delle entrate.
Inoltre c’è sul tavolo la proposta dei rappresentanti delle banche che, non solo le carte di credito o di debito, ma anche altri vettori di pagamento telematici, vengano utilizzati di routine per piccoli pagamenti. Si tratta di una strategia messa in piedi dagli istituti finanziari ellenici per colpire il macrodato dal sommerso, che secondo le ultime valutazioni ammonta a circa 40 miliardi di euro all’anno, che per un Paese di poco più di 10 milioni di abitanti è moltissimo, anche perché incide sulle perdite sui proventi da tassazione per 15 miliardi di euro all’anno: un dato che non si è affievolito in questi anni di crisi, mentre invece altri indicatori hanno subito un calo, come il numero delle imprese fallite, nel 2015 diminuito del 40% rispetto ai dodici mesi precedenti. Nello specifico in Grecia si è passati da 330 fallimenti del 2014 ai 189 dell’anno scorso: un passaggio significativo se si considera che nel triennio maledetto (2011-2014) i numeri erano ben altri (445, 415, 392). Si tratta di dati aziendali forniti dalla Federazione dell’attività Information Services con la partecipazione ICAP, che non contemplano i fallimenti di persone fisiche. Secondo Fani Drakopoulou, Direttore di Information Business & rating di ICAP Group SA, anche se in Grecia c’è stato un calo significativo del numero di fallimenti formali (-42,7%), questo non è dovuto ad alcun miglioramento del clima economico ma al fatto che molte aziende non pagano i loro debitori a causa delle lunghe procedure, della burocrazia e dei costi elevati connessi al quadro giuridico esistente in Grecia. Senza contare che un gran numero di piccole imprese e liberi professionisti a causa della crisi economica hanno portato la propria azienda alla cessazione del lavoro, senza fallimento.
Tornando alle banche greche, secondo fonti interne sarebbero state stimolate dalla troika, per attuare una precondizione affinché l’Eurogruppo del prossimo 5 dicembre sia davvero disponibile ad un accordo sul debito greco. La visita di Moscovici lunedì ad Atene sarebbe da leggere proprio in questo contesto, anche se restano importanti divergenze nella stessa troika: come il pacchetto di misure di attuazione immediata (il cosiddetto breve termine) che ha generato un deterioramento del debito a valori correnti del 20%, ragione che sta spingendo il Fondo Monetario a pensare realisticamente ad un allungamento extra del debito a oltre 50 anni. In assenza di un accordo sul si fanno insistenti le voci che vogliono elezioni anticipate nei primi mesi del 2017.

giovedì 3 novembre 2016

Grecia, 10mila in piazza contro i tagli delle pensioni: fondi decurtati del 50%


Pensionati che bruciano le lettere con cui il governo annuncia nuovi tagli, uno sciopero generale proclamato per il prossimo 8 dicembre e la sensazione che questa volta una pensione da 34 euro sia davvero troppo poco per chi da sei anni combatte con nuove tasse e prestiti infiniti.
Mentre a giorni sono attesi gli emissari della troika per ridisegnare strategie e analisi sui (mancati?) progressi ellenici, i pensionati greci scendono di nuovo in piazza Syntagma, per protestare contro la riforma Katrugalos che ridefinisce in toto il sistema ellenico del welfare e, quindi, anche l’entità degli assegni mensili. Diecimila pensionati si sono ritrovati nel centro della capitale greca in quella piazza simbolo di crisi e di scioperiper bruciare le lettere con cui il ministro del lavoro Katrugalos, padre della riforma sponsorizzata dalla troika, annuncia il taglio dei contributi previdenziali in busta.

Circa 250mila persone sono toccate da questo nuovo taglio, dopo aver subito altre tre sforbiciate dall’inizio della crisi ad oggi, e con migliaia di pensionati che dopo due anni dalla cessazionedell’attività lavorativa non hanno ancora ricevuto la liquidazione, che presumibilmente sarà come minimo decurtata del 30%. Alla testa dei manifestanti c’è il combattivo presidente della Federazione dei pensionati, Koubouris, incredulo davanti all’ipotesi che un governo di sinistra possa tagliare le pensioni.
Prima di incitare la folla a bruciare le lettere dice al megafono che le pensioni integrative sono diminuite già dell’ 82%, mentre quelle principali del 45%, senza contare che tredicesime e quattordicesime sono ormai abolite. Di contro aumentano senza sosta le spese dei cittadini per servizi essenziali come spesa sociale, salute, prodotti farmaceutici, esami specialistici. Per 250mila beneficiari le riduzioni contenute nella riforma Katrugalos (che pare però non siano ancora sufficienti alla troika) sono in vigore dal giugno scorso.
Tagli che in alcuni fondi hanno raggiunto e superato il 50%. L’assurdo è che ad esempio riguardo all’Eteam, un fondo complementare, dopo il ricalcolo alcuni pensionatipercepiscono un assegno di 144,68 euro anziché 511,20. Ma quei 144 euro a causa dei prelievi una tantum o di conteggi su arretrati e conguagli, scendono ulteriormente a 71,50 euro. E non è tutto, perché sui media ellenici troneggia il caso di un pensionato che prende solo 34,75 euro.
La marcia di protesta, seppur pacifica, si è conclusa con il falòsimbolico delle lettere fin sotto la sede del ministero del lavoro, con la richiesta avanzata al gabinetto del ministro di un incontro chiarificatore anche di pochi minuti, che però è stato negato dall’esponente di Syriza. Tra l’altro nello stesso dicastero, delicatissimo perché destinatario del 90% delle riforme, al massimo entro la prossima settimana i creditori internazionali torneranno per verificare se i requisiti richiesti ad Atene siano stati rispettati dal governo, che deve subire anche l’attacco delle opposizioni, che invocano a gran voce nuove elezioni per l’inizio del 2017.
Uno scenario su cui si abbatte l’ambigua previsione della Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) relativa al tasso di crescita dell’economia greca nella seconda metà del 2016: sarà probabilmente positivo. Per il 2017 il report della Bers prevede che il ritmo del Pil greco raggiungerà il 2%. Un segnale incoraggiante di quest’anno è il positivo contributo degli investimenti fissi alla crescita, osserva la Banca, mentre gli altri componenti dei conti nazionali come i consumi privati, quelli pubblici e le esportazioni nette, fanno segnare nuovamente un picco verso il basso.
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sabato 15 ottobre 2016

