sabato 13 dicembre 2008

LUNGOMARE, CAMBIARE SI DEVE





Dal “Corriere del Mezzogiorno” del 13/12/2008


BARI- Leggo con stupore e, perché no, anche con fondata preoccupazione, gli incitamenti e i consigli rivolti all’amministrazione comunale di non modificare l’attuale lungomare di Bari, in nome di una non meglio precisata logica ambientalista e conservatrice. Mi chiedo: ho letto bene? Rileggo quel pezzo, firmato da un dirigente politico cittadino. Non mi ero sbagliato. Si chiede al Comune di non modificare alcunché sul lungomare barese, accantonando progetti di ristrutturazione e parcheggi sotterranei. Ovviamente non posso concordare con la proposta, per due ragioni: una di opportunità ed una logica.

Qualora amministratori, politici, dirigenti e giornalisti vari provassero a mettere la testa fuori dai confini cittadini e nazionali e dessero un’occhiata a come altre città del mondo ben più progredite della nostra si stanno riorganizzando, beh, francamente non so quanto sarebbero dell’idea di preservare (ma poi preservare cosa?) senza aver voglia di migliorare servizi e territorio.

Lisbona in pochi anni è diventata un punto di riferimento non soltanto dell’arte moderna ma anche della più elementare voglia di un turista di trascorrervi piacevolmente un fine settimana, con ben tre linee di metropolitana dove prende finanche il telefono cellulare, un aeroporto all’altezza, un centro cittadino fruibile e dotato di tutti i servizi (funzionanti).

Atene, l’ex caotica capitale della filosofia, (martoriata purtroppo in questi giorni da sangue e violenza) nel centro cittadino di fronte al Parlamento, complice il meraviglioso restyling fatto in occasione delle Olimpiadi, ha chiuso una via centrale lunga qualche chilometro, odòs Ermou, che dalla Camera dei Deputati porta il turista fin sotto l’Acropoli, tra artisti di strada che conducono alle porte del nuovo avveniristico Museo dell’Acropoli. Addio traffico impazzito anche grazie alla metropolitana supermoderna e precisa come un orologio svizzero e in virtù del nuovo servizio tram. Una delizia.

Nicosia, nella afosa Cipro, grazie ad un sindaco che ha scavalcato steccati ideologici e cogitato esclusivamente sulle esigenze reali della cittadinanza, ha pensato bene di potenziare oltremodo i taxi, organizzando meeting internazionali di cultura e letteratura, con uffici pubblici aperti dalle 7,30 del mattino, con strutture ricettive che attirano clienti da tutto il mondo grazie al clima mediterraneo (ce lo abbiamo anche noi), a immensi campi da golf, e grazie ad una civiltà che dalle nostre parti sovente latita, (esempio, i distributori automatici e gratuiti di sacchetti per gli escrementi dei cani in tutte le piazze cittadine- vedi foto).

Basta poco per fare di un agglomerato di case e negozi un luogo vivibile, non solo per chi ci abita, ma anche per chi ci viene volentieri a trascorrere qualche giorno, ma per favore, smettiamola con ragionamenti e dissertazioni figlie di campanilismi e posizioni preassunte e, vivaddio, ragioniamo da europei. Se ne siamo capaci.

giovedì 11 dicembre 2008

ECCO PERCHE’ LA TURCHIA NON E’ANCORA PRONTA PER L’UE


Mi permetto qualche riflessione a margine dell’articolo pubblicato sull’Avanti lo scorso 10 dicembre a firma di M. Repetti sull’ingresso turco nell’Ue. Non è sufficiente che la Turchia metta in pratica le tanto auspicate riforme democratiche (ma quando lo farà?), dal momento che esistono delle precise mancanze tutt’altro che risolvibili. Imprescindibile il rispetto delle minoranze religiose, ferma condanna per l'uccisione di don Santoro, più controlli civili sui militari e maggior rispetto della libertà d'espressione, senza dimenticare gli impegni su Cipro, curdi e armeni. Così il Parlamento europeo nella risoluzione sulle relazioni UE- Turchia dello scorso anno (ottobre 2007), con la quale rammentava al Governo di Abdullah Gul il decalogo da rispettare.

A Cipro ancora oggi, nella zona occupata da trent’anni dai turchi, vi sono 50mila militari che non consentono ai greco-ciprioti, cittadini dell’Ue a tutti gli effetti, di far ritorno nelle proprie abitazioni. Inoltre hanno provveduto a far sì che le 500 chiese di rito diverso dal musulmano, venissero rase al suolo o trasformate in bordelli, resort a 5 stelle, garage, caserme militari, così come ho avuto modo di verificare di persona lo scorso maggio a Nicosia, intervenendo come relatore al IV sinedrio di studi cipriologici.

Capitolo armeni. L’auspicio è che la Turchia cessi ogni tipo di blocco economico o chiusura delle frontiere e si astenga da minacce o attività militari tali da aumentare la tensione con i paesi limitrofi.

La questione è chiara e limpida: se la Turchia ha esigenza di entrare in Europa nessuno professerà un “no” preventivo, ma come un ospite si deve adeguare in casa d’altri, anche la Turchia dovrà stare alle regole della democrazia, in primis riconoscere Cipro come stato membro dell’Ue, ciò che invece non ha ancora fatto e recitare il mea culpa per il genocidio di armeni e curdi.

Cancellare la storia serve solo a chi quella storia vorrebbe riscriverla, magari per uscirne vincitore, anziché sconfitto. Peccato (per loro) che non viviamo più nei tempi in cui era sufficiente mistificare o ingannare le genti per ottenere consensi ed applausi.

martedì 9 dicembre 2008

PERCHE’BRUCIA ATENE?

Da "Mondo Greco" del 09/12/2008


Brucia il centro di Atene, le vetrine sono infrante, la violenza inaudita ha fatto irruzione nella splendida odòs Ermou, sfogandosi contro incolpevoli mura e viuzze. A ruota anche Salonicco, Patrasso, Ioannina, Corfù, Iraklio, Trikala, Komotini: quasi come fossimo in presenza di focolai fino ad oggi assopiti che come d’incanto si risvegliano e danno cenni di vita. Anzi, di morte. Un giovane ragazzo ha perso la vita e non sarebbe dovuto accadere. Di chi sono le responsabilità? Quale avventatezza ha generato tale putiferio?

Odio chiama odio, violenza genera violenza? Chiediamoci se era proprio il caso di arrivare a tanto. Le scelte del governo Karamanlis possono essere condivisibili o meno e qui sarebbe il caso di aprire un dibattito interno. Si parli, si discuta, ma non si combatta. L’agorà dell’antica Ellade era il luogo in cui ci si confrontava, si discuteva, si imparava, si smontavano le proprie ipotesi e poi le si rimontavano in un clima di dialogo. Vedere le immagini di piazza Syntagma martoriata da frames degni di una guerriglia urbana fa male ai cuori di greci e di filoellenici, ma fa ancor più male perché tali sciagurate azioni si verificano in “quella” terra, patria della filosofia e delle menti eccelse dalle quali proviene la nostra civiltà.

Scandali, fakellakia, decisioni sospette: le cronache greche degli ultimi anni ne sono piene, è il cancro della democrazia. C’è chi dice che i Greci non sono come gli Italiani, perché quando si arrabbiano lo fanno sentire, come quando scioperano e bloccano con i trattori tutta Atene o l’autostrada che arriva sino a Salonicco. Proprio come fanno i Francesi che quando sono in disaccordo con le decisioni dell’esecutivo disattivano la metropolitana anche per giorni interi. Bene, diciamo noi, il popolo ha diritto a manifestare il proprio disappunto verso decisioni che investono la collettività, ma non ha diritto a generare tale vandalismo, come chi governa non ha diritto a occuparsi solo del proprio tornaconto.

Si dice che i gruppi anarchici ellenici siano i più feroci d’Europa. Non sbaglia lo scrittore Vassilis Vassilikos, intervistato da Antonio Ferrari sul Corsera quando sostiene “nessun paragone con il passato. E’il presente che dobbiamo studiare e dal quale dobbiamo imparare a capire”. Proprio questo presente che, in Grecia come in molti altri Paesi del mondo, non offre immagini confortanti. La crisi c’è, diffusa, le famiglie non arrivano alla terza settimana del mese, la meritocrazia è ancora un’utopia, spesso i posti di comando sono occupati da chi non ne avrebbe diritto per tante ragioni che tutti ben conosciamo. Ma a cosa serve distruggere? Mi si potrebbe rispondere che in Grecia tali mali sono esasperati oltremodo.

Per certi versi è vero, come ho verificato di persona. Un povero disgraziato viene martoriato da costi e tasse, senza ricevere in cambio un adeguato welfare che lo protegga, così come ad esempio accade in Svezia. A fronte di pensioni anche da 300 euro un quotidiano non può arrivare a costare due euro. Su questo non devono esserci dubbi. Se per due cappuccini si spende quanto una pizza al tavolo, beh, c’è qualcosa che non va nella concertazione tra paniere di costi e reali possibilità.

La Grecia oggi sta collassando, e gli episodi di terrore conseguenti alla morte del giovanissimo Alexis sono solo la punta (sbagliata e cruenta) di un iceberg sul quale è urgente confrontarsi e capire.

Ma i sentori di crisi in Grecia non risalgono solo agli ultimi anni, perché sarebbe il caso, e qui chiamo in causa economisti, ministri, vescovi, dirigenti, di fare un salto a dieci anni fa, quando tutto ebbe inizio con un vero e proprio fulmine a ciel sereno: il crollo della Borsa. E’lì che bisogna far risalire l’inizio della fine, è da quegli errori che bisogna ripartire per impedire che questo lembo di sogno che si chiama Ellade non cada nella stessa trappola in cui è rimasta invischiata l’Argentina.

venerdì 5 dicembre 2008

CHIESA RUSSA, IL TRIBUTO A CHI L’HA CONSERVATA



Da "IL Legno storto" del 07/12/08



Il fatto che la città di Bari abbia in programma di consegnare la Chiesa Russa allo stato sovietico rappresenta un evento di portata storica, sia in chiave politica che in chiave culturale, ma ritengo sia opportuno chiarire un paio di passaggi che fino a questo momento sono sfuggiti. Se oggi c’è qualcosa da restituire a qualcuno (non oggi, dopo l'annullamento della visita a causa della scomparsa di Alessio II), è perché quel qualcosa è stato conservato bene nel corso degli anni dalla comunità greca del capoluogo pugliese.

Alla caduta dell’impero zarista il mondo, come è noto, si era diviso in due fazioni ben distinte e contrapposte. Negli anni del dopoguerra, dal momento che tutti i Paesi oltre la cortina di ferro erano sotto il regime comunista, le funzioni religiose ortodosse nella Chiesa Russa di Bari venivano officiate esclusivamente per i cittadini greci, (gli unici a potersi spostare con maggior libertà), presenti in misura copiosa in città, che dal 1945 al 1982 hanno provveduto con offerte personali ad assicurarle una corretta manutenzione, come potrebbero testimoniare gli stessi cittadini greci di Villaggio Trieste.

