lunedì 16 gennaio 2012

Il coraggio di cambiare

C’è da fidarsi di un sistema che non permette ai cittadini di esercitare il proprio potere di rappresentanza? Che prima chiede sforzi, sacrifici, voti (ma non preferenze), e poi li emargina quando da quel pertugio potrebbe venire un pericolo per una consuetudine decennale? Che invita al rispetto delle leggi e della trasparenza e poi salva un deputato dalla giustizia in quanto tale e non perché oggettivamente innocente? Che riempie i programmi elettorali di meritocrazia e occupazione giovanile e poi non fa nulla per impedire la fuga di quanti, ormai stufi,decidono di emigrare oltre Europa? Che predica il risparmio e poi concede milioni di euro di finanziamento alla stampa di Lavitola o al mensile dei cavalli? All’indomani di un pomeriggio di follia per la politica italiana, a metà strada tra la vergogna di aver salvato Nicola Cosentino e la depressione civica per la decisione della Consulta, serve uno scatto di reni.
Per andare oltre prassi dequalificanti,che fanno regredire un paese già in fondo a tutte le classifiche che contano,come quella sul tasso di liberalismo pubblicata due giorni fa. Altro che passi in avanti, terzo millennio, europeismo, riformismo: qui c’è da rifondare partendo dallo zero. Magistrati con doppi e tripli cumuli di stipendi milionari, cricche e cricchette, centinaia di migliaia di precari senza un futuro, igieniste dentali e amiche di, ancora ai primi posti della fila. Lo ha magistralmente elaborato Stefano Rodotà nel suo “Elogio del moralismo”, pubblicato per Laterza. Dove invita a cambiare prospettiva quando si parla dimorale e moralisti. Chi l’ha detto che un soggetto che segue una condotta di correttezza, che non infrange la legge, che si indigna quando altri la infrangono e che per questo è definito moralista, deve altresì essere investito da un’aurea di bacchettonismo?
Rodotà invita tutti, esponenti pubblici e cittadini privati, a rivedere quel concetto di rigore inteso come regole di convivenza. Senza le quali ci saranno ancora amministratori pubblici che sfruttano la propria veste per affari privati, depauperando lo stato e quindi tutti i sessanta milioni di cittadini italiani che ne pagheranno le conseguenze,in termini anche di mancati guadagni. Uno scatto, dunque, di reni e di menti. Per andare oltre, per dare un segno. Se il paese è veramente stanco, come sembra,che allora faccia la sua parte, reagisca e si renda attivo come ha fatto (solo una manciata di volte) nel suo passato.

Fonte: Go-Bari.it del 15/01/12

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