martedì 30 settembre 2008

REINTRODURRE LE PREFERENZE: PER LA DEMOCRAZIA

Dal “Corriere del Mezzogiorno” del 30/09/2008


Il dibattito sollevato in questi giorni sul possibile election day 2009, a margine certamente di questioni ben più gravi come la crisi economica mondiale ed il salvataggio di Alitalia, merita qualche riga di approfondimento. Ma non sulla scelta delle date o di elementi ancor meno rilevanti, bensì sull’oggettiva discriminazione nei confronti degli elettori che ancora si vuol perpetrare nel silenzio colposo di certi media.

La nostra democrazia vive già da qualche anno un dimezzamento evidente a causa della mancata osservanza del diritto di partecipazione dei cittadini come ha stabilito l’art. 3 della Costituzione: “E’compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Ciò lo si deve ad una legge elettorale che è stata definita dal suo stesso progenitore “porcellum”, progenitore che, è utile rammentare, nella vita effettua chirurgie maxillofacciali, e che, ci auguriamo non per questo, si occupa istituzionalmente di revisioni costituzionali. L’attuale legge ha stabilito il principio di assoluta mancanza di libertà per l’elettore che non può più scegliere il proprio candidato al Parlamento, dal momento che il perverso meccanismo dei listini bloccati “regala” la stessa elezione a soggetti designati dalle segreterie romane. Pare che anche in vista delle prossime elezioni europee si abbia la sciagurata intenzione di applicare questa metodologia antidemocratica, con la conseguenza di allontanare ulteriormente i cittadini della res publica, riponendoli ai margini della stessa e interpellandoli solo in occasione delle elezioni amministrative (ma ancora per quanto?).

La battaglia per la reintroduzione delle preferenze non è né ideologica né di partito, è semplicemente la spinta di alcune coscienze ad evitare che la Carta Costituzionale venga ancora calpestata in nome di un principio che, apparentemente, intende eliminare il pericolo del voto di scambio, ma che nei fatti consegna, nelle mani di pochi, il destino di 60 milioni di italiani, il che mi sembra ancora più grave perché palesemente antidemocratico.

Venendo ai sindaci ed agli amministratori locali, è utile osservare che ad oggi sono i personaggi più esposti, ovvero con maggiori responsabilità e con i più netti tagli allo stipendio. Ma come, direbbe qualcuno, lavorano di più, con più rischi e sono i primi a vedersi la busta paga decurtata? E i consiglieri regionali? E i parlamentari? (romani ed europei).

Il fatto che ai piani alti dell’amministrazione nazionale si siano accorti dell’esigenza, morale ed economica, di ridurre le remunerazioni dei politici, è già un fatto enormemente positivo, ma a patto che lo si faccia tenendo conto di attività, esigenze e responsabilità, non cassando come in questo caso un consigliere comunale che, magari più di un eurodeputato, ha bisogno di essere sostenuto nel “lavorare” per la propria città.


Francesco De Palo

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