Quindi gli unici che vi si riunivano per le meravigliose funzioni pasquali dell’Epitaffio e per quelle natalizie della natività erano i Greci, semplicemente perché gli altri non potevano venire qui. Dal 1982, poi, con l’avvento della comunità romena e grazie allo sforzo condiviso di tutti, è stata fruita anche da altri, per poi arrivare ai giorni nostri e all’evento epocale che ha fatto di Bari la città più russa d’Europa.

Ma perché questo evento si sia potuto verificare con successo e gradimento, un piccolo grazie va speso a favore di quelle persone che, in anni difficili caratterizzati da ristrettezze economiche non indifferenti, si autotassavano per non far mancare nulla alla Chiesa ortodossa, dai piccoli interveti strutturali alle riparazioni più onerose, proprio come una nutrice fa con il bambino che le è stato affidato.

mercoledì 3 dicembre 2008

AD ALDO LOIODICE IL PREMIO SARNELLI


Da "Nel Mese" 10/2008


La nostra Costituzione è viva, soprattutto nella prima parte e lo dimostra il riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa, promotrice dei diritti umani che perseguono giustizia e pace. Ma attenzione, il diritto sia uno strumento di democrazia e non di prevaricazione egoistica”. Non ha dubbi il prof. Aldo Loiodice, ricevendo dalle mani del sindaco di Bisceglie Francesco Spina la V Edizione del Premio nazionale “Mons. Pompeo Sarnelli”, nel delineare il futuro della nostra Carta Costituzionale, in un momento particolarmente delicato per le sorti del Paese. La motivazione si riferisce ai suoi “studi incessabili che lo hanno portato a diventare uno dei più eccelsi esperti italiani di diritto informatico ed amministrativo”, per questo il riconoscimento nel campo della scienza è andato al Direttore dell’Area di Diritto Pubblico alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari.

Nominato Vescovo di Bisceglie da Papa Innocenzo XII verso la fine del 1691, si rivelò uno dei vescovi più operosi che la città abbia mai avuto e, nella sua attività di scrittore poligrafo, diede alle stampe, così come aveva fatto a Benevento e a Manfredonia, la prima storia locale della città; in seguito restaurò la Cattedrale, costituì un fondo per il Seminario, riprogettò lo Statuto del Sacro Monte di Pietà e rinnovò il calendario delle fiere campestri ed urbane. Mons. Pompeo Sarnelli è stata una figura storica per la città di Bisceglie che, con il riconoscimento del Presidente della Repubblica e in collaborazione con l’Associazione Culturale “Mons. Pompeo Sarnelli”, ha da cinque anni intitolato un premio nazionale a suo nome verso le illustri personalità che più si sono distinte in diversi ambiti, dall’ecclesiastico allo scientifico, da quello giuridico a quello comunicativo.

Originale la formula della premiazione: dopo la consegna della statuetta e del riconoscimento ogni premiato ha subìto una sorta di intervista informale, quasi una chiacchierata per scambiare opinioni ed evocare ricordi. Interrogato sul valore e sul significato della Costituente il prof. Loiodice ha rammentato l’assoluto spessore morale di chi quella Carta l’ha concepita esattamente sessant’anni fa: “Uomini di altri tempi, dotati di spina dorsale e sulla cui integrità non vi erano dubbi alcuni”.

Spazio poi ad una delle esperienze più incisive dal punto di vista scientifico, come il volume di 1200 pagine intitolato “Giovanni Paolo II- le vie della giustizia” editato per festeggiare il XXV anniversario di Pontificato del Santo Padre, nel quale il costituzionalista nel 2003 ha messo insieme 420 autori tra i quali anche illustri studiosi di fede musulmana ed ebraica, i quali sono riusciti a convenire sul fatto che è necessario “adoperare la forza del diritto per tutelare l’Uomo e per favorire il dialogo in vista del raggiungimento del bene comune, senza differenza di nazioni, lingue, religioni, popoli”.

La serata, condotta dal presentatore Mauro Pulpito e intervallata dal Coro Polifonico “Diapason” diretto da prof.ssa Emanuela Minichello con la collaborazione del maestro Giovanni Cassanelli, ha visto alternarsi sul palco nomi rilevanti, come mons. Cosimo Damiano Fonseca, Accademico dei Lincei premiato nel campo della cultura e il Prefetto di Bari, Carlo Schilardi nel campo Politico-Istituzionale.

L’importanza del premio dedicato al Presule umanista è in crescita costante, è sufficiente dare uno sguardo ai premiati dello scorso anno, tra i quali spicca il Santo Padre Benedetto XVI ed il prof. Donato Marra Segretario Generale della Presidenza della Repubblica e Consigliere di Stato.

Lo scopo- ha evidenziato l’attento sindaco di Bisceglie, l’avv. Francesco Spina- è quello di offrire ai giovani validi esempi con i quali confrontarsi e dai quali apprendere metodi e valori, al fine di costruirsi la propria strada nella consapevolezza che solo con impegno e dedizione si può aspirare a traguardi prestigiosi”.

Il prof. Fonseca, premiato per il suo amore verso la ricerca svolto non solo nel paese natìo, Massafra, ma in tutti i luoghi della sua formazione, da Napoli a Milano passando per Poitiers e Parigi, si è soffermato sull’apporto che mons. Sarnelli offrì a quell’epoca, dal momento che interpretò il passaggio dalla vecchia storiografia accademica al nuovo illuminismo. Fu accanto a Papa Benedetto XIII e punto di riferimento della cultura pugliese tra il XVII ed il XVIII secolo. Interpretò inoltre la peregrinazione accademica, ovvero “la sete di conoscenza con l’Abate Battista Pacichelli che, utilizzando una metodologia inquisitoria, attraversò il territorio del Regno di Napoli e fece riprodurre le nostre città”.

Per l’eccelsa opera in una terra bisognosa di attenzioni è stato premiato il Prefetto di Bari, Carlo Schilardi, leccese di origine, intento a tessere le lodi del capoluogo pugliese, “punto di riferimento dell’intero meridione e patria di un tessuto imprenditoriale di valore mondiale”.

Lo scorso anno i premiati furono: il Cardinal Salvatore De Giorgi (Arcivescovo Emerito di Palermo), Mons. Michele Seccia (Vescovo di Teramo-Atri), Ugo Bergamo (Componente del Consiglio Superiore della Magistratura), Gen. Giovanni Nisti (Comandante del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale), Elisabetta Pugliese (P.M. della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari), Vincenzo Lorenzelli (Rettore dell’Università Campus Bio-Medico di Roma), Fernando Prete ( Docente di Patologia Chirurgica Università degli Studi di Bari), Angelo Bovino (Sindaco della Città di Polignano a Mare per aver dato i natali al Vescovo Sarnelli).

Altri premiati per l’edizione 2008 sono stati nel campo ecclesiastico, Mons. Giovanni Ricchiuti, Arcivescovo di Acerenza e Mons. Domenico Padovano Vescovo di Conversano-Monopoli; nel campo politico il Prefetto Antonio Manganelli Capo della Polizia di Stato, il Gen. Pasquale Preziosa, Capo del III Rep. dello Stato Maggiore della Difesa; nel campo della Giustizia Salvatore Paracampo, presidente della commissione Tributaria Regionale della Puglia; nel campo della comunicazione Lino Patruno, Direttore Editoriale della “Gazzetta del Mezzogiorno” e l’ing. Luca Montrone, Editore del Gruppo Telenorba.

Siamo stati piacevolmente impressionati dal fatto che le eccellenze nazionali in molti campi parlano pugliese, segno di una particolare attitudine di questa terra a produrre cervelli ed eccellenze”, ha concluso il sindaco Spina, prima di lasciare il pubblico alle note del Nabucco di Verdi, che con “Va Pensiero” ha decretato la fine della serata.

QUALI AVVOCATI PER IL DIRITTO DI DOMANI?


Da "Nel Mese" 11/2008


Il mito del giurista completo è ormai al tramonto, dal momento che occorrono nuove figure di specialisti capaci di incarnare le esigenze sempre più diversificate ed approfondite”: così il prof. Roberto Martino, Preside della Facoltà di Giurisprudenza all’Università Lum “Jean Monnet” di Casamassima nel dare avvio ai lavori del seminario “Formazione del giurista: modelli di avvocatura e deontologia professionale”, organizzato dalla stessa Lum assieme all’Ordine degli avvocati di Bari ed alla Camera Civile del Foro di Bari. Un focus puntato sulle prospettive professionali ed umane dei giuristi di domani, con un occhio rivolto alla legislatura corrente non esente da sovrapposizioni con i recenti decreti.

L’evento ha registrato la presenza di illustri relatori, tra cui Vincenzo Carbone primo Presidente della Corte di Cassazione, Franco Cipriani ordinario di diritto processuale all’Università degli Studi di Bari, Giovanni Schiavoni consigliere segretario dell’Ordine degli Avvocati di Bari, Gaetano Di Muro (direttivo della Camera civile di Bari), Nicola Picardi ordinario di diritto processuale civile all’Università La Sapienza di Roma, Elena Kundriatvseva associato di diritto processuale civile Università di Miskolc (Ungheria), Giuliano Scarselli ordinario di diritto processuale civile Università di Siena, Emmanuel Virgintino Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Bari.

L’Italia è al centosettantesimo posto al mondo per efficienza della giustizia, inoltre il testo normativo della professione forense è fermo al 1933: due elementi che secondo il Presidente Carbone devono far correre ai ripari quanto prima. Si pensi che in Francia il numero degli avvocati cassazionisti è poco superiore al centinaio, mentre nel nostro Paese sono ben 60mila. “Chiediamoci il senso e l’utilità di questa disparità- ha riflettuto Carbone- senza dimenticare che già nel 1923 il Calamandrei riteneva elevatissimo il numero degli avvocati”.

Il ragionamento, ha ammonito l’avv. Di Muro, va portato avanti tenendo ben presente anche il numero degli avvocati che a seguito della pratica, vengono inseriti in un mercato già saturo. Dati che secondo il presidente dell’Ordine, Virgintino, debbono far riflettere, per giungere ad una rivisitazione di procedure e modus operandi.

Secondo il prof. Scarselli sono due i modelli sociali all’interno dei quali l’avvocato svolge la propria opera: nel primo l’avvocato risulta molto libero nello svolgimento della propria prestazione e tende addirittura a diventare imprenditore, di conseguenza dovrebbe operare sul mercato secondo le leggi imprenditoriali; nel secondo il giurista è sì libero ma si discosta sensibilmente dalla pratica imprenditoriale, rimanendo ancorato alla visione tradizionale. La differenziazione è utile per introdurre una delle riflessioni più sentite dall’intera categoria, ovvero quella relativa al decreto Bersani sulle liberalizzazioni delle professioni, che aveva tra le sue proposte l’eliminazione dei minimi tariffari e la possibilità per il singolo professionista di pubblicizzare i propri servizi. Infatti l’Antitrust aveva manifestato l’esigenza che il codice deontologico forense eliminasse alcuni limiti, come quello di riconoscere una percentuale a chi portava “in dote” un cliente, o a chi effettuava pubblicità comparativa nell’ambito di quella che è stata definita “pratica per l’accaparramento della clientela”.

Ma il Consiglio Nazionale Forense, con delibera del 12/07/2008, ha detto ‘no’ all’Antitrust, aprendo formalmente il dibattito intorno alla questione.

