mercoledì 12 novembre 2014

J-31, ecco come la Cina vuole fare concorrenza agli F-35

Per la prima volta la Cina mostra pubblicamente a un Paese straniero il jet Stealth che fino ad oggi era stato tenuto segreto. Il J-31 ha potenziali acquirenti militari di tutto il mondo, in concorrenza all’F35. L’aereo è in fase di sviluppo da parte delle imprese di proprietà statale appartenenti alla Aviation Industry Corp of China. La soddisfazione di Pechino sta tutta nelle parole del vicepresidente dell’Avic, Li Yuhai, al Financial Times: “Ora possiamo finalmente giocare”.
IN CONCOMITANZA CON APEC
L’occasione è il vertice 2014 a Pechino dell’Asia Pacific Economic Cooperation (APEC), in contemporanea con la decima Biennale China International Aviation and Aerospace Exhibition, per appaltatori della difesa cinese, programmata proprio in concomitanza con le riunioni APEC. L’obiettivo è mostrare al mondo il nuovo caccia stealth cinese, che di fatto nelle intenzioni dovrebbe entrare in competizione con i software, made in Usa, nei singoli mercati di esportazione.
LA STRATEGIA
Il jet da combattimento bimotore, di cui non sono stati confermati gli ordini, secondo il Quotidiano del Popolo (organo del Partito comunista cinese) sarebbe particolarmente interessante per quei paesi che sono al momento tagliati fuori dalle esportazioni di armi Usa, come il Pakistan e l’Iran. Il J-31 ha circa le medesime dimensioni dell’F-35. Gli aerei stealthrappresentano quindi la chiave della Cina Air Force per implementare il proprio sviluppo tecnologico futuro, legato alla capacità di svolgere entrambe le operazioni, offensive e difensive, così come certificato già agli inizi di quest’anno da alcuni report del Pentagono.
LE MIRE CINESI
Non è completamente chiaro se l’introduzione del J-31 rafforzerà in maniera significativa l’influenza della Cina nel commercio mondiale di armi. Né è ancora certo che il velivolo sviluppato dalla statale Shenyang Aircraft Corporation sia destinato effettivamente all’esportazione. A differenza dell’F-35, il J-31 ha due motori, forse perché non essendo la Cina tradizionalmente nota per motori potenti, gli ingegneri hanno voluto prevedere inconvenienti legati alla propulsione.
QUESTIONE MOTORI
Robert M. Farley, professore presso l’Università di Patterson nella Scuola di diplomazia del Kentucky, ha detto al New York Times che i progetti iniziali del motore avevano ostacolato le ambizioni aerospaziali cinesi. Infatti il Xian Aircraft Industry Y-20, un altro nuovo mezzo ma costruito per il trasporto militare di produzione nazionale, è stato sviluppato con i motori realizzati dalla società russa Aviadvigatel, che sono notoriamente molto meno efficienti e affidabili rispetto agli occidentali Pratt & Whitney e Rolls-Royce. “Richiedono tolleranze marginali nella costruzione e anche piccoli errori possono portare il motore a bruciare”, ha osservato.
IL MERCATO
Secondo le prime valutazioni il J-31 potrà fare realmente concorrenza all’F-35 inizialmente se avrà un prezzo di acquisto più basso, per cui non più della forbice di prezzo prevista tra i 150 e i 300 milioni a modello (a seconda delle varianti). Al momento i costi per lo sviluppo del J-31 sono inaccessibili, ma la rivista Science ha ricostruito che circa il 45% della spesa governativa cinese per ricerca e sviluppo è destinata al settore della difesa.
I NUMERI
La Cina al momento è il quarto esportatore mondiale di armi, dietro la Germania e prima della Francia. E nell’ultimo lustro la percentuale del commercio mondiale di armi provenienti dalla Cina è salita dal 2 al 6% per effetto di mercati particolarmente sensibili come Pakistan, Bangladesh e Myanmar. Per avere un’idea più precisa, si pensi che nel 1997 il bilancio della difesa cinese era di circa 7 miliardi di dollari, mentre quest’anno è stato ufficialmente 150 miliardi.

