martedì 7 gennaio 2014

Non bastano le primarie per la visione della Bari 2.0

Il presente è ormai diventato egemonico, ha osservato il sociologo Marc Augé nel suo pregevole pamphlet “Che fine ha fatto il futuro”. Quasi per certificare come, l'assenza di una programmazione a lunga scadenza, rappresenti il vero nodo non solo sociale (per un popolo affetto da globalizzazione schizofrenica), ma anche politico. Dove si assiste all'infinito dibattito su nomi e sigle, alleanze e presunti accordi, sgambetti e veti incrociati, evitando accuratamente di accostare a quei volti e a quelle braccia un minimo di visione progettuale ariosa. La partita per le prossime elezioni comunali nel capoluogo pugliese ancora una volta si sta consumando su nomi e aggregazioni di sigle, non su programmi, idee e soprattutto su visioni lungimiranti. Un ulteriore campanello di allarme, drammatico, che suona ormai inascoltato, sommerso dalle grida delle polemiche da bassa cucina, con i consueti do ut des che molto spesso sono i protagonisti delle dinamiche locali, quando invece ci sarebbe da rimboccarsi le maniche per decidere, una volta per tutte, cosa si intende fare per la città. E farlo con una prospettiva decennale, non legata al numero legale del primo consiglio comunale futuro.

Se “sprovincializzarla” culturalmente armonizzando risorse in loco con le dinamiche commerciali continentali; se sfruttare una volta per tutte i dodici chilometri di lungomare così come si fa regolarmente in Spagna, Grecia, Croazia o se restare mesti titolari “passivi” di qualche metro cubo di acqua; se prevedere di costruire nuovi edifici pubblici e privati già energeticamente indipendenti, con materiali green e che siano punto di contatto “vivo” per i cittadini; se decidere in maniera commercialmente armonica che fare dello stadio San Nicola, se sfruttarlo con alla base una seria e credibile politica industriale o se proseguire nelle diatribe spicciole che non sfociano in fatti; se “fare rete” tra le crociere in arrivo in città da maggio a novembre e i nuovi turisti che, dal bacino araboasiatico del pianeta stanno per essere riversati in Italia, se il piano su Alitalia della compagnia Etihad dovesse andare in porto; se fare del tratto di strada da San Girolamo a San Giorgio una grande pista ciclabile a bordo acqua, così come per il centro londinese ha previsto l'eclettico sindaco Boris Johnson; se un Casinò nel teatro Margherita, con uno sviluppo commerciale a trecentosessanta gradi (acqua-attività connesse) ma nel rispetto dell'ambiente, sia possibile con l'intervento di partner stranieri; se i commercianti cittadini siano destinati ad essere semplici ricettori di decisioni politiche che li riguardano (come chiusure al traffico, regolamenti per le attività e quant'altro) o se dovranno essere coinvolti fattivamente.

Sono solo una serie di piccoli spunti e idee su cui le intellighenzie cittadine hanno l'obbligo di confrontarsi e, se necessario, scontarsi dialetticamente in una sorta di Agorà permanente, come poche volte in verità si è fatto. Ma soprattutto dimostrazione pratica che non saranno sufficienti le pur volenterose e democratiche primarie per delineare il perimetro di un'azione politica che disegni la Bari 2.0. Quell'assise popolare, positiva, sarà eventualmente solo il punto di partenza. Ma per affrontare un viaggio così lungo e laborioso, ai concorrenti presenti sul nastro di partenza occorrerà un altro elemento imprescindibile: disporre di una visione. Ariosa e lungimirante. In caso contrario il nuovismo di volti e nomi, seppur dignitosi e presentabili, non condurrà ad una rivoluzione della polis, ma solo a mediocri restyling.             

Fonte: Corriere del Mezzogiorno del 7/1/14

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