Il perno centrale su cui confrontarsi, ha poi precisato il Presidente Carbone, è proprio il limite tra professionista ed imprenditore, all’interno del quale sarebbero necessarie regole chiare, etica ed interpretazioni comuni. Da qui il punto di domanda del prof. Scarselli, “ma vi è un interesse dell’intera cittadinanza o solo quello del singolo professionista da considerare e caldeggiare?”.

Innanzitutto è utile partire da quelli che sono considerati i punti fissi normativi. Dopo l’introduzione del decreto Bersani, le condotte che prima erano perseguibili dal codice deontologico forense sono di fatto e, in parte, ammesse. “Ben vengano norme innovative- ha sentenziato l’avv. Schiavone- ma non appare condivisibile il fatto che esse in seguito non vengano applicate, dal momento che proprio il decreto Bersani contrasta con l’ordine professionale”.

Un richiamo ad una maggiore praticità di regole e competenze è venuto dal prof. Picardi, secondo il quale le conoscenze hanno senso se sono indirizzate verso una finalità tangibile. “Siamo in presenza di molti elementi spesso in conflitto tra loro. Il nuovo ordinamento è ancora da pianificare e la colpa credo sia di noi tecnici che forse non abbiamo utilizzato gli strumenti più adatti per questa modifica”. Come uscire dunque da questa empasse, anche al fine di consegnare alle future generazioni una professione snella e moderna? Il prof. Cipriani non ha dubbi, quando sostiene che “a nulla servirebbero ulteriori modifiche, come ad esempio al codice di procedura civile, credo invece che un notevole passo in avanti potrebbe essere fatto aumentando il numero dei giudici di pace e dei magistrati”.

Nell’occasione sono anche stati presentati i volumi “Codice di procedura civile della Federazione Russa 2003” (Cacucci ed., Bari 2007) e “L’educazione giuridica, 2° ed. voll. 1 e 2” (Cacucci ed., Bari 2008) a cura di Nicola Picardi e Roberto Martino. La scelta del soggetto russo, secondo la prof.ssa Kundriatvseva va nella direzione di dare spazio e visibilità ad un impianto che presenta non pochi elementi di modernità, come la previsione per l’accesso alla giustizia per le procedure ed i ricorsi, per la prima volta introdotto proprio da questo codice nella giurisprudenza russa.

martedì 2 dicembre 2008

UN SABATO (BARESE) DESERTO

Da "Il Quotidiano di Bari" del 06/12/08


La crisi economica, lo sanno pure le mura abbattute di Punta Perotti, ha sparigliato le carte. Le famiglie non arrivano nemmeno alla seconda settimana del mese e le grandi aziende licenziano. Non parliamo poi dei consumi ridotti ai minimi storici. In questo quadro non proprio confortante apriamo la porta di casa e facciamo capolino nel centro di Bari in un sabato pomeriggio che ci avvicina al Natale. Sono le ore 17.30, le strade sono deserte, come i parcheggi, purtroppo anche i negozi. In una tabaccheria di via Roberto da Bari, è stato affisso un cartello che recita: “Grattini a 2 euro, grazie sindaco ce ne ricorderemo”.

Ora, potremmo discutere giorni interi sull’utilità di una regolamentazione della sosta nel centro cittadino, così come avviene in tutte le città del mondo che si dicano civili, e nessuno obietterebbe nulla, ma arrivare al paradosso di far pagare un’ora di parcheggio nel centro di Bari quanto costano due ore sul lungotevere di Roma mi sembra quantomeno esagerato per due ragioni. Una di opportunità: la gran parte dei cittadini, così come è tendenza mondiale, ha tagliato i consumi. E non solo appartenenti al ceto medio o al ceto basso. Tutti cercano, e a ragione, di risparmiare ed è una pratica condivisibile visti i tempi difficili e la mancanza di certezza per il futuro. Quindi due euro sono troppi per sessanta minuti di sosta, da qualsiasi angolatura la si voglia vedere.

La seconda ragione appartiene alla sfera della ragionevolezza: ma Bari, con tutto il rispetto, cosa offre per vedersi riconoscere una tariffa così esosa? Siamo così in alto nelle classifiche di vivibilità per poterci permettere una mossa di questo genere? Disponiamo di un centro storico all’avanguardia così come ha mirabilmente fatto Liverpool con l’arte contemporanea o come ha sapientemente fatto Lisbona con una tripla linea di metropolitana dove prende anche il cellulare? Evidentemente no, perché nessuno si è mai sognato di impreziosire la città (rendendola in questo modo unica) puntando sulle qualità che essa ha nel suo Dna, come un lungomare pedonale, un porticciolo turistico all’avanguardia, una miscellanea di sapori e culture come potrebbe essere un festival enogastronomico, anziché assistere allo “struscio” dinanzi a centinaia di bancarelle che in fondo non molto hanno a che fare con la festa del nostro Patrono.

Certo, da barese, dico che abbiamo le nostre peculiarità e le innegabili bellezze che molti turisti, quando riescono a scendere da una nave crociera senza essere scippati prima, ci invidiano. E allora perché non concertare un piano tariffario assieme ai commercianti? Perché non intervenire a favore di negozianti e piccoli imprenditori, già strozzati dagli effetti devastanti della grande distribuzione?

Non è una battaglia ideologica, è solo la voglia di aggiungere un pizzico di buon senso alle ricette delle nostra quotidianità, senza perdersi dietro steccati di appartenenza ma facendo qualcosa di concreto per le reali emergenze cittadine.

Ma a patto di volerlo fare.

martedì 18 novembre 2008

TORNELLI? NO, GRAZIE CI PENSA L'ASSESSORE

Da "Il Legno Storto" del 18/11/08


Tornelli? No, grazie. Al Comune di Trani in Puglia c’è chi riesce a mettere in riga i fannulloni senza bisogno dei fantomatici strumenti elettronici. L’assessore all’innovazione tecnologica Roberto Visibelli è un mastino peggio di Gattuso, che ha deciso di dare seguito alle continue lamentele dei cittadini stanchi di vedere alcuni impiegati comunali intenti a giocare sul pc dell’ufficio. E allora l’assessore ha tagliato i giochini dai computer degli impiegati: ben 200 i dipendenti del Comune di Trani che non potranno più trastullarsi con i pc negli orari di lavoro, mentre altri 38 sono già finiti sotto inchiesta per aver fatto la spesa durante il proprio turno.

Un giro di vite, non solo utile ma decisivo per riprendere le fila di quel rapporto cittadini/istituzioni spesso dimenticato e logorato. Quante volte abbiamo scritto di ingiustizie a danno dei disabili, di file chilometriche per ottenere il rinnovo della carta di identità, senza che una virgola cambiasse?

L’iniziativa in questione, oltre al fatto di essere lodevole e lungimirante, pone però un altro notevole interrogativo. Se non ci fosse stato l’assessore pignolo la situazione sarebbe cambiata? Il nodo non è di semplice risoluzione, perché apre il dibattito sull’organo di controllo della pubblica amministrazione che deve fare meglio la sua parte. Non tutti sono fannulloni, anzi.

I furbetti si annidano in tutti i settori, ma devono essere stanati con precisione chirurgica senza fare di tutta l’erba un fascio, per non mortificare le categorie che lavorano veramente. Penso agli agenti di Polizia con le volanti rimaste a secco, penso ai magistrati antimafia impegnati in città calde come quelle del Sud spesso a corto anche della semplice carta per le fotocopie, penso ai giornalisti senza rimborsi spese che indagano sui traffici illeciti nei porti campani.

Per questo Visibelli ha mirato a “quei” pc, incaricando il centro elaborazioni dati perché i giochi venissero eliminati e gli accessi ai siti non concernenti l’attività lavorativa bloccati. Ottimo spunto, ottimo (si spera) risultato. Ma giriamo una pagina ed apriamone un’altra. Cosa fare per far rinascere nelle coscienze dei singoli quell’etica e quella dedizione che i nostri nonni ci riportavano una volta in occasione dei loro racconti? Come far germogliare l’appartenenza allo Stato, la consapevolezza che il bene pubblico in quanto tale è di tutti, quindi valorizzarlo acquista un senso per la collettività?

Il tanto criticato ministro Brunetta ha in questo squarciato più di un velo e le sue iniziative credo vadano incentivate intelligentemente, senza contaminazione partitica, ma partendo da un assioma oggettivo, ovvero che più funzionano le cose più i cittadini vivono meglio. Un esempio, al contrario, è dato dalle nuove disposizioni sui parcheggi nel centro di Bari, dove un’ora di sosta costa due euro, ovvero il doppio di quanto costa la medesima ora sul lungo Tevere romano.

Se la matematica non è un’opinione, e non lo è, in questo caso più di qualcuno ha sbagliato i conti. E, di questi tempi, non è poco.

domenica 16 novembre 2008

Sanzionare sfruttatori e clienti: così si batte la prostituzione

Da Il legno Storto del 15/11/08


Bari si risveglia incredula dopo un caldo weekend, (si spera l’ultimo) conscia che ormai è diventata un territorio dove si muore molto più facilmente di quanto si creda. La vicenda della prostituta che ha perso la vita poche sere fa sulla tangenziale sud va al di là di semplici gesti di solidarietà e di mazzi di fiori. Non è sufficiente provvedere ai funerali (così come la giunta comunale di centrosinistra intende fare) quando esiste un disagio grave e pesante che le istituzioni hanno il dovere di analizzare e di alleviare. Il problema non è soltanto stazionario, ovvero relativo ai gruppetti di prostitute che da anni fanno tappa fissa sulla statale 16 o sulla statale 100 o sulla 98, esso è solo la punta di un iceberg che si chiama sfruttamento ed emarginazione. Si dovrebbe iniziare a ragionare non sul fenomeno “sesso per strada” in sé, ma soprattutto sul complesso sistema di potere e malavita che c’è dietro e combatterlo intensamente.
Il riferimento è ad azioni mirate che affianchino le classiche retate notturne contro queste indifese (perché tali sono in quanto costrette con la forza a prostituirsi). Il recente disegno di legge messo a punto dal Governo vuole colpire il fenomeno, con pene che vanno dall’arresto (da 5 a 15 giorni) alle ammende da 200 a 3mila euro. In concreto si è voluto introdurre il reato di esercizio della prostituzione in strada e in generale in luogo pubblico. Per gli sfruttatori della prostituzione minorile sono previsti dai 6 ai 12 anni di carcere e multe da 15 mila a 150 mila euro, oltre al rimpatrio assistito.

La misura opportunamente adottata dall’esecutivo, al fine di risultare efficace e risolutiva, dovrebbe essere altresì integrata con veri e propri interventi nei confronti di chi gestisce il sesso a pagamento, con formule di prevenzione e, perché no, con veri e propri programmi di protezione ad appannaggio di chi intende collaborare e cambiare vita così come insegnava don Oreste Benzi.
Non è sufficiente multare la disgraziata di turno se poi sulle coste italiane ne sbarcano altre cento costrette a diventare “parte” del sistema.