martedì 11 novembre 2014

Midterm, perché la vittoria dei Repubblicani è una manna per Keystone XL

Si chiama Keystone XL e trasporterà il petrolio dalle sabbie bituminose del Canada alle raffinerie sulla costa del Golfo del Texas. Il progetto riprende il via dopo la vittoria dei Repubblicani alleelezioni di Midterm. Il disegno di legge era naufragato lo scorso maggio al Senato, affossato dall’opposizione dei Democratici, nonostante in avvio avesse registrato un consenso bipartisan.
L’OLEODOTTO KEYSTONE XL
Il Dipartimento di Stato considera l’oleodotto una questione di “interesse nazionale”. Il progetto Keystone XL è destinato a trasportare petrolio greggio per 1.711 miglia, con vantaggi per economisti, aziende e sistema-Paese, anche se non sono mancate polemiche per presunti rapporti poco chiari tra funzionari del dipartimento e l’azienda impegnata nei lavori.
LE POLEMICHE
La scorsa primavera l’editorialista del New York Times, Thomas Friedman, osservava che Obama avrebbe dovuto avocare la propria leadership e mettere sul tavolo un’offerta diplomaticamente allettante. Ovvero proporre ai Repubblicani di sostenere la pipeline Keystone XL, ampliando la trivellazione petrolifera e il fracking (ma solo con i più alti standard ambientali) e, in cambio, chiedere una norma nazionale sulla carbon tax, al fine di introdurre gradualmente più energia rinnovabile e incentivare l’espansione della quota del nucleare nel mix energetico a stelle e strisce.
GLI OSTACOLI
Il progetto si bloccò però in Senato a maggio scorso: il ddl bipartisan per incoraggiare l’efficienza energetica degli edifici, al cui interno venne incluso anche un emendamento riguardante la pipeline Keystone XL, non passò, con 55 no e 36 sì. Il provvedimento, promosso dai senatoriRob Portman, repubblicano dell’Ohio, e Jeanne Shaheen, democratica del New Hampshire, venne considerato una rarità nel panorama politico Usa. Fino a dieci giorni prima della votazione, aveva registrato un ampio sostegno trasversale da parte dei componenti di entrambi i partiti nelle due camere del Congresso. Tuttavia al momento del voto le cose andarono diversamente.
LE PROTESTE
Un deciso no al progetto è stato espresso a più riprese dagli agricoltori del Nebraska, che quaranta giorni fa hanno inscenato una protesta “musicale”, con il supporto del cantante Neil Young. In una pianura brulicante di cavallette, il noto artista, assieme a Willie Nelson, ha cantato la propria opposizione nel bel mezzo di terreni agricoli che hanno ospitato ottomila partecipanti.
LE SPINTE REPUBBLICANE
A questo punto i Repubblicani hanno in mente di utilizzare la loro nuova maggioranza sia alla Camera sia al Senato, per spingere la Casa Bianca ad approvare l’oleodotto, considerato dal Gop un canale stretegico per l’approvvigionamento di petrolio. Gli ambientalisti sono contrari, perché lo ritengono foriero di degrado ambientale. Obama ha procrastinato la decisione in merito al progetto per anni, ma ora potrebbe farlo. A frenarlo è solo la pronuncia da parte di untribunale del Nebraska sulla rotta del gasdotto.

lunedì 10 novembre 2014

Zhuhai Air Show, benvenuti alla fiera dell’aerospazio cinese

Si apre l’11 novembre Zhuhai Air Show, la prima e unica fiera internazionale aerospaziale inCina“approvata” dal governo centrale cinese. Ecco come la China International Aviation & Aerospace Exhibition è diventata uno dei più famosi airshow al mondo.
COSA E’
Si tratta di un gateway per l’aviazione e l’aerospazio con cui le imprese internazionali possono presentare le ultime tecnologie e i prodotti in rapida crescita del mercato cinese. Due anni fa i numeri si concretizzarono in 650 espositori provenienti da 39 paesi e regioni, con 28.200 mq di superficie netta espositiva coperta e 113 aerei in mostra.

COSA SI VENDE
Una grande varietà di business jet, aerei da turismo, tecnologia, sviluppo industriale, ma anche aerei civili con sullo sfondo le nuove strategie della BOC. L’ultima edizione, nel 2012, è stata considerata dagli esperti del settore come il più grande show continentale con un giro d’affari di 11,8 miliardi dollari per 202 velivoli di vario tipo coinvolti. A margine di spettacoli, passaggi a bassa quota ed esibizioni, ecco i quasi 70 forum tematici con 141 delegazioni militari e commerciali provenienti dall’estero e più di 2100 giornalisti accreditati. Zhuhai, in Guangdong, diventa sempre più la vetrina aerospaziale della Cina.

