domenica 17 gennaio 2010

E SE GLI STADI FOSSERO ECOLOGICI E CULTURALI?

Da Ffwebmagazine dell'11/01/10

Come sfruttare l’occasione di un’imminente trasformazione edilizia per ottenere un contributo all’evoluzione sociale della popolazione? Incentivando una percezione nuova e mai approcciata prima, quanto a convergenze tra stimoli ed eventi sino a ieri lontanissimi?È proprio il caso di dire che l’assist, questa volta, potrebbe venire dal mondo dello sport, precisamente dalla Federcalcio, che entro un mese dovrà valutare se candidare l’Italia a ospitare gli Europei del 2016. E per farlo, sarà costretta ad allegare al proprio dossier un curriculum più che convincente. Dove non conteranno titoli vinti e risultati raggiunti, ma attrazione positiva in termini di strutture.A questo punto perché non puntare a una doppia operazione, che utilizzi il calcio come grimaldello culturale? Ovvero stadi che abbiano l’opportunità di incarnare uno spirito diverso da quello adottato sino ad oggi, uno spirito per cui il luogo dedito allo sport potrebbe mutarsi in un contenitore ampio e policulturale, che vada al di là della gara in sé. E consentendo al fruitore, o al gruppo di fruitori, di godere anche di altro. Pensando, ad esempio, a un museo all’interno dello stadio, e non solo strettamente dedicato alla squadra in questione, ma con stimolanti varianti tematiche come mostre itineranti, per rendere quello stadio e quella pista di atletica un punto di riferimento innovativo. Si immagini quanti sportivi potrebbero essere avvicinati ad esempio all’arte, con eventi mirati pre o post partita, o anche durante l’intera settimana, e di contro quanti cittadini “asportvi” potrebbero essere incentivati a guardare una partita dal vivo. Con al seguito numerose e interessanti variabili, come percorsi di fair play per i più piccoli, o lezioni di tecnica e sistemi di gioco anche per i non addetti ai lavori. Il tutto all’insegna della commistione totale. Un pertugio nella stretta cruna dei singoli e differenti modelli socio-culturali, per sperimentare un modo nuovo e propositivo di accrescere l’offerta. E con un occhio di riguardo all’eco sostenibilità, come l’assoluta indipendenza energetica dello stadio grazie a pannelli fotovoltaici. Un altro segnale di progresso sociale e industriale, con un preciso segnale rivolto a chi ancora crede che ratificare protocolli ambientali sia un’utopia.E allora no a cattedrali nel deserto, sì a eco impianti sportivi, polifunzionali e a vocazione sociale, per modernizzare il paese e colmare una volta per tutte il gap con il resto d’Europa. È l’intento della legge per la costruzione di nuovi stadi che, se approvata in tempi brevi, consentirebbe non solo di innovare le strutture sportive esistenti o di erigerne di nuove, ma di candidare l’Italia agli Europei di calcio del 2016. Si tratta di un’operazione da circa sei miliardi di euro, che ha registrato il “sì” bipartisan della commissione cultura del Senato. Il ddl in questione prevede che si proceda entro un mese, in modo che le società di calcio ottengano le concessioni per realizzare nuovi impianti che siano rigorosamente multifunzionali, quindi stadi con residenze o uffici, ma anche con servizi che vadano al di là del singolo evento sportivo, come ristoranti, teatri, in modo da coinvolgere una consistente fetta della popolazione. Producendo oltretutto occupazione e altri “ritorni” positivi. Una mossa strategica, in tempi di stallo commerciale, che avrebbe anche una valenza economica non indifferente. Legambiente si è detta preoccupata per un intervento che considera alla stregua di una speculazione edilizia. Stiano tranquilli gli amici ecologisti, dal momento che nel ddl è previsto espressamente che vengano rispettati i vincoli paesaggistici, grazie alla convergenza del ministro della cultura Bondi con il sottosegretario allo sport Crimi. In un colpo solo, quindi, si potrebbero modernizzare gli stadi italiani evitando di costruire enormi strutture circondate dal nulla, preferendo invece armonizzare il nuovo con il territorio in questione, e grazie ad una mente architettonica finalmente sganciata da canoni precostituiti, ma a vocazione universale. Nuovi stadi non solo per risultare in linea con la media europea, ma non commettendo gli errori del passato, come dimostrano alcuni bellissimi impianti edificati ad Atene in occasione delle Olimpiadi del 2004 e a oggi tristemente inutilizzati e privi di manutenzione, con una dispersione di capitale economico e sociale. Che si vada avanti rapidamente, quindi, per non perdere una ghiotta occasione di sviluppo e occasioni concrete. Ma che lo si faccia con strumenti innovativi, recuperando lo svantaggio italiano non solo dal punto di vista logistico ma anche culturale. Magari sull’esempio del modus operandi applicato a Londra per le prossime Olimpiadi: una volta terminati i giochi, gli impianti verranno smontati e venduti al Brasile per le Olimpiadi del 2016. Un paradigma non da copiare in toto in nome di un’emulazione astratta, ma da metabolizzare per uscire definitivamente da quel vecchiume di proposte e di strumenti che rappresentano una pesantissima zavorra allo sviluppo del paese.

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