Certo, un primo passo incoraggiante è stato fatto, ovvero quello di far sentire la presenza dello Stato per le strade, ma è imprescindibile colpire chi le sfrutta, e soprattutto evitare che esse vengano reintrodotte nel circuito dello sfruttamento. Si tratta di un’azione che per risultare concreta ed utile dovrebbe essere concertata a più livelli e ragionata a più cervelli, coinvolgendo il mondo dell’associazionismo e del volontariato, che molto ha offerto e offre alla causa in termini di impegno e dedizione. E ciò risulterebbe ancora più efficace se fatto su tavoli locali, ovvero raccordando i singoli attori su base regionale, così da ottenere una mappa aggiornata.

Coniugare forza (retate) e ragione (prevenzione) rappresenta la chiave di volta per venire a capo di una problematica che, non solo a Bari, ma qui in maniera più pressante, è sentita e vissuta. E’ sufficiente farsi una passeggiata, anche diurna, sul lungomare che da Punta Perotti va verso S. Giorgio, o sulla statale verso Capurso e Triggiano, o ancora all’altezza di Bitonto e Ruvo, non solo per assistere al suddetto fenomeno, ma anche per scorgere le ombre di chi “organizza” turni di guardia e protegge questo triste commercio.

domenica 2 novembre 2008

TURISMO CONGRESSUALE, ASSE PUGLIA BALCANI


Dal “Corriere del Mezzogiorno” dell’1/11/08



Se è vero come è vero che la Puglia è a sud dell’Europa e dell’Italia, è anche vero che essa si trova a Nord dell’Africa e del bacino del Mediterraneo, ritenuto nuovamente come il vero centro dei traffici mondiali, in considerazione dell’arrivo ogni giorno di milioni di containers dal continente asiatico.

La nostra regione è stata collocata come un molo naturale nel mare nostrum, sede designata per un vero e proprio faro sull’area balcanica e su quella dei Paesi che, oltre ad affacciarsi sul Mediterraneo, hanno dimostrato nell’ultimo decennio di aspirare a recitare un ruolo non secondario nei rapporti con l’Unione Europea, come Libia, Tunisia, Marocco, Egitto, Cipro, Israele, Turchia.

All’interno di questo quadro d’insieme non va sottovalutato l’elemento di apertura ad est, ovvero il dato che la Puglia è base di partenza designata del Corridoio 8, l’autostrada virtuale che collegherà Bari al Mar Nero. Con tale decisivo sviluppo infrastrutturale, il nostro Paese e il capoluogo pugliese avrebbero accesso, con priorità rispetto ad altri, alle zone minerarie ed energetiche dei Balcani per la trasformazione della materia prima nelle nostre imprese. Sensibili sarebbero inoltre i benefici per appalti ed impianti.

Nelle aree interessate è prevista anche la costruzione, l'ampliamento o il miglioramento di autostrade, di ferrovie ad alta velocità, di terminal per containers, di cavi ottici per le telecomunicazioni. Insomma, creare e ridare linfa al progetto arioso di Bari centro del Mediterraneo.

Alla luce di tali premesse è ipotizzabile una concezione del tutto nuova della Puglia, non più solo meta gettonatissima del turismo estivo, non più solo scelta sempre più frequente per fine settimana e manifestazioni specifiche nell’ambito di una destagionalizzazione ormai acclarata; si prospetta invece anche una Puglia che aspira a rappresentare un ruolo di attrice protagonista per eventi congressuali di ampia rilevanza, che vertano sulle tematiche inerenti ai Balcani ed all’area mediterranea, per due ragioni.

La prima di carattere logistico: il porto di Bari rappresenta ormai un’entità viva ed evoluta dell’intero panorama adriatico, il che consente il quotidiano arrivo di navi dal Montenegro e dall’Albania, oltre che di tre traghetti moderni dalla Grecia. A ciò si aggiunga il doppio collegamento aereo settimanale con Atene, il che garantisce il raggiungimento della nostra regione in maniera diversificata a seconda delle singole esigenze.

La seconda di carattere geopolitico: all’interno della Fiera del Levante è operativo il Segretariato del Corridoio 8, l’organismo di raccordo con i porti italiani ed europei, senza dimenticare che da sempre la terra di Puglia è stata crocevia di tradizioni e culture, vessillo delle quali è proprio il santo protettore di Bari, quel San Nicola venerato non solo dalla religione cattolica, ma anche da quella ortodossa.

Ed è in virtù di tali ragionamenti che si potrebbe ipotizzare uno scenario del tutto nuovo, moderno e innovativo per il tessuto regionale, ovvero una sorta di Svizzera del Mediterraneo, uno scenario dove dibattere di nuove frontiere commerciali e sociali, un punto di riferimento per le istanze dell’est (penso ad un tavolo di pace per la risoluzione del problema di Cipro) e di quel laboratorio di culture ed aspirazioni che è il Medio Oriente: insomma, una scena vera per una terra ansiosa di ritagliarsi un proprio spazio internazionale.

sabato 11 ottobre 2008

DISOCCUPAZIONE, SERVE PIU’DIALOGO TRA ATENEI E IMPRESE

Dal “Corriere del Mezzogiorno” dell’11/10/08


Gli atenei chiedono più occupazione, le imprese rispondono con più formazione e meno sprechi: la parola d’ordine è “disarticolare” e a pronunciarla con veemenza è stato il vicepresidente nazionale degli industriali con delega all’Education, Gianfelice Rocca. Dopo i rilievi nei mesi scorsi del rapporto di Bankitalia, in Puglia si è acceso il dibattito sulla qualità dei servizi offerti da scuole ed università.

Se è vero come è vero che la padronanza totale della lingua inglese, che invero dovrebbe diventare addirittura la prima lingua, accanto ad un’internazionalizzazione più marcata, rappresentano l’indiscussa ricetta per non naufragare nel prossimo decennio, è anche vero che non si può dimenticare che il 70% dei laureati baresi (dati del sondaggio Almalaurea) ripeterebbe il medesimo corso di laurea, o al massimo ne sceglierebbe uno simile, ma sempre all’interno dell’Ateneo di Bari. E’un dato che deve far riflettere, vuol dire che la nostra Università vale ancora qualcosa, al pari di altre, che magari hanno dalla loro una migliore qualità della vita per merito di trasporti e spazi verdi.

Il messaggio è: niente disfattismi. Le difficoltà ci sono e nessuno è così miope da nascondere la testa sotto la terra. Il riferimento è ai parametri di valutazione degli atenei, materia al centro della contesa: se si premia un’Università con finanziamenti corposi in base al numero degli iscritti e a quello dei laureati, si commette un grave errore perché si trascura la qualità dell’insegnamento e si bada solo a fare cassa, mortificando corpo docenti e valenza delle materie. Nulla vieterebbe ad un’università qualsiasi di far laureare un elevato numero di studenti in poco tempo.

Di contro sarebbe utile una riduzione della burocrazia e degli sprechi madornali. Due facce della stessa medaglia al fine di fare chiarezza sulla materia e allo scopo di cercare di interpretare il delicato momento economico- formativo nazionale e locale.

C’è un dato utile con il quale confrontarsi: secondo una delle maggiori banche d’affari mondiali, Goldman Sachs, tra dieci anni il reddito di un cittadino italiano sarà il 50% di uno del Regno Unito e il 30% di uno messicano: numeri da brividi, che fotografano perfettamente il momento critico che in verità dura da quindici anni e che, non bisogna dimenticare, ci vede deficitari sin dal ‘500, quando perdemmo il treno dello sviluppo delle Americhe, al contrario di Francia ed Inghilterra.

Ma come uscire da questa empasse?

Servirebbero meno laureati in scienze della comunicazione e più in materie scientifiche e matematiche, dice qualcuno, ma paradossalmente va osservato anche che molti atenei italiani sono stati costretti ad accendere mutui per pagare gli stipendi. Contabilità e sfruttamento delle risorse sono certamente all’ordine del giorno nell’agenda di governo ed enti locali, ma chi pensa alla forza lavoro?

Una proposta interessante è venuta da Confindustria, che ha dettato una sorta di decalogo: offrire collaborazione fattiva a quei rettori e a quei presidi realmente intenzionati a cambiare, ma con lo sguardo rivolto sempre alla qualità.

Il riferimento non è ai curricula, ma alla capacità di sviluppare un rapporto armonico tra sistema industriale ed il mondo universitario-scolastico, la vera chiave di volta per affrontare le sfide occupazionali di oggi e di domani.

martedì 30 settembre 2008

REINTRODURRE LE PREFERENZE: PER LA DEMOCRAZIA

Dal “Corriere del Mezzogiorno” del 30/09/2008


Il dibattito sollevato in questi giorni sul possibile election day 2009, a margine certamente di questioni ben più gravi come la crisi economica mondiale ed il salvataggio di Alitalia, merita qualche riga di approfondimento. Ma non sulla scelta delle date o di elementi ancor meno rilevanti, bensì sull’oggettiva discriminazione nei confronti degli elettori che ancora si vuol perpetrare nel silenzio colposo di certi media.

La nostra democrazia vive già da qualche anno un dimezzamento evidente a causa della mancata osservanza del diritto di partecipazione dei cittadini come ha stabilito l’art. 3 della Costituzione: “E’compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Ciò lo si deve ad una legge elettorale che è stata definita dal suo stesso progenitore “porcellum”, progenitore che, è utile rammentare, nella vita effettua chirurgie maxillofacciali, e che, ci auguriamo non per questo, si occupa istituzionalmente di revisioni costituzionali. L’attuale legge ha stabilito il principio di assoluta mancanza di libertà per l’elettore che non può più scegliere il proprio candidato al Parlamento, dal momento che il perverso meccanismo dei listini bloccati “regala” la stessa elezione a soggetti designati dalle segreterie romane. Pare che anche in vista delle prossime elezioni europee si abbia la sciagurata intenzione di applicare questa metodologia antidemocratica, con la conseguenza di allontanare ulteriormente i cittadini della res publica, riponendoli ai margini della stessa e interpellandoli solo in occasione delle elezioni amministrative (ma ancora per quanto?).

La battaglia per la reintroduzione delle preferenze non è né ideologica né di partito, è semplicemente la spinta di alcune coscienze ad evitare che la Carta Costituzionale venga ancora calpestata in nome di un principio che, apparentemente, intende eliminare il pericolo del voto di scambio, ma che nei fatti consegna, nelle mani di pochi, il destino di 60 milioni di italiani, il che mi sembra ancora più grave perché palesemente antidemocratico.

Venendo ai sindaci ed agli amministratori locali, è utile osservare che ad oggi sono i personaggi più esposti, ovvero con maggiori responsabilità e con i più netti tagli allo stipendio. Ma come, direbbe qualcuno, lavorano di più, con più rischi e sono i primi a vedersi la busta paga decurtata? E i consiglieri regionali? E i parlamentari? (romani ed europei).

Il fatto che ai piani alti dell’amministrazione nazionale si siano accorti dell’esigenza, morale ed economica, di ridurre le remunerazioni dei politici, è già un fatto enormemente positivo, ma a patto che lo si faccia tenendo conto di attività, esigenze e responsabilità, non cassando come in questo caso un consigliere comunale che, magari più di un eurodeputato, ha bisogno di essere sostenuto nel “lavorare” per la propria città.