Y-20
Zhuhai sarà l’occasione per valutare i progressi del progetto di trasporto strategico Xian Y-20, che ha già volato “in incognito” in questi 24 mesi ma che all’Air Show sarà al centro degli occhi di visitatori e tecnici. Si tratta un mezzo da trasporto aereo strategico sviluppato per la Cina con un elenco di avanzate dotazioni tecniche per il combattimento e la difesa. Sarà indispensabile per una fase logistica affidabile da parte di Pechino, che avrà così un mezzo tecnologicamente avanzato per effettuare “ponti aerei”. Grande attesa inoltre per la gamma completa di tecnologie ed armamenti, come i sistemi senza pilota, i nuovi missili da crociera, e in particolare il debutto in Cina del concorrente dell’F-35, ovvero il J-31, e del velivolo di sorveglianza KJ-2000.

PRIMIZIE
Pochi i particolari noti sul J-31, di cui le prime immagini risalgono al 2012. Ma né il J-31, né l’Y-20 saranno esplicitamente previsti nel programma di spettacoli ed esibizioni consegnato ai giornalisti. Il programma elenca solo “aeromobili da trasporto riservati” e di un jet da combattimento: entrambi prodotti da AVIC. Il debutto pubblico di questi due tipi di velivoli potrebbe stare a significare il tentativo da parte di Pechino di essere un po’ più trasparente sui suoi programmi di sviluppo di aeromobili militari.

TREND
E’ chiaro che prende sempre più corpo il ruolo di Pechino all’interno del trasporto aereo mondiale, che nei fatti è destinato ad implementarsi nei prossimi due decenni. La prospettiva è quella del 2034, quando il volume totale di passeggeri in tutto il mondo si avvicinerà ai 7,3 miliardi, più del doppio rispetto ai 3,3 miliardi previsti per quest’anno secondo i dati della IATA, l’International Air Transport Association. Con Pechino che dal 2012 ha programmato la costruzione di 70 nuovi aeroporti e l’acquisto di 300 aerei: due obiettivi da raggiungere entro il prossimo anno.

MEGA ORDINE
Un trend suffragato dal marchio Boc Aviation, vero e proprio braccio operativo, una delle società di leasing più importanti del pianeta che al marzo scorso possedeva in portafoglio ben 237 proprietà e gestione aeromobili in locazione a 55 compagnie aeree in 30 Paesi del pianeta. La Boc da pochi mesi ha dato il via all’eccezionale ordine di 50 Boeing 737 e 30 Next Generation 737-800, che saranno consegnati tra il 2016 e il 2021. Il prezzo? Quasi nove miliardi di dollari da prezzo di listino.

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domenica 9 novembre 2014

Così la Cina promuove la Banca Mondiale dell’Asia

Cosa è e dove vuole arrivare la Nuova via della Seta, il progetto promosso dalla Cina per la costruzione di “una strada commerciale continentale”. Un totale di 21 paesi asiatici sono prossimi ad aderire alla Asian Investment Bank Infrastructure (AIIB) e in qualità di membri fondatori hanno firmato un memorandum d’intesa a Pechino lo scorso 24 ottobre. Il capitale autorizzato della banca, con sede a Pechino, è di 100 miliardi di dollari.
VIA DELLA SETA 2.0
E’ stata ribattezzata “via della seta 2.0″, un progetto ideato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013 e che alla fine di quest’anno dovrebbe subire una decisiva accelerazione operativa. Dopo la firma di un mese fa da parte dei Paesi aderenti, è stato lo stesso Xi a dettare il calendario dei lavori. “Dobbiamo preparare un agenda con tempi e tabelle di marcia per i prossimi anni”, ha detto ieri in occasione dell’ottava riunione della Commissione Centrale economico-finanziaria.

PRIORITA’
“Ci concentreremo su alcuni progetti significativi affinché la costruzione di ‘One Belt e One Road’ abbia inizio il più presto possibile”, ha detto il presidente, aggiungendo che la cooperazione tra la Cina e i Paesi interessati sarà in prospettiva reciprocamente ancor più vantaggiosa. In questo senso il ruolo della Cina sarà sempre più leaderistico all’interno della macro regione, grazie a progetti di infrastrutture, compreso il trasporto di energia elettrica e le telecomunicazioni. Pechino potrà così essere il soggetto che avvia progetti per migliorare i partner coinvolti.

