lunedì 25 gennaio 2016

Grecia, Schengen come il memorandum: quando la politica è un bluff

Il nodo immigrati? Lo scioglieranno come hanno fatto con la crisi economica greca: con una falsa soluzione che aggrava lo status quo. La miopia politica di chi, anziché prevenire disagi, ha preferito epitetare come Cassandre coloro che due anni fa lanciavano l’allarme sui 500mila profughi pronti a salpare da Smirne, esplode oggi nella sciocchezza di voler isolare la Grecia escludendola (seppur temporaneamente) da Schengen. Attrezzare un cordone sanitario nell’Egeo nella speranza che Atene sia costretta così a aprire hot spot e quindi a evitare l’invasione sulla dorsale balcanica è da ingenui, oppure da furbi.
Davvero si pensa che disattivando la libera circolazione solo in Grecia si riuscirà a isolare un fenomeno dalle dimensioni macroscopiche, che sta costando tre miliardi di euro alle casse degli Stati membri per un regalo ingiustificato alla Turchia? E perché allora non si impone a Erdogan di stoppare il flusso incontrollato di carni e braccia? Forse perché l’alleato di Ankara rappresenta ancora un player incontrastato nella macro regione mediorientale?

La testa di Bruxelles in questo frangente non solo sta sbagliando ricette ma, come con la crisi finanziaria detonata cinque anni fa nell’assurda sorpresa generale, propone soluzioni tampone che peggiorano il problema. E’come voler combattere un cancro con un’aspirina. Ieri si è scelta la strada di un memorandum che droga la Grecia, costringendola a prestiti che tutti sanno non potrà mai onorare: un’alimentazione e idratazione forzata che ne rallenta l’agonia, a spese di tutti.

Oggi si intende sigillare Atene lasciandola da sola a gestire un numero sempre più incontrollato di profughi. Quando illustri esponenti dell’euroburocrazia sostengono che la messa in discussione di Schengen equivale alla distruzione dell’Europa, dimenticano di aggiungere che anche l’immobilismo o un movimento in senso contrario è altrettanto deleterio per quel vecchio Continente che avrebbe avuto bisogno di visioni e non di un così rapido allargamento, di strategie ponderate e non di sanzioni, di dialoghi fruttuosi e non di accordi sotterranei come il Ttip, di profitti per gli Stati membri e non di politiche disarticolate come il casi libici e siriani dimostrano.

Come ha osservato Berthold Kohler sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, la posta in gioco in questa assurda partita è la pace, ma anche la libertà dei singoli individui e la prosperità di un continente. Tutti fattori che fino a ieri erano dati per scontati, ma che da oggi se vorranno avere un futuro avranno bisogno di un piano C, visto che le due strade tradizionali, l’integrazione tout court e la politica dei muri di confine, non sanano la ferita. La prima perché, senza regole certe e con lo scarso coordinamento affiorato nell’anno passato, c’è solo il caos e il rischio infiltrazione terroristica (la mano del Bataclan ha viaggiato indisturbata dalla Grecia all’Italia). La seconda perché la violenza ideologica di nuovi muri finirà di distruggere un’Europa le cui fondamenta gettate dai padri costituenti sono state violentate da una classe dirigente inadeguata e a tratti imbarazzante.
E allora quando 20mila trattori bloccano la Grecia contro la riforma previdenziale, quando nella splendida isola di Lesbo i pochi poliziotti hanno il sostegno solo delle Ong e le quotidiane provocazioni dell’aeronautica turca, quando dei suicidi greci da crisi non se ne occupa più nessuno, quando un terzo di cittadini greci vive con meno di 10mila euro all’anno e senza garze e pomate negli ospedali, beh significa che l’Europa è già sulla strada del dissolvimento. Non solo politico ma, ed è più grave, soprattutto sociale e ideale.
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sabato 16 gennaio 2016

Dismissioni Grecia, la cinese Cosco in pole per il Pireo. E in Italia...


