mercoledì 21 luglio 2010

Qualcuno ascolti Polanyi senza paura per il nuovo


Da Ffwebmagazine del 21/07/10

In Europa c’è un Paese che ha paura: non solo del terrorismo, della crisi economica, della scarsa natalità infantile, della diversità e delle minoranze. Ma anche del progresso e dei vantaggi derivanti dalle tecnologie. Il passaggio al digitale nel resto del mondo è visto come una straordinaria opportunità di sviluppo e di guadagni, ma in Italia no, perché si rischia addirittura di ottenere un mancato incasso per lo Stato di circa quattro miliardi di euro. Il cosiddetto “switchover” consentirà di liberare spazi nelle frequenze, in virtù del passaggio dall’analogico al digitale. Le porzioni di frequenze che si renderanno disponibili, quindi, verranno messe all’asta, per arricchire l’offerta e per migliorare l’intero sistema delle telecomunicazioni.

Gli Usa si sono mossi per tempo. Già da due anni hanno messo all’asta frequenze pari a venti miliardi di dollari. Pochi mesi fa è stata la volta della Germania, che ha offerto agli operatori telefonici alcune frequenze in precedenza occupate dalle tv, con un incasso complessivo di quattro miliardi e mezzo di euro per le casse dello Stato. Dunque il mercato si è improvvisamente aperto, sta all’intelligenza dei singoli Paesi non farsi sfuggire occasioni irripetibili come questa. Pare che in Italia le aste sulle frequenze non si vogliano fare. Ma come, verrebbe da chiedersi? Nell’anno della recessione e della rigida manovra economica, dove moltissime categorie produttive assistono a sforbiciate orizzontali, proprio in tale frangente l’erario si disinteressa di un guadagno così ingente? Sulla materia si va avanti a colpi di delibere emesse dall’Agcom.

Le reti nazionali ammontano complessivamente a 25, ottenute dalla tecnologia digitale. Di queste, 20 sono state assegnate di diritto a chi già possedeva le frequenze analogiche. Quindi 5 a Rai e Mediaset, 3 a Telecom Italia, e poi Europa7, ReteA e Telecapri. Le restanti 5, che rappresentano il “dividendo digitale interno”, sarebbero da assegnare a operatori televisivi alternativi, così come esplicitamente prescritto dall’Ue. E qui si riscontra l’anomalia tutta italiana, perché esse non verranno messe all’asta, bensì, come dichiarato da Corrado Calabrò, a capo dell’Agcom, saranno soggette a una procedura comparativa.
Una giuria, composta da membri del Governo, sceglierà in base a parametri “autonomamente definiti”.

Sembra che alla fine di questo procedimento, a decidere sarà il ministro per lo sviluppo economico, a oggi - dopo il caso Scajola - ancora nelle mani del presidente del Consiglio, che è praticamente proprietario di uno dei due maggiori poli televisivi nazionali. L’anomalia nostrana sta nel fatto che la procedura in questione non sarà allestita solo per nuovi operatori, ma estesa anche a Rai e Mediaset, che in questo modo potranno arricchire il proprio bagaglio con altre due di quelle cinque reti, ciascuna con la possibilità di diffondere sino a sei canali. E mantenendo così lo status quo antecedente all’ingresso sul mercato delle nuove tecnologie legate al digitale, dal momento che si rafforzerebbe inevitabilmente il vecchio duopolio. Escludendo di fatto nuovi soggetti. Il digitale, anziché essere un volano di novità, si potrebbe tramutare in un’occasione sprecata da tutti, Stato che non incassa e nuovi operatori che non vengono investiti di nuove opportunità. Continuando a ingrassare il ritardo tutto italiano nel cogliere le sfide della modernità, in questo caso tecnologica.

Ma non è tutto: perché sembra che da questa situazione siano stati esclusi gli operatori di telefonia, che avrebbero invece potuto utilizzare la porzione di banda larga resasi disponibile dal digitale, per portare internet mobile veloce lì dove in Italia ancora non c’è. Con lo scenario descritto, quelle regioni non potranno nemmeno migliorare il proprio strumento tecnologico, perché la banda che si è liberata verrà occupata dalle tv. È stato stimato che se in Italia, al netto di commi e di procedure delle varie autorità, si decidesse finalmente di mettere all’asta per gli operatori telefonici alcune porzioni di quel grande agglomerato di frequenze che si è liberato, lo Stato potrebbe incassare circa quattro miliardi di euro.
Ma a oggi sembra che questa prospettiva non entusiasmi i cassieri dello Stato, che in qualsiasi altro Paese del mondo farebbero l’impossibile per non farsi sfuggire una cifra del genere e un’occasione di sviluppo tecnologico simile. Diceva Michael Polanyi, «l’uomo è innovatore ed esploratore per natura»: ma chi lo ascolta da queste parti?

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