ONE BELT E ONE ROAD
Si tratta di un’enorme e altamente inclusiva piattaforma commerciale e culturale, che si propone di coniugare l’economia cinese in rapida espansione con le ricadute sugli altri soggetti coinvolti, tramite capitali stranieri e anche privati. E’ il comune denominatore attraverso il quale un totale di 21 paesi asiatici hanno manifestato da tempo l’intenzione di associarsi sotto l’ombrello della Asian Investment Bank Infrastructure (AIIB) in qualità di membri fondatori.

AIIB
Si tratta del braccio armato cinese che molti analisti considerano la carta che Pechino intende giocare sul tavolo geopolitico con la Banca Mondiale e la Banca asiatica di sviluppo, due istituzioni tradizionalmente influenzate da Usa e Giappone. Il ruolo di AIIB è quello di finanziare massicciamente una serie di progetti lungo l’intero asse asiatico. Oltre alla Cina, i firmatari iniziali sono Mongolia, Uzbekistan, Kazakhstan, Sri Lanka, Pakistan, Nepal, Bangladesh, Oman, Kuwait, Qatar, India e tutti i membri dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN) con l’eccezione di Indonesia, Australia e Corea del Sud, “convinte” al momento della firma ad un passo indietro. Di questi solo l’India è considerata una grande nazione, ed è destinata a diventare il secondo più grande partner AIIB dopo la Cina.

PORTFOLIO
Con sede a Pechino, sarà guidata dall’ex presidente della banca d’investimento China International Capital Corp, Jim Liqun, e sarà inizialmente capitalizzata con 50 miliardi dollari, in gran parte versati dalla Cina che ha in programma di aumentare il capitale sociale autorizzato fino a 100 miliardi. Con tale importo l’AIIB sarebbe grande per volume di capitale come i due terzi della Banca Asiatica di Sviluppo. Scontata la contrarietà all’iniziativa del Giappone, principale rivale della Cina in Asia, che domina la Banca asiatica di sviluppo assieme agli Stati Uniti.

SCENARI
Sembra che sia stato il Segretario di Stato americano John Kerry in persona a chiedere al primo ministro australiano Tony Abbott di non aderire all’AIIB. Interlocutoria la posizione della Corea del Sud, uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti in Asia, il cui ministro delle finanze ha chiesto più tempo alla Cina per esaminare i dettagli e la governance di AIIB. Polemica la posizione cheWei Jianguo, ex ministro del commercio cinese, affida al Financial Times: ha detto che gli Usa guardano a tale questione come ad una “partita di basket in cui vogliono imporre la durata del gioco, le dimensioni e l’altezza del cesto per soddisfare se stessi”.