Grecia, lo Stato vende 4 licenze tv per 250 milioni. Agli stessi oligarchi che il premier Tsipras prometteva di combattere


Dopo 27 anni di assegnazione discrezionale e clientelare da parte del Parlamento a pochi oligarchi, la Grecia si è dotata di una legge che stabilisce con un’asta chi acquista le frequenze televisive private. Ma se da un lato lo Stato incassa poco meno di 250 milioni di euro, una goccia nel mare di debiti ellenici, dall’altro il governo Tsipras, di fatto come un gioco dell’oca, fa tornare in partita gli stessi oligarchi che hanno fatto per quarant’anni il bello e il cattivo tempo in Grecia. La differenza sta nel fatto che fino a ieri decidevano i partiti nel chiuso del Parlamento a chi dare le frequenze e quanto corrispondere allo Stato (in alcuni casi anche un canone annuo irrisorio da 16mila euro). Ora c’è stata un’asta formale, ma i vincitori come sono praticamente gli stessi.
Per 246 milioni di euro lo Stato greco ha ceduto un totale di quattro licenze televisive, aggiudicate in un primo momento da Skai, Antenna, Yiannis Kalogritsas (subito escluso) e Vangelis Marinakis. Un prezzo inaspettatamente elevato, hanno detto dal governo, che ha superato tutte le aspettative e migliorato i ricavi per le esangui casse dello Stato, a completo digiuno di concorrenza e libero mercato. Nel dettaglio Skai ha pagato 43,6 milioni di euro; Ant1 75,9; Marinakis 73,9 milioni e Kalogritsas 52,6.

Quest’ultimo però è stato escluso pur essendo vicinissimo al premier greco, perché le autorità fiscali hanno messo sotto il microscopio il suo impero e hanno scoperto che la Attika Bankgli ha corrisposto nei due anni della grande crisi economica ellenica ben 127 milioni a tassi di interesse super agevolati. Tanto che l’attuale governatore della Banca di Grecia, Iannis Stournaras, ha dichiarato ieri sulla stampa greca che Kalogritsas “era trattato come il signor Microsoft” per dipingere il quadro clientelare a suo favore praticato dall’istituto. Ora le frequenze che si era accaparrato sono sotto la lente d’ingrandimento della Consulta, che deciderà se lasciarle vacanti o meno. E l’incasso dello Stato si assottiglia a 193,4 milioni.
E così mentre Tsipras in occasione della sua vittoria elettorale aveva annunciato una crociata contro armatori ed editori, colpevoli di aver zavorrato la Grecia, oggi all’indomani della riforma tv assiste alla vittoria dei soliti colossi. Skai rientra nel gruppo appartenente a Aristides Alafouzos, armatore e vero principe del paese da sessant’anni. E’stato il primo ad usare il business degli olii combustibili per diversificare i guadagni. Ha sei compagnie di navigazione (sotto l’egida della società Argonautis che opera con le controllate Shell Sea, Sea Pearl Enterprises, Zenith Maritime, Corporation Bigael, Kyklades Marittime) una grande flotta mercantile, una società di costruzioni.
Il primo affare diverso dal petrolio lo fa appunto inglobando l’emittente televisiva Skai, che ha in pancia un canale all news, una radio, una casa editrice, oltre a quotidiani e periodici. Di Alafouzos è anche il quotidiano Kathimerinì, il primo in Grecia a dotarsi di una versione online in lingua inglese, oltre ad una piattaforma radiofonica con le stazioni Melody e RED 96,3. Nel 2009 ha ottenuto un’onorificenza molto rara per un cittadino occidentale: l’imperatore del Giappone Akihito lo ha insignito della Medaglia dell’Ordine del Sol Levante. Ma nel suo curriculum ecco la discutibile partnership con l’imprenditore Vangelis Marinakis, proprietario della squadra di calcio dell’Olympiacos Pireo, per via del business delle scommesse sportive Bwin.
L’altro vincitore delle frequenze è appunto la nuova società di trasmissione Alter Ego, che altro non è che il vestito nuovo del magnate e armatore Marinakis. E’ stato il principale sponsor di Tsipras nella regione dell’Attica, dove ha fatto eleggere sindaco al Pireo il vicepresidente dell’Olympiakos, Vaghelis Moralis, e fatto vincere la governatrice Rena Dourou, fedelissima del premier. Tra l’altro Marinakis è pluriaccusato di contrabbandodi carburante e lo scorso anno in Grecia all’interno di una delle sue petroliere è stato rinvenuto il più grande quantitativo di eroina mai sequestrato nel Paese. Il processo però non può proseguire: capitano della nave ed equipaggio, principali testimoni, sono stati trovati morti.
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lunedì 12 settembre 2016

Grecia, emergenza in 50 ospedali. In quello di Salonicco l’unica entrata sono le offerte alla Madonna


Gravi carenze di personale, strutture e attrezzature. Guanti e cannule sono contati e si risparmiano per i casi più gravi. In Grecia sono 50 gli ospedali inseriti nella black list del Sindacato dei lavoratori ospedalieri pubblici Poedin. Dove ormai manca di tutto.
Si va dalla chiusura delle sale operatorie di Patrasso al nosocomio di Lefkada dove i pazienti portano le lenzuola da casa; a Creta solo il 52% dei posti sono coperti da medici e paramedici.
Nelle isole dell’Egeo va peggio: all’ospedale di Naxos ci sono straordinari e ferie non pagati dal 2015, mentre nell’ospedale di Kos manca il farmacista quindi la farmacia non è utilizzabile.
Nell’ospedale psichiatrico dell’Attica i medici e il personale sono in numero talmente basso che si stanno verificando frequenti casi in cui i pazienti affetti da disturbi mentali aggrediscono gli infermieri o i pazienti. Inoltre in tutto il paese non viene effettuata la manutenzione ai macchinari per gli esami. Dalle tac alle radiografie, passando per gastroscopie e colonscopie. Con il risultato che il 40% delle attrezzature sono rotte o in attesa di un ricambio che non arriva.

