domenica 14 marzo 2010

E se ogni tanto spegnessimo la Tv e accendessimo la Rete?


da Ffwebmagazine del 14/03/10

Basta tv, adesso tutti sulla Rete. Non bastavano reality, piazze mediatiche, schiamazzi diurni sugli schermi televisivi nazionali. E passi per quel format di derivazione europea, passi per lo sfogo di Tizio contro Caio, passi per la storia di tradimenti giudicata dall’ennesimo televoto. Ma ascoltare un Sempronio, che di mestiere fa altro, duettare di banda della Magliana e Ior Vaticano, oppure di indici di Pil e derivati finanziari con addetti ai lavori e professionisti del settore, lascia quantomeno attoniti. E in seguito preoccupati. Non per una ipersensibilità alla feccia, sentimento che ormai di questi tempi chi lo incarna, se lo sente rinfacciare, tacciato di snobismo. Ma proprio per un senso del pudore celebrale, niente di più.

Tra le tante deficienze strutturali oggettive e acclarate, la televisione biancarossaeverde si auto squalifica con un’altra mossa fuori logica: riempire di nulla i salotti dell’informazione, quelle strisce dove si dibatte dei temi del giorno, ma che riescono a saltare con un’imbarazzante leggerezza dai misteri d’Italia al successivo amore estivo da gossip, dal numero dei licenziati in una grande azienda alla nuova ricetta per una Pasqua più dolce, con la giustificazione di voler alleggerire le tematiche. Alla faccia della leggerezza. Una sorta di limbo ebete, dove la liquidità delle parole e delle persone in simbiotica gaiezza perde di vista qualsiasi punto di partenza, di arrivo e, di conseguenza, anche di incontro. È come uno stormo di uccelli in volo perenne, noncurante di tratte aeree e perturbazioni, che dal cielo passa in terra e poi si sposta nel mare. Insomma un caos, o sarebbe meglio dire una bolgia. «Mi piace la televisione - disse una volta Robert Mitchum - soprattutto perché la si spegne facilmente».

Buffo che, mentre in questa assurda campagna elettorale si tacciono gli approfondimenti politici, al contempo di riempiano i palinsesti di finestre ripiene di cotanta pochezza. Con i protagonisti per nulla imbarazzati dal proprio non-sapere. Tutti uniti nel trionfo dell’accostamento allucinante, con soubrette che offrono il proprio punto di vista su temi abbastanza complicati. In un’overdose di tuttologia promiscua. È questa la risposta mediatica alle nuove sfide comunicative del terzo millennio? È su queste basi che si progettano le piattaforme informative per scavare dentro cause ed effetti di ciò che accade? Ma nessuno scandalo, da questa tivvù, almeno per il momento, è lecito attendersi di tutto. Proprio da certa televisione che mortifica le sperimentazioni, che emargina le idee innovative, che ridimensiona i dibattiti civili sostituendoli con la sagra dell’insulto permanente.

E che, insistendo cocciutamente su questa direttrice, perde di vista Le travi portanti dell’accesso alle notizie. Non che la si voglia caricare di eccessive responsabilità sociali, ma se circa il 65% degli italiani si forma un’opinione solo guardando la televisione, ecco che il suo ruolo irrimediabilmente cambia. E se l’opinione successivamente formata non è corroborata da sufficienti analisi specifiche e valutazioni complessive, diventa una convinzione a metà. Perché produce idee monche, conclusioni anomale, megafoni erronei. «La più grande minaccia alla libertà - diceva Louis D. Brandeis - è un popolo inerte». E, si potrebbe aggiungere, male informato.

È come se un atleta affetto da un’infiammazione al tendine, anziché rivolgersi a un ortopedico, si rivolgesse per la cura a un avvocato, o a un barista, o a un poeta. Tre professionisti certamente adeguati, ma agli ambiti in questione e non a quello richiesto inizialmente. Quale sarebbe la conseguenza? E allora forse sarebbe il caso di riflettere bene prima di offrire il microfono a chi forse è concentrato su altro. A torto o a ragione.

Niente drammi, però. La sofferenza di molti per un contenitore quadrato che spesso produce una specie di frullato di farneticazioni, può trasformarsi in un’occasione unica. La si spenga dunque quella scatola, quella cattiva maestra affetta da un esaurimento nervoso e di idee. Se non si riesce a cambiarla, a migliorarla, a depurarla della miriade di elucubrazioni strampalate pronunciate dalla svampita di turno, che la si chiuda, almeno per un po’, concedendole un periodo di vacanza. Trasferendo quello che ancora è rimasto alla preistoria della comunicazione direttamente nella Rete. Così come fatto in questi giorni di par condicio da Enrico Mentana. Vengono in mente quelle parole pronunciate da Indro Montanelli al cardinal Martini alcuni anni fa: «Ma non si può scomunicare la televisione, non si possono mandare al rogo un po’di quelli che la fanno?». Un modo ci sarebbe e, aggiungiamo, al posto del rogo si potrebbe inserire la parole “Rete”. Senza dubbio il risultato sarebbe migliore.

Nessun commento: