To provlima, il problema. Così da 34 anni viene definita la questione di Cipro, da quando nel 1974 aerei da guerra turchi (e non solo) sorvolarono non a scopi turistici l’isoletta all’estremo est del Mediterraneo, occupandone militarmente e abusivamente la parte nord orientale e perpetrando razzìe e violenze inaudite. Da quel momento, a parte promesse elettorali ed appoggi strumentali da parte di questo o di quel Paese, nulla è cambiato, anzi, per i greco-ciprioti è iniziato un lungo calvario socio-culturale culminato con il piano Annan, che nel 2004 proponeva una soluzione per loro svantaggiosissima, ma che la comunità internazionale presentò al mondo come “la migliore che si potesse auspicare”. Il “no” al referendum, poi, ha destato l’attenzione dei governanti europei, i quali hanno purtroppo continuato a ragionare in termini economici più che in termini politici.
L’ottimismo di certi media europei di fronte alla vittoria del leader comunista Christofias merita di essere analizzato attentamente, per non incorrere in oggettive imprecisioni e sottovalutazioni di ogni dettaglio, che in questa storia si intreccia a dichiarazioni diplomatiche e scelte precise, come una rampicante fa avvinghiandosi sempre di più alla ricerca di un appiglio.
Non deve trarre in inganno il curriculum del neo presidente della Repubblica: il fatto che si sia formato a Mosca non deve necessariamente far trasparire una sua formazione comunista intesa “all’antica”. L’Europa si auspica che invece egli interpreti il ruolo di garante degli interessi greco-ciprioti da un lato, incarnando una politica di sinistra moderna come avviene nel resto del mondo civile. Detto questo è utile passare ai fatti, quelli concreti.
La situazione a Cipro è sotto gli occhi di tutti, come Mondogreco stesso testimonia con servizi e illuminanti fotografie, quelle sì che non hanno bisogno di alcun commento. Solo pochi mesi fa, in occasione della visita dell’Archipiscopo di Cipro Chrisostomos II in Vaticano dal Santo Padre e della sua partecipazione in ottobre al meeting Ecumenico di Napoli con lo stesso Benedetto XVI, molti organi di informazione italiani (tra gli altri La Stampa, Il Riformista, Il Messaggero, Ansa) hanno dedicato ampi reportages alle condizioni in cui versa la Katekomena, ovvero la parte occupata dai turco-ciprioti. Il riferimento è alle chiese di rito non musulmano che sono state oggetto, per usare un eufemismo, di una sorta di restyling stilistico che le ha tramutate in bordelli, caserme militari, residence, in totale spregio delle più elementari forme di rispetto e di civiltà. Cancellate con un tratto di penna, come quando si depenna un invitato dalla lista di un matrimonio: e così sono state rubate preziosissime icone ad appannaggio del mercato nero, ghigliottinati affreschi sacri e mosaici di inestimabile valore religioso ed artistico, nonostante l’Onu presidiasse l’isola con le sue jeep bianche targate UN, ma che paura non hanno suscitato in contrabbandieri e invasori.
Trentaquattro anni fa i greco-ciprioti dovettero abbandonare in fretta e furia le proprie (dicesi proprie, quelle di cui si ha legittima proprietà) abitazioni, lasciandovi preziosi, ricordi, oggetti, appezzamenti di terra, quella stessa terra che oggi agli usurpatori consente di continuare nella produzione di quegli agrumi famosi in tutto il mondo, dei quali l’Archipiscopo mi ha fatto amabilmente degustare il nettare nel suo studio in occasione della mia visita a Lefkosia.
Parlare con cognizione di causa del problema di Cipro presuppone che si abbia toccato con mano la tragedia che si è consumata sotto gli occhi di un occidente sempre più sordo a diritti civili e mistificazioni. Prima di lanciare campagne di informazione e di mobilitazione verso drammi che si consumano a latitudini da noi lontane e che meritano grande attenzione e sforzi, ritengo che la Commissione Europea debba confrontarsi con disastri politici interni al Mediterraneo, quegli stessi disastri che sovente vengono ignorati anche da deputati del Parlamento italiano o addirittura del Parlamento europeo. Cito fatti verificati personalmente dal sottoscritto.