Salonicco l’ospedale da un anno è praticamente senza fondi pubblici, perché lo Stato (tramite l’ente Eopyy) deve corrispondergli circa 200 milioni e ad oggi l’unica entrata “sicura” sono le offerte che i pazienti e i loro famigliari lasciano per le candele e i ceri che si accendono alla statua della Madonnapresente nella struttura. Motivo per cui il 9 settembre a Salonicco il sindacato Poedin ha promosso un corteo di protesta. Il presidente, Mikalis Giannakos, mette l’accento sul finanziamento delle strutture ospedaliere, che il governo ha fatto scendere al di sotto del 6% del pil – come imposto dal secondo memorandum della troika – raggiungendo il 5% . “Il che rende impossibile operare”. Ci sono 200 posti letto in unità di terapia intensiva inutilizzabili oltre a 40 pazienti che devono attendere come minimo cinque giorni per trovarne uno. “In quelle condizioni se non li si alletta in 24 ore rischiano la morte immediata”, dice. Otto delle 14 sale operatorie nel solo nosocomio di Salonicco sono chiuse per carenza di personale e l’attesa per una semplice visita cardiologica raggiunge le sette ore.
Eccolo l’altro versante di crisi: le liste di attesa per interventi chirurgici che solo a Salonicco raggiungono i 12 mesi per mancanza di attrezzature e semplici garze sterili. Per questo alcuni studenti della facoltà di medicina nella cittadina di Kozani hanno avviato una raccolta fondi per acquistare “beni di prima necessità ospedaliera” e donarli alle strutture. Stessa iniziativa da parte dell’ordine degli avvocati di Kilkis, che ha provveduto a donare materiale di vario genere all’ospedale di Igoumenitsa.
Secondo Giannakos, che ammette di lavorare senza un giorno di riposo da due mesi, un’altra bomba “pronta ad esplodere è quella dei nosocomi nei capoluoghi regionali, che sono veri e proprie città fantasma, senza personale e attrezzature: non solo Tac o Pet, bensì anche radioterapia per i pazienti oncologici e le macchine per la dialisi per i pazienti affetti da patologie renali”. E accusa il governo di aver investito risorse per acquistare televisioni al plasma anziché personale e strumenti indispensabili, mentre la mancanza di scanner e radiografi costringe i pazienti a trasferte in altre strutture, anche private, sollevando dubbi sulla possibile speculazione che è in atto in questo momento nel paese.
Sempre a Salonicco un infermiere 48enne è morto fa per un infarto: secondo il Segretario Generale del sindacato Poedin,Christos Papanastasis, la causa è da ricercare nella stanchezza e nello stress, causati anche da turni massacranti e senza sosta. L’ultima assurda disavventura risale ad alcune settimane fa, quando un paziente 55enne dell’isola di Lesvos in gravissime condizioni, per mancanza di una eliambulanza, è stato trasferito a Salonicco in barca.
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mercoledì 24 agosto 2016

Grecia, 4 stazioni di polizia su 10 rischiano la chiusura. Sindacati: “Basta tagli a danno di sicurezza e posti di lavoro”


Circa il 40% dei dipartimenti di polizia in tutta la Grecia rischia la chiusura, nonostante nel marzo del 2015 sia stato indetto un concorso per assumere mille persone tra poliziotti e consulenti. Secondo indiscrezioni apparse sulla stampa ellenica, la stretta su servizi di sicurezza e reparti di polizia stradale dell’intero paese arriverà dal nuovo ddl di riordino dei presidi di sicurezza promosso dal ministero degli Interni. Questo si tradurrà, in molte zone di confine, in disagi facilmente immaginabili, vista l’emergenza migranti e l’allarme terrorismo, ai massimi in tutta Europa e nello specifico su rotte “sensibili” come quella al confine turco-ellenico. Da dove, complice il fallito golpe turco di un mese fa, sono ripresi gli arrivi, che riguardano anche le isole orientali.
Nella regione dell’Attica sugli attuali 91 dipartimenti di sicurezza ne rimarranno 71, le 123 stazioni di polizia diventeranno 87 e le sezioni dedicate al traffico scenderanno a 15. La chiusura e il conseguente collasso dei servizi coinvolgerà in tutto 4 strutture su 10. L’obiettivo del governo è risparmiare risorse anche in considerazione del fatto che il debito pubblico greco cresce (a giugno è salito a 328,3 miliardi contro i 321 di marzo) e il turismo registra un calo rispetto al 2015. Numeri che tengono in ansia il premier Alexis Tsipras e il suo governo riunito in un mini vertice martedì pomeriggio nella sede ateniese del Maximos.
In seguito si porrà anche il problema dei 7mila esuberi(personale non militare) e dei numerosi problemi operatividettati dalla chiusura dei presidi. Il tutto si tradurrà anche in un superlavoro per quelle stazioni che resteranno aperte e che dovranno vigilare su una porzione di territorio più grande.


