mercoledì 17 luglio 2013

La troika europea ora taglia i viveri anche ai pope greci

Come se quei duecento milioni annui fossero, da soli, in grado di rimediare a un buco strutturale decennale, di cui fino ad oggi il maggiore beneficiario si chiama Bundesbank per via di interessi milionari maturati sul prestito. Nella crisi greca - infinita -, la troika se ne inventa un'altra. Dopo la tassa sugli automobilisti che decidono di convertire le proprie auto a metano per risparmiare (ma poi trovano la sorpresa di nuovi balzelli regionali), è la volta dei preti ortodossi messi nel mirino dai creditori internazionali. I rappresentanti di Bce, Ue e Fmi decidono che si deve procedere con una vecchia proposta avanzata dal precedente governo socialista che prevedeva un taglio degli stipendi che lo Stato paga ai quasi diecimila pope. Il capo della Chiesa di Atene, il potente Arcivescovo Ieronimos, non ci sta e fa le barricate.

Già dodici mesi fa, dando una lezione di stile al governo dei banchieri targato Papadimos, Ieronimos per tutta risposta pubblicò per trasparenza il bilancio 2010 della Chiesa ortodossa, con entrate da 10 milioni di euro, 9.1 dei quali provenienti dal leasing di proprietà immobiliari. A fronte di uscite pari a 16,5 milioni di euro per chiese, monasteri e strutture religiose. Il Segretariato generale per gli Affari Religiosi sostiene che lo Stato greco corrisponde ogni anno circa 200 milioni per le mensilità dei pope, con stipendi lordi che variano da 1.092 euro, ai 2.543 euro di un arcivescovo con dieci anni di attività, mentre Ieronimos tocca i 2.978 euro al mese.

Ma la troika non ci sta e decide di procedere sic et simpliciter imponendo altri tagli ad un paese allo stremo, dove i suicidi da crisi hanno toccato quota 3500 unità (dati ufficiali del ministero delle finanze al settembre 2012), dove le mense per i poveri sono triplicate ad Atene e gestite oltre che dalla Chiesa ortodossa anche da deputati e militanti del partito di estrema destra di Alba dorata, con il record europei di bambini sottopeso nella sola Atene, con innumerevoli attività commerciali chiuse da un giorno all'altro, i cui proprietari, per il fatto di essere materialmente impossibilitati a pagare l'Imu sulla casa, vedono aprirsi i cancelli delle carceri.

Al contempo il governo delle larghe intese conservatori-socialisti, che dopo il rimpasto di poche settimane fa non è passato da un voto di fiducia in Parlamento, sembra più concentrato nel preparare la sede dell'incontro con il ministro tedesco Schaeuble (atteso domani ad Atene) che a riflettere, numeri alla mano, sui conti reali della crisi. I mancati introiti per l'erario da due miliardi euro nei primi quattro mesi del 2013 rappresentano lo specchio di uno scenario già visto dodici mesi fa, quando proprio per un buco strutturale che anziché essere ristretto aumentava a dismisura, la troika decise di procedere con il terzo memorandum in altrettanti anni per risolvere una crisi greca che non avrà fine.

Anche perché precise responsabilità stanno emergendo proprio in questi giorni sul versante dei precedenti governi targati socialisti: già detto del capo della Bce, l'italiano Draghi, che ha fatto riferimento al mancato allarme rosso quando era premier Iorgos Papandreou, una vera e propria spada di Damocle si chiama Lista Lagarde, l'elenco di illustri evasori per il quale il Parlamento ieri ha mandato a giudizio l'ex ministro socialista Iorgos Papacostantinou che, pur avendola ricevuta tramite corriere diplomatico, omise di protocollarla. Al pari del suo successore Evangelos Venizelos, attualmente vice premier e ministro degli esteri. In quella lista ci sono, secondo alcuni, i perché alle tante domande sui prestiti scaduti greci, tra acquisti faraonici di armi da Germania e Olanda, e scandalo Siemens.

Fonte: Il Giornale del 17/7/13
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