martedì 27 luglio 2010

E A BOLOGNA IL BASKET SI GIOCA TRA I LIBRI


Da Ffwebmagazine del 26/07/10

Nascondere, criptare, coprire. Quante volte nella storia passata governi e società passive hanno fatto di tutto per impedire conoscenza e idee? Sperando che la gente comune, quella che si incontra per strada, quella che è migliore di quanto si possa credere, non avesse abbastanza voglia di sapere. Di approfondire, di toccare con mano, di paragonare, di scoperchiare vecchi teloni e vedere cosa c’è sotto. E così da rimanere standardizzata e controllabile. Mansueta.

Scriveva Pablo Neruda nelle sue memorie che quando la stampa francese dette notizia della sua presenza a Parigi, il governo cileno si affrettò a bollare la notizia come falsa, si trattava semplicemente di un sosia. Allora Neruda ricordò che in una discussione se Shakespeare avesse scritto o meno le sue opere, Mark Twain aveva ironicamente notato: «Veramente non è stato Shakespeare a scrivere quelle opere ma un altro inglese, nato lo stesso giorno e la stessa ora, morto per giunta alla stessa data e che, per colmo di coincidenze, si chiamava anche lui William Shakespeare».

Lontani, per fortuna, i tempi in cui bisognava guardarsi negli occhi e dire: è un sosia. Lontani dalle nostre parti, perché purtroppo in molte zone del globo permangono ancora sacche di repressione culturale, di paura della rete, e dei giovani, come l’Onda iraniana testimonia. Ma il punto è un altro: davvero conviene continuare a ignorare come la risposta possibile alla domanda di una nuova primavera stia tutta in una cultura nuova? Che sia multilivello, multiforme, che parta dal basso, ma pur sempre cultura? E poi: chi l’ha detto, per scendere nella concretezza del quotidiano, che essa non possa essere predicata orizzontalmente?
Un esempio di come questa esigenza sia avvertita intimamente in più ambiti, viene dalle cronache sportive degli ultimi giorni. Il presidente della squadra di basket Virtus Bologna, Claudio Sabatini, ha deciso di inserire nei contratti dei suoi giocatori la cosiddetta clausola università: saranno preferiti giocatori sì forti, ma che scelgano di non interrompere gli studi, visto che a Bologna l'università è una delle migliori d'Italia. «Chi gioca in Virtus - ha detto - è obbligato a studiare anche perché io preferisco parlare con giovani acculturati». E ancora: «La nostra politica è questa, cominciammo qualche anno fa a premiare con la prima squadra chi andava bene a scuola». La risposta del nuovo acquisto Nicolò Martinoni non si è fatta attendere: «A Varese studiavo economia, ma ho lasciato. Qui a Bologna, dove c'è una storia quasi millenaria e un ateneo di primo livello e con tante possibilità, riprenderò. Ma non ho ancora deciso in quale facoltà. Credo che un giocatore possa giocare fino a 30-35 anni: dopo c'è bisogno di saper fare qualcos'altro».

Alla faccia dello stereotipo che accosta sport a non-conoscenza. Il seme è stato gettato, c’è chi si è precipitato a innaffiarlo. Significa che una volta aperto il pertugio, non tarderanno a spalancarsi altri buchi. Che squarceranno varchi, che vorranno dire la loro. Tutto sta a iniziare, poi il seguito verrà da solo. In questi giorni, per passare al calcio, il difensore della Juve e della Nazionale Giorgio Chiellini si è laureato in Economia. Due volte bravo, perché non è facile studiare e praticare professionalmente uno sport ad altissimi livelli. Ma il suo merito non è stato solo quello di essersi conquistato un titolo accademico, ma di aver compreso come la conoscenza non può essere aprioristicamente preclusa. E non mancano, negli ultimi due lustri, altri sportivi impegnati sui libri. Andrebbero solo stimolati a fare meglio, incoraggiati a non tirarsi indietro e non solo a fare canestro o a segnare gol importanti. Così come fatto dal presidente della Virtus Bologna.

Perché la cultura non è fine a se stessa, non serve solo a forgiare professionisti o ad arricchire curricula e percorsi formativi. Essa aiuta a comprendere, armonizza cittadini e cittadine, sostiene il progresso di una comunità, contribuisce allo sviluppo di interi Paesi. E poi apre le menti, plasma personalità, rafforza idee e prospettive. Insinua dubbi, provoca domande e curiosità. Come non ricordare le parole del filosofo norvegese Jobtein Gaarder: «Non devi mai piegarti davanti ad una risposta - ammoniva -. Una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre». Fare domande, e ancora altre, senza fermarsi. Anche a questo serve una cultura trasversale, senza lucchetti che la rendano irraggiungibile. Ma a patto di volerla veramente.

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