sindacati annunciano le barricate. Il rischio, dicono, è che ancora una volta la politica dei tagli colpisca esigenze primarie della collettività, come la sicurezza, e anche posti di lavoro dal momento che il ddl non chiarisce dove andranno ricollocati i poliziotti e gli agenti che non opereranno più in stazioni e dipartimenti territoriali. In Grecia esiste dal 1984 un solo corpo di polizia, chiamato El.As (Ellenikì Astinomia) nato dalla fusione tra gendarmeria e la polizia cittadina.
Intanto, mentre il governo pensa a togliere presidi di sicurezza, nelle ultime 48 ore altre tre emergenze si sono abbattute sul paese: la malaria, i nuovi sbarchi di migranti e gli scontridella polizia con gli antiautoritari nel quartiere ateniese di Exarchia. La malaria, che era stata debellata nel 1974, quest’anno è tornata: 65 i casi nei primi sei mesi dell’anno. Tre le province segnate in rosso Achaia, Ilia e Salonicco, su cui il pool di scienziati del Keelpno (centro nazionale malattie infettive) hanno proposto un cordone di sicurezza perché hanno tutte le caratteristiche ideali alla trasmissione della malattia, tra cui la presenza di laghi e paludi.
Nel frattempo si segnala una nuova ondata di arrivi: 2.500 migranti sono approdati nel Paese dai confini settentrionali della Grecia (Turchia, Bulgaria, Evros) dalla data del fallito colpo di Stato turco ad oggi. Secondo l’intelligence ellenica dal momento che le isole sono ormai sature e le carovane dei migranti passeranno dalla Turchia sul suolo greco di Evros – dove i controlli sono da sempre deficitari – nel tentativo di toccare con più facilità terra “europea”. Il tutto mentre il governo pensa di costruire mini hotspot da 1000 migranti in tutto il paese, con i moti di protesta di albergatori e cittadini anche perché nelle isole dell’Egeo orientale come LesvosChios e Rodi si sono registrati 144 arrivi negli ultimi due giorni.
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mercoledì 16 marzo 2016

Atene, sui rifugiati la strategia di Tsipras sta nel dialogo con la Turchia

Ora che la rotta balcanica è definitivamente sigillata, come si muoverà il governo di Atene nella gestione dei circa 45mila profughi ancora presenti in territorio greco? Qualche risposta arriva dalle mosse diplomatiche del governo Tsipras, e sono emerse anche dopo la giornata romana del ministro ellenico per gli Affari Europei Nikos Xydakis (in foto), ricevuto la scorsa settimana a Roma dai sottosegretari Sandro Gozi ed Enzo Amendola e dal vice-ministro Filippo Bubbico.
Punto di partenza il dialogo obbligato con la Turchia. Xydakis definisce infatti Ankara "la chiave" per aprire il dossier migranti e consentire alla Grecia di non restare sola nel suo status di “inizio del corridoio balcanico”. Per cui - ed è la posizione greca ribadita da più voci - andrà fatto ogni sforzo possibile per giungere ad un accordo che impegni la Turchia a svolgere il compito che tutti si aspettano.
Le parole di Xydakis corroborano la tesi che vuole Atene bussare con insistenza alla porta del governo Davutoğlu. “L’UE ha bisogno della Turchia e la Turchia ha bisogno dell’UE – ha dichiarato il ministro - la Turchia ha le chiavi della porta, mentre la Grecia è l'inizio del corridoio. Alcuni paesi europei hanno chiuso i confini, così noi dobbiamo parlare e fidarci del nostro vicino”.
Da parte greca emerge la chiara volontà di accettare le condizioni poste da Ankara, che tanto hanno fatto storcere il naso ad altri paesi membri, perché la posta in gioco è troppo alta per poter mettere a rischio l’intera operazione. Ad alzare il prezzo è però stata Ankara, che ha chiesto sei miliardi anziché i tre concordati in prima battuta, aggiungendo poi la “postilla” annunciata dal ministro turco degli Affari Europei Volkan Bozkir, secondo cui gli accordi di riammissione non includono “i rifugiati che già si trovano sul territorio greco”. Lo stesso Bozkir ha poi previsto che “il numero di migranti che la Turchia dovrà riammettere probabilmente non si conterà in milioni” ma al massimo “in decine di migliaia”.

Rotta albanese

Sullo sfondo dei riverberi della chiusura balcanica, la prima conseguenza è l’intensificazione dei controlli alla frontiera greco-albanese dato che, come ha precisato Xydakis, “i disperati vanno dove trovano la strada”, e da più parti si preannuncia l'apertura di una nuova rotta sull'asse Grecia-Albania dopo la chiusura del confine greco-macedone. E’ la ragione che ha spinto anche Roma a riconsiderare l’aspetto della prevenzione, come dimostra la notizia di un contingente dei Carabinieri che si appresterebbe ad aiutare a presidiare proprio la frontiera greco-albanese.
La posizione del governo greco è che “i muri eretti dai Balcani sono la risposta sbagliata”, agli antipodi quindi dei tweet del Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk che alcuni giorni fa ha cinguettato un “grazie” ai paesi dei Balcani che hanno sigillato la “rotta balcanica” portando “alla fine del flusso irregolare di migranti”. Parole “inaccettabili", ha affermato Xydakis aggiungendo che "le azioni unilaterali sono da condannare. Noi difendiamo Schengen e i principi dell'Unione europea. Nessun leader europeo vuole tornare ai tempi della guerra fredda. Erigere muri con il filo spinato non è il nostro modo di fare le cose".
Nel frattempo un sostegno alla Grecia arriva dal Commissario UE per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi Christos Stylianides, che ad Atene ha incontrato Tsipras. Su twitter scrive che il vertice è servito a "riaffermare pienamente la partnership e la solidarietà con la Grecia".
Raddoppia la dose anche il portavoce della Commissione UE Margaritis Schinas secondo cui il bilaterale Stylianides-Tsipras ha avuto il merito di analizzare un nuovo strumento economico di assistenza umanitaria all'interno dell'UE. Si parla soprattutto di 700 milioni promessi dalla Commissione alla Grecia, per affrontare l'emergenza. Al momento il porto del Pireo è al collasso, e drammatica è la situazione nel villaggio di Idomeni, dove pochi giorni fa un bimbo - immortalato da una foto che è diventata virale sui social – è nato in una tenda ed è stato lavato con l'acqua di alcune bottiglie di plastica. L'Associazione dei Medici Infettivi greci da giorni ha lanciato l'allarme tubercolosi all'interno del campo.
Il premier ellenico ha garantito che il governo, nonostante le note difficoltà finanziarie, è riuscito ad aumentare la sua capacità di ricezione con 10mila posti in più. Tsipras ha chiesto però che il prossimo passo sia quello di un sostegno concreto di Bruxelles e degli stati membri ad Atene con riferimento alla logistica e al personale da impiegare in loco, nella consapevolezza che "la crisi umanitaria che stiamo affrontando in questo momento non è un affare greco ma una questione europea e dobbiamo affrontarla insieme".

