mercoledì 2 aprile 2008

L’ALCOOL CHE UCCIDE

L’ultima vittima aveva 16 anni: è stata investita a Torbole Canaglia in provincia di Brescia da un ubriaco, mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali insieme a un'amica. Anche la ragazza è rimasta ferita, ma in modo non grave. L'investitore, un 40enne, aveva un tasso alcolico nel sangue 4 volte superiore a quello previsto dalla legge. Quando si chiede a queste persone perché lo hanno fatto, rispondono sovente: per “gioco”, oppure “beviamo per noia”, o “senza alcool non è sabato sera”. Malessere costante che si insinua in tutti gli strati della società. Forse è un eufemismo definirlo solo malessere, tra omicidi irrisolti in ville ed appartamenti di provincia, e sguardi di ventenni che dimostrano più dei reali anni anagrafici.
Non sono in grado di definire i dettagli di questo episodio, le indagini li chiariranno meglio, ma un dato è certo: di alcool si muore e non solo per cirrosi epatica. I reati connessi al consumo di alcool hanno subìto un’impennata incredibile che ha pochi confronti. E non si dica che è il frutto di qualche ragazzata, perché non è così.
E’imprescindibile intensificare i controlli da parte delle forze dell’ordine e attuare un regime normativo serio e credibile: negli altri Paesi europei un episodio come quello lombardo avrebbe portato come minimo al ritiro a vita della patente. In Italia invece ci stiamo abituando a pene ridotte, ad ergastolani in uscita premio, a brigatisti a piede libero. E conseguentemente anche a mamme che piangono i propri figli, a fidanzate incredule, a figli senza padri.
E’la piega che sta prendendo il sistema che non è più accettabile: la certezza della pena deve essere inderogabile. Il cittadino dovrebbe essere consapevole del fatto che se dovesse commettere un reato andrebbe incontro al carcere. Invece gli esempi che la cronaca quotidiana ci offre ridimensionano i danni commessi e favoriscono chi li ha perpetrati. Viviamo ormai in uno Stato alla mercè di malavitosi, rapinatori, maniaci, contrabbandieri (questa volta non di sigarette ma di rifiuti). Ogni giorno è a rischio l’incolumità di tutti i cittadini che non sono adeguatamente protetti. Non si dimentichi, per rimanere in zona, il molestatore al quartiere Poggiofranco di Bari di poche settimane fa, o l’istituto scolastico andato a fuoco al San Paolo, o le violenze nelle scuole cittadine, altro che bulli, questi qui sono delinquenti. Verranno puniti a sufficienza?
Non c’è bisogno di un’analisi ancor più approfondita per arrivare alla conclusione che la società odierna è malata e sfoga sul prossimo le proprie insoddisfazioni, ma la domanda è come possa guarire. Senza contare l’assenza di valori condivisi, di punti di riferimento costanti e la poca voglia della gente di aprire il proprio animo che sono le cause principali, oltre ovviamente ad un altro fattore di comprovata importanza, ovvero la demonizzazione dei cosiddetti valori positivi. Quando leggiamo che molta responsabilità dei recenti avvenimenti è attribuibile alla noia dei ragazzi di oggi, viene quasi da sorridere, perché si insiste in una giustificazione che dovrebbe invece sopraffatta dalla presa di coscienza delle oggettive responsabilità.
Al “chi sbaglia paga” non ci crede più nessuno, perché chi sbaglia (di grosso) in galera ci va poco.

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