Quando nel 2007, in occasione della visita in Italia del Presidente dei turco-ciprioti due deputati radicali hanno voluto accettare da lui la cittadinanza onoraria, offrendogli anche la scorta armata dei Carabinieri italiani, hanno commesso una violazione palese, dal momento che lo stato turco-cipriota non è dall’Ue riconosciuto anche in considerazione del fatto che esso stesso non ha inteso riconoscere Cipro, ammessa invece al club dell’Unione.
Come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni e come avrò modo di riferire in qualità di modesto relatore alla platea di Lefkosia in occasione del Quarto Congresso Internazionale di Studi Cipriologici del prossimo aprile, il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti Umani e risoluzioni dell’ONU, perchè esso fonda la sua base attuativa sull’art. 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi, nella veste pratica, escluderne la concreta applicazione. Al suo interno è possibile rinvenire una miriade di interepretazioni, quasi ci trovassimo in fitti cunicoli sotterranei, come una serie di restrizioni nella libertà di movimento e di acquisto di immobili e proprietà nella zona turco-cipriota da parte dei greco-ciprioti. Di contro un cittadino europeo potrebbe acquistare liberamente nella zona turco-cipriota.
L’auspicio è che i futuri riferimenti al piano Annan vengano pesati sufficientemente dalla bilancia tarata su valori fondamentali come diritto e civiltà.
Il Mediterraneo, culla della filosofia ellenica e dello « ius » romano meriterebbe pilastri morali che vadano oltre la mera tabella composta da entrate ed uscite. Cogitare sulla legittimità di un’occupazione militare senza nemmeno prendere in considerazione il dramma umano e sociale di un popolo, significa dimenticare colposamente la storia. Grave per due ragioni : in primis perchè si commette un errore oggettivo, mentendo spudoratamente al mondo. In secundis perchè proprio la culla morale e scientifica del mondo non merita un popolo di non-vedenti che ignora da dove siamo venuti e soprattutto che ignora dove andremo.
Da nessuna parte, temo, senza quella filosofia e senza quel diritto.
Tratto da http://www.mondogreco.net/ del 06/02/2008
L’ottimismo di certi media europei di fronte alla vittoria del leader comunista Christofias merita di essere analizzato attentamente, per non incorrere in oggettive imprecisioni e sottovalutazioni di ogni dettaglio, che in questa storia si intreccia a dichiarazioni diplomatiche e scelte precise, come una rampicante fa avvinghiandosi sempre di più alla ricerca di un appiglio.
Non deve trarre in inganno il curriculum del neo presidente della Repubblica: il fatto che si sia formato a Mosca non deve necessariamente far trasparire una sua formazione comunista intesa “all’antica”. L’Europa si auspica che invece egli interpreti il ruolo di garante degli interessi greco-ciprioti da un lato, incarnando una politica di sinistra moderna come avviene nel resto del mondo civile. Detto questo è utile passare ai fatti, quelli concreti.
La situazione a Cipro è sotto gli occhi di tutti, come Mondogreco stesso testimonia con servizi e illuminanti fotografie, quelle sì che non hanno bisogno di alcun commento. Solo pochi mesi fa, in occasione della visita dell’Archipiscopo di Cipro Chrisostomos II in Vaticano dal Santo Padre e della sua partecipazione in ottobre al meeting Ecumenico di Napoli con lo stesso Benedetto XVI, molti organi di informazione italiani (tra gli altri La Stampa, Il Riformista, Il Messaggero, Ansa) hanno dedicato ampi reportages alle condizioni in cui versa la Katekomena, ovvero la parte occupata dai turco-ciprioti. Il riferimento è alle chiese di rito non musulmano che sono state oggetto, per usare un eufemismo, di una sorta di restyling stilistico che le ha tramutate in bordelli, caserme militari, residence, in totale spregio delle più elementari forme di rispetto e di civiltà. Cancellate con un tratto di penna, come quando si depenna un invitato dalla lista di un matrimonio: e così sono state rubate preziosissime icone ad appannaggio del mercato nero, ghigliottinati affreschi sacri e mosaici di inestimabile valore religioso ed artistico, nonostante l’Onu presidiasse l’isola con le sue jeep bianche targate UN, ma che paura non hanno suscitato in contrabbandieri e invasori.