La sponda atlantica

Anche al di là dell'Atlantico l'emergenza migranti non passa inosservata. Lo dimostra la visita a Idomeni dell'Assistente del Segretario di Stato USA, Victoria Nuland, che ha anche incontrato il ministro di Stato greco Nikos Pappas, principale collaboratore di Tsipras. La Nuland ha incontrato anche il Segretario Generale del ministero degli Esteri Paraskevopoulos e rispondendo alla domanda sul perché non abbia avuto contatti a un livello più alto, ha detto che il viaggio è stato programmato all'ultimo minuto, e che "il ministro competente aveva un altro appuntamento oggi".
Al di là del protocollo, la notizia sta nel focus puntato da Washington su Idomeni e Atene, anche perché, come ha sottolineato la Nuland, con la visita al campo di fango al confine tra Grecia e Macedonia (FYROM per Atene) si vuole "mostrare la solidarietà americana alla Grecia al fine di comprendere meglio come possiamo essere più utili".
La Nuland ha mostrato apprezzamento per la situazione a Diavata, definita un campo modello anche per altri centri di accoglienza in Grecia, e ha ribadito più volte che i greci sono sì molto generosi nell'aiutare i rifugiati, ma si dovrebbe procedere in modo più veloce, visti i numeri degli arrivi. Un altro passaggio significativo è stato poi rappresentato dall'incontro bilaterale tra Nancy Jackson, sottosegretario di Stato all'immigrazione USA, e la vice ministro della Difesa greco Demetris Vitsa. La questione migranti da molti viene interpretata infatti soprattutto in termini di sicurezza, più che di emergenza umanitaria. E in molti, sia in Grecia che in Europa, criticano Tsipras sostenendo che il suo governo non abbia fatto abbastanza per presidiare i confini nazionali nell’Egeo orientale.

lunedì 14 marzo 2016

La Turchia di Erdogan è una polveriera: autobomba fa 34 morti

Da Il Giornale del 14/3/16

Un macabro cliché che si ripete. Un attentato, tanto panico e media senza voce. Per la quarta volta in sei mesi la Turchia di nuovo a ferro e fuoco. Nel parco Guven, accanto a un grande snodo dei trasporti, un'autobomba è stata fatta esplodere - probabilmente dal Pkk o da un gruppo affiliato - vicino a una fermata del bus e della metro provocando - ha comunicato ieri sera il ministro della Salute Mehmet Muezzinoglu - 34 morti, tra cui due kamikaze, e 125 feriti (19 gravi mandati in dieci ospedali). Media nazionali zittiti, come ormai consuetudine, da un'ordinanza del governo che impedisce le riprese video, mentre i social network del paese dopo l'esplosione vanno a scartamento ridotto.Un attacco, seguito da colpi di arma da fuoco, che era nell'aria, come dimostra la nota diffusa 48 ore prima dall'ambasciata degli Stati Uniti in Turchia che allertava i propri concittadini sul pericolo di «un potenziale piano terroristico per colpire edifici governativi e abitazioni nell'area di Bahcelievler». 

Tutt'intorno auto in fiamme, un autobus carbonizzato, gente in cerca di riparo e una colonna di fumo visibile da un paio di chilometri di distanza. In serata il premier Ahmet Davutoglu, preoccupato da un'informativa dei servizi che parlava di un secondo possibile attentato, convoca una riunione di sicurezza. Un video mostra una forte esplosione ripresa da una telecamera sopra l'ingresso di una stazione della metropolitana, con i passanti che iniziano a correre per allontanarsi dalla zona. Il luogo dell'attacco, nel centro di Ankara, è stato il teatro delle proteste contro il governo nel 2013 ed è lo stesso dell'autobomba che tre settimane fa aveva ucciso 29 persone vicino al Parlamento turco e alla base dello Stato Maggiore dell'Esercito: al passaggio di un camion militare, un terrorista aveva fatto saltare in aria tutto ciò che era nel raggio di pochi metri. Mentre a tremare, quaranta giorni fa, era stata Istanbul, con vittime della violenza undici turisti tedeschi in piazza Sultanahmet per mano di un kamikaze siriano che si era fatto esplodere, a due passi da Santa Sofia e dalla Moschea Blu. 

