giovedì 23 ottobre 2014

La rivolta delle tribù contro Isis ignorata dall’Occidente

La rivolta delle tribù contro Isis ignorata dall'Occidente
Mentre i caccia statunitensi hanno effettuato ulteriori attacchi aerei contro le forze Isis al confine tra Siria e Turchia, lanciando al contempo (così come confermato da Washington) armi e forniture mediche ai combattenti curdi, c’è un pezzo di rivolta ignorato dal mondo occidentale. E’ quella delle tribù locali contro l’Isis a cui nessuno offre un megafono. Con sullo sfondo i pozzi di petrolio da conquistare e controllare e la formazione delle truppe curde.
SHAITAT
I comandanti ribelli Shaitat sono un gruppo di arabi sunniti intenzionati a combattere i militanti dell’Isis, ma non hanno le risorse per farlo. I capi della tribù si sono recentemente incontrati nella città di Reyhanli, nei pressi del confine turco, per raccontare ciò che è stato fatto al loro clan. Chi si è rivoltato contro lo Stato islamico è stato ucciso brutalmente sin dallo scorso agosto. In soli tre giorni, i combattenti hanno decapitato, crocifisso e sparato centinaia di membri della tribù Shaitat. Secondo i sopravvissuti le vittime sarebbero 700: è il più sanguinoso massacro commesso dallo Stato islamico in Siria da quando ha dichiarato la sua esistenza 18 mesi fa.
FATTORE IDEOLOGICO
E’ quello che sta giocando un ruolo significativo nei rapporti pubblici all’interno del mondo islamico. Il caso della lapidazione nella città di Hama di un’adultera è lì a dimostrarlo. La donna potrebbe considerarsi “felice”, dice uno dei militanti ripresi in un video dimostrativo. E poco prima della lapidazione ha chiesto alla donna se fosse soddisfatta della pena, ottenendo un debole “sì” come risposta. “Possa Allah accettare il loro pentimento”, hanno scritto alcuni fanatici su internet. L’esecuzione rappresenterebbe quindi “la bellezza dell’Islam”. L’Isis vuole diffondere la Sharia in maniera molto radicale e diffondere l’Islam, la “religione perfetta,” con la forza delle armi. Sanzioni draconiane, crocifissioni, decapitazioni e lapidazioni sono i mezzi con cui gli islamisti intendono far valere le proprie ragioni. Lo ammette anche un guerrigliero dell’Isis di origine tedesca, quando dice alla Welt che “la gente ha bisogno di disciplina e ordine, le sanzioni sono tutte nel Corano o nella Sunna”.
LOTTA
E’ chiaro che all’indomani della diffusione della notizia del massacro contro la tribù di Shaitat, si apre un ulteriore fronte delicato nel panorama siriano e iracheno: come persuadere coloro che vivono sotto il dominio dello Stato islamico ad unirsi alla lotta contro il gruppo jihadista? Un passaggio su cui gli analisti americani stanno ragionando da tempo, in quanto sostengono sia essenziale per un possibile successo in questa campagna. Il silenzio internazionale su tale bagno di sangue non aiuta certamente i ribelli che vorrebbero associarsi alle forze anti Isis. Per questo molti sono i siriani dell’opposizione che stanno iniziando a lamentarsi di una disparità di trattamento. Un ex avvocato che chiede di essere identificato con il solo nome di battaglia perché teme ritorsioni, ha detto al Washington Post che adesso “odiamo tutti quelli che pregano, odiamo anche la barba”. E aggiunge: “Quando vedi i tuoi parenti massacrati, sei costretto ad accettare compromessi che altrimenti non avresti accettato”.
SIRIA
Anche se il regime di Bashar al Assad non appartiene all’alleanza anti-terrorismo guidata dagli americani contro lo “Stato islamico”, ecco oggi che la dittatura di Damasco e gli interessi strategici e militari arabi-americani in qualche modo iniziano ad essere vasi comunicanti  militari.L’obiettivo è aprire il confronto tra le forze governative e le associazioni curde a seguito del ritiro delle truppe di Assad dalle zone curde nel nord del paese. Che possa questo passaggio rappresentare un ponte verso quelle tribù sin qui ignorate?
QUI KOBANE
Secondo gli analisti del Pentagono l’attacco di Kobane altro non era che l’occasione di catturare il più gran numero di combattenti militanti che convergevano sulla città. Il Pentagono sostiene di aver ucciso centinaia di militanti Isis lì, in linea con l’obiettivo più ampio degli Stati Uniti ovvero colpire le infrastrutture e le risorse degli islamisti in Siria e così declassare la loro capacità di rafforzare e finanziare le operazioni in Iraq. Di contro, sul punto, “le truppe di terra ci vorrebbero, ma non c’è nessuno che vuole mettere in campo i suoi uomini”, ha osservato giorni fa da queste colonne il generale Mario Arpino. Senza dimenticare il rischio che le armi statunitensi siano cadute in mani pericolose.
MIRE
Nell’estremo nord dell’Iraq, nella regione autonoma del Kurdistan nonostante sia nota l’ufficiosa indipendenza che cerca da decenni, sono stati occupati i giacimenti nella ricca Kirkuk. I jihadisti già controllano Anbar, Ninawa, Diyala e Salahadin oltre a Banjij, che è la principale raffineria del paese. La tribù Shaitat, insieme a molte altre della provincia ricca di petrolio di Deir al-Zour,al confine con l’Iraq, ha trascorso gran parte di quest’anno a lottare per mantenere il controllo del territorio. Ma da oggi chiede anche il sostegno dell’Occidente.
twitter@FDepalo

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