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martedì 4 novembre 2014

Nit Holding, ecco uomini e segreti della società di Hong Kong che punta su Mps

Strategie e vertici della società con sede a Hong Kong pronta a entrare in Mps. Si tratta di NIT Holding e Portfolio Financial Services fondata nel 2000 e specializzata nella gestione del portafoglio. Ha come clienti principali Paesi in via di sviluppo, governi, fondazioni e aziende private.
GOVERNANCE
Nit Holding Limited è guidata da Perry N.Hammer, esperto di finanziamento strutturale con una competenza in diversi ambiti, dall’agricoltura, alle Scienze della Nutrizione, dalla zootecnica alle attività minerarie. Mentre la sede centrale è a Hong Kong, la rete commerciale di affiliati copre una serie di Paesi che vanno dalla Repubblica Popolare Cinese agli Emirati Arabi Uniti, dalla regione africana con Ghana e Sierra Leone sino all’est europeo con Ucraina, dal Benelux agli Usa Paesi Bassi. Il legale italiano di Nit è Luca Capecchi, colui che ha confermato all’agenziaReuters di aver inviato l’offerta.
NIT ITALIA
Al duca Rodolfo Varano fanno capo le relazioni esterne e lo studio legale di Nit in Italia, ha scritto oggi il Fatto Quotidiano. Lo scorso mese di giugno la finanziaria presentò una proposta di salvataggio per la Banca Popolare di Spoleto, in seguito respinta dai Commissari straordinari. L’avvocato Capecchi stoppò l’assemblea dell’istituto che era in procinto di varare una ricapitalizzazione da 139 milioni: con il sostegno di Banco Desio (che poi si aggiudicò la partita) e Brianza si tentava di far risalire i valori patrimoniali della banca al di sopra della soglia di vigilanza. Ma Capecchi propose una pausa di riflessione forse in prospettiva di una mossa da parte di Nit. Il no dei Commissari fu giustificato dalla carenza di capacità patrimoniale della Società.
I PROGETTI DEL DUCA
Ma Spoleto è anche il comune denominatore proprio con le Pr del gruppo. Il duca Rodolfo infatti è stato avvisato nella cittadina umbra all’indomani dell’operazione poi sfumata: manifestò in pompa magna l’intenzione di fare di Spoleto la “Capitale mondiale dell’arte e della cultura”. E annunciando investimenti per decine di milioni di euro in occasione di un evento promosso dalla Credit Sanbank, A.S. Finance Spa, Nit holding di Hong Kong, Casarte Srl, Studio Synologic e da Villa Sensati – Luxury Design.
ATTIVITA’ SVARIATE
Spicca il coinvolgimento della holding in una serie di attività multi ambito, come il progetto infrastrutturale autostradale da sei miliardi di dollari da realizzare in Ghana accanto a 1500 chilometri di nuove ferrovie. Altri 750 milioni sono previsti per la costruzione e gestione di impianti di etanolo con l’utilizzo di prodotti da biomasse negli Usa. Il progetto prevede tre stabilimenti in Louisiana e due stabilimenti in Florida da parte del NIT. E’ di trecento milioniinvece l’investimento previsto per un progetto ecologico con l’utilizzo di pneumatici di scarto come materia prima per la realizzazione di nuovi pneumatici, assieme alla società americanaCarbon Ventures LLC. Venti gli impianti previsti in tutto il mondo, tra cui sei stabilimenti in Usa, due in Germania, uno in Francia, tre in Europa orientale, uno ad Hong Kong e tre in Cina.

lunedì 3 novembre 2014

Midterm, che cosa succederà nelle elezioni Usa

Nelle elezioni di midterm del prossimo 4 novembre i cittadini americani saranno chiamati a scegliere tutti i 435 deputati della Camera, 33 dei 100 senatori, più altri tre per i seggi rimasti vacanti. Incerta la sorte del Senato che può dipendere da due indipendenti. Ma la pronuncia degli elettori servirà a comprendere su quali basi si muoverà la macchina elettorale (già partita) per laCasa Bianca 2016.
PANORAMA
Al momento i repubblicani devono strappare sei seggi ai democratici per ottenere la maggioranza al Senato. Le competizioni da tenere d’occhio in tutti i 50 Stati sono diverse e niente affatto scontate. Di contro i democratici contano sull’appeal femminile per limitare le perdite (già messe in conto) dovute anche all’altalenante amministrazione del presidente in carica.

QUI REPUBBLICANI
Avanti nelle elezioni della Camera dal 2010, oggi potrebbero conquistare anche la maggioranza al Senato. Lo sostiene FiveThirthyEight secondo cui la probabilità è del 68%, mentre per il Washington Post addirittura del 95%. A ciò si aggiunga l’elemento statistico secondo cui il partito del presidente in carica perde quasi sempre seggi alle elezioni di midterm, a maggior ragione quando si tratta del secondo mandato. Senza dimenticare un nome jolly, David Perdue in Georgia.

QUI DEMOCRATICI
In Kentucky hanno gridato allo scandalo per un volantino dell’ultimo minuto fatto circolare per limitare l’affluenza alle urne. In Kansas l’indipendente Greg Orman si deve scontrare con tutto il peso dell’oliatissima macchina repubblicana determinata a salvare uno dei suoi membri (decisivi per la vittoria finale). Mentre il senatore democratico della Louisiana Mary Landrieu ha impiegato minuti preziosi di questi ultimi comizi per rivendicare i concetti (con poco appeal) relativi ai politici del sud e alle quote rosa. Ma il macro dato riguarda la rincorsa che da due anni stanno preparando i Clinton: obiettivo 2016.

ROMNEY
Mitt Romney ha previsto che un Senato repubblicano sarebbe utile a “sfondare la paralisi del Congresso e approvare una legge sulla riforma dell’immigrazione e del commercio“. L’ex governatore del Massachusetts e candidato presidenziale nel 2012 ha avvertito che il presidenteBarack Obama si sarebbe mosso dopo le elezioni di midterm verso una sorta di “amnistia” sulla riforma dell’immigrazione. Un riferimento alla decisione della Casa Bianca di ritardare l’azione esecutiva in materia di immigrazione fino a dopo le elezioni. Ma Romney ha detto che un Congresso controllato dai Repubblicani sarebbe in grado di approvare una legge sull’immigrazione più conservatrice (e incentrata sulla sicurezza delle frontiere) rispetto a quella che il presidente Obama avrebbe firmato.