Nell'ottobre scorso due attentatori suicidi avevano colpito un raduno di attivisti filo-curdi all'esterno della principale stazione ferroviaria di Ankara, uccidendo più di cento persone. E un mese fa, a Stoccolma, un attentato in un centro culturale turco, fortunatamente senza vittime o feriti.Obiettivo del governo Davutoglu, come è noto, sono i curdi, nello specifico l'organizzazione denominata «Falchi della libertà» (Tak). Infatti nella mattinata di ieri le autorità turche avevano dichiarato un nuovo coprifuoco «a tempo indeterminato» in due distretti delle province sud-orientali di Hakkari, mentre sette militanti del Pkk erano stati uccisi sabato nella città sud-orientale di Diyarbakir. Una tensione che si tocca con mano non solo nelle città strategiche del paese, ma anche al confine turco-siriano dove l'artiglieria di Ankara continua a bombardare le milizie curde in Siria. «Non c'è posto per le organizzazioni terroristiche nella nostra civiltà», è stata la reazione del presidente Erdogan che poche ore prima aveva fatto anche altre due dichiarazioni. 

Nella prima sosteneva che la scarcerazione dei giornalisti arrestati «va contro gli interessi nazionali e mette a rischio l'esistenza della Corte costituzionale» e la seconda che in Turchia ci sono ancora tre milioni di profughi pronti a partire per l'Europa.

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venerdì 11 marzo 2016

Ma Alfano «non vede evidenza di flussi enormi» via Albania

Da Il Giornale dell'11/3/16

Un corridoio ormai sigillato (quello balcanico). E uno che, a giorni, potrebbe drammaticamente aprirsi (quello albanese e quindi pugliese) anche se il ministro Alfano minimizza. La «mano euro-ottomana» sul rubinetto migranti sta decidendo in queste ore il destino non solo dei 41mila rifugiati presenti in Grecia, ma anche di altri 500mila il cui futuro è in bilico tra isole greche e Turchia, con Ankara che detta ancora le condizioni.Mentre nell'Egeo orientale si continua a morire, con cinque migranti annegati a Lesbo tra cui un neonato di sei mesi, i ministri dell'Interno Ue si riuniscono per tracciare il perimetro successivo al traballante accordo raggiunto con Erdogan, che il ministro slovacco Kalinak ha definito una «partnership commerciale».

 In vista del vertice europeo del 17 e 18 marzo gli aspetti da mettere in ordine sono parecchi, tra numeri che non tornano e quella guardia frontaliera europea che dovrebbe garantire l'impermeabilità dei confini. Lo dimostrano le parole del ministro degli Affari Europei di Ankara Bozkir: l'accordo prevede che «il numero di migranti che saranno rimandati alla Turchia non è di milioni» ma al massimo di «decine di migliaia», e Ankara inizierà a riprendere i rifugiati solo quando quelli già sul territorio europeo saranno stati ricollocati nei vari Paesi. Il tutto mentre «Vienna non farà passi indietro» annuncia l'austriaco Mikl-Leitner, anche se il problema più grosso «è che i profughi hanno ancora speranze e aspettative, che vengono continuamente alimentate». È la ragione per cui Atene invita i 12mila rifugiati presenti a Idomeni a lasciare il campo di fango ormai al collasso, ma con il rischio che vadano ad ingrossare la rotta albanese. Quella stessa strada che, nonostante gli allarmi multilivello diffusi, è derubricata dal Ministro dell'Interno Alfano. «Fino a questo momento non abbiamo evidenza di questo flusso enorme - dice -. Siamo abituati a fare le previsioni ma anche ad osservare la realtà. La logica ci suggerisce che con la chiusura della rotta balcanica si potrebbe aprire una rotta. Questo però ce lo fa dire la logica, ma oggi non i fatti». Un modo arzigogolato per non prevenire uno scenario che è invece altamente probabile, come conferma il suo omologo spagnolo Diaz, che prevede un flusso in partenza dalle coste occidentali di Algeria e Marocco o anche di Mauritania e Senegal, che toccherebbe quindi di nuovo Lampedusa. 

Contrariata la cancelliera Merkel, secondo cui la chiusura della rotta balcanica «non risolve i problemi» che però sono iniziati proprio con la sua proposta di porte aperte a tutti. Nel frattempo il «muro» dei Balcani con il lucchetto in Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia non ferma il flusso in arrivo in Grecia: ieri mattina altri 800 sono sbarcati al Pireo, aggiungendosi ai tremila già sulle banchine, provocando l'allarme del commissario all'immigrazione Avramopulos («La crisi umanitaria in Grecia rischia di tramutarsi in disastro umanitario») per cui fissa l'asticella dei ricollocamenti a seimila richiedenti asilo al mese da Grecia e Italia. 

E anche se il ministro degli esteri Gentiloni da Malta tenta di spargere camomilla («stiamo lavorando con le autorità greche e albanesi per prevenire lo sviluppo di traffici da parte di organizzazioni criminali») giusto a 25 anni dallo sbarco a Bari della nave Vlora, in Salento già si trema per i riverberi sul turismo, così come accaduto nelle isole greche del Dodecaneso con il crollo verticale delle prenotazioni.

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giovedì 10 marzo 2016

Olio tunisino senza dazi, c’è il via libera dalle Ue. M5S: “Regalo a multinazionali”