Francesco De Palo

venerdì 12 settembre 2008

LA FIERA DI PENELOPE


Da `Azienda Bari` del 13/09/08

Ecco un`altra inaugurazione della Fiera del Levante, ecco una serie di altri propositi e buone intenzioni, dal Corridoio 8 alla Banca Euromediterranea, dalla Bari ponte verso i Balcani ad un ruolo piu` internazionale per la Campionaria. Peccato pero` che i conti non tornino affatto.
Senza voler peccare di pessimismo, ma alla luce di obiettivita` e affetto per la `nostra` citta`, il binomo Fiera- Citta` si rivelera` veramente vincente solo se avra` alle spalle la regia decisa e risolutrice del Governo nazionale.
Come possiamo discutere di orizzonti anatolici e di approdi transfrontalieri se le rotte aeree della nostra regione subiscono un cosi` drastico ridimensionamento? Come raffrontaci con i milioni di containers in arrivo dalla Cina se apprendiamo che la tratta ferroviaria Lecce- Milano fa ancora dannare cosi` vergognosamente i passeggeri?
Il dato su cui riflettere e`quello offerto dai numeri : al netto di analisi, speranze e promesse, la verita` e` che la Fiera del Levante, il cui destino e` e dovra` essere inequivocabilmente legato al capoluogo pugliese, deve rappresentare il biglietto da visita di una regione intera ; ma perche` cio` sia possibile occorre che il territorio venga messo nelle condizioni di essere competitivo. Il riferimento e` ad infrastrutture, tecnologie, eccellenze tenute qui e non `costrette` alla fuga.
Quante volte negli ultimi anni abbiamo scritto dell`importanza della sede barese della Eurobanca ? Quante volte, indipendentemente dai colori politici ai governi (centrale e locale), abbiamo spinto per la definitiva ed efficace applicazione del trasporto dei tir su rotaia ? Quante volte ci siamo confrontati in tavole rotonde e meetings internazionali, anche in Fiera, sull`utilita` per l`Italia e per la Puglia di un Corridio 8 reale e non fasullo solo sulla carta ? Quante volte, il giorno dell`inaugurazione, abbiamo atteso dal Premier di turno non solo cenni sul Mezzogiorno e sulla Puglia ma fatti concreti?
Ma non e` cambiato nulla, anzi i mesi e gli anni sono trascorsi, tanto piu` che con l`allargamento dell`Unione Europea la Puglia perdera` il treno dei finanziamenti (non essendo piu` regione Obiettivo 1) ad appannaggio dei nuovi membri e alla vigilia di un`altra scadenza incombente nel 2010, ovvero l`apertura dell`area di libero scambio delle merci.
Che fare allora ? Una via percorribile, potrebbe essere quella di ripartire proprio da questa perdita, ovvero impegnarsi nella ricostruzione di un tessuto sociale, politico, economico ed intellettuale che fonda i suoi principi sulle idee, quelle vincenti, e sulla voglia di applicarle in concreto e in tempi brevi, cosi` come, ad esempio si sta facendo nel campo delle nanotecnologie e della termodinamica, dove il Salento e`preso ad esempio da altre realta` italiane e non.
Sono questi i modelli da seguire, sono queste le intuizioni sulle quali investire, nella consapevolezza che nessun finanziamento europeo potra` mai mutare il volto di un territorio se non avra` una sua logica programmata ed una oggettiva continuita`, tratto somatico che potra` scaturire esclusivamente da una classe dirigente giovane, brillante, all`avanguardia e con stimoli elevati al cubo.

venerdì 25 luglio 2008

EUROBANCA: LA SEDE SIA BARI



Dal "Corriere del Mezzogiorno" del 25/07/2008.


La crisi del petrolio, la stagnazione economica, le famiglie che non consumano perché non arrivano alla terza settimana del mese: tutte problematiche contingenti, che non potranno essere risolte in un batter d’occhio ma che avranno bisogno di una programmazione seria e condivisa. In Puglia l’auspicio è che la stagione turistica possa “tirare” l’economia regionale.

Ma uno sviluppo condiviso e multisettoriale necessita anche di strumenti all’avanguardia, perché se è vero che la Puglia è al sud d’Europa è anche vero che si trova nord del Mediterraneo, il bacino economico dalle grandi prospettive anche in considerazione dell’apertura prevista nel 2010.

Il responsabile del Governo per il commercio estero, l’on. Adolfo Urso, lo ha ripetuto ieri in occasione di un meeting internazionale: l’importanza di una banca mediterranea la comprenderemo solo dopo vent’anni dalla sua apertura, dal momento che potrà rappresentare uno strumento valido ed raffinato al fine di concentrare e sfruttare l’insieme delle energie economiche che in quell’area stanno confluendo: basti pensare alle migliaia di containers che arrivano dalla Cina o alle immense risorse di un Paese in espansione continua come l’India che sarebbe da folli non intercettare.

Nel 2004 in un apposito ordine del giorno l’allora gruppo comunale di AN propose al Governo Italiano di sostenere la candidatura di Bari a sede della Banca Europea del Mediterraneo. Dopo quattro anni l’idea, pur sempre valida, necessita di una rapida ma differente attuazione per evitare che venga posta in essere altrove.

Il significato politico ed economico di un’ Eurobanca situata a Bari si tradurrebbe in un oggettivo vantaggio con ricadute sicure sul territorio. Oltre a rappresentare una sorta di ponte finanziario verso realtà come Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Israele, Palestina, Siria e Giordania, la banca rappresenterebbe finalmente la consacrazione europea del capoluogo pugliese: il dato è inequivocabilmente sinonimo di crescita e sviluppo in un’ottica sì mediterranea, ma anche del Mezzogiorno d’Italia.

L’Eurobanca, varata dal Consiglio Europeo di Barcellona del 2002, avrebbe dovuto essere uno strumento economico da 10 miliardi di euro, questo però sino al 2006. L’attuale obiettivo è finanziare partecipazioni azionarie, prestiti, fondi di investimento ed assistenza tecnica nei diversi Paesi del sud Mediterraneo. Le potenzialità da sfruttare riguardano l’agevolazione della cosiddetta “Sponda Sud”, con mercati più aperti e diversificati che interpretino le esigenze del momento e che le tramutino in utili.

Con tali incoraggianti premesse, la Puglia e Bari potrebbero avanzare una candidatura di primo piano ma a patto che la classe dirigente, di qualsiasi colore essa sia, rifletta con lungimiranza sulle scelte strategiche senza farsi accecare dai riflettori elettorali, ma cogitando, dati alla mano, sulle oggettive potenzialità di un’opportunità come questa.

Il capoluogo attende fiducioso di conoscere il suo futuro, un futuro già scritto dalla sua posizione geopolitica: sede naturale dell’Euro Banca.

domenica 22 giugno 2008

IL TESORO DI CIPRO, LE ICONE TORMENTATE


Da www.mondogreco.net


LEFKOSIA- Il Museo Bizantino Makarios III di Lefkosia contiene circa duecentocinquanta icone datate tra l‘800 e il 1700, preziose non “soltanto dal punto di vista artistico ma anche morale ed affettivo“, come mi rivela il giovane Direttore Ioannis Eliades. La sua abitazione si trova nella parte occupata della capitale. Rivederla è sempre una ferita aperta.

Facciamo ingresso nel museo, ospitato all’interno dell’Arcivescovado, a pochi metri da quelle stesse stanze che qualche mese fa l’Arcivescovo di Cipro, Sua Beatitudine Chrisostomos II, mi ha aperto per un gioviale colloquio: molte icone sono danneggiate, altre sono scampate al vortice del mercato nero grazie all’intervento tempestivo delle autorità cipriote, su tutte l’Arcivescovado.

Mozzafiato lo sguardo di un Cristo del 1190 proveniente dalla Chiesa della Vergine di Arakos, a Lagoudhera.

Ben sei le icone di San Nicola presenti, dal tredicesimo sino al diciassettesimo secolo, una delle quali protagonista in Italia nel 2006 di una mostra itinerante interamente dedicata alle raffigurazioni del Santo di Myra e protettore di Bari.

Ci spostiamo nella seconda sala. Affissa al muro vi è la prima pagina del quotidiano “Filelefteros” del 15 settembre 1979. Riguarda il caso del commercio illegale di icone perpetrato dal principe Alfred Zur Lippe, Alto Commissario Onu per i rifugiati a Cipro. Il diplomatico austriaco riuscì a portare fuori dai confini dell’isola una considerevole quantita’ di icone prima che fosse scoperto lo scandalo. Ben ventotto icone sono state faticosamente ritrovate presso di lui,recuperate e custodite all’interno dell’Arcivescovado.

Altre sono state recentemente recuperate dagli Stati Uniti e sono esposte presso il Muso di Arte e Folklore di Lefkosia.

Il Direttore del museo Bizantino, che oltre a parlare un perfetto italiano grazie ad una laurea presso l’Università di Firenze mostra anche una pacatezza quasi surreale ma piacevole, mi conduce per le sale espositive orgoglioso del risultato acquisito in questi anni. E’grazie a giovani forze come questa che si può offrire un valido contributo alla risoluzione dell’atavico problema cipriota. E’grazie all’entusiasmo ed alla capacità di non perdersi d’animo che pareti che sembravano insormontabili stanno pian piano per essere scalate. Con umiltà e determinazione, ma anche con orgoglio e decisione.

La meraviglia e l’eccitazione per alcune strabilianti icone della Vergine lasciano il posto ad una profonda tristezza che mi avvinghia nella terza sala: su una parete fanno capolino le icone danneggiate dalla barbarie inaudita di uomini senza scrupoli e senza rispetto per un qualcosa, l’arte, che travalica posizioni politiche e concezioni religiose. Icone decapitate, sfregiate, sbeffeggiate in nome di non si capisce quale odio, quale dispregio. E poi per ottenere cosa? Odio semina odio.

L’arte è sacra in quanto tale, perché espressione di un qualcosa, un’idea, un’emozione, una devozione. Non tutti però, negli anni, l’hanno pensata in questi termini. Non tutti i popoli che nei secoli sono transitati da Cipro hanno ossequiato forme di arte come queste inimitabili e bellissime icone.

Ma lo sguardo della Vergine Odegitria, di un dolce imbarazzante, sembra quasi volerli perdonare.

Pardon, non quasi, ma a patto che questa isoletta meta tra gli altri anche di San Paolo ritorni ad essere un luogo di pace e soprattutto di giustizia, quella stessa giustizia che i ciprioti inseguono dal 1974.