SCENARI
Ai repubblicani per ottenere la maggioranza occorrono sei seggi: hanno circa il 70% di probabilità di riuscirci, secondo gli ultimi sondaggi. Sembrano essere in posizione di forza per vincere in quattro Stati detenuti dai democratici: Arkansas, Montana, South Dakota e West Virginia. Potrebbero rischiare in caso andasse male in Georgia, Kansas e Kentucky: tre banchi di prova decisivi. Le altre partite che probabilmente determineranno gli equilibri di potere sono attualmente detenute dai democratici: Alaska, Colorado, Iowa, New Hampshire e North Carolina.

CASO SPECIALE
Una menzione speciale merita il caso della Louisiana, dove sono alla fine della corsa nessuno dei candidati potrebbero ottenere il 50%, aprendo la strada ad un ballottaggio, che non si potrebbe tenere fino a dicembre.

GOVERNATORI
Alcune delle sfide più interessanti riguardano le elezioni dei governatori. In Wisconsin una vittoria del repubblicano Scott Walker potrebbe aiutarlo a emergere come un forte candidato per la presidenza nel 2016 quando dall’altro lato della barricata correrà una certa Hillary Clinton. In Florida l’ex governatore Charlie Crist sta cercando di recuperare il terreno perso. In Kansas il governatore Sam Brownback si trova di fronte una reazione dagli elettori e una potenziale rivolta repubblicana. Al centro dell’agenda dei candidati emergono forti il tema della legalizzazione della marijuana e dell’aumento del salario minimo.

CHI VOTA
L’elettorato appare a disagio e confuso, dal momento che le elezioni si tengono in un momento in cui dominano due temi pesanti come l‘emergenza Ebola e la guerra al Califfato dell’Isis che aggiungono sale sulla ferita della crisi economica e del balletto sul prezzo del petrolio. Nonostante i repubblicani abbiano cercato di nazionalizzare le elezioni, l’ambiente politico varia da stato a stato, come dimostrato da una sere di inchieste del Nyt in Alaska, Arkansas, Colorado, Georgia, Iowa, Louisiana e Carolina del Nord.

FATTORE ASIATICO
E’ quello che potrebbe giocare un ruolo non del tutto secondario in queste elezioni. Ad un recente evento organizzato da un gruppo di imprenditori il deputato Gerry Connolly ha salutato il pubblico in una mezza dozzina di lingue, tra cui coreano, cinese e tailandese. L’ex tenente e governatore Don Beyer, in corsa per il Congresso, ha evidenziato l’alto numero di dipendenti di origine straniera al suo pubblico fatto di concessionari Volvo. E la repubblicana Barbara Comstock ha propagandato il suo sostegno per la legislazione che impone che i libri di testo si riferiscano al Mar del Giappone anche come il mare orientale, ovvero il nome preferito dai coreani.

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sabato 1 novembre 2014

Tutti gli effetti del petrolio meno caro

Cosa accadrebbe all’economia mondiale se il conflitto con l’Isis in Iraq causasse uno shock delprezzo del petrolio? Se lo chiede in un report il Fondo Monetario Internazionale, secondo cui il rischio è un calo del 20% in un anno. Il Pil mondiale cadrebbe nell’ordine del 0,5-1,5%, e i corsi azionari dei paesi ricchi si ridurrebbero di 3-7%, con l’inflazione almeno mezzo punto più alta.
SITUAZIONE
Il caso della guerra al Califfato si somma ad una contingenza altamente critica in varie località del globo. La Russia, terzo più grande produttore al mondo, è coinvolta nella vicenda ucraina,anche se con l’accordo Kiev-Mosca-Ue di due giorni fa un significativo passo avanti si registra. Iraq, Siria, Nigeria e Libia, tutti i produttori di petrolio, presentano una forte instabilità politica. In tutto ciò, il prezzo del Brent è sceso di oltre il 25% al barile a metà giugno: da 115 a meno di 85 dollari a metà ottobre, per poi risalire lievemente. Un cambiamento che presenta conseguenze in tutti i continenti.