C’è l’accordo tra i 28 Stati membri per l’ok all’olio tunisino senza dazi nella Ue. La plenaria di Strasburgo ha dato il via libera finale al pacchetto di aiuti d’urgenza alla Tunisia, che comprende ilRegolamento che permette l’importazione di 35mila tonnellate aggiuntive di olio d’oliva. Il voto era stato sospeso il 25 febbraio, ieri il Coreper ha recepito gli emendamenti tecnici e comunicato che avrebbe adottato il testo che sarebbe passato oggi al Parlamento europeo. Che ha approvato con 500 sì, 107 no, 42 astenuti. Un voto positivo arrivato in tempi record, con la plenaria che ha modificato, in zona Cesarini e con uno scatto da centometristi, l’ordine del giorno al Parlamento europeo. Sì quindi alle 35.000 tonnellate in più all’anno di olio d’oliva tunisino sulle tavole comunitarie e dopo l’emendamento del Movimento 5 Stelle che aveva bloccato l’iter a febbraio, puntando ad obbligare la Tunisia a esportare esclusivamente olio proveniente da olive tunisine, presentato proprio al fine di rassicurare i consumatori italiani sulla reale provenienza dell’olio.
“Temevamo questo voto favorevole – dice a ilfattoquotidiano.itil deputato dei Cinque Stelle Filippo Gallinella, membro della commissione agricoltura della Camera – decisione che abbiamo ampiamente criticato e combattuto sin dall’inizio dopo l’annuncio della Mogherini. Denunciamo anche il fatto che il Governo Renzinon ha presenziato agli incontri che avrebbero potuto porre un veto alla decisione di Bruxelles. Mi riferisco a venerdì scorso, in occasione del Comitato tecnico per la politica commerciale del Consiglio europeo, – aggiunge – con la diserzione del ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi e a ieri mattina, durante la discussione Coreper, con l’assenza del ministero degli esteri. Per non parlare del vero grande assenteista, ovvero il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina: nel 2015 ha disertato senza giustificazione ben 9 Consigli europei su 13″. Secondo il gruppo del M5S al Parlamento Europeo l’acquisto di olio tunisino favorisce solo le grandi multinazionali della distribuzione che miscelano l’olio tunisino con quello italiano o lo vendono con etichetta extra Ue nei supermercati. Contrario anche il movimento Azione Nazionaleche con l’ex sottosegretario all’ambiente, Roberto Menia, annuncia un presidio a tutela dell’olio extravergine made in Italynei maggiori porti italiani, a partire da quelli sulla dorsale adriatica come Trieste e Bari.
“Rimango fermamente contrario a qualsiasi aumentopermanente del contingente di olio tunisino – dice in una nota il Ministro Maurizio Martina – Come ministero delle politiche agricole abbiamo posto delle condizioni chiare sull’attuazione e sulle quote mensili dei contingenti e su questi punti non intendiamo cedere. Se non avremo garanzie continueremo a opporci all’adozione del regolamento da parte della commissione“. E aggiunge: “Nel frattempo gli organismi di controllo del ministero, a partire da capitanerie di porto, corpo forestale e ispettorato repressione frodi intensificheranno le ispezioni ai porti sul prodotto in arrivo. La filiera dell’olio italiano è tra le più controllate in assoluto e negli ultimi due anni abbiamo alzato il livello dellarisposta contro possibili frodi come mai accaduto in passato”. Solo qualche mese fa, in seguito allo scandalo dell’olio taroccato ad opera di un cartello italo-spagnolo, il ministro dellePolitiche Agricole aveva replicato al M5S che le relative informative comunicate dall’Agenzia delle Dogane al suo dicastero non erano state ignorate ma, anzi, utilizzate dai suoi ispettori in diverse operazioni. “Oggi invece – attaccano i deputati pentestellati Gallinella e Cariello – viene smentito anche dai dati raccolti dai Carabinieri dei Nas secondo cui nell’ultimo anno le frodi ai danni dell’olio extravergine d’oliva sono quadruplicate. Dov’erano e dove sono allora i controlli di cui si vantava il ministro Martina?”.
Pollice verso anche da Coldiretti secondo cui la mossa decisa dall’Ue “rischia di non aiutare gli agricoltori tunisini e di favorire solo gli imbottigliatori anche perché corrisponde appena ad un incremento del 3%, un dato decisamente insufficiente per garantire un reale impatto sulla situazione della popolazione rurale del paese africano”. Per questo ha promosso per oggi una mobilitazione per la difesa del Made in Italy a Catania, dove migliaia di agricoltori si sono dati appuntamento, simbolicamente, per difendere “il petrolio italiano”.
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lunedì 7 marzo 2016

Grecia, nasce My Human Bank: “Ci impegniamo a far uscire il Paese dalle sabbie mobili"