Francesco De Palo

mercoledì 11 giugno 2008

QUEL MASOCHISMO TURISTICO

Dal "Corriere del Mezzogiorno" dell11/06/08

Arrivano i crocieristi al porto di Bari e i negozi in città chiudono: dove sta l’errore? L’atavica mancanza di programmazione e di una seria volontà di analizzare tematiche per prevederne conseguenze e possibili guadagni, sta ormai attanagliando la città su tutti i fronti, ma questa che definirei un’assurda forma di “masochismo turistico”, rischia di diventare la più grande gaffe della storia cittadina.
Da qualche anno il capoluogo pugliese ha avuto la fortuna di essere prescelto da grandi compagnie come scalo per le crociere nel Mediterraneo. Qualsiasi altra città del mondo, e sottolineo del mondo, oltre a bearsi del fatto in sè, si sarebbe attrezzata per tempo, ad esempio con protocolli d’intesa con le varie federazioni di commercianti, o a piani di intervento di concerto con le Aziende di promozione turistica.
A Bari invece calma piatta: l’inconcepibile miopia della classe dirigente ha provocato un dato incontrovertibile, ovvero l’inutilità dell’approdo di tali navi per il circuito economico cittadino. Nessuno che abbia pensato ad altre visite guidate che non siano la Valle d’Itria o le Grotte di Castellana, nessuno che abbia speso una parola per i commercianti baresi che, oltre a dover fare i conti con la concorrenza della grande distribuzione, si trovano costretti a non poter sfruttare questa grossa occasione.
Di chi sono le responsabilità? Perché i suddetti commercianti non vengono messi nelle condizioni di offrire la propria merce ai croceristi? Le APT che ruolo svolgono? Sono previsti tavoli di concertazione con il Comune? Non è concepibile in un Paese europeo assistere immobili a tanto spreco di risorse. Ed in questo occorre un senso di responsabilità da parte della classe dirigente, che dovrebbe imparare a voler bene alla città anche prendendo decisioni forti, forse scomode, ma frutto di una programmazione valida e condivisa.
Un esempio che dovremmo analizzare è rappresentato dall’affascinante quanto caotica Atene che si e` rifatta il look in tutti i sensi: merito dell’efficientissimo aeroporto intercontinentale ‘Elefterios Venizelou’, costruito da una società tedesca che lo avrà in gestione per dieci anni, identica modalità per la nuovissima metropolitana, merito della concezione industriale del turismo, merito di molte donne al potere e dei favolosi impianti per le Olimpiadi del 2004. Il segreto ellenico nasce dallo sport e da una nuova classe dirigente. Atene ha messo sapientemente mano alle sue strutture, restaurandole, rendendole adatte ai tempi ed ottenendone intelligentemente un profitto. Certo, permangono mali comuni, come la disoccupazione e l’inflazione, ma la strada intrapresa è incoraggiante.
Cosa significano questi dati? Che, sfruttando le potenzialità di un territorio, è possibile identificare quella formula vincente che crea occupazione, introiti e pubblicità. Bari ha tutto per piacere: spiagge, cibo, calore (non solo climatico). Un trittico perfetto per far girare meglio gli ingranaggi del turismo, ma ahimè, non è sufficiente che diecimila tedeschi sbarchino sul lungomare per “far” girare l’economia cittadina.
E’necessario che gli amministratori ci dicano come e se intendono sfruttare le potenzialità di Bari, perchè questa città vuol erigersi a punto di riferimento costante dell’intera area Mediterranea, aspettando il Corridoio 8 e la Banca Euromediterranea, ma sperando che non sia troppo tardi.

giovedì 29 maggio 2008

LEZIONE DI GIORNALISMO AL LICEO AMALDI DI BITETTO



Come impedire che le distorsioni dell’informazione possano ingannare gli utenti? Su quali basi deve poggiarsi l’etica di un giornalista quando si accinge a scrivere un pezzo? Come riconoscere una notizia tendenziosa?
Sono alcuni dei quesiti posti dagli studenti del Liceo Scientifico e Socio Pedagogico “Amaldi” di Bitetto (Bari) al giornalista free-lance Francesco De Palo, che ha tenuto una lezione sulla comunicazione e sulle nuove forme di informazione nella società degli adolescenti e dei post- adolescenti. Gli studenti, accompagnati dalla prof.ssa Antonella Gismondi, hanno animato la lezione con domande e riflessioni, dando vita ad un interessante dibattito.
Ne è risultato che, da sempre, l`uomo ha avuto l’esigenza di ottenere un sostegno dai media.
L`”informazione”, nei suoi derivati giuridico/ sociali non deve essere soltanto una bussola per giornalisti e fruitori, quanto piuttosto un valido momento di riflessione sul mondo di quotidiani e televisioni che ci circonda e dal quale attingiamo quotidianamente notizie, commenti, consapevolezze, che contribuiscono alla nostra coscienza dei fatti.
Il sottile limite tra cronaca pura ed inclinazione soggettiva si presenta come un millimetrico confine che, se travalicato, deve comunque offrire un panorama il quanto piu` vicino possibile alla realta` dei fatti. Il dovere di cronaca e l`onesta` intellettuale del giornalista devono essere la virtu` sovrana, prima ancora degli obblighi derivanti dal codice deontologico: il riferimento è ad una spinta interiore che deve prevalere su mistificazioni, invenzioni, come evidenzia Indro Montanelli, nella prefazione de “L`Italia degli anni di fango”, scritto a quattro mani con Mario Cervi, quando dice che “puo` darsi che di un fatto o di una situazione, quello che noi raccontiamo non sia tutta la verita`. Ma e` sicuramente la verita`, quale sinora si e` potuto appurarla”, ovvero una sorta di certificato di autenticazione che il maestro del giornalismo italiano ha voluto offrire ai suoi lettori come una sorta di testamento interiore: esempio di rara intelligenza che deve essere slancio continuo per le nuove generazioni, sia di giornalisti che di lettori ed utenti.
I mass media dovrebbero instaurare con il pubblico una sorta di patto di ferro, un contatto conoscitivo con l`ambiente esterno, creando veramente la pubblica opinione e raccogliendo le informazioni affinché proprio i fruitori possano formarsi una qualche opinione, di qualunque specie essa sia: questa e` la vera liberta` di informazione, intesa si` come liberta` di informare ma soprattutto come liberta` di essere informati adeguatamente. Si tratta di una concezione che deve avere necessariamente come base conoscitiva la Costituzione italiana, e la storia di questo Paese, consapevole delle mille peripezie che l`hanno attraversata nei primi anni del secolo scorso.

Il riferimento e` alle censure, alle limitazioni della liberta` imposte con la forza, ma anche a quelle piu’ attuali, come le suggestioni di taluni media di fronte ai poteri forti, le influenze dettate dai conflitti di interessi, certa sudditanza diversificata. Sono queste le cancrene da amputare, sono proprio manifestazioni simili i rami secchi da potare, sono questi gli esempi da non seguire, sempre in ossequio a quanti, per difendere la liberta` sancita dall`art. 21 della Costituzione italiana, hanno immolato se stessi.

mercoledì 28 maggio 2008

Da Repubblica Bari del 28/05/08

Fermarsi per prestare soccorso e ritrovarsi con una multa da pagare: è l’assurda esperienza accaduta questo pomeriggio a due motociclisti baresi.

Si trovavano a bordo dei loro mezzi sulla statale 16, all’altezza del bivio di via Caldarola di ritorno a casa dopo la consueta passeggiata domenicale, quando hanno notato un’altra moto dinanzi a loro, sulla quale il passeggero posteriore accusava un malore e ondulava pericolosamente. Il pilota del suddetto mezzo, trattenendo il passeggero con un braccio, ha accostato immediatamente, seguito dagli altri due centauri uno dei quali ex Vigile del Fuoco quindi capace di prestare prima assistenza, e si sono sincerati delle condizioni del passeggero ed hanno chiamato il 118.

Una volta giunta sul posto l’ambulanza, è transitata casualmente una pattuglia della Polizia stradale, la quale ha provveduto a rallentare il traffico per consentire alla persona colpita da malore di essere caricata sull’ambulanza, ma ha intimato ai due centauri- soccorritori di non andar via e di mostrare i documenti, dal momento che sarebbero incorsi in una contravvenzione. La motivazione? Avevano la targa delle moto troppo in alto e quindi illeggibile.

Inutili le proteste dei due, sconcertati da tanta pignoleria e francamente dispiaciuti per l’epilogo della vicenda. Fa specie constatare che in un momento in cui sarebbe stato opportuno ringraziare i due centauri per il pronto intervento e per la solidarietà mostrata (cosa rara nei giorni nostri), i suddetti agenti della Polizia Stradale hanno invece voluto assumere un atteggiamento fuori luogo e lesivo anche della loro stessa immagine.

lunedì 12 maggio 2008

IV SINEDRIO INTERNAZIONALE DI STUDI CIPRIOLOGICI


LEFKOSIA- Trecentocinquanta relatori provenienti da 27 Paesi (Italia, Grecia, Inghilterra, Ohio, Arizona, Illinois, Indiana, stato di New York, Israele, Serbia, Australia, Germania, Belgio, New Mexico, Cipro, Svizzera, Francia, Spagna, Bulgaria, Georgia, Scozia, Austria, Federazione Russa, Norvegia, Polonia, Romania, Marocco) piu`di 500 richieste di partecipazione, inaugurazione alla presenza del neo presidente della Repubblica di Cipro e delle massime autorita‘ civili, militari e religiose: sono alcuni dei numeri del IV Sinedrio Internazionale di Studi Cipriologici, appuntamento che dal 1963 caratterizza la vita intellettuale, accademica e scientifica dell`isoletta all’estremo est del Mediterraneo, che come e’noto dal 1974 deve purtroppo fare i conti con l’occupazione militare turca .
Il sinedrio, che si e’svolto a Lefkosia presso il Pankiprian Gimnasuim dal 29 aprile al 3 maggio, e’stato organizzato dalla Societa’ di Studi Cipriologici, sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica Dimitris Christiofas e di Sua Beatitudine l’Archipiscopo di Cipro Chrysostomos II.
L’apertura ufficiale e’stata preceduta da un’esibizione dell’Orchestra filarmonica Nazionale cipriota e soprattutto da un minuto di silenzio in memoria del cantautore cipriota Mario Tokas, scomparso proprio in questi giorni.
Tre le sezioni del sinedrio: quella antica (arte preistorica e periodo romano), quella Bizantina/Medievale (dal 330 al 1571 AD) e quella Moderna dal 1571 ai giorni nostri.
Del comitato onorario hanno fanno parte: il Presidente della Repubblica Dimitris Christiofas, il Makariotita l’Archipiscopo di Cipro Chrysostomos II, il Ministro della Cultura Andreas Demetriou, il sindaco di Lefkosia Eleni Mavru, il direttore del Press and Information Office del Governo Yiannakis Solomou, il rappresentante permanente di Cipro presso l‘Unesco Edme‘Leventis, il presidente dell’ufficio delle imposte di Lefkosia Nikolaos Matthaiou e il presidente della Societa‘di Studi Cipriologici Christodoulos Hadjichristodoulou. Quest’ultimo ha sottolineato come l’unione di intenzioni comuni e di sforzi condivisi porta al naturale svolgimento di eventi come questo.
Presidente del comitato organizzatore Ioannis Eliades, attualmente direttore del Museo Bizantino Makarios III di Lefkosia, che e’riuscito nell’ardua impresa di organizzare in soli due anni questa edizione del congresso che e’entrata di diritto nella storia di Cipro dal momento che l‘ultima risaliva al 1983.
Durante l’intera durata del congresso, e’stato possible visitare in contemporanea i quattro principali musei di Lefkosia, il Museo Archeologico di Cipro, quello bizantino e la galleria d’arte della Fondazione Makarios III, il museo di Folk Art e il museo Etnico ospitato nella Casa di Hadjigerogakis Kornesios.
“Il nostro auspicio- ha evidenziato il segretario generale del congresso Charalampos Chotzakoglu- e’che il contributo degli illustri relatori che sono intervenuti possa essere di aiuto per innalzare sempre piu’ il livello di conoscenza di Cipro”, mentre Ioannis Eliades, nel dare avvio ufficialmente al sinedrio, si e’augurato che la prossima edizione, prevista per il 2013, possa svolgersi in una Cipro finalmente libera.

martedì 6 maggio 2008

INTERVENTO AL IV SINEDRIO INTERNAZIONALE DI STUDI CIPRIOLOGIGI


NICOSIA, 29 aprile- 3 maggio 2008


INTRODUZIONE

Gentili studiosi, autorità, amici mediterranei, è per me un grande onore essere qui a dare il mio piccolo contributo a questo momento di riflessione sociale, politica, culturale sugli studi cipriologici. Dimostra una volta di più che il dialogo è lo strumento imprescindibile per confrontarsi e per reperire soluzioni condivise.
Perdonerete se sarò costretto a leggere i miei appunti, ma il mio greco non è ancora perfetto come vorrei.
Ho ritenuto utile soffermarmi su due aspetti della materia che ritengo interconnettibili: gli sviluppi del cosiddetto Piano Annan e il ruolo delle differenti comunità religiose sul territorio turco.

