venerdì 15 maggio 2015

Il partito repubblicano? Prima nasca un think tank


Da più parti, politiche e analitiche, sembra farsi largo nel Paese l'idea di un contenitore repubblicano in stile americano da contrapporre al Pd di Matteo Renzi. Troppo forte la corazzata piddì, si dice, per poter essere affrontata solo dalle urla populiste padane o dalle frattaglie dell'ex casa delle libertà. Un primo punto fisso, in questo viaggio ideale verso la Terza Repubblica, potrebbe invece essere relativo al contenuto rispetto al contenitore. Ovvero, se proprio è il modello a stelle e strisce quello di riferimento, allora che si parta dalle idee prima che da un titolo. 

Il sedicesimo Presidente degli Stati Uniti d'America e il primo ad appartenere al Partito Repubblicano, Abraham Lincoln, ebbe il suo alfa in occasione del Discorso di Gettysburg, il più significativo della sua esperienza che fu ricordato come la pietra miliare della storia politica americana.  Era il novembre del 1863, il Paese si trovava in piena guerra di secessione e le parole di Lincoln, pronunciate inaugurando il cimitero militare di Gettysburg, arrivavano quattro mesi dopo la battaglia di Gettysburg. Il concetto di Nazione, i momenti del post guerra civile, i numerosissimi sacrifici delle truppe, la macro idea di nuova comunità: questi i tratti somatici di quel discorso. 

Negli anni, l'evoluzione repubblicana è stata accompagnata dalla produzione di progetti, teorie, spunti e dibattiti all'interno dei think tank: luoghi dove albergano neuroni, luoghi di scontri e confronti, luoghi dove sperimentare idee e strategie, dove incrociare esperienze e dove aprire al nuovo. Luoghi che in Italia, con pochissime eccezioni, non hanno attecchito in pieno, se si guarda all'elaborazione politica degli ultimi trent'anni. 

Uno dei traini della Presidenza Reagan è stata la Heritage Foundation, fondata nel 1973 da Paul Weyrich, Edwin Feulner e Joseph Coors, producendo tra le altre cose una relazione intitolata "Mandato per la leadership" (era il 1981): un paper di linee guida con circa duemila proposte in chiave conservatrice, il 60% delle quali furono prese in oggettiva considerazione dalla Casa Bianca. Al di là della deriva italiana di eleggere un modello straniero come proprio faro nei momenti maggiormente critici (non dimentichiamo l’innamoramento per Tsipras e Podemos, o quello passato per Zapatero, o più recentemente per Tony Blair o Sarkozy), ciò che conta è non scimmiottare ma prendere il buono di quella che si considera un’esperienza vincente. 

Per cui, in attesa di capire come si riorganizzerà il mondo politico italiano che si pone in antitesi tanto a Renzi quanto a Salvini, il consiglio per loro è che partano da un nucleo di idee e spunti, tarati su una postmodernità con sfide epocali come la globalizzazione, la nuova emigrazione, il concetto di Eurasia che sovrasta l’Euromediterraneo. Nomi, sigle e simboli verranno, da sé, dopo le idee. Sempre ammesso che siano buone.

Fonte: Formiche del 15/5/15
twitter@FDepalo

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