L’accesso al credito è una chimera? In Grecia un gruppo di volenterosi (anche un italiano) si  è inventato la Banca umana e i supermercati più equi: My Human Bank. L’idea è stata implementata da un gruppo di manager e professionisti greci, tra cui anche un architetto italiano, che stanno per mettere a regime una filiera di finanziamenti e prestiti agevolati nel settore agroalimentare, ma anche nel terziario relativo a nuove imprese, start up e informatica.  E garantiscono che non si applicherannoipoteche e altri gravami sui mutui erogati e il tasso complessivo in linea di massima per i mutui sarà stabile al 4%, netto senza alcun altro onere.
“Al momento non possiamo ancora esplicitare la provenienza del capitale iniziale – dice a ilfattoquotidiano.it uno dei soci fondatori,Angelo Saracini, 71enne romano ma che vive ad Atene dagli anni Settanta – lo faremo nelle prossime settimane per ragioni di opportunità che potete ben comprendere. Quello che ci tengo a sottolineare è che l’impegno di questo nucleo di persone è di venir fuori in qualche modo dalle sabbie, mobili e putride, in cui la Grecia è finita”. In quel 4% è compresa un’assistenza completa secondaria, come ad esempio a chi vorrebbe allestire una serra per la coltivazione e “noi gli offriamo tutto il know how, il supporto tecnico, legale e burocratico relativo alle autorizzazioni ed al regime fiscale”. L’idea è che quel tasso venga pareggiato dai guadagni provenienti dalla gestione ottenuta tramite la banca, “che sarà quindi co-partecipe delle attività finanziate”.
Non solo. Nei prossimi mesi apriranno delle agenzie nelle tredici province della Grecia in parallelo con tredici supermercati che venderanno prodotti locali, tra cui quelli dei clienti della banca stessa, messi sugli scaffali a prezzi molto più bassi rispetto alla media commerciale. “E’questo un altro elemento che ci differenzia dalla banca etica – aggiunge Saracini – ci denominiamo banca umana perché ci rivolgiamo alle persone, tramite una collaborazione pulita e asciutta tra l’ente erogatore e l’imprenditore. Ovvero in primis chi si occupa di agroalimentare e a seguire start up e idee innovative. Non saranno clienti della banca umana né persone orientate ad ottenere fondi per l’acquisto di automobili, né di immobili o in Borsa, per cui siamo una banca al servizio del lavoratore”.
Nel nucleo dei soci fondatori spiccano il 44enne Ioannis Xrisogonìdis, nato in Germania ma laureatosi in Giurisprudenza in Grecia, gli economisti corfioti Nikolaos Riganàs, laureato a Bari e Nikiforos Rapsomanìkis laureato a Bologna, sotto l’egida del professor Stèfanos Tsolakìdis, fisico e ingegnere aeronavale oltre che Doctor of Professional Studies in Aerospace and Defence Technologies Management alla Middlesex University of England.
In attesa del nulla osta da parte della Banca Centrale Greca, entro fine mese saranno operative le prime quattro sedi della banca umana, aperte a Kolonaki (il quartiere del business ateniese),Salonicco e Corfù. “Assumeremo in primo luogo portatori di handicap, ma con particolari requisiti di competenze bancarie e informatiche. Poi i disoccupati, meglio se giovani in cerca di primo impiego, e altre categorie diciamo sensibili come padri di famiglia in difficoltà – conclude Saracini -. Tutto sarà gestito nella massima trasparenza, con i profili dei candidati e poi degli assunti pubblicati sul nostro sito. Lo stipendio  sarà composto da una base come previsto dalla legge greca e da un bonus relativo agli obiettivi man mano raggiunti”. E scorrendo il portale si apprende che la Banca umana si occuperà anche di emergenza migranti, con il progettoPeople Solidarity: una realtà filantropica per contribuire all’accoglienza, l’alloggio e la ristorazione di immigrati che oggi in Grecia, per quanto riguarda i siriani e gli afghani, hanno toccato quota 31mila.
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sabato 5 marzo 2016

Grecia, flusso di migranti affossa turismo. A Lesbo prenotazioni crollate del 90%

Da Il Fatto Quotidiano del 5/3/16
Lo temevano gli isolani di Kos, quando due settimane fa avevano protestato per la costruzione di un hotspot nella gettonatissima isola del Dodecaneso, finendo colpiti dai lacrimogeni delle teste di cuoio. E oggi i primi numeri forniti dall’Associazione degli albergatori dell’Egeo nord-orientale: parlano di un “colpo mortale al turismo”, come già dimostrano gli annullamenti di prenotazioni per la prossima estate, senza dimenticare che in mancanza dell’apporto del giro di affari proprio legato alle vacanze, i prospetti della troika relativi a entrate e quindi a obiettivi da raggiungere, potrebbero dover essere rivisti.
L’isola che porta il maggiore peso dei flussi di rifugiati, Lesbo, secondo il presidente dell’associazione albergatori, Periclis Antoniou, presenta un calo delle prenotazioni del 90%. “La situazione è drammatica – analizza dai microfoni di una televisione locale – le cancellazione di gruppi vengono una dopo l’altra. L’estate scorsa abbiamo avuto 25 voli charter settimanali ma quest’anno appena nove”. Lesbo, oltre ad aver dato i natali nel IV secolo a.C. al filosofo Teofrasto e alla poetessa Saffo nel VI secolo a.C, è visitata per le sue spiagge ed anche per le grotte di Skala e per il monastero di Limonas dove vivono le rare foche monache e uccelli selvatici quasi in estinzione. Gli isolani hanno scritto una lettera a Tsipras in cui chiedono almeno che il governo conceda loro lo status speciale per la tassazione, che gli era stato revocato lo scorso ottobre.
Chios, dove si produce la mastika (per dolci e liquori) con cui in un nosocomio ateniese si sta sperimentando una cura naturale almorbo di Crohn, c’è già il 60% di prenotazioni ritirate. Dei sei voli charter settimanali ne sono stati annullati tre. Gli agenti stranieri non possono vendere pacchetti di viaggio per l’isola a causa dei rifugiati, lamentano gli albergatori, dal momento che i turisti europei non vogliono vedere gli immigrati durante le vacanze spiega il presidente degli albergatori dell’isola, Petros Fengoudakis.
Intanto nell’isola di Kastellorizo, che dista solo due miglia marine dalla costa turca di Kas, due giorni fa un incendio ha distrutto il magazzino dove erano custoditi i vestiti per i rifugiati. I residenti e volontari attraverso i social media informano che “vestiti, scarpe, coperte e tutto il resto è andato bruciato, e l’area danneggiata”. La causa dell’incendio non è ancora nota, ma le forze dell’ordine non escludono l’origine dolosa.
La Grecia è una delle maggiori destinazioni turistiche del mondo con 25 milioni di arrivi nel 2015, in crescita del 13,5% rispetto all’anno precedente. L’industria del turismo nel paese contribuisce direttamente al 20% del Pil e si è ampliata in modo significativo negli ultimi anni con 9745 alberghi, di cui il 17% a 4 o 5 stelle, mentre solo 307 strutture hanno più di 300 posti letto. Di tutte le destinazioni, solo cinque principali hanno l’84% della capacità totale di ricettività e incassano il 93% del fatturato e dei profitti. E’ la ragione per cui a pochi giorni dall’inizio della primavera e a poco più di un mese dal primo vero appuntamento turistico ellenico, la Pasqua Ortodossa, si comincia a ragionare sui dati che potrebbero venire fuori da questa situazione: se la troika dovesse rivedere le previsioni del turismo, l’unico settore dove il Paese fa numeri significativi, ci potrebbe essere il rischio di nuovi interventi.
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