VINCITORI
Pollice in su per l’economia dal momento che una variazione del 10% del prezzo del petrolio è associata a una variazione dello 0,2% del PIL mondiale, come osservato da Tom Helbling del FMI. Una caduta dei prezzi aumenta normalmente il PIL, spostando risorse dai produttori ai consumatori, che sono più propensi a spendere i loro guadagni rispetto ai ricchi sceicchi. Se l’aumento dell’offerta è la forza trainante, l’effetto è probabile che sia maggiore come accaduto nel caso americano, dove il gas scisto ha spinto i prezzi verso il basso rispetto all’Europa. In questo il Fmi ritiene che si siano potenziate le esportazioni di prodotti manifatturieri del 6% rispetto al resto del mondo.

CALO DEI PREZZI
Il calo dei prezzi è dato dai mutamenti nel rapporto tra domanda e offerta. Il rallentamento dell’economia mondiale e i recuperi in fase di stallo rispettivamente in Europa e in Giappone, sono un freno alla domanda di petrolio. Ma non va dimenticato anche il grande shock dell’offerta. La Cina è il secondo più grande importatore netto di petrolio al mondo. L’impatto negli Usa sarà in quale modo equilibrato, dal momento che il paese è allo stesso tempo il più grande consumatore, importatore e produttore di petrolio al mondo. A conti fatti il petrolio più economico aiuterà, ma non tanto come una volta. Gli analisti di Goldman Sachs ritengono che il greggio meno caro e tassi di interesse più bassi dovrebbero aggiungere circa 0,1 punti percentuali alla crescita nel 2015. Ma questo sarà più che compensato da un dollaro più forte, una crescita più lenta globale e mercati azionari più deboli.

QUI USA
In occasione di una decrescita dei prezzi del petrolio, gli Usa sono uno dei luoghi più probabili di recessione, con un impatto altamente variabile da regione a regione. Il tutto perché gli Usa sono “importatori netti” quindi i prezzi bassi indicano che gli americani spendono nel mercato interno. E’ chiaro che l’effetto-stimolo è inferiore rispetto al passato, dal momento che le importazioni sono sempre meno importanti. Secondo l’Energi Information Administration, un’agenzia governativa indipendente, le importazioni nette di petrolio scenderanno al 20% del consumo totale del prossimo anno, la percentuale più bassa dal 1968. Nei primi anni ’80 per fare un confronto il petrolio ha rappresentato oltre il 4% del PIL.

QUI UE
Ecco che il petrolio più economico potrebbe incidere non poco sulla politica monetaria. Le aspettative di inflazione sono diventate più stabili dal 1980, il che significa che la Fed sente meno bisogno di agire quando i prezzi del petrolio cambiano. I timori di deflazione si applicano con maggiore forza ai ragionamenti in chiave Ue. Le importazioni di energia nell’Unione europeaammontano a 500 miliardi di dollari per il 2013, di cui il 75% di petrolio. Quindi, se i prezzi del petrolio rimanessero a 85 dollari al barile, il quadro complessivo delle importazioni potrebbero scendere a meno di 400 miliardi di dollari all’anno.

DUBBI
Ma i benefici sarebbero potrebbero essere doppiamente vanificati: in primo luogo, l’inflazione nella zona euro è ancora più bassa che in America. Il governatore della Bce Mario Draghi ritiene che l’80% del suo declino tra il 2011 e il settembre 2014 sia stato causato da una riduzione dei prezzi del petrolio e dei prodotti alimentari. Il petrolio a 85 dollari potrebbe portare quindi alla deflazione, provocando i consumatori a tenere a freno la spesa. In secondo luogo, la politica energetica europea è solo in parte dipendente dal prezzo. Gli europei stanno anche cercando di ridurre la dipendenza dalla Russia (si legga alla voce gasdotto Tap) e di ridurre le emissioni di anidride carbonica per allontanarsi da combustibili fossili.

CHI GUADAGNA
L’agricoltura meglio del petrolio? L’energia è utilizzata principalmente in uso agricolo in quei Paesi dove gli agricoltori utilizzano enormi quantità di energia elettrica per pompare l’acqua da falde acquifere molto profonde o da fiumi lontano. Un dollaro di produzione agricola comporta quattro o cinque volte più energia per produrre un dollaro di manufatti, dice all’Economist JohnBaffes della Banca Mondiale. Gli agricoltori quindi beneficiano di olio più economico. E poiché la maggior parte degli agricoltori del mondo sono poveri, l’olio più economico è, a conti fatti, vantaggioso per i paesi poveri.