Una delle maggiori società di logistica del pianeta, la Cosco Cina, che dispone di 174 navi porta-container operanti in 162 porti di 49 paesi, è l’unica candidata alla privatizzazione del porto greco del Pireo di cui utilizza già il 33% dei moli containers. All’apertura delle buste l’unica offerta presente era proprio del colosso cinese. E così se l’affare andrà in porto (burocrazia ellenica permettendo) a stretto giro giungerebbero nel Mediterraneo e a due passi dall’Italia ancora più container a settimana, che i cinesi scaricherebbero in Grecia anziché nella più lontana Rotterdam. Con un vantaggio per Pechino (ma non solo) in termini di tempi e di costi.

Cosco Group ha presentato l’unica offerta vincolante per il 67% del capitale sociale di Porto del Pireo Organization e ora è invitata a sedersi al tavolo dei negoziati con il governo per la parte più complessa: garantire, come chiede Atene, il maggior beneficio economico possibile allo Stato greco. Il fatto che i cinesi abbiano presentato l’unica offerta, secondo fonti governative, non è stata una sorpresa, vista la passata disponibilità di Pechino (come Mosca) ad accollarsi anche alcuni debiti, manifestata esattamente un anno fa in occasione della prima vittoria elettorale di Alexis Tsipras. Ma nonostante il forte interesse da parte dei danesi di APM Terminals (controllata da AP Moeller e Maersk) e dai filippini di Container Terminal Services, l’offerta di Cosco era l’unica sostenibile, dal momento che gestisce già alcuni moli. Mercoledì prossimo ad Atene è annunciato un vertice tra l’amministratore delegato di Cosco e il governo per valutare margini di miglioramento, anche se i cinesi un’offerta precisa già l’hanno fatta in sede di proposta contenuta nella busta.

Atene però punta sulle mutate condizioni e sul contesto della gara, come l’esclusione dalla privatizzazione della zona costiera di Drapetsona. Ci sarebbero anche le condizioni economiche generali in Grecia che sono cambiate in modo significativo rispetto al periodo in cui il dialogo era stato avviato. Inizialmente Cosco si era detta disponibile a investire 350 milioni nel porto del Pireo, per sviluppare il comparto crocieristico grazie a nuovi progetti portuali (serbatoi per le riparazioni di navi, modernizzazione del terminal delle auto e nuove infrastrutture nel bacino di manutenzione). Ma a condizione di completare l’iter burocratico entro marzo, termine che la farraginosa burocrazia greca potrebbe non rispettare. Contrari alla privatizzazione i sindacati: secondo la Federazione dei Dipendenti Porti Greci il contratto di concessione contiene offerte finanziarie “prive di qualsiasi legittimità che non tutelano l’interesse pubblico.”

Il Pireo è il più grande porto della Grecia e uno dei più importanti del Mediterraneo orientale, meno dei grandi porti del nord Europa, ma rispetto a questi molto più facilmente alla portata dei container cinesi che passano attraverso il Canale di Suez. Inoltre la Grecia è vicina a mercati emergenti come quelli della Turchia, dell’Europa orientale e dei Balcani. A quel punto l’Italia, in quanto Stato-ponte più in prossimità, sarebbe pronta a ricevere quella valanga di container per poi farli transitare, su rotaia, sulla dorsale adriatica o tirrenica, con destinazione centro Europa? Entrambe le opzioni disponibili appaiono difficilmente percorribili. 

Lo scalo calabrese di Gioia Tauro è di fatto tagliato fuori dal piano della logistica nazionale voluto da Palazzo Chigi, con la conseguenza che averlo fatto rientrare nella zona economica speciale ha cambiato poco: ancora niente presidente, ancora un commissario straordinario e assenza di una bretella stradale affidabile, visti i tempi della Salerno-Reggio. Taranto, che da un punto di vista infrastrutturale avrebbe le carte in tavola (moli Ilva più autostrada A14), è invece zavorrata dal caso giudiziario della stessa Ilva che non consente al momento di fare progetti di lungo termine.