GLI SVILUPPI DEL PIANO ANNAN

Il Piano Annan si colloca nel panorama internazionale cipriota dopo 30 anni di trattative e si basa sulle risoluzioni delle Nazioni Unite del 1960 e cioè prima ancora dell’occupazione turca del 1974 della zona nord dell’isola. Il lato greco ha categoricamente rifiutato il programma di Annan, mentre il lato turco si è espresso favorevolmente. La motivazione preponderante contro l'unificazione addotta da parte del lato greco è stata quella di un possibile trasferimento di ricchezza e di risorse dal lato greco a quello turco (atavicamente più povero) anche da parte dell'Unione Europea. Inoltre mentre ai colonizzatori turchi (che popolano la maggior parte nel nord occupato) è stato consentito di accedere alle urne, i rifugiati che erano fuggiti da Cipro non hanno avuto diritto di votare in un referendum che sarebbe stato determinante circa il loro futuro (nello specifico il diritto di ritornare in possesso delle loro proprietà). Nel maggio 2004 Cipro è entrata nell'UE, anche se in concreto ciò si applica soltanto alla parte del sud dell'isola.
Mi soffermerò brevemente sui tratti generali del piano Annan. Nel riconoscimento del sostegno della Comunità Cipriota turca alla riunificazione, tuttavia, l'UE ha indicato chiaramente che concessioni commerciali sarebbero state raggiunte per stimolare lo sviluppo economico nel nord e che rimane l'impegno a una riunificazione in termini accettabili. La Repubblica Unita di Cipro dovrebbe avere bandiera nazionale ed inno unificati. La Repubblica dovrebbe essere retta da un governo federale composto da due stati costituenti; un senato federale composto da 24 turco-ciprioti e 24 greco-ciprioti dovrebbe costituire l'assemblea legislativa comune. Il Presidente dovrebbe essere greco, il vice-presidente turco.
In primis il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti Umani e risoluzioni dell’ONU. Esso fonda la sua base attuativa sull’art. 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi nella veste pratica escluderne la concreta applicazione. Al suo interno è possibile rinvenire una miriade di interepretazioni, quasi ci trovassimo in fitti cunicoli sotterranei, ad esempio una serie di restrizioni nella libertà di movimento e di acquisto di immobili e proprietà nella zona turco-cipriota da parte dei greco-ciprioti. Di contro un cittadino europeo potrebbe acquistare liberamente nella zona turco-cipriota. Il che non offre il destro ad un’analisi quantomeno serena.
Riguardo all’acquisizione di immobili, il piano Annan si è caratterizzato per una politica alquanto restrittiva e inapplicabile a causa di alcuni vizi di forma a sfavore dei greco-ciprioti. Un esempio pratico è rappresentato dal fatto che i rifugiati più anziani possono tornare alle loro case (ma non è specificato se possono acquistarle nuovamente) per i primi tre anni in percentuale del 3%. Ogni anno i rientri aumenterebbero dell’1% con un’ interruzione dopo i primi 20 anni. Questi rifugiati non possono comunque superare il 24% della popolazione della parte turca.
Per quanto riguarda poi la difesa dell’isola è contemplata un’azione di completa smilitarizzazione, mentre sarebbe mantenuto un consistente esercito turco-cipriota fino a data da stabilire : altro dettaglio del quale non si comprende al meglio la scelta. Garante della sicurezza dell’isola verrebbe incaricata la Turchia, che non è neanche membro dell’UE.
Per svariati anni i greco-ciprioti, in piccole percentuali, potranno solo visitare quotidianamente la zona turca dell’isola : qualora volessero effettuare un soggiorno dovrebbero richiedere permessi specifici alle autorità locali, che dovrebbe essere richiesto anche dai rifugiati greco-ciprioti mandati via dalle loro case dopo l’occupazione turca del 1974.
Infine il piano Annan continuerebbe a proteggere gli interessi di USA e Gran Bretagna che, con basi militari ad Akrotiri e Dhekelia, controllano strategicamente il Mediterraneo orientale e tutto il Medio Oriente. Dopo l’esito negativo del referendum dalla parte greco-cipriota, e l’ingresso ufficiale della Repubblica di Cipro nell’UE dal 1 maggio 2004, queste basi appartengono giuridicamente all’Europa Unita.
Oggettivamente il piano Annan si pone come una possibile soluzione, magari nata da intenzioni apprezzabili di ristabilire quantomeno una gerarchia politico-sociale, in pratica però presta il fianco a critiche non occasionali ma frutto di una ponderata riflessione: esso non garantisce pari diritti alle due comunità.
La situazione ad oggi è ben diversa, alla luce delle richieste specifiche:
il lato greco:
· ha sostenuto fermamente il ritorno dei rifugiati da entrambi i lati alle proprietà sgomberate nello spostamento 1974, basandosi sia sulle risoluzioni dell'ONU che sulle decisioni della corte europea dei diritti dell'uomo;
· ha avversato tutte le proposte che non tenessero conto del rimpatrio dei turchi che erano emigrati dal continente a Cipro dal 1974;
· ha sostenuto un'amministrazione centrale più forte.
Il lato turco:
· ha favorito un'amministrazione centrale debole che presiedesse due stati sovrani in associazione volontaria, eredità dei timori iniziali di dominazione dai parte dei Ciprioti greci (in maggioranza);
· si è opposto a programmi di demilitarizzazione, citando preoccupazioni di sicurezza.
E’altresì palese che dal maggio 2004, complice l’ingresso di Cipro nell’Ue, i confronti ed i raffronti tra le due istituzioni si siano incentivati, anche grazie ad una presa di coscienza più massiccia: è il caso di una serie di incontri interlocutori, tenutisi grazie alla volontà dei due leaders, Papadopoulos e Talat, ma sempre per iniziativa delle Nazioni Unite. Si è trattato di occasioni nelle quali è stata evidenziata la volontà poco convinta di riprendere il negoziato per la riunificazione: ma se da un lato l’Onu ha insistito oltremodo con il piano Annan, nonostante i rilievi del caso siano stati avanzati con convinzione all’indomani del referendum, l’Ue ha proseguito in una linea non troppo pressante, salvo terminare il 2006 con una serie di prese di posizione quantomeno più convinte.
Da segnalare l’iniziativa di Ibrahim Gambari, sottosegretario nigeriano per gli affari politici dell’Onu, che ha proposto un piano in tre tappe: l’istituzione di tavoli di concertazione e comitati tecnici che predispongano liste di tematiche da analizzare, un vertice tra i due leader per fare il punto della situazione sotto la supervisione di un super partes Onu, e infine la fase negoziale vera e propria..

TESTIMONIANZE


Mi pare utile, in questo senso inserire due dichiarazioni rese da due europarlamentari italiani appartenenti al gruppo Uen:
Roberta ANGELILLI (UEN, IT) «la Turchia non può non riconoscere uno Stato già effettivamente membro dell'Unione europea come Cipro, né tanto meno continuare ad occupare il suolo cipriota con ben 40.000 soldati».

Sebastiano (Nello) MUSUMECI (UEN, IT) ha affermato di guardare da sempre con grande interesse «alla coraggiosa scelta della Turchia di schierarsi dalla parte dell'Occidente almeno sul piano delle scelte strategico-militari». Se è vero che alcuni ostacoli sono stati superati, ha spiegato, altri però restano ancora da eliminare. Non si tratta di un lungo infinito esame cui l'Occidente sottopone la Turchia, ha precisato, «ma dell'indispensabile esigenza di costruire un ampliamento su un terreno di democrazia e di rispetto dei diritti civili ed internazionali». Per questo, ha concluso, l'Unione europea ha il dovere di sostenere la Turchia nel suo cammino di allineamento all'Occidente «ma ha anche il dovere di essere inflessibile e intransigente», in quanto «su questo terreno qualunque altra scelta di opportunismo non potrebbe trovare giustificazione».
Si tratta di due visioni del problema che, sebbene siano figlie di prese di posizioni forti e decise, lasciano comunque il corretto margine a forme di apertura e di coinvolgimento. Ritengo che solo con l’aiuto di due termini come questi, (apertura e coinvolgimento) sia possibile fare il dovuto mea culpa, ed individuare al più presto i canali da seguire per risolvere una volta per sempre il problema, contando anche su un altro interessantissimo elemento. La soluzione finale del problema Cipro, che in molti considerano lunga e difficile, ma che altri invece tra i quali il sottoscritto pensano sia fattibile e condivisa, potrebbe rappresentare il vessillo di una pace da estendere più ampiamente all’intero Medio Oriente: come sarebbe utile e saggia una vera e propria bandiera di pace e di convivenza civile e fraterna, sventolata proprio in direzione di quei territori distanti poche centinaia di chilometri che purtroppo in questi anni hanno visto solo sangue e morte. Nessuno dice che sia facile dare seguito a queste speranzose righe, ma il dovere di tutti è di provarci.

Ed è in questo senso ed in questa scia di unione di perdono, che si inserisce l’analisi sulle forme religiose che in questi anni si sono confrontate sul territorio anche alla luce di tristi episodi di violenza accorsi con ingiustificabile ferocia.

IL RUOLO DELLE DIFFERENTI COMUNITA’ RELIGIOSE

L’integrazione e la partecipazione delle differenti comunità religiose alla vita di un Paese moderno e democratico, rappresenta la chiave di volta per progettare una società all’avanguardia, capace sì di garantire uguali diritti alle differenti componenti, ma altresì di evidenziare doveri e princìpi senza i quali sarebbe difficile individuare l’architrave di una corretta ed adeguata convivenza. Mi soffermerò sulle situazioni alle quali cattolici, ortodossi e protestanti hanno dovuto far fronte, nei rapporti con il mondo turco, in modo particolare in riferimento all’assassinio di don Andrea Santoro.