Tregua sul gas per liberarsi di Mosca

C'è proprio tutto nell'accordo sul gas raggiunto tra Kiev, Mosca e l'Unione Europea. Il dato economico, con la garanzia del Fmi all'Ucraina per non interrompere le forniture in Europa; il dato politico con un nuovo capitolo, «più costruttivo nei rapporti di gas tra Ue, Russia e Ucraina» ( copyright Gazprom); e quello geopolitico con le manovre generalizzate per affrancarsi dal gas russo, si veda alla voce energie alternative e soprattutto gasdotto Tap.
Secondo i termini dell'accordo sono circa 4,6 i miliardi di dollari che saldano il pagamento del debito ucraino a Mosca per le forniture di gas da oggi sino al prossimo marzo. I debiti pregressi da 3,1 miliardi verranno onorati in due rate: una da 1,45 miliardi che Kiev pagherà oggi e la seconda da 1,65 miliardi entro il prossimo 31 dicembre. A garantire i pagamenti di Kiev ecco un fondo da 3,1 miliardi stanziato dal Fmi, tramite l'intermediazione di Günther Oettinger, commissario europeo dell'energia uscente. Per le future forniture extra debito pregresso, invece, ci penseranno i finanziamenti già previsti dai programmi di assistenza finanziaria Fmi­Ue, a cui se ne aggiungerà un terzo nel corso del 2015. Gazprom, a sua volta, si astiene dal ricorrere ad una clausola contrattuale «take­or­pay» fino alla fine di marzo.
La clausola prevede che l'Ucraina paghi una penale in caso richieda minor gas rispetto a quello indicato nel contratto iniziale. Un'accelerazione all'accordo è stata impressa dalla buona volontà mostrata da Gazprom il cui Ceo, Alexei Miller, aveva assicurato un attimo prima della ripresa dei negoziati, che se l'intesa fosse stata firmata «allora ci si può aspettare che tutti gli accordi trilaterali saranno siglati». Un passaggio propedeutico ad un rasserenamento anche politico del caso ucraino, come la stessa Commissione Europea aveva osservato, dal momento che con l'accordo «è molto verosimile che si verifichino conseguenze politiche positive» sulla crisi in Ucraina. Poche ore prima dell'accordo Miller aveva detto all'emittente televisiva Rossiya 24 che Gazprom avrebbe riavviato il flusso di gas non appena Kiev avesse risolto il nodo dei debiti pregressi e dei pre­pagamenti di novembre.
Il Cremlino ha accolto con favore l'accordo come «un passo importante nel contesto di garantire ulteriormente il transito del gas verso l'Europa senza interruzioni». L'Ue riceve circa un terzo del suo gas dalla Russia e circa la metà di quello viene convogliata proprio attraverso l'Ucraina. Primo a commentare l'accordo, l'ex presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso: auspica che «l'intesa sul gas faccia crescere la fiducia reciproca» tra Mosca e Kiev. Un accordo che «garantisce la sicurezza energetica dell'Ucraina e dei nostri paesi» cui ora deve seguire, come priorità, l'attuazione dell'accordo di Minsk.
I numeri di Gazprom dicono che le forniture massime giornaliere saranno pari a 114 milioni di metri cubi sotto l'accordo per la fornitura di 2 miliardi di metri cubi al mese per novembre e dicembre. Secondo quanto specificato da Mosca il prezzo riflette uno sconto di 100 dollari rispetto ai precedenti accordi come da decisione del governo che la approverà ufficialmente oggi. L'accordo porta con sé una coda giudiziaria, lasciando al tribunale arbitrale di Stoccolma la pronuncia sull'entità del debito ucraino: se di 3,1 miliardi dollari, come già messo in deposito a garanzia da Kiev, o se da 5,3 miliardi dollari come sostiene Mosca. Dal canto suo l'Ue annuncia il massimo impegno «per facilitare l'attuazione dell'accordo raggiunto» come conferma una nota congiunta di Francois Hollande e Angela Merkel dopo aver fatto il punto della situazione con i presidenti Vladimir Putin e Petro Poroshenko: i quattro leader hanno messo la parola fine, almeno per ora, al rischio gelo e ipotecato una soluzione alla fornitura del gas in attesa che il futuro dica quali sono i vantaggi (e gli svantaggi) previsti dal Tap.