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giovedì 14 gennaio 2016

Il kamikaze di Istanbul aveva chiesto asilo politico


Kamikaze-profugo: la richiesta di asilo politico come vaucher di impunità per fare una strage? La domanda è d'obbligo all'indomani della scoperta sul conto del 28enne che si è fatto esplodere nel centro di Istanbul, uccidendo 10 turisti tedeschi e ferendone 15. Nabil Fadli, nato in Arabia Saudita, appena una settimana fa, il 5 gennaio, aveva bussato alla porta dell'ufficio immigrazione turco per chiedere lo status di rifugiato. Lo dimostra un video pubblicato dal quotidiano turco Haberturk. Era assieme ad altre quattro persone, e gli erano state prese le impronte digitali, ma le autorità si sono affrettate a precisare che il suo nome non figurava su liste di ricercati. Un dettaglio se vogliamo secondario, dal momento che gli è stato sufficiente chiedere asilo per ottenere porte aperte nella città che in seguito ha deciso di «violentare» con il suo folle gesto.

 Un po' la stessa cosa di Tarek Belgacem, il tunisino ucciso il 7 gennaio scorso mentre tentava di entrare in un commissariato di Parigi con un coltello e una finta cintura esplosiva. La polizia svizzera ieri ha rivelato che l'uomo «aveva chiesto asilo in Svizzera nel 2013, ma la sua richiesta fu respinta e fu rimandato in Italia a giugno».A poco serve oggi l'ondata di arresti effettuati in Turchia, dove sono state fermate complessivamente 65 persone: tre russi, 15 siriani e un turco ad Ankara; ventuno al confine con la Siria ed altri nella provincia di Mersin, ad Adana e Dyarbakir. La permeabilità delle frontiere turcosiriane unite alla logica perversa dei richiedenti asilo si rivelano due elementi determinanti a favore del Califfato, su cui la cecità europea rischia di uscire con le ossa rotte. «Questo incidente è un po' diverso dagli altri in termini di intenzioni e in termini di obiettivi» ha detto alla Reuters Aaron Stein, senior fellow presso l'Atlantic Council's Rafik Hariri Center, in quanto negli attacchi precedenti i turchi attraversavano la Siria per combattere i curdi. Mentre stavolta non solo un saudita si è spinto in uno dei luoghi simbolo del turismo turco, ma lo ha fatto protetto dall'ombrello del suo status di richiedente asilo. 

La tesi del Commissario Europeo agli Esteri, Federica Mogherini, è che da mesi siamo consapevoli di avere un interesse comune nel contrastare e sconfiggere Daesh, «per questo abbiamo rafforzato la nostra collaborazione nell'antiterrorismo con la Turchia e con altri Paesi della Regione». Al momento non pare stia funzionando. La polizia di Erdogan, che mantiene un assurdo e illiberale silenzio stampa in tutto il Paese sulla vicenda, ha poi arrestato tre cittadini russi accusati di essere affiliati all'Isis, ma non è chiaro se la mossa rientrasse nell'inchiesta sull'attacco di piazza Sultanahmet. Il tutto mentre in Germania dalle colonne della Frankfurter Allgemeine Zeitung la scrittrice Monika Maron ha criticato la politica dei rifugiati attuata dal governo federale, dal momento che nella situazione attuale, i meccanismi del sistema parlamentare «sono praticamente paralizzati». 

E i confini restano spalancati.In giornata la difesa è stata affidata al ministro dell'Interno turco Efkan Ala che, in un briefing congiunto con il suo omologo tedesco Thomas de Maiziere, ha confermato che le impronte digitali dell'uomo erano note alle autorità turche. Non una parola sulle modalità di controlli e prevenzione che andrebbero inasprite, anche per via del bonus da tre miliardi di euro che l'Ue ha concesso proprio alla Turchia: ufficialmente per gestire meglio il dossier migrazioni, ma nei fatti una colpo (a salve) nella lotta all'Isis.

