sabato 11 maggio 2013

La grande bufala della fine dell’austherity


“Non devi mai piegarti davanti ad una risposta – diceva il filosofo norvegese Jobtein Gaarder – una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle, solo una domanda può puntare oltre”. Per capire, scartavetrare la patina di pressapochismo che, beata, pasce in superficie e impedisce di approfondire direttrici di marcia e scelte. Un qualcosa di perverso e di anomalo sta accadendo nel triangolo Bruxelles-Berlino-XX Settembre (sede del ministero dell’Economia). Come se qualcuno avesse deciso di giocare a rimpiattino senza avere né assi nella manica né un piano B. Quando l’Ue certifica che l’Italia uscirà dalla procedura se effettuerà le riforme, dice un’ovvietà e passa la palla al neopremier Letta. Il cui discorso per la fiducia alle Camere, nonostante sia intriso di un incoraggiante kennedismo e di numerosi buoni propositi, fino ad oggi si è scontrato con un silenzio nel merito delle coperture finanziarie. I segni di ripresa per il belpaese non ci sono, anzi, come molti osservatori finalmente iniziano (solo ora?) a rilevare, la crisi “italiana” è solo all’inizio e potrebbe purtroppo avere riverberi ben più gravi di quelli visti fino ad oggi. Senza per questo essere tacciati di disfattismo o pessimismo tout court: è sufficiente scorrere i dati Istat, scambiare due chiacchiere con commercianti, lavoratori, liberi professionisti per avere un quadro esauriente. 

L’Ocse ci ha ricordato che la priorità per inseguire la ripresa è tagliare le tasse sul lavoro, ma il patto elettorale Pd-Pdl impone al primo posto del programma di Palazzo Chigi il caso Imu. Su cui, al di là delle schermaglie degli ultimi giorni con annesse minacce di far cadere l’esecutivo neonato, esiste un reale nodo rappresentato dai numeri. La svolta rappresentata da una manovra-tampone per scongiurare l’odiata imposta sugli immobili di giugno e l’aumento dell’Iva (due retaggi del governo dei tecnici che alla ripresa non hanno dedicato una sola proposta) puzza di vecchio. Quando, per ovviare a conti che non tornavano e a condutture che perdevano acqua in abbondanza, si faceva ricorso a una manovrina. Con il risultato di aggiungere tasse su tasse.
E non inganni la risposta positiva delle Borse, in quanto è una fisiologica reazione ad una burrasca, data da un paese dell’Ue senza governo da due mesi, temporaneamente interrotta. Il dato è che il macro debito pubblico italiano, come una falda che si scontra con un’altra, si sta accavallando a decenni di non riforme, alla sofferenza di imprese e lavoratori per licenziamenti, Irap e costo del lavoro e alla congiuntura internazionale che si chiama assenza di commesse. Quando due colossi italiani come Feltrinelli e Natuzzi, in due campi diversissimi, ricorrono ai contratti di solidarietà e alla cassa integrazione in quanto mancano le richieste ai rispettivi prodotti finiti, c’è poco da stare allegri. Né può essere sufficiente un decalogo generico di buoni propositi.  Il premier Letta ha iniziato il suo blitz europeo da Berlino. Anche se non è questo il momento più adatto per sollevare polemiche sul fatto che sia andato in udienza prima dalla Cancelliera Merkel e successivamente da Barroso, il dato che colpisce è la conferenza stampa congiunta dei due. Dove ancora una volta non si è entrati nel merito dei provvedimenti.

Si scorge, tra le ipotesi di copertura, un anticipo della Cassa depositi e prestiti. Ma, c’è da chiedersi, è realistico procedere nel buio più pesto ricorrendo ad un altro prestito per percorrere pochi metri? Ciò che occorre realmente è un cambio di passo, come ci si sarebbe aspettato da Letta nell’incontrare frau Angela. Battendo i pugni sulla rinegoziazione dei limiti europei, facendo “rete” con gli altri ammalati gravi Rajoy, Hollande, Cameron (sì, soffre anche il Regno della Regina che non abdica) e non tranquillizzando chi ha scelto per tutti il rigore a tutti i costi senza rendersi conto che il contagio greco è già avvenuto e che senza rischio non c’è futuro. Con buona pace della Bundesbank. In un passaggio (e purtroppo solo in uno) Letta ha scoccato una mini frecciata a Berlino, quando ha sottolineato che l’impasse riguarda tutti. Ma poi avrebbe dovuto aggiungere una postilla al piccolo sasso lanciato nello stagno della Baviera: che è proprio da quelle sabbie mobili che serve marcare le distanze per venirne fuori, dal momento che proseguendo solo su tasse per tutti, mancato accesso al credito per le imprese, visioni dal corto respiro per esodati e cassintegrati, il risultato non sarà certo un paese migliore, con prospettive incoraggianti e con cittadini soddisfatti. E già qualcuno inizia a borbottare sul fatto che al timone dei rapporti con l’Ue sia rimasto il montiano Moavero, quasi a garanzia dei provvedimenti figli dell’ultimo anno.

Le direttrice di marcia illustrata dal neo premier alle Camere “costa” dieci miliardi di euro (come minimo), tra Imu, cassa integrazione in deroga e dossier esodati. Sarebbe un peccato illudere ancora una volta gli italiani, quando invece oltre alla convergenza e alla larghe intese servirebbe una tonnellata di onestà e trasparenza. A anche un pallottoliere grande così. Per evitare che il giorno dopo il ministro delle Finanze, il banchiere d’Italia Saccomanni, sia costretto a correggere il tiro così come ha fatto. Prima ha annunciato dodici miliardi di investimenti, su cui ovviamente non si può che rallegrarsi, ma aggiungendo un elemento che suona come un allarme: su esodati e cig niente improvvisazioni. Ovvero che non c’è spazio di manovra, a fronte di una situazione che lo stesso Tesoro si affretta a definire positiva (“Finanze sane”). Mentono sapendo di mentire, dunque? Che il deficit-Pil al 3% sia un limite invalicabile per non mettersi a braccetto di Spagna, Grecia e Cipro è un dato di fatto talmente evidente che non occorre la sottolineatura di XX Settembre. Troppe medicine, ammoniva Ascleopios, avvelenano anche il miglior paziente. Il malato Italia è in buone mani?

Fonte: Gli Altri settimanale del 10/5/13
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