martedì 24 settembre 2013

La crisi siriana nel triangolo “maledetto” Mosca-Pechino-Tel Aviv

François Hollande ne ha copiato il motto: “Il conflitto in Siria? Avrebbe conseguenze catastrofiche su scala mondiale”. Ma la prima voce a mettere in guardia dai rischi di un ennesimo giro di Risiko sullo scacchiere medio orientale era stata quella di Vladimir Putin che, assieme a Pechino e Tel Aviv, condivide in modo differente e con diverse sfumature legate alla geopolitica, i timori sui riverberi planetari del caso siriano. Si prenda la Russia che, come lo stesso presidente siriano Bashar Assad intervistato dal quotidiano di Mosca Izvestia ha ammesso, "difende i propri interessi nella regione, ed è suo diritto". E quali sono questi interessi? Non solo limitati al porto di Tartus, per esempio, ma ben più profondi e radicati alla voce import-export. Per questo Assad ci ha tenuto a sottolineare in quella conversazione con Alexander Potapov e Yuri Matsarsky incontrati a Damasco che "gli attacchi terroristici contro la Siria minacciano la stabilità di tutto il Medio Oriente. La destabilizzazione qui si rifletterà sulla Russia". Come dire che la nuova grande guerra fredda che Obama e Putin stanno già da tempo combattendo non verrà archiviata con una gita sul Mar Nero nella dacia dello zar Vlad, né con una passeggiata nel giardino delle Rose. Su twitter poi sono detonate, come due missili Tomahawk, le parole del vicepremier russo Dmitri Rogozin: “L’Occidente sta giocando con il mondo islamico come una scimmia con una granata”. 

A ciò si aggiunga un'altra preoccupazione che al Cremlino sta pesando non poco in queste valutazioni. Stando ai dati sciorinati recentemente dalla Cnn, Mosca starebbe ancora scontando le perdite provocate dalle sanzioni internazionali in Iran, ben 13mila milioni di dollari. Senza dimenticare la cancellazione di contratti in Libia per 4mila e 500 milioni di dollari. Ragion per cui Mosca non può, per nulla al mondo, permettersi di subìre perdite in Siria, anche perché quella regione consente alla Russia di poter mantenere una base navale strategica sulle sue coste, mentre Damasco “in cambio” non cessa di acquistare armi sovietiche. In ultimo, ma non per peso specifico dell'analisi, la Russia teme un effetto Libia: ovvero che si possa replicare lo scenario andato in onda sugli schermi di Tripoli, dove il principio di intervento da parte di paesi stranieri è stato da solo in grado di sovvertire il regime sgradevole all'occidente. Mentre il ministro degli Esteri russo ha parlato di "una sfida alle disposizioni della Carta dell’Onu e ad altre norme di diritto internazionale". Prima di spedire nel Mediterraneo una nave anti sommergibile della flotta del Nord e l’incrociatore lanciamissile Moskva della flotta del Mar Nero. Capitolo Cina: Pechino in verità non ha grossi numeri in Siria rispetto ad altri suoi partner commerciali, per cui teoricamente non avrebbe particolari motivazioni per affiancare il regime di Assad in questi giorni di crisi. Ma il nodo è non lasciare soli i vicini di casa russi in questa partita, soprattutto dopo che, specialmente negli ultimi due lustri putiniani, Mosca ha accuratamente lavorato per impedire ogni tentativo di isolamento internazionale verso Pechino.

E'chiaro che il terzo anello di questa catena fatta di armi e di dollari non può che riguardare l'eterno binomio mediorientale rappresentato da Iran e Israele: in quanto un intervento militare in Siria potrebbe, oltre che minare i già citati delicati rapporti con la Russia, alleato storico di Assad, “attivare” Teheran. Per cui anche l'Iran ha minacciato minaccia ritorsioni: “Israele brucerà”, ha detto il vice capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Masoud Jazayeri.  Dal canto suo Israele, mai come questa volta, ha compreso che in Siria potrebbe andare in scena il secondo round di quella grande partita avviata in Libano sette anni fa. Da molto tempo gli aderenti alle milizie di Hezbollah combattono in Siria o provvedono ad addestrare i lealisti. Tel Aviv, di contro, non sembra però fidarsi troppo di chi dovrebbe prendere il posto del cosiddetto "al clan alauita degli Assad". Nessuno dimentichi che nell'intera area ormai ogni stato vive accerchiato da potenziali nemici tutti intenti a guardarsi in cagnesco, a maggior ragione in un anno di veri e propri terremoti politici: l'Egitto con la Fratellanza musulmana alle prese con la deposizione del presidente Morsi e con la scarcerazione di Mubarak; la Tunisia con la nuova classe dirigente post Ben Alì, dove si uccidono leader dell'opposizione e si insegue una nuova Costituzione; l'Arabia Saudita tallonata sulla strada della competitività dall'onnipresente Qatar; la Turchia che, più che con gli avversari esterni, deve fare i conti con le smisurate mire espansionistiche del suo leader Erdogan. Tutti attori di un unico copione: sfruttare il caos siriano per approvvigionarsi nel necessario. Con tanti saluti agli stucchevoli propositi di pace, e in attesa dei due veri latitanti di questa ennesima partita mondiale: Onu e Unione Europea. 

Fonte: Gli Altri settimanale del 13/9/13
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