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mercoledì 13 gennaio 2016

Istanbul, bomba umana dell'Isis tra i turisti

Da Il Giornale del 13/1/16

Il boato di un terremoto per una strage che ieri ha fatto dieci morti e quindici feriti. Sotto attacco i turisti (stranieri) di Istanbul, dove un kamikaze siriano affiliato all'Isis si è fatto esplodere ieri mattina nella zona di Sultanahmet, la piazza in cui si affacciano sia la Basilica di Santa Sofia che la Moschea Blu. Un gesto mirato in una zona simbolo della movida turca, sul cui pavimento transitano ogni giorno migliaia di visitatori. A immolarsi in nome del Califfato il 28enne Nabil Fadli, di origine saudita, giunto da poco via Siria, come ha detto il vicepremier Numan Kurtulmu. Agenzie di stampa turche che citano media arabi danno per certa la rivendicazione dell’Isis, sulla linea delle dichiarazioni del premier Ahmet Davutoglu.

Panico subito dopo l'esplosione, avvenuta alle 10,15 ora locale, con cittadini e turisti che fuggivano mentre a terra si accasciavano i corpi dilaniati delle vittime, di cui ben otto tedesche. Tra i feriti al momento sei tedeschi, un norvegese, un sudcoreano e un peruviano. L'accesso alla piazza è stato chiuso dai cordoni della polizia, giunta sul posto in pochissimi minuti con le ambulanze a fare l'andirivieni con gli ospedali cittadini. Il kamikaze si è fatto saltare a pochi metri dall’Obelisco di Tedosio, situato nell’At-meydani, vicino ai monumenti più visitati dell’antica Costantinopoli, da ieri mattina chiusi per ordine del governatore. I testimoni, come il 24enne turista kuwaitiano Farah Zamani, hanno raccontato di aver sentito un suono fortissimo come un tuono o una scossa di terremoto, avvertito anche a diversi chilometri di distanza dalla piazza.

Uno "schiaffo" al turismo turco, così come accaduto nei precedenti attacchi in Egitto e Tunisia, a Sharm el-Sheikh e al Museo del Bardo di Tunisi, passando per quelli al Cairo e alle Piramidi di Luxor. «La cieca violenza non ci farà arretrare», ha scritto il capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo messaggio a Erdogan, mentre secondo il premier francese Manuel Valls questa «è una guerra, sono minacce che conosciamo». E la Cancelliera Angela Merkel da Berlino, ricevendo il premier algerino Abdelmalek Sellal, aggiunge: «Il terrorismo internazionale mostra ancora una volta il suo volto crudele e disumano». Il tutto mentre Danimarca e Germania ai concittadini presenti in questi giorni in Turchia consigliano di "evitare la folla" e le attrazioni turistiche.

Nelle stesse ore altri due episodi di violenza: un hotel in costruzione nel quartiere di Maltepe (nella parte asiatica) è stato avvolto dalle fiamme, con alcuni operai bloccati nell'edificio ma subito salvati dai pompieri. E alla periferia settentrionale di Bagdad sono stati assassinati due giornalisti iracheni dell'emittente Sharqiya. A premere il grilletto contro Saif Tallal e il suo cameraman Hassan al Anbaki un gruppo di miliziani nei pressi di Baquba. Solo tre mesi fa due attentatori kamikaze si erano fatti esplodere ad Ankara contro una marcia per la pace davanti alla stazione ferroviaria: uno dei due era il fratello maggiore del kamikaze che era saltato in aria a luglio a Suruc (cittadina sul confine con la Siria che ospita migliaia di persone in fuga dall’Isis), uccidendo 33 attivisti procurdi. Il bilancio del doppio attacco era stato di 128 morti e 508 feriti.

A metà giornata il gabinetto del premier Davutoglu ha imposto ai media nazionali un grottesco silenzio stampa, invocando una legge che permette tali misure quando c'è la possibilità di un grave danno alla sicurezza nazionale.


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