Trentaquattro anni fa i greco-ciprioti dovettero abbandonare in fretta e furia le proprie (dicesi proprie, quelle di cui si ha legittima proprietà) abitazioni, lasciandovi preziosi, ricordi, oggetti, appezzamenti di terra, quella stessa terra che oggi agli usurpatori consente di continuare nella produzione di quegli agrumi famosi in tutto il mondo, dei quali l’Archipiscopo mi ha fatto amabilmente degustare il nettare nel suo studio in occasione della mia visita a Lefkosia.
Parlare con cognizione di causa del problema di Cipro presuppone che si abbia toccato con mano la tragedia che si è consumata sotto gli occhi di un occidente sempre più sordo a diritti civili e mistificazioni. Prima di lanciare campagne di informazione e di mobilitazione verso drammi che si consumano a latitudini da noi lontane e che meritano grande attenzione e sforzi, ritengo che la Commissione Europea debba confrontarsi con disastri politici interni al Mediterraneo, quegli stessi disastri che sovente vengono ignorati anche da deputati del Parlamento italiano o addirittura del Parlamento europeo. Cito fatti verificati personalmente dal sottoscritto.
Quando nel 2007, in occasione della visita in Italia del Presidente dei turco-ciprioti due deputati radicali hanno voluto accettare da lui la cittadinanza onoraria, offrendogli anche la scorta armata dei Carabinieri italiani, hanno commesso una violazione palese, dal momento che lo stato turco-cipriota non è dall’Ue riconosciuto anche in considerazione del fatto che esso stesso non ha inteso riconoscere Cipro, ammessa invece al club dell’Unione.
Come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni e come avrò modo di riferire in qualità di modesto relatore alla platea di Lefkosia in occasione del Quarto Congresso Internazionale di Studi Cipriologici del prossimo aprile, il piano Annan risulta privo della sintonia istituzionale con leggi comunitarie, convenzioni europee, Diritti Umani e risoluzioni dell’ONU, perchè esso fonda la sua base attuativa sull’art. 49 del Trattato di Amsterdam, circa la libera circolazione dei popoli in Europa, salvo poi, nella veste pratica, escluderne la concreta applicazione. Al suo interno è possibile rinvenire una miriade di interepretazioni, quasi ci trovassimo in fitti cunicoli sotterranei, come una serie di restrizioni nella libertà di movimento e di acquisto di immobili e proprietà nella zona turco-cipriota da parte dei greco-ciprioti. Di contro un cittadino europeo potrebbe acquistare liberamente nella zona turco-cipriota.
L’auspicio è che i futuri riferimenti al piano Annan vengano pesati sufficientemente dalla bilancia tarata su valori fondamentali come diritto e civiltà.
Il Mediterraneo, culla della filosofia ellenica e dello « ius » romano meriterebbe pilastri morali che vadano oltre la mera tabella composta da entrate ed uscite. Cogitare sulla legittimità di un’occupazione militare senza nemmeno prendere in considerazione il dramma umano e sociale di un popolo, significa dimenticare colposamente la storia. Grave per due ragioni : in primis perchè si commette un errore oggettivo, mentendo spudoratamente al mondo. In secundis perchè proprio la culla morale e scientifica del mondo non merita un popolo di non-vedenti che ignora da dove siamo venuti e soprattutto che ignora dove andremo.
Da nessuna parte, temo, senza quella filosofia e senza quel diritto.
Tratto da http://www.mondogreco.net/ del 06/02/2008
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