giovedì 6 marzo 2008

LEGGE ELETTORALE, CAMBIAMOLA

In questi giorni di fibrillazione per le sorti del Paese, e il riferimento non è solo alla campagna elettorale (ma alla spazzatura campana, al Santo Padre umiliato per i fatti della Sapienza, al diritto alla vita schernito, alle borse in disagio, alle famiglie ormai sul lastrico), serve confrontarsi anche su quella che è stata definita la pietra del contendere, ovvero la legge elettorale. Molti sostengono la bontà dell’attuale legge, definita a più riprese dal sen. Calderoli Porcellum, dal momento che impedirebbe l’inserimento della zizzania del malaffare, in quanto le liste sarebbero ad appannaggio delle segreterie politiche e senza lasciar spazio a richieste di contributi per la campagna elettorale.

Mi permetto di dissentire per una serie di ragioni: non ritengo una forma di democrazia partecipativa il fatto che nel chiuso delle segreterie romane un manipolo di uomini, per quanto simpatici e sicuramente di alto spessore politico, abbiano il potere di stabilire la composizione delle liste, togliendo al cittadino ormai l’unico mezzo che gli è rimasto per far sentire la propria voce, ovvero la preferenza. In base a quale principio è corretto stabilire che è lecito impedire all’elettore di scegliere autonomamente il proprio candidato preferito? Il rilievo che il sistema delle preferenze comporti per i candidati dispendiose campagne elettorali non è un dato a mio avviso consistente, dal momento che non mi pare di straordinaria importanza nell’economia globale del ragionamento, e soprattutto in considerazione del fatto che gli eletti poi non hanno comunque stipendi da fame, anzi.

All’indomani della riforma con cui siamo andati alle urne nel 2006, all’elettore non è stato consentito di scegliere per chi votare dal momento che è stata abrogata la preferenza. L’articolo 3 della carta costituzionale recita: “E’compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica, sociale del Paese”.

Il suddetto articolo richiama il diritto di partecipazione del quale ogni cittadino è investito. Da queste basi è necessario ricominciare quando si dice che si vuole mettere il cittadino al centro della politica. E’restituendo all’elettore il proprio potere che lo si ricrea protagonista della vita politica, perché è grazie al suo voto che si determina la composizione del Parlamento.

Per questo ritengo che il ritorno alla preferenza rappresenti nei fatti ormai l’unico baluardo di vera libertà e di puro spirito partecipativo che è rimasto a questo Paese, a meno che non si prosegua con la deleteria promessa di “fare il cittadino protagonista” per poi lasciarlo ancora una volta ai margini, relegandolo al ruolo di mero notaio che certifichi passivamente l’elezione di questo o quel candidato.

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