giovedì 19 febbraio 2009

TURCHIA IN EUROPA, LE REGOLE DA RISPETTARE

Da Fare Futuro web magazine del 19/02/2009

Il dibattito sollevato in merito all’ingresso della Turchia in Europa, merita approfondimenti e precisazioni. La concezione dell’allargamento ideologico e sociale dell’Unione Europea è un’iniziativa intelligente e proficua, che gioverà al complesso della comunità sotto molti aspetti. La preoccupazione italiana di elaborare una politica di inclusione anche nei confronti di Ankara è giustificata dai progressi che il Paese ha compiuto in questi anni, come le numerose collaborazioni ed iniziative di partenariato testimoniano. Detto questo è imprescindibile comprendere come una qualsiasi teoria abbia esigenza di un riscontro vivo nella pratica, in questo caso il diritto.
Sbaglia chi ritiene che esista una divisione a priori tra pro Turchi e oppositori al loro ingresso nell’Ue, semmai esistono delle leggi che vanno rispettate da chi ha piacere ad entrare nella grande famiglia europea. Un esempio ci aiuterà in una serena valutazione nel merito. Se l’Italia da domani decidesse di non riconoscere la Francia come stato membro, cosa succederebbe? Se il nostro Paese negasse lo spazio aereo a velivoli francesi o vieterebbe il transito di navi transalpine nei nostri mari, che conseguenze susciterebbe? Legittimo chiederselo dal momento che queste eventualità sopra citate accadono realmente nei rapporti tra la Turchia e la Repubblica di Cipro, stato membro dell’Ue a tutti gli effetti. Il punto è questo e verte sul semplice e niente affatto polemico rispetto delle leggi.
Il Trattato di Amsterdam, all’articolo 49, prevede la libera circolazione dei popoli all’interno dell’Ue. E’una disposizione ufficiale, non una presa di posizione soggettiva suscettibile di interpretazioni o sconvolgimenti.
Il 24 giugno del 2008 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso due sentenze storiche, ritenendo la Turchia colpevole di aver violato fondamentali diritti dell’uomo. La prima riguarda i delitti Solomou e Isaak: Solomos Solomou, greco-cipriota di Famagosta, ha perso la vita nel 1996 freddato dal fuoco di cecchini turchi. La sua unica colpa è stata quella di essersi arrampicato su un palo per rimuovere una bandiera turca. Pochi giorni prima suo cugino Tassos Isaac era stato ucciso dai Lupi Grigi mentre partecipava ad una manifestazione contro l’uccisione di due suoi amici. Per l’omicidio, ripreso in diretta da alcune televisioni, vennero fermati Kenan Akin e Erdal Baciali Emanet, quest’ultimo capo delle forze speciali turche, inchiodati da prove fotografiche. Akin nell’ottobre del 2004 ha ammesso di aver fatto fuoco, ma ha accusato l’ex comandante militare turco Halil Sadrazam di averglielo ordinato. Quest’ultimo ovviamente ha negato l’accusa. In seguito Akin, scarcerato, è stato arrestato ad Istanbul non per l’omicidio di Solomou ma per contrabbando. Pur essendo ricercato dall’Interpol è stato a sua volta rilasciato dalle autorità turche suscitando una crisi diplomatica, oltre che l’orrore dell’opinione pubblica. Il video dell’uccisione di Solomou si trova su You Tube.
La Corte ha ritenuto la Turchia responsabile per aver violato l’art.2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per non aver rispettato la vita dei due cittadini ciprioti e per non aver dato seguito a inchieste credibili sugli assassini. La Turchia è stata in questo caso chiamata in causa dal momento che le “autorità dello stato fantoccio istituito dalla Turchia stessa nella parte occupata dell’isola, sono ritenute dalla Corte amministrazione subalterna al governo turco”.
La seconda sentenza ha ritenuto la Turchia colpevole di aver violato l’art.10 che salvaguarda la libertà di espressione. L’insegnante Eleni Fokà nel gennaio 1995, mentre rientrava a scuola nel villaggio occupato di Agia Triada, venne arrestata e maltrattata da ufficiali turchi che le sequestrarono libri ed appunti. Secondo il tribunale di Strasburgo le autorità di Ankara dovranno risarcire la donna per le violazioni subite.
Il Parlamento europeo nella risoluzione sulle relazioni UE- Turchia del 24 ottobre 2007, rammentava al Governo di Abdullah Gul il decalogo da rispettare, ovvero: sì alle annunciate riforme in Turchia, purchè vengano concentrate nei settori in cui vi è estrema esigenza di ulteriori progressi, considerati vitali dal punto di vista democratico.
Irrinunciabile il rispetto per le minoranze religiose, ferma condanna per l'uccisione di don Santoro, più controlli civili sui militari e maggior autonomia per la libertà d'espressione, senza dimenticare gli impegni su Cipro, curdi e armeni. In quell’occasione il Parlamento europeo rammentò che “l'inadempimento da parte della Turchia degli impegni assunti nel quadro del partenariato per l'adesione continuerà ad influenzare negativamente il processo negoziale. Rammaricandosi che non vi sia stato alcun progresso sostanziale verso una soluzione globale della questione di Cipro, esorta ambedue le parti affinché adottino un atteggiamento costruttivo per trovare, nel quadro dell'ONU, una soluzione globale basata sui principi su cui è fondata l'UE. In proposito, ricorda che il ritiro delle forze turche agevolerebbe la negoziazione di un accordo”.
La presa di posizione oggettiva e non faziosa del Parlamento europeo presta il fianco a due considerazioni: in primis concede una chiara apertura e invita il governo turco ad una riflessione responsabile manifestando piena disponibilità al processo di adesione, dall’altro fa chiaramente capire di non essere affatto pronta a sconti o a concessioni incongruenti, come qualcuno auspicava, vedi quei deputati radicali che nel settembre 2007 avevano accolto a Roma come un eroe il presidente della repubblica turco-cipriota autoproclamata e riconosciuta solo da Ankara (e né dall’Ue né dall’Onu), addirittura con scorta ufficiale dei Carabinieri, senza che alcuna penna ‘nazionale’ versasse inchiostro in proposito.

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