sabato 4 agosto 2012

Ma gli Stati Uniti d'Europa vanno sostenuti a monte

Ha scritto Zygmunt Bauman che l’Europa è un qualcosa «che va creato, un dramma dalla trama intricata, che sfida ogni possibilità di programmazione a priori». Ma per dirigere la nave del vecchio continente verso l’obiettivo del secolo, quell’approdo naturale ma ancora molto distante che prende il nome di Stati Uniti d’Europa, non saranno sufficienti dichiarazioni di intenti o aperture seppur gradite (si veda il nulla osta della Germania all’acquisto di titoli italiani da parte della Bce). Bensì si renderà imprescindibile un approccio del tutto innovativo alla materia: che prenda le mosse certamente dalla contingenza economica frutto dell’emergenza finanziaria e dell’area euromediterranea in apnea, ma che oltre a “occhiali” da ragioniere inforchi anche le lenti più umane della cultura e dell’analisi di una convivenza, complessa ma nelle corde di popoli e stati. Dove quell’epiteto (culturale) non intende essere lo stucchevole riferimento solo ed esclusivamente all’immenso bagaglio cognitivo e sociale che proprio dal Mesogheios ha dato il “la” alla civiltà. Quanto a trasformare radicalmente il modus con cui si è attuata un’unione che, oggi, sta purtroppo urlando tutti i suoi dolori, tecnici e personali. Una possibile via da seguire per l’armonizzazione federale dell’Europa potrebbe risiedere in un doppio binario di azione, che strutturi efficacemente il controllo sovranazionale del debito e dei meccanismi amministrativi correnti, e al contempo stimoli adeguatamente lo spirito europeo basato sulla comunione continentale e non sugli egoismi dei singoli, come i padri nobili Giscard d’Estaing e Altiero Spinelli annotavano alcuni decenni fa. Con il comune denominatore di regole ferree da rispettare (ad esempio fondi europei solo a chi li spende bene e in tempo), sia per impedire che i cosiddetti “compiti a casa” vengano svolti solo da scolari coscienziosi, sia per non mortificare il principio della solidarietà europea. Contrariamente si proseguirebbe sulla strada tracciata fino ad oggi, con crisi che si susseguono a velocità vertiginosa e che tardano ad essere ricomposte anche per via di deficienze strutturali non ancora sanate.

La tesi sostenuta anche da illustri commentatori stranieri, come il corrispondente tedesco in Italia della Frankfurter Allgemeine Zeitun, Tobias Piller, è che la mancata ripresa dei cosiddetti stati membri di serie B sia direttamente proporzionale alle riforme non fatte. Ragion per cui gli indici produttivi non potranno che accusare il segno meno se vi saranno le sperequazioni e le discrepanze attuali. Valutazione corretta nel merito. Come invogliare, ad esempio, gli investitori ad avere fiducia in titoli di uno stato di cui non si conosce ancora la portata riformatrice futura? Uno schema da cui si esce vincitori proseguendo con la “costituzionalizzazione” di due misure: una rete di pene severe contro enti e amministrazioni che producono buchi nel bilancio e un abbattimento della spesa pubblica, intesa anche come sopravvivenza di rendite di posizione. Ma accanto a dati oggettivi incontrovertibili sarebbe utile ragionare sulla peculiarità della situazione generale: quella recessione che impedisce di applicare griglie che, in condizioni normali, avrebbero un risultato certo in termini di benefici. Con una consapevolezza ormai maturata: lo spread “borbotta” quando le forze politiche di ogni paese a rischio si allontanano da forme collaborative produttive.

Inoltre merita di non essere sottovalutata la prima conseguenza della contingenza economica di questa crisi: il quasi default ellenico, il contagio già avvenuto delle banche spagnole, portoghesi e cipriote se da un lato stanno insegnando sulla pelle di un popolo come evitare quella drammatica interdipendenza, dall’altro producono un aumento della tassazione e un abbassamento della qualità della vita. Con i casi eccezionali segnalati nell’ultimo biennio in Grecia, dove i numeri parlano chiaro: raddoppio del numero di bambini sottopeso ad Atene (record nel paesi Ocse), iva al 23%, disoccupazione salita al 22% (50% tra i trentenni), scivolamento del ceto medio verso quello indigente, suicidi da crisi che dal 2009 a oggi hanno toccato quota duemila unità (255 solo quest’anno).

E allora al dilemma europeo greco, continuare obtorto collo con le misure draconiane della troika che potrebbero solo ritardare il fallimento già certificato o tentare il miglioramento di quel piano, la risposta sta nel mezzo. Con una spinta propulsiva e decisa verso una rete federale continentale che ammortizzi le difficoltà dei più deboli senza che tale intervento si trasformi in regalìe di sorta, ma al contempo provveda alla creazione di un sistema unitario che impedisca l’eurocrisi a monte. Per cui imprescindibile appare oggi pungolare Bruxelles e gli stati membri dinanzi alle proprie responsabilità: si faccia l’unione politica vera approfittando della crisi. Alternative praticabili non ve ne sono.

Fonte: Agenda del 4/8/12
Twitter@Fdepalo

1 commento:

comites popolare grecia ha detto...

solo l'unione dei popoli del sud europa potra' ridare una speranza per una europa nel vero senso della parola,e no l'europa dsi oggi
http://southeurarc.blogspot.gr/