CATTOLICI


Nel 2006 Papa Benedetto XVI è stato invitato dal Presidente della Repubblica Ahmet Necdet Sezer a recarsi in Turchia per una visita ufficiale, al fine di rendersi conto di persona del clima di tolleranza culturale che vige nel Paese. “Il viaggio – come ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri, Namika Tan – ha avuto lo scopo di favorire i suoi sforzi tesi a intensificare il dialogo fra le religioni e la reciproca comprensione fra le civiltà a livello globale”. Il primo invito rivolto al Pontefice era giunto però dal Patriarca greco-ortodosso Bartolomeo I, sulla scorta di una tradizione ormai consolidata (iniziata con papa Paolo VI e proseguita da Giovanni Paolo II) tra il Patriarca ecumenico ortodosso e la maggiore autorità del mondo cattolico.
Il gesto diplomatico fu però preceduto da una serie di eventi, tra cui quello tragico occorso il 5 febbraio 2006, nella città di Trebisonda: un ragazzo musulmano uccise a colpi di pistola, nella chiesa di Santa Maria, il sacerdote cattolico italiano don Andrea Santoro. Molteplici sono state le reazioni. Monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, in un incontro con i giornalisti in sala stampa vaticana, aveva sottolineato che “Il motivo vero dell’uccisione di don Santoro è l’esaltazione religiosa, motivata dal clima anticristiano che si respira nella regione, in famiglia, a scuola, nelle letture. La situazione dei cristiani in Anatolia, non è semplice- proseguì- le notizie che vengono diffuse sulla Chiesa cattolica sono o notizie denigratorie sul cristianesimo o banalità”.
Purtroppo anche il cimitero cattolico di Trebisonda è stato spianato dalle ruspe, le tombe sono state profanate, ed ora non restano che tre lapidi.
“Prima di morire Don Andrea- ha proseguito mons. Padovese- , aveva preso contatti col sindaco perché provvedesse ad una recinzione di quello che ormai è un campo di sterpaglie”.
Altro episodio increscioso avvenne il successivo 9 febbraio 2006, quando alcuni musulmani aggredirono a Smirne il sacerdote cattolico sloveno don Martin Kmetec, al grido di «vi ammazzeremo tutti; Allah è grande». E’chiaro che le manifestazioni di violenza come queste, caratterizzate da una inaudita barbarie, vanno condannate, di qualunque stampo esse siano e da qualunque parte provengano, senza distinzioni. Solo con l’accantonamento definitivo della violenza sarà possibile ristabilire un clima di pace e di cooperazione, senza il quale nessuno Stato può dirsi moderno e soprattutto umano.


ORTODOSSI


Secondo un articolo pubblicato sul “The Economist”, agli ortodossi di rito siriaco del paese di Bardakci è stato definitivamente tolto un terreno che un tempo ospitava la loro chiesa di Santa Maria, dal momento che il Governo ha deciso di concedere quell’area a una comunità di curdi per la costruzione di una moschea, senza tenere in debita considerazione le veementi proteste della minoranza cristiana.
Un grave episodio di violenza è da segnalare nell’agosto del 2005, nel quartiere di Sarilar, nel paese di Altinozu, abitato in prevalenza da greci ortodossi e per questo attaccato da una folla di 100 musulmani del paese di Karsu, che cantavano: «Qui non c’è posto per gli infedeli». Il bilancio fu di cinque feriti, compresa la moglie del parroco Spir Bayrakcioglu, e danneggiate 10 abitazioni. A scatenare gli scontri, era stata una rissa avvenuta la sera stessa tra giovani dei due paesi che aveva portato all’arresto di due ortodossi accusati di aver usato un rasoio per colpire due musulmani.

PROTESTANTI


I protestanti, invece, hanno a disposizione 55 luoghi ufficiali di culto nelle maggiori città del Paese, ciononostante le singole comunità non sono ancora riuscite a ottenere il riconoscimento di status legale di edifici ecclesiastici. L’impedimento sarebbe rappresentato da una serie di ostacoli amministrativi e burocratici.
A margine delle schermaglie burocratiche, un nuovo episodio di violenza è avvenuto nel gennaio 2006: il pastore della chiesa di Adana, Kamil Kiroglu, fu picchiato selvaggiamente fino a perdere i sensi. Cinque i suoi aggressori che gli intimavano di abiurare la fede cristiana e convertirsi all’islam, se non voleva essere assassinato. Altri casi di persecuzione, riportati sul «The Economist», avevano riguardato a Tarso un missionario neozelandese, che era stato percosso e invitato ad andarsene dal sindaco della cittadina. Mentre a un pastore protestante di Izmit era stata recapitata una lettera minatoria ed era stata dipinta una svastica rossa sulla porta di casa.
Anche sul lavoro, le discriminazioni sono evidenti. Bektas Erdogan, stilista di moda convertito da 11 anni al cristianesimo, è stato percosso per due ore dal proprio datore di lavoro che lo accusava di svolgere opera missionaria e “lavaggio del cervello”. Andreas Robopulos è un giornalista di origine greca che vive in Turchia. E’ direttore del piccolo quotidiano turco “Iho”, edito in lingua greca, e fu oggetto il 4 dicembre 2007 di un’aggressione con colpi di bastone alla testa da alcuni sconosciuti, proprio dinanzi alla redazione del giornale nel quartiere di Beyoglu, sulla sponda europea di Istanbul.

DON SANTORO


“È una bella storia quella di don Andrea, e non solo per i cinque anni in Turchia. È una storia che fa scoprire la spiritualità e la vita germinate negli anni dopo il Concilio”. Sono le parole con cui lo storico Andrea Riccardi ha presentato il libro di Augusto D’Angelo “Don Andrea Santoro – Un prete tra Roma e l’Oriente”, edito da San Paolo, e presentato in Campidoglio a Roma il 31 gennaio 2007. Il libro ha intesto essere una sorta di excursus sull’esperienza del presbitero nato a Priverno e abbraccia un serie di testimonianze e documenti molto significative, tra cui giova ricordare quelle di amici del sacerdote ucciso e di pellegrini da lui guidati tra le memorie della fede cristiana in Turchia. Tra i documenti, la lettera scritta da don Santoro per l’Opera romana pellegrinaggi, allo scopo di introdurre un itinerario poi annullato per gli attentati dell’11 settembre 2001. Il cardinale Camillo Ruini in quell’occasione disse che don Santoro “intendeva essere una presenza credente e amica, favorire uno scambio di doni, anzitutto spirituali, tra l’Oriente e Roma, tra cristiani, ebrei e musulmani”.
Mentre il sindaco di Roma, Walter Veltroni evidenziò che “Don Santoro non è un teologo né un intellettuale ma parla e scrive molto, perché è un uomo comunicativo”.
Ma per comprendere al meglio cosa significhino le parole perdono e amore, mi sembra utile soffermarci sulla testimonianza della sorella di don Santoro, Maddalena:
«Per me non è morto nulla – confida la sorella Maddalena all’Agenzia Romasette nel febbraio 2007- perché al di là della sofferenza personale, di tutta la mia famiglia, degli amici e figli spirituali, nel non vederlo, nel non sentirlo, nel sapere che Andrea non è più in un luogo preciso, emergono con sempre maggiore forza ed evidenza le ragioni delle difficoltà nel rapporto tra Oriente e Occidente, che non sono dovute al petrolio o a ricchezze materiali. La complessità del Medio Oriente, come si comprende infatti dall’ultima lettera di don Andrea, era per lui legata all’anima religiosa di quei luoghi: «In questo cuore, nello stesso tempo luminoso, unico e malato del Medio Oriente è necessario entrare in punta di piedi, con umiltà, ma anche con coraggio. La chiarezza va unita all’amorevolezza».«Anche la visita del Papa in Turchia - continua Maddalena - sta dentro questo processo che si è messo in moto e che pone maggiore attenzione al rapporto tra cristiani e musulmani. Certamente c’è ancora moltissima strada da fare, strada dura, in salita. Credo veramente che la forza di Andrea sia stata la sua fede - sottolinea ancora Maddalena -, il suo radicamento in Cristo, nel Vangelo, nella Chiesa apostolica che Gesù ha voluto, così come il suo continuo riferimento al Crocifisso, all’Agnello, all’Eucaristia, che indica umiltà e mitezza”.Ancora nella sua ultima lettera don Santoro annotava: «Un Dio che attira con l’amore e non domina con il potere è un vantaggio da non perdere...Non è facile, come non è facile la croce di Cristo sempre tentata dal fascino della spada. Ci sarà chi voglia regalare al mondo la presenza di questo Cristo? Ci sarà chi voglia essere presente in questo mondo mediorientale semplicemente come cristiano, sale nella minestra, lievito nella pasta, luce nella stanza, finestra tra muri innalzati, ponte tra rive opposte, offerta di riconciliazione?». «Lui l’ha voluto - conclude Maddalena - ma come ciò possa proseguire e accadere è interamente affidato a Dio, alla fede purificata e trasparente dei cristiani e agli uomini di buona volontà!».


CONCLUSIONI

Il Parlamento europeo nella risoluzione sulle relazioni UE- Turchia dello scorso 24 ottobre, rammentava al Governo di Abdullah Gul il decalogo da rispettare: sì alle annunciate riforme in Turchia, ma vengano concentrate nei settori in cui vanno realizzati ulteriori progressi. Imprescindibile il rispetto delle minoranze religiose, ferma condanna per l'uccisione di don Santoro, più controlli civili sui militari e maggior rispetto della libertà d'espressione, senza dimenticare gli impegni su Cipro, curdi e armeni. Una sorta di richiamo che l’assise europea ha rivolto alla Turchia, a maggior ragione in questi mesi di intensi combattimenti al confine con l’Iraq e soprattutto in concomitanza con il meeting ecumenico che di Napoli dell’ottobre 2007. Proprio il capoluogo campano ha visto la contemporanea presenza del Santo Padre Benedetto XVI e, tra gli altri, dell’arcivescovo di Cipro Chrysostomos II, che ha ribadito le due priorità per l’isoletta: il rispetto della libertà di culto e la salvaguardia dell’immenso patrimonio culturale-religioso presente nella parte occupata, la “Katekomena”.
A proposito di Cipro il Parlamento europeo ha ricordato che “l'inadempimento da parte della Turchia degli impegni assunti nel quadro del partenariato per l'adesione continuerà ad influenzare negativamente il processo negoziale. Rammaricandosi che non vi sia stato alcun progresso sostanziale verso una soluzione globale della questione di Cipro, esorta ambedue le parti affinché adottino un atteggiamento costruttivo per trovare, nel quadro dell'ONU, una soluzione globale basata sui principi su cui è fondata l'UE. In proposito, ricorda che il ritiro delle forze turche agevolerebbe la negoziazione di un accordo”.
Il sussulto del Parlamento europeo si presta ad una duplice lettura: se da un lato offre un chiaro spunto di apertura e di riflessione responsabile al governo del neo premier Gul, dall’altro fa chiaramente capire di non essere affatto pronta a sconti o a concessioni incongruenti, come qualcuno scriteriatamente auspicava (vedi quei deputati radicali che nel settembre 2007 avevano accolto a Roma come un eroe il presidente della parte turco-cipriota, addirittura con scorta ufficiale dei Carabinieri, senza che alcuna penna ‘nazionale’ versasse inchiostro in proposito).
Cancellare la storia serve solo a chi quella storia vorrebbe riscriverla, magari per uscirne vincitore, anziché sconfitto. Peccato (per loro) che non viviamo più nei tempi in cui era sufficiente mistificare o ingannare le genti per ottenere consensi ed applausi.